Art. 437 – Codice di procedura civile – Udienza di discussione
Nell'udienza il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Quando non provvede ai sensi dell'articolo 436 bis, il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza.
Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. È salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa.
Qualora ammetta le nuove prove, il collegio fissa, entro venti giorni, l'udienza nella quale esse debbono essere assunte e deve essere pronunziata la sentenza. In tal caso il collegio con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all'articolo 423.
Sono applicabili le disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell'articolo 429.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 8885/2025
Nell'opposizione ex art. 615 c.p.c. volta a contestare l'an o il quantum del diritto di agire in executivis del coniuge creditore che ha promosso l'esecuzione nei confronti del terzo debitore ai sensi dell'art. 8, comma 3, della l. n. 898 del 1970, ora sostituito dall'art. 437-bis.37, commi 1 e 2, c.p.c., sussiste il litisconsorzio necessario del coniuge obbligato, interessato a partecipare ad un giudizio che è teso ad accertare l'esatta consistenza del suo obbligo e la cui decisione, avente attitudine al giudicato, incide sulla sua liberazione nei confronti del procedente e/o sul suo diritto di credito verso il terzo.
Cass. civ. n. 23157/2024
Nel rito del lavoro solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo; tale insanabilità deve, tuttavia, escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga (sì da potersi escludere l'ipotesi di un ripensamento del giudice); in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione.
Cass. civ. n. 22907/2024
Nel rito del lavoro, dovendosi contemperare il principio dispositivo con quello di ricerca della verità, il giudice può ammettere il deposito di atti non prodotti tempestivamente - qualora li ritenga indispensabili ai fini della decisione - anche in grado d'appello, ricorrendo ai poteri officiosi di cui all'art. 437 c.p.c., sicché, nel giudizio volto a determinare il minimale contributivo, non può limitarsi a una pronuncia di tardività della produzione del cosiddetto contratto collettivo "leader", ma deve esercitare il suo potere-dovere di integrazione probatoria ed acquisire il c.c.n.l. indicato dalla parte onerata della prova, indispensabile a individuare la retribuzione-parametro.
Cass. civ. n. 20423/2024
La configurazione del giudizio di rinvio quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa - in cui è preclusa la formulazione di nuove conclusioni e quindi la proposizione di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, salvo che la necessità di nuove conclusioni sorga dalla stessa sentenza di cassazione - non osta all'esercizio, in sede di rinvio, dei poteri istruttori esercitabili d'ufficio dal giudice del lavoro anche in appello, limitatamente ai fatti già allegati dalle parti, o comunque acquisiti al processo ritualmente, nella fase processuale antecedente al giudizio di cassazione, in quanto i limiti all'ammissione delle prove concernono l'attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitabili d'ufficio.
Cass. civ. n. 19829/2024
Nel rito del lavoro, il giudice di appello deve vagliare l'ammissibilità dei documenti prodotti dall'appellante, già contumace in primo grado, ex art. 437 c.p.c. in base alla loro rilevanza e, cioè, all'indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo.
Cass. civ. n. 18253/2024
L'istanza ed il pedissequo decreto di anticipazione dell'udienza di discussione ex art. 437 c.p.c.devono essere notificati alla parte non costituita personalmente, poiché la procura conferita per il primo grado non può spiegare effetti ulteriori a quelli previsti dall'art. 330 c.p.c. per la notifica dell'impugnazione, essendo questa l'unica ipotesi di ultrattività prevista dalla citata norma di rito, con la conseguenza che l'omessa o irrituale notifica alla parte non costituita configura una violazione del principio del contraddittorio, da cui deriva la nullità della successiva udienza di discussione e della sentenza resa, che ne comporta l'annullamento con rinvio al giudice d'appello.
Cass. civ. n. 17587/2024
Nel rito del lavoro, la mancata comunicazione del dispositivo (che, secondo la regola generale dell'art. 437 c.p.c., dev'essere letto nella stessa udienza di discussione) in esito all'udienza cartolare a trattazione scritta - prevista per l'emergenza pandemica dall'art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2020 - non determina alcuna nullità, sia perché il legislatore ha adottato in via generale, anche nel rito speciale, lo schema camerale per la trattazione dei processi civili, ritenuto sufficiente a garantire il contraddittorio anche con la successiva comunicazione, unitamente o separatamente dal provvedimento decisorio, del dispositivo senza che ciò comporti lesione del diritto di difesa (dato che i termini per l'impugnazione decorrono dalla data della comunicazione telematica), sia perché nessuna invalidità è espressamente prevista dal sottosistema processuale "emergenziale", né è vietata l'annotazione postuma, nel fascicolo elettronico, di atti precedenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, affermando l'irrilevanza del fatto che nello storico del procedimento la lettura del dispositivo risultava registrata successivamente alla data dell'udienza, contestualmente alla registrazione del deposito della minuta).
Cass. civ. n. 16833/2024
In tema di mancata corresponsione del trattamento di fine rapporto, il diritto del lavoratore verso il Fondo di garanzia dell'INPS, in caso di datore di lavoro non soggetto a procedure concorsuali ex art. 2, comma 5, l. n. 297 del 1982, presuppone come fatto costitutivo l'insolvenza di quest'ultimo ed il necessario ed infruttuoso tentativo di esecuzione forzata nei suoi confronti, sicché l'allegazione da parte dell'ente previdenziale del mancato previo esperimento di tale esecuzione non è da qualificare come eccezione in senso proprio, bensì come mera difesa, con conseguente inapplicabilità del divieto di nuove eccezioni in appello di cui all'art. 437 c.p.c.
Cass. civ. n. 16358/2024
Nel rito del lavoro costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell'art. 437, comma 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. (Nella specie, la S.C. ha qualificato prova nuova indispensabile la produzione, avvenuta solo in appello, dell'atto interruttivo della prescrizione).
Cass. civ. n. 15993/2024
Nel rito del lavoro, nel caso in cui l'udienza pubblica di discussione sia sostituita dalla trattazione scritta ai sensi dell'art. 83, comma 7, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con l. n. 27 del 2020, l'omesso deposito telematico del dispositivo il giorno dell'udienza equivale alla sua mancata lettura, che determina, pertanto, la nullità della sentenza. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato la nullità della sentenza d'appello depositata in data successiva a quella in cui risultava assunta la decisione, non consacrata in un dispositivo depositato in cancelleria, neanche telematicamente).
Cass. civ. n. 6135/2024
Nel rito del lavoro, il giudice di merito, qualora ritenga indispensabile l'acquisizione integrale di un contratto collettivo, può esercitare i poteri istruttori d'ufficio, sempre che il lavoratore abbia assolto l'onere della prova di cui è gravato, ai sensi dell'art. 2697 c.c., essendo a ciò sufficiente la produzione di "schede riassuntive" dei contratti collettivi ritenuti applicabili.
Cass. civ. n. 4867/2024
La nullità del contratto per violazione di norme imperative, siccome oggetto di un'eccezione in senso lato, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l'impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi. (Nella specie, la S.C. ha confermato, sul punto, la declaratoria di inammissibilità, da parte del giudice di merito, dell'eccezione di nullità di un contratto di locazione, per essere stati introdotti i fatti posti a fondamento della stessa, per la prima volta, in vista dell'udienza di discussione della causa in appello).
Cass. civ. n. 3145/2024
Nel rito del lavoro, l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine di legge, è improcedibile se è omessa la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza e non è consentita al giudice, in base ad una presunta "interpretazione costituzionalmente orientata", l'assegnazione all'appellante di un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica relativa ad un'altra udienza di discussione, né sull'inerzia della parte può influire, come possibile sanatoria, la precedente esecuzione di una regolare notificazione del provvedimento di fissazione dell'udienza per la decisione sulla richiesta di inibitoria ex art. 283 c.p.c., trattandosi di attività che ha esaurito la propria valenza propulsiva nell'ambito della fase cautelare.
Cass. civ. n. 32815/2023
Nel giudizio di legittimità, qualora venga dedotta l'erroneità dell'ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la S.C., in quanto chiamata ad accertare un "error in procedendo", è giudice del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse in astratto di prova indispensabile, ossia teoricamente idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa.
Cass. civ. n. 32358/2023
In caso di udienza a trattazione scritta o cartolare, ex art. 83, comma 7, lett. h, del d.l. n. 18 del 2020, conv. dalla l. n. 27 del 2020, il deposito telematico del dispositivo a seguito della camera di consiglio è equivalente alla lettura in udienza.
Cass. civ. n. 401/2023
Anche nell'ambito del reclamo di cui al rito cd. Fornero, prova nuova indispensabile, ai sensi dell'art. 1, comma 59, della l. n. 92 del 2012, è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.
Cass. civ. n. 2271/2021
Nel rito del lavoro, la preclusione in appello di un'eccezione nuova sussiste nel solo caso in cui la stessa, essendo fondata su elementi e circostanze non prospettati nel giudizio di primo grado, abbia introdotto in sede di gravame un nuovo tema d'indagine, così alterando i termini sostanziali della controversia e determinando la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la corte di appello avesse ritualmente statuito rigettando, oltre alla domanda di risarcimento del danno da demansionamento, anche quella di pagamento della quota di TFR, relativa all'indennizzo da anticipata cessazione del rapporto, riconosciuto in primo grado ad un dirigente per la liquidazione di un danno per giusta causa di recesso di cui la società datrice di lavoro aveva da subito contestato l'esistenza). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 24/08/2015).
Cass. civ. n. 41474/2021
L'eccezione di pagamento ha efficacia estintiva di un rapporto giuridico indipendentemente dal tramite di una manifestazione di volontà della parte, sicché integra un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio dal giudice sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 21/03/2018).
Cass. civ. n. 2029/2020
L'ammissione degli invalidi civili, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, all'assegno sociale erogato dall'INPS in sostituzione del trattamento di invalidità, in applicazione dell'art. 19 della l. n. 118 del 1971, ha carattere automatico e prescinde pertanto dall'accertamento, da parte di detto Istituto, della rivalutazione della posizione patrimoniale dell'assistito, costituendo la titolarità dell'assegno di invalidità (o della pensione di inabilità) presupposto sufficiente per il conseguimento dell'assegno sociale alle condizioni di maggior favore già accertate; ne consegue che non può dirsi nuova, in quanto tale inammissibile ex art. 437, comma 2, c.p.c., la domanda di attribuzione dell'assegno sociale in luogo di quello di invalidità. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 24/05/2018).
Cass. civ. n. 26597/2020
Nel rito del lavoro, l'esercizio dei poteri istruttori del giudice, che può essere utilizzato a prescindere dalla maturazione di preclusioni probatorie in capo alle parti, vede quali presupposti la ricorrenza di una "semiplena probatio" e l'individuazione "ex actis" di una pista probatoria che, in appello, ben può essere costituita dalla indicazione di un teste de relato in primo grado, secondo una ipotesi prevista in via generale dall'art. 257, comma 1, c.p.c. che, al ricorrere dei requisiti di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., resta assorbita. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 29/07/2014).
Cass. civ. n. 25169/2019
La pretesa di condanna del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2126 c.c., al pagamento delle retribuzioni dovute per lo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato, anche con la P.A., allorquando la pretesa originariamente esercitata di riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con tale datore di lavoro sia esclusa per ragioni di nullità o per divieti imposti da norme imperative, non costituisce domanda nuova e può dunque essere prospettata per la prima volta in grado di appello o anche posta d'ufficio a fondamento della decisione.
Cass. civ. n. 22843/2019
Nel regime di impiego privato, il contratto collettivo di cui si chiede l'applicazione diretta costituisce un fatto storico che va allegato in modo specifico dall'attore, sicché è generica la domanda formulata senza che tale contratto sia individuato o individuabile grazie all'interpretazione dell'atto introduttivo; ne consegue che la richiesta in appello di applicazione di un contratto collettivo diverso da quello allegato costituisce modifica della domanda originaria, soggetta alle preclusioni ed al regime dell'art. 420,comma 1, c.p.c.
Cass. civ. n. 25434/2019
Il rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato, attesa la distinzione rispetto a quelle in senso stretto, non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, purchè i fatti risultino documentati "ex actis"; ne consegue che in presenza di una eccezione in senso lato il giudice può esercitare anche i propri poteri officiosi al fine di ammettere le prove indispensabili, cioè quelle idonee ad elidere ogni incertezza nella ricostruzione degli eventi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva qualificato il rifiuto di ricevere la lettera di licenziamento, annotato in calce alla lettera prodotta in giudizio dal datore di lavoro, come eccezione in senso lato dunque non soggetta a preclusioni, con conseguente legittimità degli esercitati poteri istruttori).
Cass. civ. n. 17368/2018
Nel rito del lavoro, in caso di mancata costituzione di entrambe le parti all'udienza di discussione, il giudice di appello deve dichiarare d'ufficio l'improcedibilità - che non è nella disponibilità delle parti - senza poter rinviare la causa ad altra udienza, ai sensi dell'art. 348, comma 2, c.p.c., poiché detto rinvio presuppone la regolare "vocatio in ius" e nelle ipotesi in cui l'appellante non provi che la notifica del ricorso e del decreto di fissazione sia avvenuta, non è consentito al giudice assegnare un termine per la rinotifica, dovendosi tutelare l'aspettativa della controparte al giudicato.
Cass. civ. n. 11994/2018
Nel rito del lavoro, il giudice d'appello, nell'esercizio dei suoi poteri istruttori d'ufficio, in applicazione del precetto di cui all'art. 437, comma 2, c.p.c., deve acquisire e valutare i documenti esibiti nel corso del giudizio dall'appellato, sia pure non in contestualità con il deposito della memoria di costituzione, allorquando detti documenti siano indispensabili, perché idonei a decidere in maniera definitiva la questione controversa tra le parti sulla ammissibilità del gravame. (Nella specie, la S.C., cassando con rinvio la sentenza di appello, ha ritenuto ammissibile la produzione dell'originale integrale della sentenza impugnata da parte del lavoratore appellato, dopo che che lo stesso aveva prodotto solo una copia parziale e ciò al fine della verifica dell'ammissibilità dell'appello).
Cass. civ. n. 26117/2016
Nel rito del lavoro, l'acquisizione di nuovi documenti o l'ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un'espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato.
Cass. civ. n. 23652/2016
Nel rito del lavoro è inammissibile la produzione in appello di documenti di formazione antecedente il giudizio, genericamente indicati e sulla cui esibizione sia intervenuta una decadenza, né in tal caso può essere esercitato il potere officioso del giudice di ammissione di nuovi mezzi di prova, che opera sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi a seguito del contraddittorio delle stesse. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile la produzione in appello di un atto interruttivo della prescrizione, avendo l'Inps in primo grado sollevato la relativa eccezione senza specificare quando, come e in virtù di quale atto l'interruzione si fosse prodotta).
Cass. civ. n. 22484/2016
Nelle controversie assistenziali, la produzione in primo grado della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà riferita al cd. requisito reddituale, pur non avendo valore probatorio, può costituire, nella valutazione del giudice di merito, insindacabile ove congruamente motivata, un principio di prova idoneo a giustificare l'attivazione dei poteri officiosi ex art. 437, comma 2, c.p.c.
Cass. civ. n. 20722/2015
Costituisce domanda nuova in appello, come tale inammissibile ai sensi dell'art. 437 c.p.c., la richiesta del lavoratore di condanna del datore di lavoro al pagamento di tutte le retribuzioni maturate successivamente alla data del licenziamento dichiarato illegittimo dal primo giudice, ove egli si sia limitato in primo grado a chiedere la liquidazione del danno nella misura di cinque mensilità.
Cass. civ. n. 8290/2015
Nel rito del lavoro, in caso di controversia avente ad oggetto la conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, la deduzione della natura pubblica della società-datore di lavoro integra un'eccezione in senso proprio, in quanto richiede nuovi accertamenti di fatto mediante l'introduzione di un nuovo "thema decidendum", sicché non è deducibile per la prima volta in sede di gravame, in forza del divieto di cui all'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ.
Cass. civ. n. 24886/2014
Nel rito del lavoro, ove il lavoratore abbia eccepito, sin dal giudizio di primo grado, l'omessa comunicazione della contestazione disciplinare, la deduzione, in sede di gravame, del mancato inserimento dell'avviso di deposito della relativa raccomandata nella propria buca delle lettere costituisce una mera difesa, non soggetta alle preclusioni cui all'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., in quanto intesa solo a corroborare l'originaria difesa.
Cass. civ. n. 17176/2014
Nel rito del lavoro, la disciplina della fase introduttiva del giudizio - e a maggior ragione quella del giudizio d'appello - risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 437 cod. proc. civ., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al "petitum" che alla "causa petendi", neppure nell'ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, e non è, pertanto, consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, anche quando il bene richiesto rimanga immutato, essendo nella fase di appello precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantitative) che comportino anche solo una "emendatio libelli", permessa solo all'udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge.
Cass. civ. n. 6264/2014
L'esistenza del requisito contributivo delle prestazioni previdenziali giudizialmente pretese deve essere provata dall'assicurato e verificata anche d'ufficio dal giudice, mentre la sua negazione da parte dell'istituto assicuratore convenuto, in quanto integra una "mera difesa" e non una "eccezione in senso proprio", sfugge alle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 cod. proc. civ. ed è perciò idonea, anche se svolta oltre i limiti stabiliti da tali norme, a sollecitare il potere - dovere del giudice di rilevare di ufficio l'eventuale carenza del suddetto requisito.
Cass. civ. n. 4854/2014
Nel rito del lavoro, il divieto di "nova" in appello, ex art. 437 cod. proc. civ., non riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso alle contestazioni nuove, cioè non esplicitate in primo grado, sia perché l'art. 416 cod. proc. civ. impone un onere di tempestiva contestazione a pena di decadenza, sia perché nuove contestazioni in secondo grado, oltre a modificare i temi di indagine (trasformando il giudizio di appello da "revisio prioris instantiae" in "iudicium novum", estraneo al vigente ordinamento processuale), altererebbero la parità delle parti, esponendo l'altra parte all'impossibilità di chiedere l'assunzione di quelle prove alle quali, in ipotesi, aveva rinunciato, confidando proprio nella mancata contestazione ad opera dell'avversario.
Cass. civ. n. 12719/2013
Nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, nelle quali deve essere distinta la fase della proposizione della domanda ("editio actionis"), che si perfeziona con il deposito del ricorso innanzi all'adito organo giudiziario, dalla successiva fase della instaurazione del contraddittorio ("vocatio in jus"), che si attua mediante la notificazione alla controparte del ricorso stesso unitamente al relativo decreto di fissazione d'udienza, la riassunzione del giudizio in primo grado, dopo che il giudice di appello, in applicazione degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., ne abbia disposto la rimessione al primo giudice dichiarando nulla per difetto di integrità del contraddittorio la sentenza emessa in prime cure, comporta la continuazione del giudizio precedentemente instaurato e non l'instaurazione di un nuovo giudizio, con conseguente inammissibilità della proposizione di domande nuove.
Cass. civ. n. 3181/2013
Nel giudizio di impugnativa di un licenziamento, la dedotta sopravvenienza nel corso del giudizio, da parte del datore di lavoro, dell'impossibilità della prestazione lavorativa per totale inidoneità fisica del lavoratore non può costituire, "ex post", ragione giustificatrice del licenziamento già intimato, né realizza una causa automatica di estinzione del rapporto di lavoro, ma può solo rilevare - e in presenza di una nuova manifestazione di volontà datoriale - quale presupposto di una nuova fattispecie di risoluzione del rapporto medesimo. Ne consegue che la domanda di accertamento dell'estinzione del rapporto per l'evento sopravvenuto, avanzata nel giudizio appello, è inammissibile - ancor prima che per violazione del divieto di "nova" ex art. 437 c.p.c. - per difetto di interesse, non riguardando il recesso oggetto del giudizio.
Cass. civ. n. 1462/2013
L'appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che l'appello non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all'altro esame della causa, ma una "revisio" fondata sulla denunzia di specifici "vizi" di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata. Ne consegue che è onere dell'appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, o comunque attivarsi perché questi documenti possano essere sottoposti all'esame del giudice di appello, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, ovvero richiedendo al giudice che ordini, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., all'appellato non costituito l'esibizione dei documenti già contenuti nella produzione ritirata, senza che osti, a tal fine, il divieto di cui all'art. 437, secondo comma, c.p.c., trattandosi di prove già acquisite agli atti di causa e non di nuove prove.
Cass. civ. n. 20157/2012
Nel rito del lavoro, il divieto di "jus novorum" in grado di appello, di cui all'art. 437, secondo comma, c.p.c. ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie ed alle mere difese, ossia alle deduzioni volte alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa ovvero alle deduzioni che corroborano sul piano difensivo eccezioni già ritualmente formulate. Ne deriva che, nel giudizio promosso dall'agente verso la preponente per accertare l'unicità di due rapporti formalmente distinti, il richiamo da parte della società preponente al diritto, derivante da accordo sindacale, alla risoluzione del primo contratto, operato per sostenere l'affermazione della risoluzione già avvenuta e da accertare nel processo, non costituisce eccezione in senso stretto bensì semplice argomento difensivo, non assoggettato alle preclusioni degli artt. 416, comma terzo, 420, comma primo, e 437, comma secondo, c.p.c.. (Nella specie, nell'affermare il principio su esteso, la S.C. ha rilevato l'assenza di "jus novorum" in appello, in quanto la società aveva, fin dal giudizio di primo grado, dichiarato di aver receduto dal primo contratto, aveva depositato l'accordo sindacale - su cui poi in appello aveva preteso di fondare la risoluzione -, e su detto accordo vi era stato anche il contraddittorio delle parti).
Cass. civ. n. 13353/2012
Nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è possibile l'ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche d'ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, facendosi riferimento per "indispensabilità" delle nuove prove ad una loro "influenza causale più incisiva" rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto "rilevanti", ovvero a prove che sono idonee a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini, conducano ad un esito "necessario" della controversia.
Cass. civ. n. 12706/2012
Nel procedimento di appello in materia di lavoro, le eccezioni nuove, vietate dall'art. 437 cod. proc. civ., sono le eccezioni in senso stretto, che introducono in giudizio un nuovo "thema decidendum" e un nuovo accertamento di fatto. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha escluso che il datore di lavoro, il quale sin dal primo grado aveva contestato lo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni riconducibili alla superiore qualifica rivendicata, abbia sollevato un'eccezione nuova specificando in appello che tali mansioni erano state svolte in modo residuale).
Cass. civ. n. 8293/2012
Qualora il lavoratore abbia dedotto, con il ricorso introduttivo di primo grado, l'illegittimità del licenziamento disciplinare per insussistenza dei fatti addebitatigli, costituisce inammissibile mutamento della domanda la richiesta, formulata per la prima volta in grado d'appello, di accertare l'illegittimità dello stesso licenziamento per la consumazione del potere disciplinare, in conseguenza di una precedente contestazione dei medesimi fatti, seguita dall'irrogazione di una sanzione conservativa.
Cass. civ. n. 6753/2012
Nel rito del lavoro, e in particolare nella materia della previdenza e assistenza, stante l'esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorché le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può in via eccezionale ammettere, anche d'ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento. (Nella specie, relativa a controversia per il riconoscimento della pensione di invalidità civile, la S.C. ha ritenuto l'ammissibilità della produzione in appello di documenti fiscali attestanti i redditi cumulati dall'attore e dal coniuge, essendo questa meramente integrativa dei documenti già prodotti in primo grado, costituiti dalla certificazione di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell'attore).
Cass. civ. n. 3506/2012
Nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è ammissibile la produzione di nuovi documenti, se muniti di speciale efficacia dimostrativa e ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione, ma ciò non consente alla parte di introdurre in secondo grado nuove allegazioni di fatto, restandone altrimenti snaturato il giudizio di primo grado, che finirebbe con lo svolgersi sulla base di elementi parziali. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto all'integrazione al minimo sulla base del possesso del requisito reddituale, allegato e provato dal pensionato soltanto in grado di appello).
Cass. civ. n. 28703/2011
Le allegazioni del datore di lavoro circa l'impossibilità di reintegrare il prestatore licenziato, non concernendo l'esercizio di diritti potestativi e non costituendo quindi eccezioni in senso stretto, rappresentano mere difese, per le quali non opera il regime di preclusione di cui all'art. 437, secondo comma, c.p.c.
Cass. civ. n. 5555/2011
In tema di licenziamento disciplinare, ove il lavoratore abbia impugnato, con il ricorso introduttivo, il provvedimento datoriale di recesso allegandone il carattere ritorsivo, la successiva deduzione, in sede di gravame, di nuovi profili di illegittimità (nella specie, la tardiva contestazione degli addebiti e la non immediatezza della sanzione) integra la proposizione di domande nuove, senza che assuma rilievo, a tal fine, l'eventuale proposizione della questione nel giudizio cautelare - ancorché instaurato in corso di causa - attesa l'autonomia dei due giudizi, di cui quello cautelare attiene ad un'istanza meramente strumentale, in quanto la novità della deduzione va valutata dal giudice, ai sensi dell'art. 437 c.p.c., esclusivamente in relazione al contenuto della domanda proposta ai sensi dell'art. 414 c.p.c., non essendo comunque consentita l'introduzione di una nuova questione nel corso del giudizio di primo grado.
Cass. civ. n. 5238/2011
La disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro regolate dalla legge n. 533 del 1973, non ostandovi la specialità del rito da questa introdotto, nè i principi cui essa si ispira. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 348, comma primo, c.p.c., anche in tali controversie, la mancata comparizione dell'appellante all'udienza di cui all'art. 437 c.p.c. non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella quale il ripetersi di tale difetto di comparizione comporta la dichiarazione di improcedibilità dell'appello. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in una ipotesi in cui si era prima verificata la mancata comparizione dell'appellante all'udienza di discussione di cui all'art. 437 c.p.c. e poi la mancata comparizione di entrambe le parti alla successiva udienza alla quale la causa era stata rinviata, aveva dichiarato l'improcedibilità dell'appello. La S.C. - che per giungere al tale conclusione ha, fra l'altro, respinto la richiesta del ricorrente volta ad ottenere una pronunzia di cancellazione della causa dal ruolo - ha precisato che l'art. 348 c.p.c. è posto ad esclusiva tutela dell'interesse dell'appellante, il quale ne è l'unico fruitore e destinatario).