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Articolo 421 Codice di procedura civile — Poteri istruttori del giudice

Articolo 421 Codice di procedura civile — Poteri istruttori del giudice

Il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti.

Può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti . Si osserva la disposizione del comma sesto dell’articolo precedente.

Dispone, su istanza di parte, l’accesso sul luogo di lavoro, purché necessario al fine dell’accertamento dei fatti, e dispone altresì, se ne ravvisa l’utilità, l’esame dei testimoni sul luogo stesso.

Il giudice, ove lo ritenga necessario, può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell’articolo 246 o a cui sia vietato a norma dell’articolo 247.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 25374/2017

Nel rito del lavoro, l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito.

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Cass. civ. n. 14197/2017

L’azione volta al riconoscimento della causa di servizio ed alla liquidazione dell’equo indennizzo ha per oggetto non la regolarità del procedimento, o l’illogicità o contraddittorietà delle determinazioni assunte dall’organo tecnico competente per gli accertamenti sanitari, che non hanno carattere vincolante, bensì la verifica delle condizioni per la sussistenza del diritto, onde il giudice ha il potere-dovere di accertare i detti requisiti e di esercitare il proprio potere istruttorio d’ufficio, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., disponendo c.t.u. medico-legale.

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Cass. civ. n. 26289/2013

In materia di licenziamento, l’eccezione di inapplicabilità della tutela reale del lavoratore subordinato ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 integra una eccezione in senso lato, con la conseguenza che è nella facoltà del giudicante, nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c. con riferimento ai fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio, ammettere la prova indispensabile per decidere la causa sul punto.

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Cass. civ. n. 24188/2013

In tema di poteri istruttori d’ufficio del giudice del lavoro l’emanazione di ordine di esibizione (nella specie di documenti) è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza di ordine di esibizione non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa.

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Cass. civ. n. 18410/2013

Nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo – costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito – che non solo impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo, ma conduce a considerare del tutto residuale l’ipotesi di “assoluta mancanza di prove” e si traduce in una maggiore pregnanza del dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito con una valutazione non limitata all’esame isolato dei singoli elementi, ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica.(Nella specie, la corte territoriale aveva rigettato la domanda sulla mera constatazione dell’assenza di prova sul nesso eziologico tra vaccinazione antipolio e insorgenza della malattia, senza in alcun modo attivare, nonostante una situazione di “semiplena probatio” e lo specifico ambito, più volte oggetto di interventi regolatori della Corte costituzionale, i poteri di acquisizione officiosa; la S.C., nel cassare la decisione, ha affermato il principio su esteso).

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Cass. civ. n. 2420/2013

Nel rito del lavoro, il potere di rilevazione, anche d’ufficio, delle eccezioni in senso lato può essere esercitato dal giudice d’appello solo sulla base di elementi probatori ritualmente e tempestivamente allegati agli atti. (Nella specie, nell’ambito di una controversia in materia di sanzioni amministrative, il ricorrente aveva tempestivamente opposto la prescrizione della pretesa sanzionatoria, mentre la Direzione Provinciale del Lavoro si era limitata a depositare copia del verbale di accertamento notificato alla controparte – da cui si poteva evincere l’effetto interruttivo – solamente nel giudizio d’appello; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto inammissibile la suddetta produzione).

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Cass. civ. n. 18924/2012

Nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado. Ne consegue che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processale a carico della parte. (Nella specie, la produzione in appello della documentazione reddituale del coniuge dell’appellato è stata ritenuta ammissibile, atteso il carattere integrativo di quella prodotta in primo grado, relativa al solo assistito, ed essendone sorta la necessità a seguito della precisazione dell’INPS, secondo cui l’assegno sociale in discussione non derivava dalla trasformazione del trattamento assistenziale legato all’inabilità civile).

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Cass. civ. n. 16182/2011

Nel rito del lavoro l’esercizio del potere d’ufficio del giudice è possibile e doveroso solo allorquando si sia in presenza di allegazioni e di un quadro probatorio che, pur delineati dalla parti, presentino incertezze. Ne consegue che, in tema di prova testimoniale, ove i testi siano chiamati a deporre su specifiche circostanze di fatto tempestivamente dedotte dalla parte, tale collegamento tra onere di allegazione e prova risulta rafforzato al punto che, anche in omaggio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, ne è impedito il frazionamento tra primo e secondo grado di giudizio.

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Cass. civ. n. 16542/2010

L’eccezione di interruzione della prescrizione, configurandosi diversamente dall’eccezione di prescrizione come eccezione in senso lato, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo, ma sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e, in ordine alle controversie assoggettate al rito del lavoro, sulla base dei poteri istruttori legittimamente esercitabili anche di ufficio ai sensi dell’art. 421, secondo comma, c.p.c., dal giudice, tenuto, secondo tale norma all’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai fini della decisione. Pertanto in presenza di un quadro probatorio che non consenta di ritenere sicuramente insussistente un fatto costitutivo od impeditivo l’esercizio di tali poteri istruttori è doveroso ove l’incertezza possa essere rimossa con opportune iniziative istruttorie sollecitate dal giudice. (Nell’affermare il principio la Corte, in una fattispecie relativa ad una richiesta di pagamento dei contributi previdenziali, ha cassato la sentenza di merito laddove questa, pure in presenza di documentati fatti interruttivi quali la presentazione di una istanza di fallimento da oltre dieci anni, di un atto di successiva diffida, nonché di pagamenti parziali effettuati dopo l’istanza di fallimento, non aveva adeguatamente motivato circa il mancato esercizio di detti poteri istruttori ufficiosi).

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Cass. civ. n. 12717/2010

Nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione.

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Cass. civ. n. 10711/2010

Nel rito del lavoro, la facoltà di richiedere osservazioni scritte ed orali alle organizzazioni sindacali stipulanti un contratto collettivo può essere esercitata solo nel giudizio di primo grado e non anche in appello, e presuppone che la norma contrattuale presenti aspetti oscuri ed ambigui o ponga una questione interpretativa seriamente opinabile.

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Cass. civ. n. 6204/2010

Le informazioni e osservazioni, che, ai sensi dell’art. 425 c.p.c., possono essere fornite in giudizio dall’associazione sindacale indicata dalla parte, sono inidonee, anche in considerazione del loro carattere unilaterale, ad identificare la comune intenzione delle parti stipulanti il contratto collettivo, rilevante ai sensi dell’art. 1362 c.c., ma, salva l’ipotesi in cui siano suffragate da elementi aventi un’intrinseca valenza probatoria, hanno la funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prova già disponibili, rientrando, in tali limiti, nella nozione di materiale istruttorio valutabile, con la motivazione richiesta dalle circostanze, dal giudice.

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Cass. civ. n. 1863/2010

Nel rito del lavoro, è corretto l’operato del giudice che, nell’ambito di una controversia promossa per accertare la natura subordinata di un rapporto di lavoro, chieda al testimone di precisare, al di fuori delle circostanze capitolate, se veniva rispettato un orario di lavoro, quali fossero le mansioni svolte dal prestatore nonché in quale posizione materiale la prestazione fosse effettuata, dovendosi ritenere che la possibilità di porre tali domande sia consentita, se non anche imposta, dall’art. 421 c.p.c., e ciò tanto più ove al ricorso siano stati allegati conteggi elaborati sul presupposto dello svolgimento di determinate mansioni e orari e la controparte abbia contestato, oltre alla natura subordinata del rapporto, anche lo svolgimento di un orario a tempo pieno.

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Cass. civ. n. 6023/2009

Nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod. proc. civ., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori.

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Cass. civ. n. 29006/2008

Nel rito del lavoro, il giudice, ove si verta in situazione di “semiplena probatio”, ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti, dovendo, quindi, motivare sulla mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi là dove sollecitato dalla parte ad integrare la lacuna istruttoria (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che – nel giudizio promosso da un dipendente delle Poste Italiane s.p.a., licenziato in conseguenza di indagini penali ed applicazione di misura cautelare personale, per sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento stesso – aveva accolto la domanda del lavoratore sulla scorta del solo materiale probatorio versato in atti, senza dare alcun seguito all’istanza della società datrice di lavoro di acquisire, nel giudizio in corso, gli atti del procedimento penale, nel quale essa società non era stata parte, al fine di corroborare la prova dei fatti alla base del comminato licenziamento).

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Cass. civ. n. 209/2007

Nel rito del lavoro, l’acquisizione di nuovi documenti o l’ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato.

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Cass. civ. n. 17178/2006

Nel rito del lavoro, i mezzi istruttori, preclusi alle parti, possono essere ammessi d’ufficio, ma suppongono, tuttavia, la preesistenza di altri mezzi istruttori, ritualmente acquisiti, che siano meritevoli dell’integrazione affidata alle prove ufficiose. Peraltro, l’indisponibilità, che consente la produzione tardiva di documenti suppone che, al momento fissato, a pena di preclusione o decadenza, per la loro produzione, fosse oggettivamente impossibile disporne, trattandosi di documenti la cui formazione risulti, necessariamente, successiva a quel momento. Ne esulano, pertanto, le certificazioni che, pur avendo per oggetto circostanze di fatto quali, con riferimento a prestazioni assistenziali, i requisiti socio-economici al fine dell’accesso all’assegno di invalidità, preesistenti a quel momento, siano state formate, tuttavia, solo successivamente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto prodotta tardivamente, nel corso del giudizio di appello, la prova documentale circa il possesso, da parte del ricorrente, dei requisiti socio-economici al fine della prestazione assistenziale richiesta).

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Cass. civ. n. 14731/2006

Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto; tuttavia, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito.

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Cass. civ. n. 12729/2006

Nel giudizio tra datore di lavoro ed istituti previdenziali o assistenziali avente ad oggetto il pagamento di contributi, qualora sorga contestazione sull’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, con conseguente necessità di preliminare accertamento di detto rapporto quale presupposto dell’obbligo contributivo, la posizione che il lavoratore assume in detto giudizio determina la sua incapacità a testimoniare; tuttavia, ciò non esclude che il giudice possa, avvalendosi dei poteri conferitigli dall’art. 421 c.p.c., interrogarlo liberamente sui fatti di causa.

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Cass. civ. n. 2526/2006

Qualora l’atto di appello riferito al rito del lavoro – la cui tempestività deve essere valutata con riguardo al momento del deposito del relativo ricorso in cancelleria – sia stato notificato presso il procuratore domiciliatario di una società dichiarata fallita nel corso del giudizio di primo grado, anziché alla curatela fallimentare della stessa avendo l’appellante avuto piena conoscenza della sopravvenuta declaratoria di fallimento a seguito della notificazione dell’impugnata sentenza, una volta riscontrata la nullità ex art. 164 c.p.c. della notificazione dell’atto di impugnazione, il giudice di appello – esercitando il potere previsto dall’art. 421, comma primo, c.p.c. – è tenuto ad ordinare la rinnovazione della stessa, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., assegnando un nuovo termine perentorio per la rinotificazione del ricorso e del relativo decreto con il quale viene fissata la nuova udienza di discussione, a condizione che la prima notificazione alla società, ancora ritenuta in bonis sia stata tempestivamente effettuata.

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Cass. civ. n. 1130/2005

Nel rito del lavoro, qualora il giudice abbia, nell’esercizio dei poteri d’ufficio di cui all’art. 421 c.p.c., assegnato ad una delle parti un termine per porre rimedio alle irregolarità riscontrate nella formulazione dei capitoli di prova, con l’invito ad una nuova formulazione degli stessi, tale termine deve ritenersi perentorio; ne consegue, in applicazione della particolare disciplina di cui ai commi quinto e sesto dell’art. 420 c.p.c., la decadenza della parte dal diritto di far assumere le prove nell’ipotesi di mancata ottemperanza nel termine fissato.

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Cass. civ. n. 23929/2004

Nel rito del lavoro, la nullità del ricorso introduttivo per mancata indicazione degli elementi di fatto e di diritto posti alla base della domanda èsanabile alla stregua dell’art. 164, quinto comma, c.p.c., ed in caso di mancata fissazione, da parte del giudice adito, di un termine perentorio per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda nonchè in mancanza di una tempestiva eccezione del convenuto, ex art. 157 c.p.c., relativa al vizio dell’atto, deve ritenersi provata l’intervenuta sanatoria del ricorso nullo per il raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c.; in questo caso, ai fini dell’identificazione dell’oggetto della domanda (la cui impossibilità produce comunque l’inammissibilità della domanda stessa) il giudice di merito deve prendere in considerazione ogni elemento risultante dagli atti e dai documenti di causa, proveniente sia dall’attore che dal convenuto, e può anche chiedere chiarimenti alle parti.

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Cass. civ. n. 11353/2004

Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere-dovere, sicchè il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo — in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c., ed al disposto di cui all’art. 111, primo comma, Cost. sul «giusto processo regolato dalla legge» — di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso. Nel rispetto del principio dispositivo i poteri istruttori non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale, dandosi ingresso alle cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la volontà delle parti di non servirsi di detta prova, o, infine, in presenza di una prova già espletata su punti decisivi della controversia, ammettendo d’ufficio una prova diretta a sminuirne l’efficacia e la portata. (Nella specie, relativa a riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della malattia dalla quale il lavoratore era affetto, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C. in base al principio di cui in massima, aveva motivato il mancato esercizio dei poteri istruttori, in sede di gravame, tenendo conto del mancato assolvimento, da parte del lavoratore, dell’onere di provare non solo il tipo di mansioni svolte e il suo concreto atteggiarsi, ma pure la sussistenza di tutte le condizioni — vibrazioni, scuotimenti, inclemenze atmosferiche, sottoposizione a turni irregolari — cui addebitava in relazione di causalità la malattia di cui era risultato affetto, e delle carenze dell’atto introduttivo non superate neanche per effetto dell’espletamento della consulenza medico-legale e del contenuto dell’anamnesi lavorativa in essa riportata).

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Cass. civ. n. 10128/2004

In una controversia in materia di locazioni iniziata dopo il 30 aprile 1995, nella quale, in virtù di quanto disposto dall’art. 447 bis c.p.c., il giudice delle locazioni può avvalersi dei poteri d’ufficio di cui agli artt. 421 e 437 dello stesso codice, l’esercizio di tali poteri costituisce una facoltà discrezionale del giudice, come tale incensurabile in sede di legittimità, e tuttavia qualora di detta facoltà il giudice venga espressamente e specificamente richiesto di avvalersi, in caso di mancato accoglimento dell’istanza di parte sul punto deve essere resa una motivazione.

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Cass. civ. n. 5908/2004

Il potere officioso del giudice di ordinare, ai sensi degli artt. 210 e 421 c.p.c., alla parte l’esibizione di documenti sufficientemente individuati, ha carattere discrezionale e, non potendo sopperire all’inerzia della parte nel dedurre mezzi di prova, può essere esercitato solo se la prova del fatto che si intende dimostrare non sia acquisibile aliunde non anche per fini meramente esplorativi. Il mancato esercizio da parte del giudice del relativo potere, anche se sollecitato, non è censurabile in sede di legittimità neppure se il giudice abbia omesso di motivare al riguardo. (Nella specie, il giudice del merito non aveva disposto, su istanza di un agente, l’esibizione, da parte della preponente, di scritture contabili, nè la richiesta consulenza tecnica d’ufficio, in quanto le scritture erano genericamente indicate e volte ad accertare fatti che il medesimo agente avrebbe potuto provare con altri mezzi; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata).

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Cass. civ. n. 639/2004

Qualora l’attore, a fondamento della propria pretesa, non abbia indicato, né depositato, il contratto collettivo e controparte ne abbia contestato l’esistenza, è precluso al giudice l’esercizio dei poteri ufficiosi per l’acquisizione del suddetto contratto. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del merito che aveva accolto la domanda attorea sulla base del contratto collettivo acquisito attraverso consulenza tecnica).

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Cass. civ. n. 405/2004

In ordine alle circostanze apprese da terzi, i rapporti ispettivi redatti dai funzionari degli istituti previdenziali, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, per la loro natura hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una prova contraria qualora il rapporto sia in grado di esprimere ogni elemento da cui trae origine, e in particolare siano allegati i verbali, che costituiscono la fonte della conoscenza riferita dall’ispettore nel rapporto e possono essere acquisiti anche con l’esercizio dei poteri ex art. 421 c.p.c., sì da consentire al giudice e alle parti il controllo e la valutazione del loro contenuto; in mancanza di acquisizione dei suddetti verbali, il rapporto ispettivo (con riguardo alle informazioni apprese da terzi) resta un elemento che il giudice può valutare in concorso con gli altri elementi probatori.

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Cass. civ. n. 6336/2003

Nel rito del lavoro, la possibilità che ha il giudice, di richiedere informazioni e osservazioni, scritte o orali, alle associazioni sindacali, prevista dal secondo comma dell’art. 421 c.p.c., costituisce una facoltà discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio o mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato.

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Cass. civ. n. 12002/2002

Nel rito del lavoro, i poteri istruttori del giudice ex art. 421 c.p.c. — pur diretti alla ricerca della verità, in considerazione della particolare natura dei diritti controversi — non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, né tradursi in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale.

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Cass. civ. n. 7119/2002

Il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti, nel rito del lavoro, dall’art. 421 c.p.c.), anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce un vizio di illogicità della sentenza; la deducibilità della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio motivazionale e non come errore in procedendo, impedendo al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti, impone al ricorrente che muova alla sentenza impugnata siffatta censura di riportare testualmente, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi (emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in considerazione dal giudice di merito) dai quali era desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie per l’esercizio degli invocati poteri. In particolare, il ricorrente deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emergeva l’esistenza di una «pista probatoria», ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività (rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazionie istruttoria demandata al giudice di merito), e deve altresì allegare di avere nel giudizio di merito espressamente e specificamente richiesto l’intervento officioso, posto che, onde non sovrapporre la volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della terzietà, è necessario che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riguardo alla richiesta di una integrazione probatoria qualificata.

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Cass. civ. n. 5/2002

Nelle controversie soggette al rito del lavoro il giudice ha la facoltà di ammettere la prova testimoniale della simulazione al di fuori dei limiti previsti dall’art. 1417 c.c., in quanto l’art. 421 c.p.c., nel consentire l’ammissione dei mezzi di prova «anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile», si riferisce, per la prova testimoniale, alle deposizioni generali di cui agli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. alle quali si collega il citato art. 1417 c.c.

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Cass. civ. n. 16145/2001

L’ordine di rinnovo della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (disposto ai sensi dell’art. 421 c.p.c.) è provvedimento che corrisponde ad uno specifico modello processuale, potendo e dovendo essere emesso sempre che si verifichi la situazione normativamente considerata; ne consegue che l’atto che dispone la rinnovazione della notifica quando una rituale notifica vi sia già stata deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., perché discostantesi del relativo modello processuale (in quanto emesso al di fuori delle ipotesi consentite) e perché inidoneo a raggiungere il proprio scopo (consistente nella valida instaurazione del contraddittorio), essendo tale scopo già stato raggiunto per la ritualità della notifica della quale è stata erroneamente disposta la rinnovazione. La nullità del suddetto atto si trasmette agli atti successivi che ne dipendono, onde non può negarsi l’interesse ad affermare che l’ordine di rinnovazione è stato impartito al di fuori delle ipotesi consentite in chi, destinatario inottemperante del medesimo, abbia poi subito le conseguenze processuali della propria inottemperanza. (Nella specie, la Corte ha ritenuto, in relazione a sentenza dichiarativa dell’improcedibilità dell’appello per inottemperanza all’ordine di rinnovo della notificazione dell’atto di impugnazione, ammissibile il ricorso per cassazione volto a dimostrare la ritualità dell’originaria notificazione, e perciò l’illegittimità dell’ordine di rinnovazione della stessa).

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Cass. civ. n. 7360/2001

Allorché il giudice abbia disposto, ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (ovvero, nel rito del lavoro, dell’art. 421 c.p.c.), la rinnovazione della notificazione dell’atto introduttivo sul presupposto della omissione, della nullità o dell’inesistenza della prima, ai fini della verifica della regolare instaurazione del contradditorio occorre aver riguardo esclusivamente alla situazione processuale determinatasi per effetto dell’ordine del giudice; sicché, ove questo sia rimasto ineseguito, il vizio ha un rilievo autonomo ed assorbente, mentre non spiega alcuna rilevanza la circostanza che l’intervento ordinatorio del giudice sia eventualmente frutto di un’erronea valutazione per essere stata la rinnovazione della notificazione disposta in presenza di un contraddittorio già integro.

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Cass. civ. n. 3228/2001

Nel rito del lavoro, il corretto esercizio del potere officioso conferito al giudice dalla norma di cui all’art. 421 c.p.c. in tema di ricerca di prove suppletive od integrative a supporto della domanda postula l’esistenza, in seno al processo, tanto di taluni elementi positivi, quanto l’assenza di altri, ed opposti, elementi ostativi, onde non travalicare l’ambito della disposizione de qua (trasmodando nell’arbitrio scaturente dalla sovrapposizione della volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi), e non oltrepassare, così, il limite obbligato della terzietà che, comunque, deve sorreggere l’attività del giudicante (e sulla quale i detti, ampliati poteri, pur applicati in senso lato, non possono prevalere). Elementi positivi devono, pertanto, essere considerati la circostanza che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti — o dall’assunzione degli altri mezzi di prova offerti dalle stesse — siano dedotti, pur se implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere (sia pur non compiutamente) le rispettive ragioni con profili di decisività della controversia; il fatto che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riferimento alla qualificata integrazione sopradescritta; la impossibilità, soggettiva od oggettiva, di reperire o dedurre la prova carente, ovvero di integrare, ad opera della parte, quella lacunosa o polivalente, pur nella sua acclarata idoneità a sorreggere le ragioni dedotte; gli elementi negativi afferiscono, invece, ai limiti che l’attribuzione al giudice di poteri istruttori d’ufficio incontra, e concernono il rispetto del principio della domanda; l’onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi od estintivi del diritto controverso; il rispetto del divieto di utilizzazione della conoscenza privata da parte del giudice; l’eventuale inerzia probatoria, ovvero l’eventuale rinuncia, esplicita o per facta concludentia, della parte, cui il giudice non può ovviare con il suo potere officioso.

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Cass. civ. n. 11002/2000

L’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio da parte del giudice del lavoro non può essere diretto a sminuire l’efficacia e la portata di un’attività istruttoria già ritualmente espletata, specialmente nei casi in cui — come avviene per la prova testimoniale — un corretto esercizio del contraddittorio e del diritto di difesa impone alle parti di espletare la prova in un unico contesto temporale. Nel caso, poi, di richiesta probatoria, avente tale incidenza, formulata in appello dalla parte rimasta contumace in primo grado, alla sua ammissione osta altresì il rilievo che potrebbe vanificarsi la stessa portata della contumacia, con la trasformazione del comportamento inerte di chi non ha partecipato al primo grado del giudizio in una posizione processuale di vantaggio.

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Cass. civ. n. 9034/2000

Nel rito del lavoro, l’attribuzione al giudice di poteri istruttori d’ufficio, ai sensi dell’art. 421, secondo comma, c.p.c., incontra un duplice limite, poiché, da una parte, deve rispettare il principio della domanda e dell’onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall’altra, deve rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice, sicché — in sostanza — la norma dispensa la parte dall’onere della formale richiesta della prova e dagli oneri relativi alle modalità di formulazione dell’oggetto della prova, ma richiede pur sempre che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall’assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative «piste probatorie» emergenti dagli atti di causa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che — in relazione alla domanda di riconoscimento di provvigioni derivanti da attività di promozione di contratti di leasing svolta per una società finanziaria — aveva escluso l’esercizio dei poteri ex art. 421 c.p.c. ritenendo che i fatti dedotti dal ricorrente erano sforniti di un minimo supporto probatorio e per la loro genericità non facevano desumere quale fosse stata l’attività concretamente svolta).

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Cass. civ. n. 4714/2000

Alla parte che invoca in giudizio l’applicazione di un contratto collettivo post-corporativo incombe l’onere di produrlo, con la conseguenza che, in caso di mancata produzione di esso e di contestazione della controparte in ordine all’esistenza e al contenuto dell’invocato contratto, il giudice deve rigettare la domanda nel merito, trovandosi nell’impossibilità di determinare l’an e il quantum della pretesa fatta valere; soltanto nell’ipotesi in cui la controparte non abbia contestato l’esistenza e il contenuto del contratto invocato ma si sia limitata a contestarne l’applicabilità, sussiste, per il giudice, il potere-dovere, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., di acquisire d’ufficio, attraverso consulenza tecnica, il contratto collettivo di cui l’attore, pur eventualmente non indicando gli estremi, abbia tuttavia fornito idonei elementi di identificazione.

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Cass. civ. n. 12884/1999

Nel processo del lavoro, è legittima l’utilizzazione delle prove — ritualmente acquisite agli atti — assunte in un precedente giudizio tra le stesse parti e inerenti allo stesso contenzioso sostanziale, considerato l’ampio potere di ammissione di ufficio di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, a norma dell’art. 421 c.p.c. (Fattispecie relativa a giudizi prima sull’an e poi sul quantum aventi ad oggetto lavoro straordinario).

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Cass. civ. n. 5639/1999

Dal combinato disposto dei commi quinto e sesto dell’art. 420 c.p.c. (la cui interpretazione letterale induce a ritenere che le suddette disposizioni si riferiscano alle prove «costituende») nonché dalla duplice circostanza che nel codice di rito la perentorietà dei termini riferita agli atti è sempre espressamente prevista e che l’art. 421, comma primo, c.p.c. non prescrive la perentorietà del termine ivi contemplato, si desume che nel rito del lavoro il mancato rispetto del termine fissato dal giudice per l’integrazione della prova documentale non impedisce alla parte di procurarla anche dopo la scadenza di detto termine, essendo le prove precostituite soggette ad un regime diverso rispetto alle prove costituende.

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Cass. civ. n. 6769/1998

Ai sensi dell’art. 421 c.p.c., il potere ufficioso di ordinare l’esibizione di documenti è discrezionale, sicché il suo esercizio non comporta alcun vincolo per il giudice. Del pari discrezionale è, quindi, anche il potere di desumere argomenti di prova dall’inosservanza dell’ordine di esibizione, ma in questo caso la discrezionalità è correlata alla natura dell’argomento di prova. Tale correlazione comporta che per l’eventuale valutabilità del rifiuto di esibizione di documenti come ammissione del fatto è necessario che vi siano elementi di prova concorrenti. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la possibilità di superare la rilevata carenza di documentazione della domanda del lavoratore, intesa ad ottenere il riconoscimento di differenze sul compenso per lavoro straordinario, attraverso la valorizzazione dell’inottemperanza da parte del datore di lavoro all’ordine di esibizione dei fogli di presenza, in considerazione anche dell’impossibilità di verificare l’esattezza delle aliquote applicate dal lavoratore nei propri conteggi derivante dalla mancata indicazione della categoria di appartenenza del lavoratore stesso).

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Cass. civ. n. 6535/1998

Qualora nel giudizio di rinvio il giudice, facendo ricorso ai poteri istruttori previsti dall’art. 421 c.p.c., abbia disposto l’acquisizione di prove nuove, non necessitate dalla sentenza di annullamento, senza tenere conto delle decadenze e preclusioni già verificatesi nei precedenti gradi di giudizio, la nullità dell’atto di riapertura dell’istruzione viene sanata ove la parte interessata non l’abbia fatta valere nella prima istanza o difesa successiva ad esso o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157 c.p.c.

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Cass. civ. n. 310/1998

Nel rito del lavoro, dove, per la particolare natura dei rapporti controversi il principio dispositivo va contemperato con quello della ricerca della verità materiale mediante una rilevante ed efficace azione del giudice nel processo, quando le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, non può farsi meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova ma occorre che il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, senza che a ciò sia d’ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti. Il mancato esercizio di tale potere-dovere non è direttamente denunziabile in sede di legittimità anche in assenza di espressa motivazione sul punto, ma può tradursi in un vizio di illogicità della decisione, in particolare quando questa si fondi su di un elemento probatorio offerto da una delle parti ma contrastato dall’altra e per sé non dotato di sicura affidabilità, senza la necessaria verifica e senza che dal contesto del provvedimento possano desumersi le ragioni che hanno indotto ad ometterla.

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Cass. civ. n. 10522/1997

Nel rito del lavoro, quando le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti. In particolare il giudice deve fare applicazione di questo principio, e formulare una richiesta di informazioni a norma dell’art. 213 c.p.c., quando una delle parti abbia la qualità di pubblica amministrazione e sia l’unico soggetto in possesso dei dati contabili necessari ai fini della quantificazione del diritto dedotto in giudizio dalla controparte. (Fattispecie relativa alla domanda di medico convenzionato della medicina generale di riconoscimento da parte della unità sanitaria locale delle quote di indennità di carovita eccedenti l’indennità integrativa speciale erogatagli con un trattamento pensionistico).

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Cass. civ. n. 7881/1997

Nel rito del lavoro, la mancanza di documenti o la loro idoneità a rappresentare i fatti allegati può indurre il giudice ad ammettere d’ufficio in qualsiasi momento ogni altro mezzo di prova ai sensi dell’art. 421 c.p.c., ma tale ammissione costituisce oggetto di una facoltà discrezionale, incensurabile in sede di legittimità, che deve essere espressamente motivata solo se la parte la solleciti specificamente.

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Cass. civ. n. 4935/1997

Nel rito del lavoro non incorre nella violazione del principio dell’onere della prova, fissato dall’art. 2697 c.c., il giudice che disponga d’ufficio, a norma dell’art. 421, secondo comma, c.p.c., una prova testimoniale finalizzata a sopperire all’incompletezza di una prova documentale, sempre che egli, in osservanza del principio dispositivo (art. 112 c.p.c.), si mantenga nei limiti dei fatti costitutivi delle pretese o delle eccezioni dedotte o sollevate dalle parti.

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Cass. civ. n. 262/1997

Nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere-dovere di cui all’art. 421, primo comma, c.p.c.; con la conseguenza che, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui all’art. 420 stesso codice, il pretore, ove ritenga l’esperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, deve indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità, che allo stato non consente l’ammissione della prova, assegnandole un termine per porvi rimedio ed applicando a tal fine la particolare disciplina prevista dal quinto comma della norma da ultimo citata, col corollario della decadenza nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di questo termine espressamente dichiarato perentorio dal medesimo comma. Il giudice d’appello, cui venga denunciata l’illegittima sanzione di decadenza dall’istanza di prova testimoniale, pronunciata in violazione dell’esposto principio, ove riscontri l’effettiva sussistenza del vizio, deve, coerentemente con l’effetto devolutivo del gravame e con la regola della conversione dell’invalidazione nell’impugnazione, trattenere la causa e provvedere sulla detta istanza, ammettendo, ove ricorra ogni altro necessario requisito, la prova stessa e disponendone l’assunzione conformemente al disposto dell’art. 437, primo e secondo comma, c.p.c. Né la mancanza, per il giudizio di appello, di disposizioni analoghe a quelle dell’art. 420, sesto comma, esclude il carattere perentorio del termine fissato, ex art. 421, primo comma, c.p.c., alla parte che non abbia già provveduto a completare la propria istanza istruttoria nel corso del giudizio di primo grado o con l’atto introduttivo di quello di gravame.

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Cass. civ. n. 5590/1994

Nel rito del lavoro, che, per la particolare natura dei rapporti controversi, tende a contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità reale, il potere del giudice di disporre d’ufficio mezzi istruttori — che presuppone l’incertezza o l’incompletezza del materiale probatorio acquisito, e non sia già l’esistenza di oggettive e non imputabili difficoltà di una delle parti nell’acquisizione delle prove — può essere esercitato, in presenza di significativi dati di indagine, anche se la parte onerata della prova sia incorsa in preclusioni e decadenze, ed anche su sollecitazione di quest’ultima, dovendo essere escluso solo in presenza di una precisa volontà della parte di non esperire una determinata prova.

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Cass. civ. n. 3302/1994

La f acoltà del giudice di ordinare la comparizione di persone di cui sia contestata la capacità di testimoniare a norma dell’art. 246 c.p.c., può essere esercitata, secondo le previsioni dell’ultimo comma dell’art. 421 dello stesso codice, solo quando, previamente accertata l’insussistenza dell’interesse alla causa che potrebbe legittimarne la partecipazione al giudizio, il provvedimento del giudice sia giustificato da una motivata situazione di necessità che renda indispensabile il loro libero interrogatorio sui fatti di causa.

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Cass. civ. n. 9192/1993

L’art. 421 c.p.c., il quale, per le cause soggette al rito del lavoro, stabilisce che il giudice indica alla parte l’eventuale irregolarità di atti e documenti suscettibile di essere sanata, assegnando un termine per provvedervi, non trova applicazione quando detta irregolarità sia stata già espressamente eccepita dall’avversario, in tempo utile e che l’interessato possa porvi rimedio, dato che, in tale ipotesi, la relativa questione resta acquisita al dibattito e rimane di conseguenza superata la necessità od opportunità di quell’invito d’ufficio.

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Cass. civ. n. 3537/1993

Nel rito del lavoro, il potere del giudice di disporre d’ufficio mezzi istruttori — mentre può essere esercitato, in presenza di significativi dati d’indagine e per superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, anche se la parte onerata della prova sia incorsa in preclusioni e decadenze — resta invece escluso in presenza di una precisa volontà della parte di non esperire una determinata prova (la quale perciò non può essere ammessa d’ufficio); con la conseguenza che anche nel rito predetto è irrevocabile, secondo la regola dell’art. 177, terzo comma, n. 1), c.p.c., un’ordinanza che sull’accordo delle parti abbia revocato il precedente provvedimento di ammissione di un determinato mezzo istruttorio.

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Cass. civ. n. 276/1990

Nelle controversie di lavoro, la facoltà del giudice di richiedere, ai sensi degli artt. 421 e 425 c.p.c., informazioni alle associazioni sindacali presuppone che le medesime siano indicate dalle parti e rispondano — se chiamate all’udienza di discussione — a mezzo di loro rappresentanti, restando esclusa, in mancanza di ciò, la possibilità di verbalizzare notizie offerte da persone estranee alle associazioni stesse e non espressamente indicate come legittimate a renderle.

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Cass. civ. n. 2166/1988

Il regime di sanatoria delle nullità formali afferenti l’atto introduttivo del giudizio e la sua notificazione, posto dagli artt. 156, 162, 164 e 291 c.p.c., trova applicazione anche nel rito del lavoro, in mancanza di specifica deroga e non ostando ragioni d’incompatibilità con le peculiarità strutturali di detto rito. Nelle cause di lavoro, pertanto, la nullità radicale od inesistenza giuridica della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza (nella specie, per consegna in unica copia al procuratore costituito di più parti), ovvero l’omissione della notificazione medesima, al pari della nullità dovuta al mancato rispetto del termine minimo per la comparizione, integrano vizi sanabili mediante la costituzione del convenuto, o la rinnovazione disposta dal giudice, soltanto con effetto ex nunc, salvi restando i diritti quesiti, con l’ulteriore conseguenza che, se i vizi stessi siano inerenti all’appello, e vengano denunciati dall’appellato in sede di costituzione, tale costituzione non vale ad escludere il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado a seguito della pregressa scadenza del termine d’impugnazione.

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Cass. civ. n. 737/1985

L’esercizio, da parte del giudice del lavoro, del potere di richiedere informazioni alla pubblica amministrazione (art. 213 c.p.c.) non può considerarsi esaurito nel caso di risposta assolutamente inconcludente dell’amministrazione medesima, essendo in tale ipotesi il giudice tenuto a reiterare, con le opportune precisazioni, la richiesta di informazioni e ad utilizzare eventualmente i poteri istruttori conferitigli dall’art. 421 c.p.c., dando adeguata motivazione del mancato uso di tali poteri, soprattutto quando l’adempimento dell’onere probatorio gravante sulla parte sia reso praticamente impossibile dalla non disponibilità delle prove, tutte ricadenti nella sfera d’azione della pubblica amministrazione.

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Cass. civ. n. 526/1985

Nel rito del lavoro la richiesta di informazioni alle associazioni sindacali indicate dalle parti, pur non essendo annoverabile tra i mezzi di prova, costituisce tuttavia un peculiare strumento processuale che consente al giudice di acquisire dati per una migliore comprensione della fattispecie sottoposta al suo esame; pertanto dalle risultanze di tale informazioni il giudice può dedurre argomenti di prova da utilizzare per la formazione del proprio convincimento.

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Cass. civ. n. 4707/1983

L’art. 421 c.p.c., nella sua nuova formulazione, laddove consente al giudice di ammettere mezzi di prova fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce ai limiti fissati dal detto codice alla prova testimoniale in via generale negli artt. 2721, 2722 e 2723 e non, invece, a quelli stabiliti dall’ordinamento per determinati e specifici atti in ordine alla forma, sia ad substantiam che ad probationem.

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Cass. civ. n. 4508/1982

L’a rt. 421 c.p.c., nello stabilire che il giudice dispone su istanza di parte l’accesso sul luogo del lavoro, purché necessario al fine dell’accertamento dei fatti, non solo esclude che tale accesso sia obbligatorio per il fatto che la parte ne ha fatto istanza, ma limita la stessa discrezionalità del giudice il quale può disporre l’accesso solo se lo ritiene necessario e non semplicemente utile.

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Cass. civ. n. 1371/1982

L’esercizio del potere di richiedere informazioni scritte alla pubblica amministrazione, che è ri messo alla discrezionalità del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, può aver luogo, nel nuovo rito del lavoro, che è caratterizzato dall’oralità, immediatezza e concentrazione degli atti processuali nonché dall’accentuata ufficialità del processo, anche ai fini della individuazione (e della conseguente sua chiamata in causa iussu iudicis) dell’effettivo datore di lavoro, passivamente legittimato in ordine alle pretese fatte valere dal dipendente, la quale — per il mutevole e complesso atteggiarsi, sul piano della soggettività giuridica, della classe imprenditoriale — può riuscire difficoltosa al lavoratore.

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