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Articolo 327 Codice di procedura civile — Decadenza dall’impugnazione

Articolo 327 Codice di procedura civile — Decadenza dall’impugnazione

Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza [ 124 secondo comma, 129 terzo comma, disp. att. ].

Questa disposizione non si applica quando la parte contumace [ 291 c.p.c. ss. ] dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione [ 164 ] o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’articolo 292.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 18586/2018

Il cd. termine lungo per l’impugnazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c. decorre dalla data di pubblicazione, cui la norma espressamente si riferisce, ossia dal giorno del suo deposito ufficiale presso la cancelleria del giudice che l’ha pronunciata, attestato dal cancelliere, che costituisce l’atto mediante il quale la decisione viene ad esistenza giuridica, mentre alcuna rilevanza assumono, in mancanza di tale adempimento, la data di deposito della sola minuta, perché mero atto interno all’ufficio che avvia il procedimento di pubblicazione, e quella di inserimento del provvedimento nel registro cronologico, con l’attribuzione del relativo numero identificativo.

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Cass. civ. n. 19959/2017

In tema di appello, al fine di valutare l’applicabilità del termine semestrale introdotto dalla l. n. 69 del 2009, occorre avere riguardo, secondo i principi generali in tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio si è perfezionata con la ricezione dell’atto da parte del destinatario e non a quello in cui la notifica è stata richiesta all’ufficiale giudiziario o il plico è stato spedito a mezzo del servizio postale secondo la procedura di cui alla l. n. 53 del 1994.

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Cass. civ. n. 13617/2017

In materia di controversie soggette al rito del lavoro, l’art. 429, comma 1, c.p.c., come modificato dall’art. 53, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 133 del 2008 – applicabile “ratione temporis” – prevede che il giudice all’udienza di discussione decide la causa e procede alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, sicché, in analogia con lo schema dell’art. 281-sexies c.p.c., il termine “lungo” per proporre l’impugnazione, ex art. 327 c.p.c., decorre dalla data della pronuncia, che equivale, unitamente alla sottoscrizione del relativo verbale da parte del giudice, alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall’art. 133 c.p.c., con esonero, quindi, della cancelleria dalla comunicazione della sentenza; viceversa, nella residuale ipotesi di particolare complessità della controversia, in cui il giudice fissi un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell’art. 430 c.p.c., il termine decorrerà dalla comunicazione alle parti dell’avvenuto deposito da parte del cancelliere.

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Cass. civ. n. 5946/2017

La decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell’omessa comunicazione della data di trattazione dell’udienza e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa.

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Cass. civ. n. 4217/2014

Il principio di ultrattività identifica il rito da seguire nell’impugnazione, in base all’apparenza della natura del provvedimento impugnato, ma la relativa inosservanza non determina, di per sé, l’inammissibilità del gravame, che, in quanto sanzione tipica, non può essere applicata fuori dei casi espressamente previsti. Ne consegue che il giudice deve verificare in concreto se, per effetto di tale “error in procedendo”, l’impugnazione è tardiva o priva dei requisiti funzionali di attivazione di una qualunque forma di contraddittorio, ogni altra nullità potendo essere sanata dal raggiungimento dello scopo.

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Cass. civ. n. 3541/2014

La proposizione dell’impugnazione tardiva ai sensi dell’art. 327, secondo comma, cod. proc. civ. è idonea a fare venire meno il giudicato in precedenza formatosi, qualora il giudice del gravame la riconosca ammissibile, con la conseguenza che ove il giudizio d’impugnazione si estingua senza che sull’ammissibilità dell’appello sia intervenuta alcuna espressa pronuncia in tal senso, il giudicato non può che risalire al momento in cui sono scaduti i termini per l’impugnazione. (Fattispecie relativa alla Convenzione in tema di riconoscimento ed esecuzione delle sentenze civili tra Italia e Argentina, firmata a Roma il 9 dicembre 1987, ratificata con legge 22 novembre 1988, n. 532, che all’art. 22, par. 1, lett. d, subordina il riconoscimento all’assenza di altra sentenza dell’altro Paese fra le stesse parti avente lo stesso oggetto, senza che occorra, per negare il riconoscimento, che quest’ultima sentenza sia passata in giudicato).

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