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Art. 48 — Errore determinato dall’altrui inganno

Art. 48 — Errore determinato dall’altrui inganno

Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall’altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 8096/2011

Integra il reato di falso per induzione, anche a seguito dell’abrogazione del reato previsto dall’art. 2, comma quarto, D.L. 29 dicembre 1983, n. 746 (recante “Disposizioni urgenti in materia di imposta sul valore aggiunto”, conv. con modd. in L. 27 febbraio 1984, n. 17), l’esibizione ad un funzionario doganale di una dichiarazione d’intento non veritiera, sì da indurlo a formare una bolletta doganale ideologicamente falsa.

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Cass. pen. n. 15481/2004

Non ricorre la fattispecie del così detto «concorso anomalo» di cui all’art. 116 c.p., bensì quella prevista all’art. 48 c.p. nel caso in cui si accerti che i concorrenti non abbiano avuto ab origine un accordo criminoso comune – inteso come convergenza delle volontà dei soggetti in concorso – ed il reato sia stato realizzato in conformità della reale intenzione di un concorrente dissimulata all’altro. (Nella specie, la Corte ha escluso la responsabilità a titolo di concorso ai sensi dell’art 116 c.p. nel reato di traffico di stupefacenti, nel comportamento di un soggetto che, avendo offerto la propria collaborazione per l’importazione in Italia di merci in violazione di disposizioni doganali, quali diamanti e pelli di rettile, aveva invece trasportato cocaina per errore determinato dall’inganno dell’altro concorrente).

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Cass. pen. n. 537/1998

In materia di reato commesso in conseguenza di altrui inganno (art. 48 c.p.), l’idoneità dell’azione dell’autore “mediato” va valutata necessariamente in rapporto alle qualità ed alle capacità dell’autore “immediato”, con la conseguenza che qualora questo sia un pubblico ufficiale occorre in particolare tenere conto del grado di preparazione che la sua qualifica richiede e dei doveri di controllo che gli incombono. Pertanto, quando alla luce di siffatti dati le prospettazioni del privato non valgono ad alterare la realtà fattuale, deve escludersi induzione mediante errore, da parte di tale soggetto nei confronti di quello pubblico, alla commissione del reato. (Fattispecie in tema di false dichiarazioni rese dal privato per ottenere una licenza edilizia, dichiarazioni che la Corte non ha ritenuto sufficienti per la configurazione del reato, alla luce dei doveri di esame e di controllo del funzionario pubblico).

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Cass. pen. n. 6389/1996

Al fine di affermare la responsabilità del cosiddetto autore mediato ai sensi dell’art. 48 c.p., occorre avere riguardo all’atteggiamento psichico di quest’ultimo non soltanto circa la sussistenza del dolo del reato commesso dall’ingannato (nel senso che chi trae in inganno deve agire con previsione e volontà che l’altrui condotta integri il fatto punibile che si intende realizzare), ma anche con riferimento ad ogni altra finalità che attraverso la condotta strumentale dell’autore immediato si persegua e della quale è necessario valutare la rilevante incidenza in ordine alla qualificazione o alla sussistenza stessa del reato in questione. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che quando un soggetto detenuto determini con l’inganno altri ad introdurre nello stabilimento carcerario sostanze stupefacenti al fine di farne uso personale, detta finalità dell’autore mediato assuma valore di esclusione della punibilità qualora il giudice ne accerti la sussistenza).

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Cass. pen. n. 4411/1996

La responsabilità dell’autore mediato ex art. 48 c.p. si configura anche in relazione ai reati cosiddetti propri in cui la qualifica del soggetto attivo è presupposto o elemento costitutivo della fattispecie criminosa. Pertanto risponde di peculato anche l’estraneo che, traendo in inganno il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, si appropri per tramite di questi di una cosa dagli stessi posseduta per ragioni del loro ufficio.

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Cass. pen. n. 607/1996

In tema di errore determinato dall’altrui inganno, ad integrare la responsabilità ex art. 48 c.p. è necessario e sufficiente che venga posta in essere una condotta causalmente e consapevolmente correlata all’induzione in errore di chi dovrà commettere il fatto costituente reato.

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Cass. pen. n. 4842/1995

Il fatto della persona che, incaricata dal sostituto d’imposta del versamento delle ritenute erariali operate sulle retribuzioni dei dipendenti, ne ometta il versamento al fisco, integra, ai sensi dell’art. 48 c.p., il reato proprio previsto dall’art. 2, comma secondo, L. 7 agosto 1982, n. 516, con esclusione, peraltro, stante l’impossibilità di distinguere ontologicamente e cronologicamente tale condotta dall’interversione del possesso, del tutto coincidente, della configurabilità del concorso del reato di appropriazione indebita.

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Cass. pen. n. 10159/1990

L’inganno da cui deriva la responsabilità ex art. 48 c.p. (errore determinato dall’altrui inganno) può consistere, in qualunque artificio o altro comportamento atto a sorprendere l’altrui buona fede, attraverso il quale l’autore mediato induca in errore l’autore immediato del delitto. (Nella specie era stata taciuta a provveditore agli studi, da parte di funzionario del Ministero della P.I., una situazione di incompatibilità, rispetto all’Ufficio di presidente di commissione di esame, in cui si trovava un professore il cui nominativo era stato suggerito al provveditore dal funzionario medesimo e che implicava la strumentalizzazione ad interesse privato della predetta nomina).

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