Art. 96 – Codice penale – Sordomutismo
Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d'intendere o di volere [222].
Se la capacità d'intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 31698/2024
In tema di diffamazione a mezzo stampa, i requisiti della verità putativa e della continenza espressiva devono essere valutati con maggiore rigore nel caso di un editoriale, in ragione sia dell'autorevolezza dell'autore (che induce il c.d. lettore medio a riporre maggiore fiducia nel contenuto dell'articolo), sia del rilievo che assume tale contributo all'interno del giornale, circostanze dalle quali deriva una maggiore offesa alla reputazione della persona.
Cass. civ. n. 3015/2024
Integra il delitto di falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali la condotta di colui che, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, necessaria per fruire di colloqui con detenuti, attesti falsamente di essere immune da precedenti penali. (In motivazione, la Corte ha precisato che, influendo la dichiarazione mendace sulla valutazione di ammissibilità del colloquio, propedeutica all'esercizio della potestà autorizzativa della direzione della struttura penitenziaria, non è configurabile né il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, che ricorre quando la falsa attestazione abbia ad oggetto "fatti" dei quali l'atto sia destinato a provare la verità, né quello di false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o di altri, configurabile solo in via residuale quando la falsità non abbia alcuna attinenza, neppure indiretta, con la formazione dell'atto).
Cass. civ. n. 40277/2023
In tema di diffamazione, non trova applicazione la formula assolutoria di cui all'art. 530, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento alla prova liberatoria di cui all'art. 596, comma quarto, cod. pen., che postula la piena dimostrazione dell'esistenza del fatto attribuito al diffamato e che non è riconducibile alle cause di giustificazione o alle cause soggettive di non punibilità.
Cass. civ. n. 23893/2023
È apparente, in quanto atomistica ed intrinsecamente contraddittoria e comunque frutto di insanabile incongruenza logica con le premesse, la motivazione della decisione che escluda la valenza diffamatoria della notizia, pur smentita dagli interessati, di una condotta riservata asseritamente tenuta da un'organizzazione sindacale e dalla sua segretaria generale in aperto ed inconciliabile contrasto con la linea ufficiale di critica e ferma opposizione nella trattativa in corso con il Governo, senza tener conto della valenza attribuita dallo stesso sindacato al rigore nella coerente difesa di tale indirizzo.
Cass. civ. n. 19376/2023
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista, anche nel caso in cui pubblichi il testo di una intervista, non può limitare il suo intervento a riprodurre esattamente e diligentemente quanto riferito dall'intervistato, soltanto perché le eventuali dichiarazioni possono interessare la pubblica opinione, essendo in ogni caso tenuto a controllare la veridicità delle circostanze e la continenza delle espressioni riferite; ne consegue che, quando non ricorrano detti presupposti, egli diviene "dissimulato coautore" delle eventuali dichiarazioni diffamatorie contenute nel testo pubblicato.
Cass. civ. n. 23353/2022
Il delitto di cui all'art. 496 cod. pen. si consuma nel momento in cui la falsa dichiarazione, resa su richiesta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, perviene a questi ultimi, per cui non ha rilevanza alcuna, ai fini della sussistenza del reato, l'eventuale ritrattazione successiva.
Cass. civ. n. 15093/2020
In tema di cronaca giudiziaria, non integra un'ipotesi di diffamazione a mezzo della stampa la divulgazione di una notizia d'agenzia riportante l'erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra quanto propalato e l'effettivo stato del procedimento costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d'indagine funzionale alla sua progressione. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che, diversamente, non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell'erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice).
Cass. civ. n. 47044/2019
Integra il reato di cui all'art. 495 cod. pen. - e non il meno grave e residuale reato di cui all'art. 496 cod. pen., che punisce le sole dichiarazioni mendaci rilasciate, oltre che al pubblico ufficiale, anche a persona incaricata di pubblico servizio - la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca al capotreno, nel corso del servizio di controllo dei biglietti, false dichiarazioni sulla propria identità, rivestendo dette dichiarazioni - in assenza di altri mezzi di identificazione - carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali.
Cass. civ. n. 4054/2019
La condotta del privato che attesti falsamente al pubblico ufficiale l'identità del coniuge nell'atto di matrimonio, vertendo sull'accertamento delle qualità personali del dichiarante (l'identità della sposa), integra il delitto di cui all'art. 495, comma secondo, n. 1) cod. pen., con esclusione sia di quello previsto dall'art. 483 cod. pen., che ricorre quando la falsa attestazione abbia ad oggetto "fatti", sia di quello previsto dall'art. 496 cod. pen., configurabile solo in via residuale quando la falsità non abbia alcuna attinenza, neppure indiretta, con la formazione dell'atto pubblico.
Cass. civ. n. 26575/2018
Integra il reato di cui all'art. 496 cod. pen. (false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o di altri) - e non quello di cui all'art. 495 cod. pen. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri) - la condotta di colui che, gravato da precedenti penali, dichiari falsamente, in sede di Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) per la voltura di una licenza commerciale, di possedere i prescritti requisiti morali, in quanto, in tal caso, la dichiarazione del privato costituisce ex se condizione di legittimazione all'esercizio dell'attività e non è destinata ad incidere, direttamente o indirettamente, anche sulla formazione di un atto pubblico.
Cass. civ. n. 41414/2016
In tema di diffamazione, il divieto di "exceptio veritatis", alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 596, comma primo, cod. pen., non può trovare applicazione qualora l'autore del fatto incriminato abbia agito nell'esercizio di un diritto, ex art. 51 cod. pen. e, quindi, in ogni caso in cui si prospetti il legittimo esercizio del diritto di critica. (In applicazione di questo principio la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di appello ha assolto l'imputato dal reato di cui all'art. 595 cod. pen. per avere esposto ad alcuni superiori della parte lesa, carabiniere, che quest'ultimo non gli aveva pagato alcuni lavori edilizi eseguiti nella sua abitazione, avendo ravvisato, nelle modalità di esposizione dei fatti, le caratteristiche della scriminante di cui all'art. 51 cod. pen.).
Cass. civ. n. 32256/2015
In tema di diffamazione, la cd. prova liberatoria di cui all'art. 596 cod.pen. postula non soltanto la condizione che, nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa, sia pendente un procedimento penale - di per sè sola insufficiente - ma anche la piena dimostrazione della esistenza del fatto attribuito al diffamato, dimostrazione che può essere diretta, cioè acquisibile nel medesimo procedimento penale, ovvero indiretta, cioè fornita mediante la produzione della pronunzia irrevocabile di condanna.
Cass. civ. n. 30862/2015
Il reato di false dichiarazioni sulla identità o sulle qualità personali proprie o altrui può configurarsi anche in presenza di dichiarazioni implicite, allorquando il possesso di determinate qualità personali costituisca il presupposto necessario ed indefettibile della dichiarazione espressa resa al pubblico ufficiale. (Nella fattispecie la S.C. ha escluso la configurabilità del reato, ritenendo che l'asseverazione innanzi al cancelliere della perizia estimatoria di un terreno non presupponesse necessariamente il possesso della qualità di ingegnere abilitato).
Cass. civ. n. 17701/2012
In tema di imputabilità, il sordomutismo non è uno stato necessariamente psicopatologico, ma richiede soltanto che tanto la capacità, quanto l'incapacità nel sordomuto formino oggetto di uno specifico accertamento che deve essere compiuto caso per caso, per cui è sufficiente che tale verifica sia stata compiuta e che il giudice abbia congruamente motivato sul punto.
Cass. civ. n. 31391/2008
Integra il delitto di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 496 c.p. ), la condotta di colui che declini generalità false al «controllore » di un'azienda di trasporto urbano, il quale riveste la funzione di incaricato di pubblico servizio essendo pubblica la funzione svolta dalla detta azienda e non meramente esecutive le funzioni svolte dal predetto dipendente.
Cass. civ. n. 11596/2008
Non integra gli estremi del reato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali (art. 496 c.p.) la condotta di colui che in sede di autocertificazione allegata alla domanda di ammissione per l'aggiudicazione di un appalto pubblico riempia un modulo prestampato fornito dall'ente appaltante dichiarando di non avere subito condanne incidenti sulla propria affidabilità morale e professionale, ancorché destinatario di sentenza di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.p., risalente ad oltre cinque anni, in quanto la P.A. non può rimettere al richiedente la valutazione del carattere ostativo di taluni reati in ordine all'instaurazione di determinati rapporti, mentre oggetto dell'autocertificazione possono essere fatti e non già valutazioni, in conformità agli artt. 46 del D.P.R. n. 45 del 2000 e 75 D.P.R. 554 del 1999 il quale prevede che le dichiarazioni sulle condizioni ostative siano completate da idonea documentazione.
Cass. civ. n. 22519/2006
La vendita ambulante di strumenti da punta e da taglio integra la contravvenzione di cui all'art. 696 cod. pen. solo se concerne oggetti definibili come armi, cioè oggetti naturalmente destinati all'offesa alla persona, qualità che deve essere verificata dal giudice di merito.
Cass. civ. n. 26073/2005
Integra il reato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 496 c.p.), la condotta di colui che — fermato dai carabinieri ad un posto di controllo — fornisca false indicazioni sulla propria residenza, la quale rientra nel novero delle qualità e condizioni personali e, pertanto, concorre a individuare l'identità della persona.
Cass. civ. n. 6808/2002
Ai fini della configurabilità della responsabilità processuale aggravata ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non è necessaria la sussistenza della mala fede o della colpa grave, ma è sufficiente l'aver agito senza la normale prudenza, che si ha anche quando si esegue un provvedimento cautelare nei confronti di soggetto sfornito di legittimazione passiva.
Cass. civ. n. 12195/2000
In tema di false attestazioni di generalità, allorquando rimangono ignote le reali generalità dell'agente, non è possibile pervenire ad una dichiarazione di colpevolezza ai sensi degli articoli 495 o 496 c.p., presumendo che siano false proprio quelle fornite in sede di identificazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che diverso è il caso in cui l'imputato, in due o più occasioni, abbia declinato differenti generalità).
Cass. civ. n. 11018/1999
In tema di diffamazione, perché sia operante la possibilità di fornire prova liberatoria ai sensi dell'art. 596 c.p., non è sufficiente che, nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa sia pendente un procedimento penale. Invero, l'esistenza di tale procedimento, integra solo parte della condizione di fatto che abilita l'autore delle dichiarazioni offensive alla prova liberatoria, la quale si consegue solo con la piena dimostrazione della esistenza del fatto attribuito al diffamato, dimostrazione che può essere diretta, cioè acquisibile nel medesimo procedimento penale, ovvero indiretta, cioè fornita mediante la produzione della pronunzia irrevocabile di condanna. (Nella fattispecie, la Corte, rilevando che nei confronti del soggetto offeso era stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per amnistia e prescrizione, ha annullato con rinvio, su ricorso del P.M., la sentenza di secondo grado, che aveva mandato assolto l'imputato, ritenendo applicabile l'art. 596 comma terzo, n. 2 c.p., per il solo fatto che, all'epoca della diffamazione, era pendente procedimento penale a carico della persona diffamata).
Cass. civ. n. 8817/1996
L'art. 96 c.p. non ravvisa nel sordomutismo uno stato necessariamente psicopatologico, ma richiede soltanto che nel sordomuto tanto la capacità quanto l'incapacità formi oggetto di specifico accertamento, da compiersi, cioè, caso per caso. Il che sta a significare che il sordomutismo non costituisce una vera e propria malattia della mente, valendo soltanto eventualmente ad impedire o ad ostacolare lo stato di sviluppo della psiche e, dunque, la maturità psichica. È sufficiente, pertanto che dalla decisione risulti che il detto accertamento sia stato compiuto e che il giudice abbia congruamente motivato sul punto.
Cass. civ. n. 12058/1995
L'effetto preclusivo derivante dal giudicato non si esplica nei confronti dei coimputati, neppure se concorrenti nello stesso reato, a cagione dell'autonomia di ciascun rapporto processuale. Peraltro, il giudice di legittimità ben può utilizzare gli elementi di fatto risultanti dalla sentenza irrevocabile del giudice di primo grado, correttamente introdotta negli atti processuali dalla difesa, attraverso lo strumento dell'impugnazione, così ovviando alla omissione del giudice di appello. (Fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, nella quale la Suprema corte ha pronunciato l'annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., nei confronti del redattore di un quotidiano, sulla scorta della sentenza irrevocabile con la quale il direttore era stato assolto dal fatto, pur se addebitato a titolo di colpa, con la stessa formula).
Cass. civ. n. 1739/1993
Il disposto dell'art. 596, ultimo comma c.p., nella parte in cui esclude la punibilità dell'autore della diffamazione, ove la persona cui il fatto è attribuito venga condannata per il fatto stesso, non pone alcuna questione di pregiudizialità, poiché considera la sentenza di condanna come fatto giuridico destinato a svolgere effetti specifici in virtù della suddetta norma sostanziale e non già per il suo riferimento e collegamento alla definizione di questioni risolte in altro procedimento, secondo l'ottica propria della disciplina contenuta nell'art. 18 del codice di rito abrogato e nell'art. 2 dell'attuale codice di procedura. Ciò non esclude, peraltro, che il giudice del processo di diffamazione adotti provvedimento di sospensione — espressamente previsto dall'art. 509 c.p.p. vigente — ove la condanna del soggetto diffamato per il fatto attribuito si prospetti quale fatto giuridico anche solo virtuale. (La Suprema Corte ha ritenuto abnorme l'ordinanza di sospensione del dibattimento, assunta dal giudice senza considerare che nel caso di specie si profilava l'altra causa di esclusione della punibilità, ipotizzata dall'art. 596, terzo comma n. 1 c.p., della prova della verità del fatto dedotto nella diffamazione, consentita in ragione della qualità di pubblico ufficiale della persona diffamata, nel momento in cui l'istruzione dibattimentale non era ancora esaurita, dovendo essere escusso un teste, addotto in proposito).
Cass. civ. n. 866/1992
L'applicazione dell'esimente, prevista dall'art. 596 c.p. al reato di diffamazione a mezzo stampa, è subordinata alla prova che tutto il fatto dal contenuto diffamatorio, nel suo complesso e nelle sue modalità, sia vero. La prova mancata, anche parzialmente, sulla verità dei fatti non esime da pena.
Cass. civ. n. 11494/1990
In materia di reati di stampa la responsabilità del direttore, a titolo di colpa, per non avere impedito la commissione del reato, è ben diversa da quella a titolo di concorso, la quale ultima in tanto può sussistere in quanto siano presenti tutti gli elementi generalmente occorrenti a norma dell'art. 110 c.p., tra i quali in primo luogo il dolo. Per affermare il concorso nella diffamazione commessa dall'autore dello scritto occorre dimostrare che il direttore ha voluto la pubblicazione nell'esatta conoscenza del suo contenuto lesivo e, quindi, con la consapevolezza di aggredire la reputazione altrui. Quando invece al direttore è addebitabile solo l'omissione del controllo dovuto ci si trova in presenza della diversa fattispecie colposa di cui all'art. 57 c.p. rispetto alla quale l'eventuale diffamazione si configura come l'evento dello specifico reato previsto a carico del direttore.
Cass. civ. n. 11488/1990
Le mendaci dichiarazioni sulle qualità proprie configurano l'ipotesi prevista dall'art. 496 c.p. ogni qual volta il mendacio non abbia alcuna attinenza, né diretta né indiretta, con la formazione di un pubblico atto. Se le dichiarazioni siano invece destinate ad essere riprodotte in un atto pubblico o vengano ad integrarne il contenuto o siano comunque rilevanti ai fini della formazione di esso, si realizza allora l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 495 c.p. (Fattispecie relativa ad una mendace dichiarazione sul possesso del titolo di studio contenuta in una domanda rivolta dall'imputato al provveditore agli studi per l'inclusione nelle graduatorie provinciali dei bidelli; la Cassazione, nell'affermare il principio di cui in massima ha ritenuto esatto l'assunto dei giudici di appello che avevano ritenuto che il fatto integrava il reato di cui all'art. 495 c.p. sul rilievo che la dichiarazione mendace aveva influito sulla formazione della graduatoria con conseguente assunzione dell'imputato come bidello).
Cass. pen. n. 11178 del 4 agosto 1990
Il momento consumativo del reato di diffamazione a mezzo stampa è quello della consegna da parte dello stampatore delle prescritte copie, in adempimento dell'obbligo previsto dalla legge 2 febbraio 1939, n. 374, in quanto tale momento costituisce di per sé pubblicazione in senso tecnico dello stampato e realizza la sua prima diffusione. (In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che notoriamente la data di copertina dei settimanali è di circa otto giorni successiva a quella di consegna delle copie d'obbligo e, quindi, di effettiva pubblicazione del periodico).
Cass. civ. n. 13585/1989
Ai fini dell'applicabilità dell'amnistia al reato di diffamazione a mezzo stampa commesso dal direttore o dal vicedirettore responsabile, quando sia noto l'autore della pubblicazione, deve considerarsi «autore» il giornalista che, utilizzando la fonte della notizia, ha prodotto l'articolo e non la persona che abbia fornito le informazioni.
Cass. civ. n. 13447/1989
Risponde del reato di false dichiarazioni sull'identità o sulle qualità personali, di cui all'art. 496 c.p., oltre che di quello di falsità in certificati, di cui all'art. 477 c.p., colui che declini false generalità ad un pubblico ufficiale dopo avergli esibito una patente di guida contraffatta. In tal caso, infatti, si realizza un'ipotesi di concorso di reati, poiché la materialità dei due fatti ed i beni giuridici lesi sono del tutto indipendenti.
Cass. civ. n. 12807/1989
La prova liberatoria, come prevista dall'art. 596 c.p., essendo una causa di esclusione della pena, è operante ove sia piena e completa, sicché la sua insufficienza non è mai suscettiva di condurre ad una qualsivoglia pronuncia di assoluzione dell'autore dell'ingiuria o della diffamazione.
Cass. civ. n. 5628/1986
Nel caso di ingiurie, generiche o specifiche che siano, oppure di diffamazione non correlata ad argomento di pubblico interesse, esula — in quest'ultimo caso per difetto di utilità sociale delle offese — l'applicabilità dell'art. 51 c.p. (esercizio di un diritto) e riprende ad operare la norma dell'art. 596 c.p. relativa all'esclusione della prova liberatoria, ma con i limiti suoi propri, ossia con possibilità di tale prova — nei casi previsti — solo per le ingiurie e le diffamazioni specifiche. Pertanto, qualora risulti accertato il carattere generico delle espressioni ingiuriose usate dall'imputato che nella specie aveva accusato il querelante di «ignavia» e «scarsa diligenza» nell'esercizio dell'avvocatura e, inoltre, lo aveva chiamato «merda», la fattispecie è estranea all'istituto della exceptio veritatis e dell'esimente correlativa.
Cass. civ. n. 6297/1985
La domanda per essere ammesso all'esame per conseguire la patente di guida, ancorché redatta su modulo a stampa predisposto dalla pubblica amministrazione, è una scrittura privata e la falsa dichiarazione — in essa contenuta — di possedere i requisiti richiesti (nella specie dichiarazione di non essere sottoposto alla misura di prevenzione di cui all'art. 3, L. 27 dicembre 1956, n. 1423), costituendo risposta ad una interrogazione scritta del pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, ricade sotto la previsione incriminatrice dell'art. 496 c.p.
Cass. civ. n. 4135/1985
La prova della verità del fatto diffamatorio essendo una causa di esclusione della punibilità per reato concretamente accertato nella materialità del fatto, è operante ove sia piena e completa, occorre cioè la certezza che il fatto attribuito all'offeso sia vero in tutti gli elementi che hanno idoneità offensiva. Nell'ipotesi di cui all'art. 596, terzo comma, n. 3, c.p., il giudizio di non punibilità dell'imputato è subordinato alla prova che tutto il fatto nel suo complesso e nelle sue modalità sia vero, perché la prova mancata, parziale o insufficiente circa la verità del fatto non esime da pena, così come non esime da pena l'addebito diffamatorio di fatto vero formato o travisato in modo da farlo ritenere più disonorevole. Il fallimento della prova della verità porta esclusivamente a negare la specifica causa di non punibilità prevista dall'art. 596 c.p., ma non giustifica di per sé la condanna dell'imputato, dovendo a tale scopo il giudice sempre accertare la ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per la sussistenza del reato.
Cass. civ. n. 8441/1984
Nelle ipotesi delittuose previste dagli artt. 495 e 496 c.p.p., il mendacio è punibile ogni qual volta si verifichi inganno alla pubblica fede personale per effetto di false dichiarazioni o attestazioni sull'identità, lo stato o altra qualità della propria o dell'altrui persona. Ne consegue che il reato è integrato anche con la sostituzione di una sola lettera del cognome.