Art. 416 bis – Codice penale – Associazioni di tipo mafioso anche straniere
Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone , è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni [112 n. 2].
L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma.
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego [240].
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso [32quater].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale nei casi di discordanza rispetto al presente.
Massime correlate
Cass. civ. n. 35870/2024
In tema di giudizio di appello, non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice che, pur delimitando la responsabilità dell'imputato per un reato permanente (nella specie, associazione di tipo mafioso) a un tempo in cui il regime sanzionatorio era più favorevole di quello successivo, non operi alcuna riduzione di pena. (In motivazione, la Corte ha precisato che i criteri di commisurazione della pena di cui all'art. 133 cod. pen. non coincidono con quelli che, ove sussistenti, ne impongono, a norma dell'art. 597, comma 4, cod. proc. pen., la riduzione).
Cass. civ. n. 33693/2024
In tema di concessione del permesso premio, dopo la modifica dell'art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. ad opera del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, le condizioni di accesso al beneficio in relazione ai reati ivi elencati, per i detenuti che non collaborano con l'autorità giudiziaria, sono diventate più gravose rispetto a quelle sussistenti a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, prevedendo, da un lato, la necessità di ulteriori presupposti di ammissibilità della domanda (l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento) e, codificando, dall'altro, un criterio misto per il giudizio sulla presunzione relativa conseguente alla mancata collaborazione che contempla, accanto all'individuazione di alcuni indicatori valutabili, anche la regola legale dell'insufficienza di alcuni di essi (la regolare condotta carceraria, la partecipazione al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione). (In motivazione, la Corte ha però affermato che, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena, non può disconoscersi la rilevanza del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio.).
Cass. civ. n. 33221/2024
Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare, rilevata la nullità della notificazione all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, pur ritualmente eseguita, disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la rinnovazione della notifica, trattandosi di provvedimento che non determina la stasi del procedimento e non risulta avulso dal sistema, costituendo espressione di un potere riconosciuto dall'ordinamento.
Cass. civ. n. 33152/2024
In tema di associazione per delinquere, l'aggravante del numero delle persone, di cui all'art. 416, comma quinto, cod. pen., non richiede la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente a integrarla.
Cass. civ. n. 28144/2024
In tema di esercizio dell'azione penale con citazione diretta a giudizio, il rinvio alla pena della reclusione "non superiore nel massimo a quattro anni", contenuto nell'art. 550 cod. proc. pen., dev'essere inteso come "fisso", in quanto, per l'inderogabilità del principio "tempus regit actum", è riferito alla norma vigente al momento dell'esercizio dell'azione penale e non a quella di diritto sostanziale in concreto applicabile all'imputato sulla base dei criteri successori di cui all'art. 2 cod. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero che, in relazione a un fatto commesso nel vigore dell'art. 176 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, aveva emesso decreto di citazione diretta a giudizio nonostante l'incriminazione fosse già confluita nella disposizione di cui all'art. 518-bis cod. pen., i cui limiti di pena imponevano la richiesta di rinvio a giudizio con fissazione dell'udienza preliminare).
Cass. civ. n. 28061/2024
In tema di rapina, l'agire professionale, violento e organizzato non è sufficiente "ex se" per la configurabilità dell'aggravante dell'utilizzo del "metodo mafioso", di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., essendo necessaria la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell'attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso. (In motivazione, la Corte ha individuato gli indici idonei ad ingenerare nella persona offesa una più accentuata condizione di minorata difesa indotta dalla parvenza di un agire mafioso nella consapevolezza della presenza, nel territorio di riferimento, di sodalizi criminali, negli espliciti richiami all'appartenenza o alla vicinanza a tali sodalizi e nelle concrete modalità di coercizione poste in essere).
Cass. civ. n. 24901/2024
In tema di associazione di tipo mafioso, deve intendersi "gruppo mafioso a soggettività differente" il sodalizio composto da soggetto già condannato, in via definitiva, per partecipazione a una determinata associazione di tipo mafioso che, scontata la pena, abbia ripreso le attività delittuose e da altri individui, originariamente estranei a fattispecie associative di tal genere, che si siano aggregati al pregiudicato mafioso, intraprendendo, insieme a quest'ultimo, attività criminali diffuse sul territorio.
Cass. civ. n. 24553/2024
In tema di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata, con riguardo ai delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, cod. pen., a condizione che si dia conto dell'avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, alla tipologia del delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso del cd. "tempo silente", posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo.
Cass. civ. n. 21879/2024
Integra il reato di concorso esterno in associazione mafiosa la condotta dell'"extraneus" che si faccia latore di messaggi dal carcere nell'interesse del sodalizio, nel caso in cui detta attività sia reiterata e non episodica, nonché riferita a messaggi aventi contenuto idoneo a porsi quale elemento condizionante, consapevole e volontario, rispetto alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell'associazione mafiosa, a nulla rilevando che l'intermediario conosca o meno tale contenuto, purché sia consapevole dell'aiuto illecito apportato con la finalità di permettere la circolazione delle informazioni e delle direttive provenienti dal carcere.
Cass. civ. n. 21616/2024
In tema di estorsione, nel caso in cui il metodo mafioso si concretizzi in una minaccia "silente", posta in essere da soggetto appartenente ad un'associazione di tipo mafioso ed evocativa della capacità criminale del sodalizio, l'aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen, richiamata dall'art. 629, comma secondo, cod. pen., può concorrere con quella di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il profilo dell'utilizzo del metodo mafioso, posto che la prima è volta a punire la maggiore pericolosità dimostrata, in concreto, dall'associato dedito anche alla consumazione di rapine ed estorsioni, mentre la seconda sanziona la maggiore capacità intimidatoria della condotta, realizzabile anche dal non è associato.
Cass. civ. n. 20320/2024
In tema di estorsione, l'aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'art. 416-bis.1. cod. pen., può concorrere con quella prevista dall'art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen., richiamata dall'art. 629, comma secondo, cod. pen., posto che la prima presuppone che la condotta sia stata tenuta con modalità mafiose, pur non essendo necessario che il soggetto agente appartenga a un sodalizio criminale di tal genere, mentre la seconda postula la provenienza della violenza o della minaccia da persona appartenente ad associazione mafiosa, senza che sia necessario il concreto accertamento delle modalità di esercizio di tali violenza e minaccia, né che esse siano state attuate mercé l'utilizzo della forza intimidatrice derivante dall'appartenenza all'associazione mafiosa.
Cass. civ. n. 19751/2024
In tema di misure cautelari disposte per il delitto di cui all'art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, nel caso di condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l'attualità, posto che tale fattispecie è qualificata dai soli reati-fine e non postula necessariamente l'esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il diverso delitto di cui all'art. 416-bis, cod. pen., sicché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, per quest'ultimo elaborata, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale ovvero l'avvenuto scioglimento del gruppo.
Cass. civ. n. 19741/2024
In tema di pene detentive brevi, il divieto di sostituzione della pena nei confronti dell'imputato di uno dei reati di cui all'art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, previsto dall'art. 59, comma 1, lett. d), legge 24 novembre 1981, n. 689, opera per tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis, cod. pen. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso, inclusi quelli tentati.
Cass. civ. n. 19541/2024
In caso di riforma della sentenza in grado di appello per l'avvenuta riqualificazione in termini di delitto tentato del delitto consumato originariamente contestato, la riduzione della pena inflitta per il delitto come derubricato non implica l'obbligo di ridurre anche gli aumenti sanzionatori per le aggravanti riconosciute nel giudizio di primo grado, posto che la diversa qualificazione giuridica del fatto comporta una diversa incidenza degli elementi circostanziali.
Cass. civ. n. 19109/2024
La restituzione degli atti al pubblico ministero, prevista dall'art. 423, comma 1 bis, cod. proc. pen. come rimedio alla permanente difformità fra l'imputazione formulata dalla pubblica accusa e quella ritenuta dal giudice dell'udienza preliminare, prevale sulla possibilità per il medesimo giudice di riqualificare il fatto all'atto dell'emissione del decreto che dispone il giudizio, in tal modo garantendosi, fin da subito, la corretta instaurazione del giudizio e il pieno esplicarsi del diritto di difesa dell'imputato, anche in relazione all'accesso ai riti deflattivi.
Cass. civ. n. 18866/2024
In caso di condanna per il delitto di associazione per delinquere, può essere ordinata, in presenza di adeguato accertamento della pericolosità sociale, una misura di sicurezza personale ex art. 417, cod. pen., posto che il richiamo ivi previsto ai "due articoli precedenti" deve intendersi riferito agli artt. 416 e 416-bis, cod. pen., e non all'art. 416-ter, cod. pen., introdotto successivamente all'art. 417, cod. pen. e che, pertanto, non lo contemplava.
Cass. civ. n. 17014/2024
In tema di divieto di "bis in idem", l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, sicché non opera il suddetto divieto nel caso di sentenza irrevocabile di condanna per associazione mafiosa e di altro procedimento intentato per associazione di narcotraffico finalizzata all'agevolazione del medesimo clan mafioso.
Cass. civ. n. 16434/2024
In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di partecipazione ad associazioni mafiose "storiche", la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell'indagato dall'associazione o con l'esaurimento dell'attività associativa, mentre il cd. "tempo silente" (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell'irreversibile allontanamento dell'indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un'attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell'assenza di esigenze cautelari.
Cass. civ. n. 15429/2024
In tema di estorsione, l'aggravante, soggettiva, di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3), cod. pen., può concorrere con quella, oggettiva, dell'utilizzo di metodo mafioso, di cui all'art. 416 bis.1., nel caso in cui il delitto sia commesso, con minaccia "silente", da soggetto appartenente ad associazione di tipo mafioso, posto che la prima circostanza è funzionale a sanzionare la maggiore pericolosità individuale dimostrata dall'associato che abbia consumato l'ulteriore delitto, mentre la seconda è volta a punire la maggior capacità intimidatoria di condotte realizzate attraverso l'evocazione della capacità criminale dell'associazione mafiosa, potendo essere agita anche da chi non è associato.
Cass. civ. n. 14654/2024
Nei procedimenti con pluralità di reati plurisoggettivi, la confisca per equivalente non può eccedere il profitto corrispondente ai delitti specificamente attribuiti all'imputato, nel caso in cui quest'ultimo non sia stato condannato per tutti i delitti accertati. (Fattispecie relativa a imputazioni per associazione per delinquere, truffa aggravata e commercio di farmaci anabolizzanti, in cui era stata disposta la confisca, nei confronti di un coimputato, per un ammontare corrispondente anche al profitto di delitti di truffa concretamente accertati, ma per i quali non era stato condannato).
Cass. civ. n. 14403/2024
In caso di associazioni di tipo mafioso delocalizzate, costituite cioè al di fuori dei territori di origine delle "mafie storiche", la configurabilità del delitto di cui all'art. 416-bis, cod. pen. non richiede necessarie forme di esteriorizzazione della forza intimidatrice, caratterizzanti il sodalizio mafioso, in quanto la forza d'intimidazione posseduta e la tangibile percezione della stessa sul territorio di riferimento, in termini di assoggettamento e omertà, possono desumersi dalla replica del modulo organizzativo e dai tratti distintivi della "casa madre", con la quale mantengono uno stretto legame.
Cass. civ. n. 13213/2024
In tema di ricettazione (nella specie, aggravata dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo mafioso), il dolo può configurarsi anche nella forma eventuale quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto e investito.
Cass. civ. n. 13063/2024
In tema di mandato d'arresto europeo, non è configurabile il motivo facoltativo di rifiuto della consegna di cui all'art. 18-bis, comma 1, lett. a), della legge 22 aprile 2005, n. 69, ove nel territorio dello Stato di emissione siano avvenuti anche solo un frammento apprezzabile della condotta, intesa in senso naturalistico, o una parte dell'evento che è conseguenza dell'azione od omissione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistenti le condizioni per la consegna del ricorrente all'Autorità giudiziaria tedesca in relazione ai reati di associazione a delinquere finalizzata alle truffe informatiche e ai reati fine, commessi in Albania ai danni anche di cittadini residenti in Germania, ove erano stati effettuati gli esborsi per via telematica).
Cass. civ. n. 12753/2024
In tema di associazione di tipo mafioso, la mera "contiguità compiacente", anche caratterizzata da atteggiamenti di fascinazione verso un determinato apparato mafioso o di ammirazione verso i partecipi o i capi del gruppo, non costituisce comportamento sufficiente a integrare la condotta di partecipazione all'organizzazione, ove non sia dimostrato che la vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento della consorteria.
Cass. civ. n. 11558/2024
In tema di misure alternative, il divieto di cui all'art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, opera per tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso, inclusi quelli tentati.
Cass. civ. n. 4458/2024
In tema di licenziamento, le condotte costituenti reato, sebbene realizzate prima dell'instaurarsi del rapporto di lavoro, possono integrare giusta causa di licenziamento, anche a prescindere da un'apposita previsione contrattuale, purché siano state giudicate con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si rivelino - attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in astratto sia in concreto - incompatibili con il permanere del vincolo fiduciario che caratterizza la relazione lavorativa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha negato la rilevanza disciplinare di una sentenza irrevocabile di condanna per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. non solo perché intervenuta prima dell'instaurazione del rapporto lavorativo e per fatti molto risalenti, ma anche in ragione dell'assenza di qualsivoglia potere decisionale e gerarchico del dipendente).
Cass. civ. n. 3087/2024
Non è abnorme la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio per mancato espletamento dell'interrogatorio chiesto con modalità non consentita, posto che la conseguente regressione del procedimento non comporta alcuna stasi, potendo il pubblico ministero assumere nuovamente le proprie determinazioni sull'esercizio dell'azione penale all'esito del disposto interrogatorio. (Fattispecie in cui l'interrogatorio era stato chiesto dall'indagato mediante PEC anziché attraverso il deposito nel portale del processo telematico (PPT), come previsto dalla disciplina transitoria di cui all'art. 87, comma 6-bis, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in relazione all'art. 111-bis cod. proc. pen.).
Cass. civ. n. 3059/2024
Il giudice del rinvio, chiamato a rivalutare la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche a seguito della diversa qualificazione giuridica del fatto operata dalla Corte di cassazione con la pronuncia rescindente (nella specie, dal delitto di partecipazione ad associazione mafiosa a quello di concorso esterno), non ha l'obbligo di adottare una motivazione diversa da quella della pronuncia annullata.
Cass. civ. n. 2062/2024
Non è abnorme, e pertanto non è ricorribile per cassazione, l'ordinanza con cui il giudice, investito del decreto di citazione diretta a giudizio emesso nei confronti di un ente, dispone, in esito alla declaratoria di nullità dello stesso, la restituzione degli atti al pubblico ministero sull'erroneo presupposto che debba procedersi con richiesta di rinvio a giudizio, in ragione del richiamo all'art. 407-bis, comma 1, cod. proc. pen. operato dall'art. 59, comma 1, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, costituendo la decisione espressione dei poteri ordinamentali riconosciuti al giudice del dibattimento, che non determina un'insuperabile stasi processuale, atteso che il rappresentante della pubblica accusa può disporre la rinnovazione del decreto senza incorrere nell'adozione di un atto nullo.
Cass. civ. n. 1791/2024
L'elemento materiale del delitto di associazione per delinquere consiste nell'associarsi di tre o più persone al fine di commettere più delitti, senza che sia richiesta una distribuzione gerarchica di funzioni, l'esistenza di un rapporto di subordinazione e la presenza di un capo o di un organizzatore, figure che la norma, al pari dell'esistenza di promotori, costitutori od organizzatori, considera come eventuali, configurando la loro condotta come autonoma e più grave fattispecie criminosa.
Cass. civ. n. 1061/2024
In tema di successione di leggi, qualora, nel corso del giudizio, sia introdotto per il reato in contestazione il regime di procedibilità a querela, e ne venga poi ripristinata la perseguibilità di ufficio, deve darsi applicazione alla legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., attesa la natura mista, sostanziale e processuale, della querela. (Fattispecie relativa al delitto di violenza privata aggravato ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen., commesso prima che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 escludesse la procedibilità d'ufficio, e giudicato dopo la reintroduzione del previgente regime da parte della legge 24 maggio 2023, n. 60).
Cass. civ. n. 574/2024
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all'associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il diretto coinvolgimento nelle attività illecite. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che aveva respinto la richiesta di riparazione sul rilievo dell'avvenuto accertamento della stretta vicinanza del richiedente, imputato del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, a soggetto in posizione apicale nella locale articolazione di "Cosa nostra" e ad altri individui inseriti nel medesimo contesto malavitoso).
Cass. civ. n. 51659/2023
Ai fini della configurabilità del reato di scambio elettorale politico-mafioso di cui all'art. 416-ter cod. pen., l'oggetto materiale dell'erogazione offerta in cambio della promessa di voti può essere costituito non solo dal denaro, ma anche da beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici, quali i mezzi di pagamento diversi dalla moneta, i preziosi, i titoli o i valori mobiliari, restando invece escluse dal contenuto precettivo della norma incriminatrice le altre "utilità", suscettibili di essere oggetto di monetizzazione solo in via mediata. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che l'utilità potesse rinvenirsi nel cambio di destinazione urbanistica di un fondo, finalizzato a consentire alla locale parrocchia la realizzazione di una mensa per poveri, dalla quale non derivava alcun vantaggio economica per l'imputato).
Cass. civ. n. 51324/2023
In tema di estorsione, è configurabile l'aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio "silente", in quanto privo di un'esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi.
Cass. civ. n. 49790/2023
Ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la verifica del nesso causale deve essere compiuta ponendo in diretta relazione eziologica l'evento, integrato dalla conservazione, agevolazione o rafforzamento di un organismo criminoso già operante, con la condotta atipica del concorrente, attraverso un accertamento postumo dell'idoneità causale di quest'ultima che, in rapporto alla vita e all'operatività del sodalizio criminoso, deve consistere in un contributo "percepibile" al mantenimento in vita dell'organismo stesso.
Cass. civ. n. 49625/2023
In tema di benefici penitenziari, ai fini della concessione della liberazione anticipata in presenza di un reato ostativo permanente con contestazione cd. aperta (nella specie quello di partecipazione ad associazione di tipo mafioso), è necessario che il giudice verifichi, tenendo conto della motivazione della sentenza di condanna, le date cui deve essere riferita in concreto ed entro le quali deve ritenersi esaurita la condotta partecipativa attribuita al condannato.
Cass. civ. n. 48816/2023
Ai fini della determinazione della competenza per territorio in relazione a reati connessi, tra i quali figuri un delitto associativo, come tale di natura permanente, nel caso in cui la sua consumazione abbia avuto inizio all'estero e sia proseguita in territorio nazionale, trova applicazione la regola suppletiva prevista dall'art. 9, comma 1, cod. proc. pen. per effetto del rinvio ad essa operato dall'art. 10, comma 3, cod. proc. pen., non potendo detta competenza essere determinata secondo le regole generali di cui all'art. 8 cod. proc. pen.
Cass. civ. n. 48560/2023
E' configurabile il delitto di favoreggiamento personale in corso di consumazione del delitto associativo di cui all'art. 416-bis cod. pen. nel caso in cui la condotta dell'agente sia sorretta dall'intenzione di aiutare il partecipe ad eludere le investigazioni dell'autorità e non dalla volontà di prendere parte, con "animus socii", all'azione criminosa. (Fattispecie in cui si è ritenuto sussistente il delitto di favoreggiamento personale a fronte di una condotta consistita nel recupero e nella consegna di una microspia in favore di partecipe a una consorteria mafiosa).
Cass. civ. n. 48448/2023
In tema di associazione a delinquere di tipo mafioso, i contenuti informativi provenienti da soggetti intranei alla consorteria, espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all'interno della stessa di informazioni e di notizie relative a fatti di interesse comune degli associati, sono utilizzabili in modo diretto e non come mere dichiarazioni "de relato", soggette alla verifica di attendibilità della fonte primaria.
Cass. civ. n. 47768/2023
E' configurabile il delitto di associazione per delinquere nel caso di condotte sistematicamente tese all'arricchimento degli agenti, attuate nell'ambito di un programma illecito, temporalmente indeterminato, anche quando la vittima sia sempre un unico soggetto, laddove il progetto delittuoso perseguito, realizzato pur con comportamenti non costituenti reato, sia espressione dell'evoluzione dell'originario "modus operandi". (Fattispecie in cui la Corte ha valutato corretta la decisione che aveva ritenuto sussistente un'associazione per delinquere, e non il mero concorso di persone nel reato continuato, in presenza di un gruppo di individui, organizzato prevalentemente su base familiare, il cui programma illecito non era limitato alla spoliazione del patrimonio di un'azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria, unica parte offesa, ma si estendeva al procacciamento di fonti continuative e indeterminate di futuri guadagni illeciti).
Cass. civ. n. 47643/2023
In tema di intercettazioni telefoniche, ha natura di norma interpretativa, come tale applicabile retroattivamente, la previsione dell'art. 1 d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha definito l'ambito applicativo della disciplina "speciale" di cui all'art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, riguardante i presupposti e le modalità esecutive delle operazioni di captazione nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, tra i quali quelli, consumati o tentati, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. o al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso contemplate.
Cass. civ. n. 45836/2023
In tema di associazione di tipo mafioso, l'applicazione della misura di sicurezza prevista, in caso di condanna, dall'art. 417 cod. pen., non richiede l'accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarietà, che può essere superata quando siano acquisiti elementi dai quali si evinca l'assenza di pericolosità in concreto. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che tale accertamento dovrà, comunque, essere svolto dal magistrato di sorveglianza al momento dell'esecuzione della misura, tenendo conto degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. e del comportamento del condannato durante e dopo l'espiazione della pena).
Cass. civ. n. 39858/2023
E' configurabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine nel caso in cui questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio, non essendo necessario che tale programmazione sia avvenuta al momento della costituzione dello stesso.
Cass. civ. n. 39836/2023
In tema di estorsione, nel caso in cui il delitto sia commesso, con minaccia "silente", da soggetto appartenente ad un'associazione di tipo mafioso, sussiste l'aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen, richiamata dall'art. 629, comma secondo, cod. pen., la cui configurabilità è correlata alla sola provenienza qualificata della condotta intimidatoria, ma non quella di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il profilo dell'utilizzo del metodo mafioso, che postula un'ulteriore esternazione, funzionale alla semplificazione delle modalità commissive del reato.
Cass. civ. n. 37154/2023
È inapplicabile l'esimente di cui all'art. 384, comma primo, cod. pen. alla condotta di favoreggiamento personale aggravato ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen. realizzata dalla moglie di soggetto latitante il quale rivesta una posizione apicale all'interno di un gruppo criminale mafioso, ove caratterizzata da una generalizzata, preventiva e continuativa messa a disposizione (nella specie, mediante appoggi logistici e la fornitura di veicoli "bonificati" da microspie per gli spostamenti, schede telefoniche, denaro) volta ad eludere le ricerche dell'autorità giudiziaria, trattandosi di condotta non necessitata né riconducibile ai soli rapporti affettivo-familiari.
Cass. civ. n. 34786/2023
Ai fini della configurabilità dell'aggravante del "metodo mafioso", di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., è sufficiente, in un territorio in cui è radicata un'organizzazione mafiosa storica, che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto alla collettività. (Fattispecie relativa al delitto di usura, in cui la Corte ha affermato che la notoria appartenenza del correo a un clan camorristico storico, la spregiudicatezza delle richieste usurarie provenienti dagli indagati e l'utilizzo di espressioni tipiche dell'agire mafioso, consentissero di ritenere integrato "il metodo delinquenziale mafioso").
Cass. civ. n. 33753/2023
È configurabile il delitto di favoreggiamento personale con riguardo ad un'associazione per delinquere la cui permanenza sia in atto, sempre che il reato presupposto abbia raggiunto una soglia minima di rilevanza penale. (Fattispecie di ausilio ad eludere le investigazioni in favore degli aderenti ad un'associazione finalizzata al narcotraffico).
Cass. civ. n. 33580/2023
In tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, pur nell'autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione.
Cass. civ. n. 32569/2023
In tema di libertà vigilata, il combinato disposto di cui agli artt. 230, comma primo, e 417 cod. pen. impone, in caso di condanna per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. a pena non inferiore a dieci anni di reclusione, l'applicazione di tale misura per la durata di tre anni, sicché il giudice non è onerato di uno specifico obbligo di motivazione in relazione alla pericolosità sociale del condannato.
Cass. civ. n. 32564/2023
Il giudice d'appello che intenda riformare la sentenza di condanna limitatamente alla configurabilità di una circostanza aggravante, esclusa in primo grado, in base al diverso apprezzamento delle prove dichiarative è tenuto a disporne la rinnovazione. (Fattispecie in cui la Corte di appello, diversamente dal primo giudice, aveva riconosciuto l'aggravante del metodo mafioso senza rinnovare l'istruttoria).
Cass. civ. n. 32126/2023
L'aggravante prevista dall'art. 416-bis.1, comma primo, seconda parte, cod. pen., di natura soggettiva e caratterizzata da dolo intenzionale, si comunica al compartecipe del reato che sia stato consapevole della finalità perseguita dai concorrenti di agevolare il sodalizio mafioso, non potendo, invece, ritenersi sufficiente la semplice consapevolezza, da parte del predetto, dell'esistenza e dell'operatività di un'organizzazione sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 416-bis cod. pen. e dell'appartenenza ad essa dei concorrenti, che rivestano posizioni apicali.
Cass. civ. n. 31775/2023
L'art. 416-bis cod. pen. prevede una pluralità di figure criminose di carattere alternativo ed autonome, che hanno in comune tra loro il solo riferimento ad una associazione di tipo mafioso, per cui la condotta del promotore o del capo costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione all'associazione medesima.
Cass. civ. n. 31234/2023
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, la rituale affiliazione del richiedente ad un'associazione di tipo mafioso costituisce causa ostativa al riconoscimento del diritto, in quanto comportamento gravemente colposo ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen., ancorché non sufficiente a giustificare la condanna del predetto per il delitto associativo, in mancanza della prova di suo un ruolo dinamico e funzionale all'interno del sodalizio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di rigetto della domanda di riparazione avanzata da un soggetto affiliato alla "ndrangheta", con dote di "picciotto", sul rilievo che l'affiliazione rituale a un sodalizio di tipo mafioso costituisce un comportamento percepito all'esterno come espressione di contiguità allo stesso e, quindi, un "quid pluris" rispetto alle mere "frequentazioni ambigue").
Cass. civ. n. 27722/2023
In tema di associazione di tipo mafioso, integra la condotta di "concorso esterno" l'attività del professionista che fornisca un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare ovvero a rafforzare le capacità operative del sodalizio, nella consapevolezza di favorirne, in tal modo, la realizzazione del programma criminoso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato nei confronti di un avvocato che, al fine di prevenire l'adozione di provvedimenti ablatori a carico di un esponente di vertice di un'associazione mafiosa in relazione a un immobile di cui questi era proprietario di fatto, ne acquisiva la proprietà formale con un contratto di compravendita e, il giorno stesso, lo rivendeva al fratello del capomafia).
Cass. civ. n. 24950/2023
In tema di circostanze aggravanti, il motivo abietto ricorre quando il proposito di vendetta, pur non suscitando negli appartenenti ad un'associazione il senso di ripugnanza e di disprezzo che caratterizza la circostanza, si accompagni alla finalità di affermazione del potere di un sodalizio criminoso e della capacità di sopraffazione dell'agente. (Fattispecie relativa ad aggressione commessa, a scopo punitivo, dagli appartenenti a una cosca mafiosa in danno di persona che aveva realizzato condotte violente senza l'autorizzazione dei vertici dell'associazione).
Cass. civ. n. 24873/2023
In tema di misure di sicurezza, dopo la modifica introdotta dall'art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 633, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall'art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l'espresso positivo scrutinio dell'effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice.
Cass. civ. n. 24006/2023
Il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione deve essere escluso nel caso in cui l'assoluzione sia determinata da mutamenti giurisprudenziali estranei al quadro giuridico e fattuale che si presentava al giudice della cautela all'atto dell'adozione del provvedimento custodiale, attesa l'assimilabilità di tale ipotesi a quella di cui all'art. 314, comma 5, cod. proc. pen., relativa al caso della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione reiettiva della richiesta di riparazione per la custodia cautelare subita in relazione al reato di partecipazione ad associazione a delinquere di tipo mafioso, dal quale l'imputato era stato assolto per insussistenza del fatto in ragione del mutato orientamento giurisprudenziale sulle condizioni per il riconoscimento della natura mafiosa di una cellula delocalizzata di 'ndrangheta).
Cass. civ. n. 22906/2023
concorso di persone nel reato continuato - Prova dell'associazione anche attraverso i reati scopo - Fattispecie. Nel concorso di persone nel reato continuato l'accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto volto alla sola commissione di più reati ispirati da un medesimo disegno criminoso, mentre le condotte di partecipazione e promozione dell'associazione per delinquere presentano i requisiti della stabilità del vincolo associativo e dell'indeterminatezza del programma criminoso, elementi che possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, ove indicativi di un'organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine, in cui la Corte ha ritenuto carente la motivazione della decisione di condanna per non aver individuato, con specificità, né gli indicatori dell'autonomia dell'associazione rispetto al mero accordo criminoso funzionale alla consumazione delle azioni predatorie, nè il ruolo dei singoli partecipi al sodalizio).
Cass. civ. n. 22614/2023
Nel reato di estorsione commesso nell'interesse di un'associazione di tipo mafioso, la simultanea presenza di non meno di due persone, necessaria a configurare la circostanza aggravante delle più persone riunite, deve essere individuata in relazione ai plurimi momenti in cui viene effettuata la richiesta estorsiva e alla pluralità dei soggetti che contattano la persona offesa esplicitando la natura collettiva della richiesta proveniente da più soggetti appartenenti al gruppo criminale.
Cass. civ. n. 22364/2023
Il termine di venti giorni dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, previsto dall'art. 415-bis cod. proc. pen. per la presentazione delle memorie e delle richieste difensive, ha natura ordinatoria, sicché i diritti difensivi possono esercitarsi fino alla richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell'art. 416 cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che la mancata effettuazione dell'interrogatorio, chiesto dopo il decorso di venti giorni dalla notifica dell'avviso, ma prima della richiesta di rinvio a giudizio, integra una nullità generale a regime intermedio per lesione del diritto di difesa).
Cass. civ. n. 20045/2023
In tema di "bis in idem" cautelare, dopo che il giudice della cognizione del procedimento principale asseritamente preclusivo abbia consentito al pubblico ministero di "chiudere" la contestazione "aperta" del reato associativo, così accettando la delimitazione temporale del "thema decidendum", il giudice del subprocedimento cautelare non può sindacare quella decisione - allo stato esistente ed efficace, ancorché non irrevocabile - né eventualmente disapplicarla in via incidentale per affermare che il primo processo abbraccia un ulteriore periodo di tempo rispetto a quello ritenuto dal giudice della cognizione, poiché compete a quest'ultimo evitare eventuali abusi e verificare che la perimetrazione dell'imputazione non si traduca in un'inammissibile ritrattazione dell'azione penale.
Cass. civ. n. 19848/2023
In tema di custodia cautelare in carcere, sussistono esigenze di eccezionale rilevanza ai sensi dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., ai fini del mantenimento della misura intramuraria, nei confronti di soggetto ultrasettantenne di cui sia riconosciuto il ruolo apicale e di rappresentanza in seno all'articolazione territoriale di un'associazione mafiosa. (Fattispecie in cui il Tribunale ha rilevato che il ricorrente, nonostante l'età molto avanzata, "ha assicurato il presidio del territorio", venendo riconosciuto come referente dell'articolazione territoriale).
Cass. civ. n. 19703/2023
In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall'imputazione, sicché l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo può rilevare solo quale elemento significativo di un più ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all'interno della associazione criminale.
Cass. civ. n. 18797/2023
Il mancato espletamento dell'interrogatorio dell'indagato che ne abbia fatto richiesta dopo aver ricevuto un primo avviso di conclusione delle indagini preliminari non dà luogo a nullità del decreto di citazione a giudizio nel caso in cui, disposta la riunione ad altro procedimento, sia stato notificato un nuovo avviso di conclusione delle indagini relativo a tutti i reati per cui si procede e l'indagato, successivamente ad esso, non abbia rinnovato la richiesta di essere sottoposto ad interrogatorio, con conseguente legittimo esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'adozione e la notifica del secondo avviso di conclusione determina autonomi effetti processuali, tra i quali la decorrenza di un nuovo termine entro il quale l'indagato può esercitare le proprie facoltà difensive).
Cass. civ. n. 17772/2023
Nel procedimento per convalida di sfratto, la domanda riconvenzionale può essere proposta dall'intimato in seno alla comparsa di risposta della fase sommaria, senza necessità di chiedere lo spostamento dell'udienza ai sensi dell'art. 418 c.p.c. né, per il giudice, di concedere termini differenziati per le memorie integrative e fissare l'udienza tenendo conto della possibilità del convenuto di proporre una nuova riconvenzionale.
Cass. civ. n. 15705/2023
Costituisce causa di astensione o ricusazione del giudice l'aver partecipato all'adozione di una decisione di condanna relativa ad associazione per delinquere costituita da tre soli associati, in quanto, in tale ipotesi, la condanna di uno di essi implica un giudizio sulla sussistenza stessa del sodalizio, diversamente dal caso di consorzi criminali coinvolgenti un numero rilevante di persone, nei quali l'idoneità pregiudicante per il giudice della decisione assunta nei confronti di un partecipe deve valutarsi in concreto, in relazione ai profili di responsabilità dei coimputati giudicati in altro procedimento.
Cass. civ. n. 9021/2023
E' configurabile il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, e non quello di favoreggiamento reale, nel caso in cui l'agente non si limita ad aiutare gli associati a conservare il denaro provento dell'attività del sodalizio, ma collabora costantemente e stabilmente alla sua gestione. (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato come partecipazione ad associazione mafiosa la condotta dell'imputata, che aveva ricevuto, detenuto e occultato, con continuità, i guadagni del sodalizio, destinati agli associati detenuti e ai capi latitanti).
Cass. civ. n. 8790/2023
In tema di associazione mafiosa, l'aggravante di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. non può essere ritenuta sulla base della mera constatazione del reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche, dovendo il giudice descriverne le specifiche modalità e la destinazione di tali introiti al finanziamento delle attività produttive, anche con riguardo alla dimensione degli investimenti eseguiti. (In applicazione del principio, la Corte ha censurato la decisione del giudice di merito che aveva configurato l'aggravante in presenza di un generico richiamo al "reimpiego del denaro ricavato nei più disparati settori merceologici").
Cass. civ. n. 7235/2023
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 550 cod. proc. pen, per contrasto con gli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., nella parte in cui prevedono che si proceda con citazione diretta, anziché con richiesta di rinvio a giudizio, anche nel caso in cui il limite di pena di quattro anni, previsto dall'art. 550 cod. proc. pen., sia superato in ragione della contestata recidiva qualificata, trattandosi di scelta legislativa non irragionevole, posto che la recidiva, pur quando si delinea come circostanza ad effetto speciale, resta un'aggravante peculiare, inerente alla persona del colpevole, sicché, se ritenuta applicabile, può legittimamente riverberarsi sul solo trattamento sanzionatorio e non sull'accertamento della competenza o dell'individuazione della pena ai fini cautelari, ove vengono in rilievo criteri che prescindono dalla biografia criminale dell'indagato.
Cass. civ. n. 5644/2023
L'esclusione della gravità indiziaria in relazione ad un reato o ad una circostanza aggravante da cui discende la competenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale ex artt. 51, comma 3-bis, e 328, comma 1-bis, cod. proc. pen. non fa venir meno la competenza di tale giudice, in quanto, anche nel procedimento cautelare, la decisione sulla competenza va assunta in "limine litis", sulla base della mera descrizione del fatto, prima di ogni valutazione di merito sulla fondatezza dell'accusa come pure sulla gravità degli indizi. (In motivazione, la Corte ha precisato che il giudice deve declinare la propria competenza e limitarsi ad applicare la misura entro i limiti temporali fissati dall'art. 27 cod. proc. pen., nei casi di urgenza delle esigenze di cautela, qualora l'esclusione del reato o dell'aggravante dipenda dalla radicale assenza di elementi a supporto della loro astratta ricorrenza).
Cass. civ. n. 5182/2023
Ai fini della sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, il diritto costituzionalmente garantito della persona detenuta ad accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita deve essere oggetto di una valutazione che, caso per caso, operi un adeguato contemperamento con l'opposto interesse alla tutela della collettività. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale del riesame che aveva rigettato l'appello avverso il provvedimento reiettivo dell'istanza di sostituzione della misura carceraria con quella autocustodiale, con autorizzazione a recarsi presso un centro medico specializzato, proveniente da detenuta imputata del reato di cui all'art. 416-bis, cod. pen., in ragione dell'acclarato "ruolo nevralgico" da costei ricoperto all'interno del sodalizio criminale di tipo camorristico).
Cass. civ. n. 2875/2023
In tema di misure di sicurezza, a seguito della modifica introdotta dall'art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 633, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall'art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l'espresso positivo scrutinio dell'effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice.
Cass. civ. n. 2331/2023
L'utilizzo del metodo mafioso nella riscossione di un preteso credito non è incompatibile con il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, non comportando il raggiungimento di una finalità ulteriore rispetto alla riscossione, pur se è possibile valorizzare tale aggravante, in uno ad altri elementi, quale dato sintomatico del dolo di estorsione.
Cass. civ. n. 2159/2023
In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, la costituzione e l'esistenza della consorteria criminosa non sono esclusi per il fatto che essa sia imperniata, per lo più, su componenti della stessa famiglia, posto che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono lo stesso ancor più pericoloso. (Fattispecie relativa ad un'associazione mafiosa qualificata come mafia "piccola" o "atipica").
Cass. civ. n. 2121/2023
Integra il delitto di associazione per delinquere aggravato dalla circostanza di cui all'art. 604-ter cod. pen. la condotta di chi si associa, attraverso una struttura dotata di organizzazione e stabilità, al fine di commettere condotte penalmente rilevanti con finalità di discriminazione, mentre integra il delitto di cui all'art. 604-bis, comma secondo, cod. pen. la partecipazione ad un organismo, anche privo di un minimo di organizzazione e di stabilità, che sia caratterizzato, quale elemento costitutivo del gruppo, dalla propaganda discriminatoria e dall'istigazione e incitamento a commettere atti discriminatori. (In motivazione la Corte ha escluso l'applicazione del criterio di specialità, in quanto il confronto strutturale tra le due fattispecie astratte e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle portano a non ravvisare la sussistenza di un rapporto di continenza tra le norme).
Cass. civ. n. 2112/2023
In tema di misure cautelari, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., anche in relazione al reato di partecipazione ad associazioni mafiose "storiche" deve essere espressamente considerato dal giudice, alla luce di una esegesi costituzionalmente orientata della citata presunzione, il tempo trascorso dai fatti contestati, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra "gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari", cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Cass. civ. n. 1525/2023
In tema di custodia cautelare in carcere disposta per i delitti aggravati ex art. 416-bis.l cod. pen., sebbene l'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. operi una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, in difetto di contestazione di intraneità al contesto associativo di tipo mafioso, ma di mero ricorso alle modalità comportamentali tipiche di tali associazioni, la presunzione di perdurante pericolosità ha carattere marcatamente relativo e il giudice è chiamato a valutare gli elementi astrattamente idonei a escludere tale presunzione, desunti dal tipo di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla risalenza dei precedenti. (Fattispecie relativa all'applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di tentata estorsione aggravata dall'utilizzo del metodo mafioso nei confronti di persona che annoverava un unico precedente del 2007, in cui la Corte ha annullato, con rinvio al tribunale del riesame, l'ordinanza impugnata rilevando che il notevole arco di tempo trascorso tra il delitto contestato e l'unico precedente gravante sull'indagato, doveva essere valutato alla luce di tutte le condotte, coeve e successive al fatto, poste in essere dal soggetto).
Cass. civ. n. 386/2023
In tema di misure coercitive disposte per il delitto di associazione per delinquere, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte partecipative risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l'attualità, in quanto la fattispecie è qualificata solo dai delitti-fine e non postula necessariamente l'esistenza della struttura e delle connotazioni del vincolo associativo previste per il diverso delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest'ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio, in difetto di elementi contrari, attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo.
Cass. civ. n. 22899/2022
In tema di associazioni di tipo mafioso storiche (nella specie, "Cosa nostra"), per la configurabilità dell'aggravante della disponibilità di armi, non è richiesta l'esatta individuazione delle stesse, ma è sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che, nel caso in cui l'associazione contestata sia storicamente riconducibile a "Cosa nostra", il riferimento alla stabile dotazione di armi costituisce un fatto notorio, certamente conosciuto da chi rivestiva una posizione di vertice nell'interno del sodalizio).
Cass. civ. n. 17366/2022
In tema di procedimento cautelare, sussiste l'interesse concreto e attuale dell'indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l'impugnazione sia volta ad ottenere l'esclusione di un'aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'"an" o sul "quomodo" della misura. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell'indagato all'interno del sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata).
Cass. civ. n. 15425/2022
Ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, ove il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi, pur essendo intraneo ad una consorteria mafiosa, operi "uti singulus", è necessaria la prova che l'accordo contempli l'attuazione, o la programmazione, di un'attività di procacciamento di voti con metodo mafioso.
Cass. pen. n. 16560/2023
In tema di associazione di tipo mafioso, il principio secondo cui l'identità del disegno criminoso del reato continuato viene meno per fatti imprevedibili, quali la detenzione o la condanna, non trova applicazione automatica, essendo tali eventi accettati come eventualità prevedibili in contesti criminosi del genere, sicché, in tal caso, il vincolo della continuazione può essere egualmente riconosciuto se vi è prova che il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo, costituito da fasi di detenzione o da condanne, trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo in favore del sodalizio criminoso.
Cass. pen. n. 14444/2023
Con riferimento a sodalizi criminosi a matrice straniera, ai fini della qualificazione ai sensi dell'art. 416-bis cod. pen., non è sufficiente la ricostruzione di collegamenti con la c.d. casa-madre (nella specie, l'organizzazione nigeriana "Black Axe"), non potendosi applicare a tali sodalizi i criteri delle cd. mafie storiche, ma, in linea con i requisiti previsti per le nuove mafie, è necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorché non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel "territorio" in cui l'associazione è attiva.
Cass. pen. n. 11118/2022
In tema di associazione di tipo mafioso, l'omertà, correlata in rapporto di causa a effetto alla forza di intimidazione del gruppo criminale, deve essere sufficientemente diffusa, ancorchè non generalizzata nell'ambito del territorio di riferimento e può derivare, non solo dalla paura di danni alla persona, ma anche dalla minaccia di conseguenze dannose potenzialmente rilevanti, di modo che sia diffusa la convinzione che collaborare con l'autorità giudiziaria non impedirà ritorsioni nei confronti del denunciante per effetto della ramificazione dell'organizzazione, della sua efficienza e della sussistenza di soggetti forniti del potere di danneggiare chi abbia osato contrapporsi.
Cass. pen. n. 22899/2022
In tema di associazioni di tipo mafioso storiche (nella specie, "Cosa nostra"), per la configurabilità dell'aggravante della disponibilità di armi, non è richiesta l'esatta individuazione delle stesse, ma è sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori.
Cass. pen. n. 12197/2022
In tema di sostituzione o revoca di misure cautelari applicate per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., ove la condotta sia riconducibile alla partecipazione ad una associazione mafiosa "storica", caratterizzata da un risalente radicamento e da una riconosciuta stabilità, grava sul giudice un onere motivazionale attenuato in ordine alla persistenza del pericolo cautelare, anche nei casi in cui sussista una significativa distanza temporale tra l'applicazione della misura e la richiesta di sostituzione della stessa, posto che l'attualità delle esigenze è immanente a tale tipo di reato, potendo essere esclusa solo in presenza di prove della rescissione di ogni rapporto dell'accusato con il sodalizio.
Cass. pen. n. 49744/2022
Ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la verifica "ex post" del contributo causale riconducibile alla condotta atipica del concorrente esterno deve essere apprezzata in relazione alle finalità tipiche dell'associazione, prescindendo dalle condizioni di eventuale "fibrillazione" o crisi strutturale che rendono ineludibile l'intervento esterno per la prosecuzione della attività.
Cass. pen. n. 47538/2022
Il reato di cui all'art. 416-bis è configurabile con riguardo a una nuova articolazione periferica (segnatamente una locale di 'ndrangheta) di un sodalizio mafioso operante in un'area caratterizzata da particolare vastità spaziale e sociale (nella specie, la città di Roma), anche laddove non sia replicato il peculiare modello di insediamento dell'associazione mafiosa di riferimento, qualora: emerga il collegamento della nuova struttura, pur dotata di autonomia organizzativa, con tale sodalizio; la nuova struttura svolga un'attività destinata ad "occupare" aree produttive e di mercato, inquinando il relativo tessuto sociale-economico e sia mossa dalle stesse logiche dell'associazione di riferimento; il suo modulo organizzativo replichi i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando presagire il pericolo per l'ordine pubblico; vi sia dotazione di mezzi idonei a sprigionare nel nuovo contesto una forza intimidatrice propria, dotata di effettività e obiettivamente riscontrabile; vi sia la spendita, anche nei confronti di altre organizzazioni criminali presenti sul territorio, della fama criminale conseguita nei territori di storico e originario insediamento.
Cass. pen. n. 4822/2022
In tema di associazione di tipo mafioso, risponde del più grave delitto di cui all'art. 416-bis, comma secondo, cod. pen. il reggente di una cosca di 'ndrangheta nominato sostituto dal capo cosca detenuto e da questi incaricato delle trattative con gli esponenti di altri gruppi criminali per la spartizione dei profitti illeciti ovvero di portare a termine le attività estorsive indicategli, rivestendo le funzioni di guida e di comando proprie del capo, nonché quelle dell'organizzatore che provvede ad assicurare il funzionamento e l'operatività del sodalizio criminale.
Cass. pen. n. 44221/2022
I provvedimenti di sequestro preventivo finalizzati alla confisca "allargata" di cui all'art. 240-bis cod. pen. e alla confisca obbligatoria di cui all'art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. devono contenere una concisa motivazione in ordine alla sussistenza del "periculum in mora", illustrando, nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità della misura reale, le ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio.
Cass. pen. n. 24324/2022
È suscettibile di revisione la sentenza irrevocabile di condanna di un imputato per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., allorché sia passata in giudicato la sentenza di assoluzione, per insussistenza del fatto, di tutti gli altri compartecipi dell'associazione, data l'oggettiva incompatibilità tra i fatti storici accertati nelle due sentenze e l'impossibilità di configurare un sodalizio criminale composto da un numero di partecipi inferiore a quello previsto "ex lege", non venendo, invece, in rilievo una questione di differente valutazione delle condotte.
Cass. pen. n. 35673/2022
In tema di associazione di tipo mafioso, non comportano soluzione di continuità nella vita dell'organizzazione né i fisiologici avvicendamenti strutturali interni, né l'estensione dell'attività criminosa alla commissione di reati di altra specie, né l'ampliamento o la riduzione dell'ambito territoriale di operatività, sicché, per affermare che ad un'associazione ne segua una diversa, richiedente l'accertamento "ex novo" degli elementi costitutivi del reato, occorre la prova che la seconda organizzazione sia scaturita da un diverso patto criminale, oppure che quella originaria abbia definitivamente cessato di esistere a causa di un preciso evento traumatico, generatore di discontinuità nel programma associativo.
Cass. pen. n. 18020/2022
In tema di associazione di tipo mafioso, integra la condotta di "concorso esterno" l'attività del professionista che fornisca un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare ovvero a rafforzare le capacità operative del sodalizio, nella consapevolezza di favorirne, in tal modo, la realizzazione del programma criminoso.
Cass. pen. n. 5136/2022
La circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen.), in quanto riferita alle modalità di realizzazione dell'azione criminosa, ha natura oggettiva ed è valutabile a carico dei concorrenti, sempre che siano stati a conoscenza dell'impiego del metodo mafioso ovvero l'abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa.
Cass. pen. n. 9395/2021
È configurabile il concorso morale nel delitto di omicidio nei confronti dell'appartenente all'organismo di vertice di un'associazione criminale di tipo mafioso, che presta tacitamente il proprio consenso in merito alla esecuzione dello specifico delitto mantenendo un comportamento silente nel corso di una riunione o all'atto della "doverosa" informazione ad opera di altro membro del sodalizio, in quanto la sola presenza ed il solo implicito assenso del capo sono idonei a costituire condizione per la realizzazione del crimine o comunque a rafforzare significativamente il relativo proposito.
Cass. pen. n. 5656/2021
Il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen., ove commesso dall'appartenente ad un'associazione per delinquere di tipo mafioso, concorre con quello di partecipazione a tale associazione aggravato dal finanziamento di attività illecite, di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., stante l'obiettiva diversità dei rispettivi elementi costitutivi, in quanto solo l'art. 648-ter.1 cod. pen., e non anche l'aggravante di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., richiede che l'autore agisca in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni oggetto di reimpiego.
Cass. pen. n. 4984/2021
In tema di applicazione del principio del "ne bis in idem" e di divieto di un secondo giudizio, nel caso di procedimento per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., al fine di escludere la medesimezza del fatto, non rilevano i mutamenti delle modalità di partecipazione associativa, la modifica dell'oggetto del programma criminoso o del numero degli affiliati, ma ciò che risulta dai suoi elementi costitutivi, rappresentati dalla condotta, dall'evento e dal nesso di causalità.
Cass. pen. n. 47054/2021
Integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell'imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e pur privo della "affectio societatis", instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l'imprenditore, nell'imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l'organizzazione mafiosa, nell'ottenere risorse, servizi o utilità, anche in forma di corresponsione di una percentuale sui profitti percepiti dal concorrente esterno.
Cass. pen. n. 15551/2021
In tema di associazione di tipo mafioso, qualora il reato sia stato contestato senza specificazione del termine finale della condotta, ma con indicazione della sola data di accertamento, il giudice del dibattimento deve verificare in concreto se la fattispecie decritta nell'imputazione si sia già esaurita prima, dopo o contestualmente a tale accertamento o sia ancora in atto, poiché, in tale ultimo caso, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l'ulteriore eventuale permanenza e se ne può tenere conto a ogni effetto penale, senza la necessità di un'ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero.
Cass. pen. n. 1688/2021
In presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma "chiusa", che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica "in peius" del trattamento sanzionatorio (nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69), l'applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione, da parte dell'accusa, che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l'esistenza dell'"offerta di contribuzione permanente" dell'affiliato all'associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso spontaneo o provocato "ab externo". (In motivazione la Corte ha sottolineato come l'offesa al bene giuridico tutelato dall'art. 416-bis cod. pen. si protrae finché permane l'offerta di contribuzione del singolo partecipe, posto che è l'esistenza stessa del sodalizio a porre in pericolo l'ordine pubblico).
In tema di associazione di tipo mafioso, non comportano soluzione di continuità nella vita dell'organizzazione: a) l'eventuale variazione della compagine associativa per successiva adesione di nuovi membri o per rescissione del rapporto di affiliazione da parte di alcuni sodali; b) l'estensione dell'attività criminosa alla commissione di reati di altra specie; c) l'ampliamento dell'ambito territoriale di operatività. (La Corte ha precisato che, per affermare che ad un'associazione ne segua una diversa, occorre la prova che la seconda sia scaturita da un diverso patto criminale oppure che quella originaria abbia definitivamente cessato di esistere a causa di un evento traumatico, generatore di discontinuità nel programma associativo, come in caso di faide o scissioni).
Cass. pen. n. 46385/2021
L'esame del giudice sulla ricorrenza dei presupposti della speciale attenuante della dissociazione, prevista per i delitti di criminalità organizzata dall'art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (ed oggi dall'art. 416-bis.1, comma terzo, cod. pen.), non può che essere limitato a quanto riferito dall'imputato nel singolo procedimento in ordine ai reati oggetto dello stesso, solo in relazione ai quali vengono in rilievo decisività e concretezza dell'apporto fornito, restando estraneo a tale esame il contributo offerto in altri procedimenti per vicende delittuose diverse.
Cass. pen. n. 1162/2021
In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo non esclude la permanenza della partecipazione al sodalizio, che viene meno solo in caso di cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato. (In motivazione la Corte ha precisato che la rescissione del legame può essere desunta, a titolo meramente esemplificativo, da un lungo periodo di detenzione in assenza di contatti con la consorteria, dal trasferimento in luogo distante da quello della sua operatività, o da una contrapposizione interna al sodalizio seguita dall'allontanamento di uno dei sodali, elementi in relazione ai quali grava sull'interessato un mero onere di allegazione e che non devono essere contrastati da altri significativi dati di segno contrario).
La prova della partecipazione all'associazione di stampo mafioso può essere desunta, con metodo logico-induttivo, anche dall'accertata sussistenza di un rapporto gerarchico dell'interessato rispetto ai soggetti ritenuti sicuramente partecipi del sodalizio.
Cass. pen. n. 37865/2021
In tema di misure cautelari personali, a seguito della disciplina di contrasto alla pandemia da Covid-19, è legittima l'ordinanza di ripristino della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'art. 2-ter del d.l. 10 maggio 2020, n. 29, convertito, con modificazioni, dalla l. 25 giugno 2020, n. 70, nei confronti di soggetto raggiunto da gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti indicati in tale articolo (nella specie, tentata estorsione aggravata ex art. 416-bis.1 cod. pen.), quando, valutate ancora persistenti le esigenze cautelari, sussistano evidenze concernenti il contenimento del fenomeno pandemico, sulla base delle attestazioni da parte del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) in merito alla disponibilità di strutture penitenziarie adeguate alle condizioni di salute del prevenuto, e del Presidente della Giunta della Regione interessata, circa l'idoneità del luogo di custodia individuato per l'esecuzione ad evitare pregiudizi per la salute del predetto. (Dichiara inammissibile, TRIB. LIBERTA' NAPOLI, 29/04/2021)
Cass. pen. n. 40274/2021
La sola appartenenza all'organismo centrale di un'organizzazione criminale di stampo mafioso (nella specie "Cosa nostra"), investita del potere di deliberare in ordine alla commissione dei cosiddetti "omicidi eccellenti", pur costituendo un indizio rilevante, non ha, tuttavia, valenza dimostrativa univoca del contributo di ciascuno dei componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che ciascuno di questi, informato in ordine alla delibera da assumere, presti il proprio consenso, anche tacito, alla pianificazione dello specifico reato. (Fattispecie relativa alla strage di via D'Amelio, in cui la partecipazione morale all'attentato stragista dell'appartenente all'organismo di vertice dell'associazione criminale era stata desunta dall'adesione silente prestata al momento deliberativo della strage da parte della "Commissione di fine anno").
Cass. pen. n. 38831/2021
In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, quando oggetto del giudizio sia l'accertamento relativo alla ricorrenza di nuova formazione in rapporto di continuità con una cosca storica, oggetto di passati accertamenti irrevocabili, può prescindersi da specifici accertamenti in ordine all'esteriorizzazione del metodo mafioso solo in presenza di univoci elementi che dimostrino che la formazione oggetto di indagine sia priva di reali elementi di novità (nei programmi, nella comunanza dei territori oggetto di azione, nella coincidenza dei soggetti coinvolti), e, come tale, continui ad operare su un determinato territorio, replicando o, comunque, sfruttando, un contesto riconducibile all'alveo del terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen. (In motivazione la Corte ha sottolineato che tanto più è sfumata l'indagine sull'effettivo ricorso ad attività o metodi improntati all'intimidazione e conseguente assoggettamento ed omertà, tanto più rigoroso e solida deve risultare l'acquisizione probatoria dimostrativa delle caratteristiche strutturali del sodalizio).
Cass. pen. n. 32767/2021
In tema di associazione di tipo mafioso, nel caso di archiviazione non seguita da autorizzazione alla riapertura delle indagini, al fine di escludere la medesimezza del fatto, che preclude la possibilità di svolgere nuove investigazioni, non rilevano i mutamenti nelle modalità di partecipazione (attività e ruoli) del soggetto ovvero le eventuali modifiche della composizione numerica o degli equilibri interni al sodalizio, ma è necessario accertare che il partecipe sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero che si sia verificata una successione nelle attività criminali tra organismi diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio.
Cass. pen. n. 38848/2021
In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell'indagato dall'associazione o con l'esaurimento dell'attività associativa, mentre il cd. "tempo silente" (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell'irreversibile allontanamento dell'indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un'attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell'assenza di esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 33863/2021
Ai fini della sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti di soggetto tossicodipendente che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, il giudice, qualora il richiedente sia imputato di uno dei delitti previsti dall'art. 4 bis della legge n 26 luglio 1975, n. 354 (nella specie, associazione di tipo mafioso), deve valutare l'esistenza delle esigenze cautelari secondo gli ordinari criteri di cui agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., compresa la presunzione assoluta di adeguatezza esclusiva della custodia cautelare, non essendo applicabile il più favorevole regime previsto dall'art. 89 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in base al quale sono ostative alla concessione degli arresti domiciliari soltanto le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Cass. pen. n. 38603/2021
In tema di applicazione di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. deve intendersi riferita anche ai delitti tentati aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen. (Rigetta, TRIB. LIBERTA' MESSINA, 19/04/2021)
Cass. pen. n. 32902/2021
In tema di concorso esterno in associazione mafiosa, l'efficienza causale del contributo arrecato dal professionista che, non inserito stabilmente nel tessuto organizzativo del sodalizio, presti la propria attività nell'interesse di esso, non richiede la compiuta realizzazione del risultato illecito finale perseguito dall'associazione, assumendo rilievo la mera messa a disposizione dei sodali delle proprie competenze professionali e l'esecuzione puntuale delle prestazioni richieste, trattandosi di attività che comunque consolida e rafforza le capacità operative dell'organizzazione. (Fattispecie in cui si è ritenuta la responsabilità del professionista che, nell'interesse dell'associazione, alterava un bilancio e costituiva rapporti lavorativi simulati per l'ottenimento di indebiti finanziamenti, veicolava messaggi intimidatori tipicamente mafiosi nella gestione di un rapporto negoziale controverso, individuava una possibile testa di legno per l'amministrazione di una impresa di interesse del gruppo).
Cass. pen. n. 34615/2021
In presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma "chiusa", che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica "in peius" del trattamento sanzionatorio (nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69), l'applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione da parte dell'accusa che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l'esistenza dell'"offerta di contribuzione permanente" dell'affiliato all'associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso (spontaneo o provocato "ab externo").
Cass. pen. n. 31920/2021
In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'essenziale connotazione delle forme di "delocalizzazione" della cosche storiche, anche nelle aree storicamente controllate dall'associazione principale, risiede nella "intrinseca, e non implicita," forza di intimidazione derivante dal collegamento con le componenti centrali dell'associazione mafiosa, dalla riproduzione sul territorio delle strutture organizzative dell'associazione principale, dall'avvalimento della fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico e originario insediamento, senza che sia necessaria la effettiva esteriorizzazione di tale forza di intimidazione. (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO REGGIO CALABRIA, 28/06/2019).
L'associazione di tipo mafioso non è necessariamente destinata alla commissione di delitti, ma può anche essere diretta a realizzare, avvalendosi della particolare forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, taluno degli altri obiettivi indicati dall'art. 416-bis cod. pen., fra i quali quello della realizzazione di profitti ingiusti per sé o per altri. (Fattispecie nella quale l'associazione era diretta a controllare una serie di società coinvolte nella gestione dei rifiuti che rappresentavano lo strumento per acquisire appalti pubblici e privati con illecite modalità). (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO REGGIO CALABRIA, 28/06/2019).
In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilità di armi, di cui all'art. 416-bis, commi quarto e quinto, cod. pen., è configurabile a carico dei partecipi di una "locale" di mafia storica (nella specie 'ndrangheta), quando sia riscontrata l'effettiva disponibilità delle armi e l'uso delle stesse per il conseguimento delle finalità dell'associazione, non essendo sufficiente il solo riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio storico.
Cass. pen. n. 36958/2021
In tema di associazioni di tipo mafioso, l'affiliazione rituale può costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d'esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serietà ed effettività, espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione. (In motivazione, relativa a fattispecie inerente a misura cautelare personale, la Corte ha incluso, tra gli indici valutabili dal giudice, la qualità dell'adesione ed il tipo di percorso che l'ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell'affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto delle forme rituali, con riferimento, tra l'altro, ai poteri di chi propone l'affiliando, di chi lo presenta e di chi officia il rito, la tipologia del reciproco impegno preso e la misura della disponibilità pretesa od offerta).
Cass. pen. n. 25219/2021
In sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato, accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato, anche quando il "tempus commisi delicti" non sia precisamente indicato nell'imputazione. (Fattispecie di rigetto della richiesta di indicazione della data finale di permanenza del reato associativo mafioso, contestato in forma aperta, in senso difforme da quanto accertato dal giudice della cognizione che non aveva indicato una data di cessazione della condotta anteriore alla sentenza di primo grado).
Cass. pen. n. 22751/2021
Ai fini della retrodatazione della decorrenza del termine di durata di più misure cautelari disposte con ordinanze diverse, non sussiste alcuna connessione rilevante tra il reato di associazione mafiosa e quelli di omicidio commessi nello svolgimento dell'attività del sodalizio, atteso che questi ultimi non rappresentano la finalità per cui lo stesso è stato costituito.
Cass. pen. n. 19863/2021
In tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all'indagato, il giudice ha l'obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d'ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull'esistenza e sull'attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall'art. 7 della legge n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis l cod. pen.), non risulti la dissociazione dell'indagato dal sodalizio criminale.
Cass. pen. n. 18875/2021
La circostanza attenuante speciale per la dissociazione di cui all'art. 8 legge 12 luglio 1991, n. 203 si fonda sul mero presupposto dell'utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all'associazione di tipo mafioso e non può pertanto essere disconosciuta, o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato, ovvero alle motivazioni che hanno determinato l'imputato alla collaborazione. (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO NAPOLI, 21/05/2019)
Cass. pen. n. 20900/2021
Ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all'omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l'unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la decisione del giudice della esecuzione che aveva escluso il vincolo della continuazione tra reati associativi relativi alla medesima organizzazione criminale sulla base del mutamento nel tempo della compagine associativa e della estensione dell'ambito di operatività, senza accertare l'adesione ad un nuovo "pactum sceleris" ovvero una discontinuità nel programma criminoso).
Cass. pen. n. 23890/2021
La circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. - che si configura ove le attività economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo siano finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti - ha natura oggettiva e va riferita all'attività dell'associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, il quale, nel caso di associazioni cd. storiche come mafia, camorra e 'ndrangheta, ne risponde per il solo fatto della partecipazione, dato che - appartenendo da anni al patrimonio conoscitivo comune che dette associazioni operano nel campo economico utilizzando ed investendo i profitti di delitti che tipicamente pongono in essere in esecuzione del suo programma criminoso - un'ignoranza al riguardo in capo ad un soggetto che sia ad alcuna di tali associazioni affiliato è inconcepibile.
Cass. pen. n. 12362/2021
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. in relazione ad una articolazione periferica (c.d. "locale") di 'ndrangheta, attiva nel territorio della Calabria, non è necessario dimostrarne in concreto la capacità intimidatoria mafiosa, essendo sufficiente provare che la cosca appartenga ad una precisa "locale" della più generale struttura di 'ndrangheta, da cui mutua il potere di egemonizzazione criminale sul territorio di pertinenza, riconosciuto "ex lege" in forza del disposto di cui all'ultimo comma del predetto articolo. (Dichiara inammissibile, CORTE ASSISE APPELLO REGGIO CALABRIA, 10/09/2018)
Cass. pen. n. 14888/2021
Non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l'imputato, rinviato a giudizio per partecipazione ad associazione mafiosa, sia condannato per aver preso parte ad una diversa articolazione locale della stessa organizzazione criminale operante nel medesimo territorio, non determinando immutazione del fatto, ma una sua mera specificazione, la diversa denominazione del gruppo criminale di riferimento.
Cass. pen. n. 21741/2021
Ai fini della confisca ex art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. di un intero patrimonio aziendale è necessario che la società sia qualificabile come mafiosa, ovvero che sussista correlazione, specifica e concreta, tra la gestione e le attività dell'impresa e le attività riconducibili all'associazione, essendo di per sé insufficiente la mera partecipazione al sodalizio criminale dell'amministratore.
Cass. pen. n. 7839/2021
Nel reato di associazione per delinquere "capo" è non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. (Nella fattispecie, sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 416-bis, comma secondo, cod. pen. a carico dell'indagato che risultava svolgere il ruolo di risolutore di controversie di portata rilevante, in materia di assegnazione di zone di competenza, per la realizzazione di lavori edili ed attività di "movimento terra"). (Conf. altresì n. 10040 del 1987).
Cass. pen. n. 7837/2021
In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell'indagato dall'associazione o con l'esaurimento dell'attività associativa, mentre il cd. "tempo silente" (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell'irreversibile allontanamento dell'indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un'attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell'assenza di esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 32076/2021
Integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta di chi, estraneo all'associazione, curi la trasmissione di comunicazioni riservate tra un esponente di spicco del sodalizio ed altri soggetti interessati, con riferimento alle attività illecite del gruppo. (Fattispecie relativa al figlio del locale capo-mafia, fattosi, in plurime circostanze, latore di messaggi, mediante "pizzini" e comunicazioni telefoniche, per stabilire luoghi e modalità di incontri che il padre, sottoposto a sorveglianza speciale, era impossibilitato a fissare personalmente).
Cass. pen. n. 23335/2021
Ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., nella forma dell'agevolazione mafiosa, quando la continuativa erogazione di danaro a una consorteria di tal tipo da parte di un imprenditore sia finalizzata a ottenere "protezione" e sostegno nell'acquisizione di commesse economiche. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile la circostanza in relazione al reato previsto dall'art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo questo finalizzato a procurare, in modo occulto, la provvista necessaria all'anzidetta erogazione).
Cass. pen. n. 17347/2021
La configurabilità del favoreggiamento personale con riguardo ad un reato presupposto di natura permanente (nella specie associazione per delinquere di stampo mafioso) presuppone che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, ricorrendo altrimenti la partecipazione all'associazione mafiosa o il concorso esterno alla stessa, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa.
Cass. pen. n. 14867/2021
Ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'art. 416-bis. 1 cod. pen., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante in relazione alle minacce profferite in udienza da un soggetto imputato per il reato di associazione mafiosa, per il grave turbamento indotto nella persona offesa dal timore di fronteggiare possibili azioni punitive dei complici e dei parenti dell'imputato).
Cass. pen. n. 4680/2021
Non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e i reati fine non programmabili "ab origine" perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali, pur potendo astrattamente rientrare nell'ambito delle attività del sodalizio criminoso. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza della continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione camorristica, separatamente giudicata, e quello di corruzione commesso dall'imputato mentre si trovava in carcere al fine di ottenere l'ingresso nell'istituto di beni non consentiti e la trasmissione di notizie, atteso che tali indebiti vantaggi erano funzionali all'esclusivo interesse dell'imputato e non al rafforzamento dell'associazione).
Cass. pen. n. 16543/2021
In tema di associazione di tipo mafioso, il possesso della c.d. "dote di 'ndrangheta", pur implicante una posizione di rango elevato nel sodalizio, non è sufficiente a provare l'effettiva operatività dell'associazione ed il ruolo ricoperto dal possessore al suo interno, definendone epoca e concreta durata della sua partecipazione.
Cass. pen. n. 4321/2020
La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall'art. 274 cod. proc. pen., sicché se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo.
Cass. pen. n. 36555/2020
In tema di reati associativi, il divieto di "bis in idem" posto dall'art. 649 cod. proc. pen. non opera, per diversità del fatto, nel caso in cui un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di due diverse associazioni criminose, risultando esso violato solo ove risultino sovrapponibili i segmenti di condotta presi in esame dalle singole sentenze passate in giudicato. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l'identità dei due sodalizi cui avevano aderito i ricorrenti, siccome aventi un differente programma delittuoso, operavano in aree geografiche ed epoche solo parzialmente coincidenti, nonché con compagini soggettive in parte diversificate).
Cass. pen. n. 35775/2020
In tema di associazione di tipo mafioso, l'individuazione della c.d. "dote di 'ndrangheta", concernente lo "status" di un affiliato ad una consorteria 'ndranghetista, costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito che, ove sorretta da una motivazione esente da vizi logici o motivazionali, non è sindacabile in sede di legittimità. (Rigetta, TRIB. LIBERTA' REGGIO CALABRIA, 29/04/2020)
Cass. pen. n. 37081/2020
Il reato di associazione di tipo mafioso è configurabile con riferimento a sodalizi criminosi a matrice straniera che, pur non avendo l'indiscriminato controllo del territorio sul quale operano, siano in grado di esercitare la forza di intimidazione nei confronti degli appartenenti ad una comunità etnica ivi insediata, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi e della forza di intimidazione che promana dal vincolo associativo, a nulla rilevando che la percezione di tale potere criminale non sia generalizzata nel territorio di riferimento. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la mancanza di attitudine del sodalizio ad estendere la sua capacità di intimidazione nella comunità nazionale e l'acquisizione di un potere impositivo sulla sola comunità nigeriana non escludessero il connotato della "mafiosità"). (Rigetta in parte, CORTE APPELLO TORINO, 30/04/2019).
L'aggravante della transnazionalità può trovare applicazione anche quando il gruppo criminale organizzato, operante in più di uno Stato, presti il suo contributo alla commissione di un reato associativo, ma solo a condizione che non ricorrano elementi di "immedesimazione" fra le due strutture criminose. (Fattispecie relativa a gruppi di origine nigeriana denominati "Maphite" ed "Eiye" operanti in Italia che, pur mantenendo un collegamento con la corrispondente associazione operante in Nigeria nota come "Secret cults", sono state ritenute autonome, essendo sorte spontaneamente nel corso di ordinari fenomeni migratori e dotate di un coordinamento nazionale senza ingerenze nigeriane, nonché di una propria forza intimidatrice). (Rigetta in parte, CORTE APPELLO TORINO, 30/04/2019)
Cass. pen. n. 7155/2020
In tema di associazione a delinquere di tipo mafioso, nell'ipotesi di concorso tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste dall'art. 416-bis, commi quarto e sesto, cod. pen., la pena è determinata secondo la disciplina speciale di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., che prevede l'aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata; ne consegue che, quando concorre anche l'aggravante ad effetto speciale della recidiva reiterata, ai fini dell'individuazione della più grave tra le dette circostanze, sulla quale operare l'eventuale ulteriore aumento di pena, previsto dalla regola generale di cui all'art. 63, comma quarto, cod. pen., rileva quella unitariamente considerata, a fini sanzionatori, dall'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen. (Rigetta, CORTE APPELLO NAPOLI, 29/05/2019)
Cass. pen. n. 3595/2020
In tema di associazione di tipo mafioso, la sopravvenuta malattia dell'affiliato, suscettibile di impedirne, anche definitivamente, la partecipazione personale ai consessi ed alle attività operative dell'organizzazione, non comporta l'automatica rescissione del "pactum sceleris", ove tale condizione non determini la totale incapacità, fisica o psichica, di interfacciarsi con gli altri componenti della compagine criminale e, dunque, di prendere parte ai suoi processi decisionali. (Fattispecie relativa a un affiliato che, dopo l'insorgere della malattia, aveva continuato a partecipare alla vita associativa attraverso il proprio figlio, subentrato nel gruppo all'esito di un passaggio di consegne). (Rigetta, CORTE APPELLO PALERMO, 15/04/2019).
Integra il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso la condotta di chi offre il proprio contributo materiale, con carattere continuativo e fiduciario, ai fini della trasmissione di messaggi e direttive tra il soggetto in posizione apicale latitante e gli appartenenti alla consorteria in libertà, così da consentire al primo di continuare a dirigere l'associazione mafiosa, in quanto tale attività si risolve in un contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio nonché alla conservazione ed al rafforzamento di quest'ultimo. (Rigetta, CORTE APPELLO PALERMO, 15/04/2019)
Cass. pen. n. 36891/2020
In tema di custodia cautelare in carcere, l'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina, in chiave di motivazione del provvedimento cautelare, la necessità, non già di dar conto della ricorrenza dei "pericula libertatis", ma solo di apprezzarne le ragioni di esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano il fattore "tempo trascorso dai fatti", che deve essere parametrato alla gravità della condotta, e la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, che ha valore determinante nella esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari. (Fattispecie relativa ad ordinanza cautelare emessa nei confronti di soggetto condannato in primo grado per il reato di partecipazione associazione mafiosa, legato da vincoli familiari con il vertice del sodalizio). (Rigetta, TRIB. LIBERTA' CATANIA, 25/06/2020)
Cass. pen. n. 36283/2020
Il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen., ove commesso dall'appartenente ad un'associazione per delinquere di tipo mafioso, concorre con quello di partecipazione a detta associazione aggravato dal finanziamento di attività illecite, di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., stante l'obiettiva diversità dei rispettivi elementi costitutivi, in quanto solo l'art. 648-ter.1 cod. pen. - e non anche l'aggravante del comma sesto dell'art. 416-bis citato - richiede che l'autore agisca in modo da ostacolare concretamente l'identificazione delle provenienza delittuosa dei beni oggetto di reimpiego.
Cass. pen. n. 31614/2020
In tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all'indagato, il giudice ha l'obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d'ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull'esistenza e sull'attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall'art. 7 della legge n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis l cod. pen.), non risulti la dissociazione dell'indagato dal sodalizio criminale. (Fattispecie relativa all'applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di omicidio aggravato dalla finalità agevolativa di consorzio associativo mafioso nei confronti di persona detenuta da lungo tempo in regime speciale di cui all'art. 41-bis ord. pen., in cui la Corte ha annullato, con rinvio al tribunale del riesame, l'ordinanza impugnata rilevando che il tempo trascorso dal fatto, pari ad oltre venticinque anni, doveva essere valutato alla luce di tutte le condotte, coeve e successive al fatto, poste in essere dal soggetto, che, per gravità, entità e ruolo rivestito nel sodalizio criminoso, tuttora esistente in vita, fossero indicative della partecipazione pregressa e della perdurante adesione allo stesso). (Annulla con rinvio, TRIB. LIBERTA' NAPOLI, 05/03/2020)
Cass. pen. n. 28821/2020
In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell'indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui al combinato disposto degli artt. 275, comma 3, cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen., può essere superata anche quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga una situazione che, pur in mancanza della prova positiva della rescissione del vincolo associativo, dimostri - in modo obiettivo e concreto - l'effettivo e irreversibile allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale e la conseguente mancanza delle esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 29189/2020
In tema di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso con il ruolo di capo, nell'ipotesi di organizzazione radicata in un particolare territorio che estenda la propria forza operativa attraverso strutture periferiche ubicate in altre zone, la competenza per territorio va individuata con riferimento al luogo ove si trova la cosca madre, da cui dipende il conferimento e la ratifica delle cariche delle articolazioni satelliti, anche se dotate di una certa autonomia di azione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'individuazione della competenza territoriale del giudice di Reggio Calabria, ove aveva sede l'organizzazione di stampo mafioso appartenente alla 'ndrangheta, a capo della quale vi era l'imputato, da cui dipendevano cellule operative in Lombardia). (Rigetta, CORTE APPELLO REGGIO CALABRIA, 31/10/2017).
Cass. pen. n. 28991/2020
In tema di misure cautelari per i reati di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati (nella specie, circa dieci anni), alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli "elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari", cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cit. (Annulla in parte con rinvio, TRIB. LIBERTA' CATANZARO, 13/02/2020)
Cass. pen. n. 35185/2020
In tema di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, pur non sussistendo un nesso di necessaria correlazione tra la determinazione della pena e la concessione della sospensione condizionale, in quanto la prima va operata in base ai criteri di valutazione della gravità del reato mentre la seconda si fonda su un giudizio prognostico proiettato su una presunta realtà futura, è, tuttavia, configurabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nell'ipotesi in cui il giudice applichi il minimo edittale della pena, con riferimento alla gravità del fatto, e contestualmente neghi la sospensione condizionale della pena sempre in ragione della gravità dei fatti. (Vedi Sez. 1, n. 1327 del 1990, Rv. 186293). (Annulla in parte con rinvio, CORTE APPELLO NAPOLI, 28/03/2019)
Cass. pen. n. 31765/2020
In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all'art. 274, lett. b), cod. proc. pen. non può essere desunto esclusivamente dalla circostanza che l'indagato si sia trasferito nel suo paese di origine e di abituale dimora, ma deve essere ancorato a concreti elementi dai quali sia logicamente possibile dedurre, attraverso la valutazione di un'attività positiva del soggetto, la reale ed effettiva preparazione della fuga. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato l'ordinanza di custodia in carcere per il delitto di partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso, nella quale il pericolo di fuga era stato dedotto dal trasferimento, da anni, dell'indagato di origine straniera, in Germania, al fine di ricongiungersi al coniuge e dal fatto che lo stesso potesse fruire di una "estesa rete di contatti", genericamente indicata, sia con la Nigeria, ove il sodalizio era radicato, che con altri Stati europei). (Annulla in parte con rinvio, TRIB. LIBERTA' TORINO, 15/05/2020)
Cass. pen. n. 25838/2020
In materia di associazione di tipo mafioso, rappresenta comportamento concludente, idoneo a costituire indizio di intraneità al sodalizio criminale, l'essere posto a conoscenza dell'organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell'identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati, nonchè l'essere stato ammesso a partecipare ad incontri deputati all'inserimento di nuovi sodali. (Fattispecie relativa alla assunzione, da parte dell'affiliato, del grado di "capo bastone giovane" all'interno di una cosca locale di 'ndrangheta).
Cass. pen. n. 25994/2020
Configura la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso l'attività di "paciere", svolta da parte di esponenti di primo piano di una cosca, in ordine alla composizione di contrasti interni per fatti attinenti all'attività ed al funzionamento dell'organizzazione, avendo essa la funzione di assicurare la stabilità e la tenuta di quest'ultima. (Fattispecie in cui l'attività di composizione del contrasto, previa convocazione e richiesta di rendiconto, avveniva tra membri di rilievo dell'organizzazione in merito al versamento dei ricavi derivanti dallo spaccio di stupefacenti).
Cass. pen. n. 20577/2020
Ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della "attualità" della pericolosità e, laddove sussistano elementi sintomatici di una "partecipazione" del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell'accertamento di attualità della pericolosità. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato, sul rilievo della omessa valutazione, da parte della corte di appello, del lungo periodo di permanenza del ricorrente in stato detentivo, della confessione resa e della formulazione da parte sua di un'offerta reale alle persone offese dei reati, a fini risarcitori, elementi di cui era necessario accertare se denotassero l'abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise all'interno del sodalizio camorristico).
Cass. pen. n. 22096/2020
In tema di applicazione di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per determinate fattispecie incriminatrici, prevista dagli artt. 275, comma 3, e 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., deve intendersi riferita anche ai delitti tentati in caso di contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen.), atteso che il generico riferimento ai «delitti» in tal guisa aggravati, indipendentemente dallo specifico titolo di reato, è comprensivo di ogni fattispecie delittuosa, sia consumata che tentata. (Fattispecie in tema di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, in cui la Corte ha precisato che si deve, invece, escludere l'operatività delle presunzioni ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per i delitti tentati in relazione alle ipotesi di reato indicate in modo specifico dal legislatore). (Dichiara inammissibile, TRIB. LIBERTA' NAPOLI, 28/01/2020)
Cass. pen. n. 23818/2020
È ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all'art. 416-bis cod. pen.) (Annulla in parte con rinvio, CORTE APPELLO CATANIA, 19/07/2019)
Cass. pen. n. 42369/2019
In tema di associazione di tipo mafioso, la costituzione di una nuova organizzazione, alternativa ed autonoma rispetto ai gruppi storici presenti sul territorio, può essere desunta da plurimi indicatori fattuali quali le modalità con cui sono commessi i delitti-scopo, la disponibilità di armi, l'esercizio di una forza intimidatoria derivante dal vincolo associativo, nonché dal riconoscimento, da parte dell'associazione storicamente egemone, di una paritaria capacità criminosa al gruppo emergente. (Fattispecie in cui dalle intercettazioni telefoniche risultava che esponenti del gruppo "storico", nonostante il consolidato predominio sul territorio, manifestavano preoccupazione per la contrapposizione con il gruppo emergente, attese la capacità di quest'ultimo di subentrare nel controllo delle attività illecite e la comprovata forza intimidatrice della nuova formazione).
Cass. pen. n. 39424/2019
Ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'art. 416 - bis. 1 cod. pen., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante nella minaccia rivolta all'avente titolo a rinunciare all'assegnazione di un'abitazione popolare, attuata prospettando che essa serviva alla figlia di un esponente apicale di un sodalizio mafioso).
Cass. pen. n. 33186/2019
In tema di associazione di tipo mafioso, la titolarità di una "piazza di spaccio" per conto di una famiglia criminale confederata in un unitario e più ampio sodalizio mafioso può costituire elemento indicativo della posizione apicale dell'imputato nell'ambito di quest'ultimo, quando risulti che il ruolo egemone dispiegato dall'imputato nella gestione dell'attività di traffico degli stupefacenti si è riflesso sul livello del suo inserimento nel sodalizio mafioso.
Cass. pen. n. 32519/2019
Ai fini dell'applicabilità della speciale attenuante prevista dall'art. 8, d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, per coloro che si dissociano dalle organizzazioni di tipo mafioso adoperandosi per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, non è necessaria la formale contestazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 della stessa legge, ma è sufficiente che di questa ricorrano i presupposti.
Cass. pen. n. 32373/2019
In tema di associazione di tipo mafioso, integra la condotta di "concorso esterno" l'attività del professionista che, in esecuzione di una promessa fatta ai vertici dell'associazione mafiosa, assicuri il suo concreto impegno nell'irregolare gestione di un procedimento giudiziario, posto che il sodalizio si rafforza comunque per effetto di quel contributo, non essendo necessario che i propositi delittuosi siano stati concretamente realizzati. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato in un caso nel quale un professionista, in assenza di un mandato difensivo o, comunque, travalicandone i limiti, aveva fornito suggerimenti per eludere le investigazioni, si era reso disponibile a portare all'esterno del carcere messaggi del capo e aveva tentato di influire illecitamente sugli esiti di procedimenti penali).
In tema di associazione di tipo mafioso, integrano gli estremi della condotta di concorso esterno anche le prestazioni rese da un professionista del settore legale che, seppur astrattamente dovute in favore di chiunque ne faccia richiesta, devono essere rifiutate allorché possa ragionevolmente ritenersi che riguardino atti od operazioni illecite compiute da soggetti mafiosi.
In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilità di armi, di cui all'art. 416-bis, commi 4 e 5, cod. pen., è configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino. (Fattispecie relativa alla riconosciuta esistenza di un'associazione autonoma, formata da cellule "locali" di 'ndrangheta federate, in cui la Corte ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilità dell'anzidetta aggravante, è necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula "locale" che abbia la concreta disponibilità delle armi).
Cass. pen. n. 27808/2019
l reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. è configurabile anche nel caso di "ricostituzione" di un gruppo criminale a distanza di tempo da parte di noto capo mafia, di dimostrata caratura criminale, inserito in ambito di mafie storiche (nel caso di specie "Cosa Nostra"), senza che sia necessaria un'esteriorizzazione della forza di intimidazione, considerato il capitale criminale della associazione mafiosa di riferimento e il diffuso riconoscimento della capacità di aggressione di persone e patrimoni da parte della stessa, anche nel caso di riferimento "implicito o contratto" alla forza criminale del sodalizio mafioso.
Cass. pen. n. 26427/2019
Ai fini della configurabilità dell'associazione per delinquere di tipo mafioso, il requisito della forza intimidatrice promanante dal sodalizio non può essere escluso per il sol fatto che la sua percezione all'esterno non è generalizzata nel territorio di riferimento, o che un singolo non si è piegato alla volontà dell'associazione o, addirittura, ne ignori l'esistenza. (Fattispecie in tema di costituzione di nuova struttura criminale).
Cass. pen. n. 18256/2019
In tema di associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del concorso esterno, occorre che il dolo diretto investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio. (Fattispecie relativa a due imprenditori che, nel contesto della realizzazione dei lavori pubblici di metanizzazione, avevano propiziato l'inserimento di alcune imprese mafiose nel remunerativo sistema dei noli a freddo di cantiere e avevano agevolato la corresponsione del "pizzo" da parte dell'impresa appaltatrice, attraverso un sistema di sovrafatturazioni, ideato per dissimulare il pagamento di una tangente dell'ammontare di circa due milioni di euro).
Cass. pen. n. 12330/2019
Ai fini della applicabilità della speciale attenuante prevista dall'art. 8 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, per coloro che si dissociano dalle organizzazioni di tipo mafioso adoperandosi per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, non è richiesta la formale contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 della stessa legge, ma occorre che dagli atti del processo emergano elementi certi ed univoci idonei a comprovare che il reato contestato risulti "in fatto" commesso dall'imputato in presenza delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. ovvero per agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con la quale il giudice di merito aveva negato l'attenuante speciale sul presupposto che la sola dichiarazione resa dell'imputato, collaboratore di giustizia, in merito alla finalità "agevolativa" della rapina perpetrata non fosse sufficiente ai fini della concedibilità della stessa).
Cass. pen. n. 55141/2018
La condotta di partecipazione all'associazione per delinquere di cui all'art. 416-bis cod. pen. è a forma libera e può realizzarsi in forme e contenuti diversi, indipendenti dall'esistenza di un formale atto di inserimento nel sodalizio e da uno stretto contatto con gli altri sodali, sicché il partecipe può anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi, con la consapevolezza che il risultato viene perseguito con l'utilizzazione di metodi mafiosi.
Cass. pen. n. 47535/2018
Il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. è configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza - anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, con conseguente forza di intimidazione "intrinseca" alla accertata capacità di egemonizzazione criminale del territorio. (Fattispecie relativa a c.d. "locale di ndrangheta" stabilita in territorio elvetico, in cui erano emersi in seguenti indizi: il collegamento con la "casa madre" calabrese, la composizione della "locale" con soggetti esclusivamente di origine calabrese, la struttura organizzativa secondo una divisione dei ruoli ben precisa, l'attribuzione di cariche interne mutuate dal quelle tradizionali della "ndrangheta", nonché il rispetto rigoroso di rituali tipici della "casa madre").
Cass. pen. n. 44156/2018
Il reato previsto dall'art.416-bis cod. pen. è configurabile non solo in relazione alle mafie cosiddette "tradizionali", consistenti in grandi associazioni di mafia ad alto numero di appartenenti, dotate di mezzi finanziari imponenti e in grado di assicurare l'assoggettamento e l'omertà attraverso il terrore e la continua messa in pericolo della vita delle persone, ma anche con riguardo alle c.d. "mafie atipiche", costituite da piccole organizzazioni con un basso numero di appartenenti, non necessariamente armate, che assoggettano un limitato territorio o un determinato settore di attività avvalendosi del metodo "mafioso" da cui derivano assoggettamento ed omertà, senza, peraltro, che sia necessaria la prova che la forza intimidatoria del vincolo associativo sia penetrata in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di riferimento. (Fattispecie relativa al c.d. "clan Spada" operante nel territorio di Ostia).
Cass. pen. n. 43249/2018
Il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa si distingue da quello di favoreggiamento, in quanto nel primo il soggetto interagisce organicamente e sistematicamente con gli associati, quale elemento della struttura organizzativa del sodalizio criminoso, anche al fine di depistare le indagini di polizia volte a reprimere l'attività dell'associazione o a perseguirne i partecipi, mentre nel secondo egli aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o meno nell'attività prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alle ricerche di questa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero qualificato come partecipazione ad un clan camorristico la condotta dell'indagato il quale, dedito alla frequentazione di soggetti intranei al sodalizio, aveva con stabilità favorito gli spostamenti del capoclan latitante, mettendogli altresì a disposizione, in plurime occasioni, la sua abitazione come luogo sicuro per incontri con politici ed imprenditori).
Cass. pen. n. 41736/2018
Integra il delitto di partecipazione ad una associazione mafiosa la condotta di colui che assolve il compito di far circolare messaggi, ordini ed informazioni tra i soggetti in posizione apicale detenuti e i partecipi in libertà. (Fattispecie relativa alla moglie di un capo clan che informava regolarmente il marito ristretto in carcere della condizione dei sodali latitanti e dell'andamento del traffico di stupefacenti gestito dall'organizzazione).
Cass. pen. n. 32020/2018
Ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso che emergono emergere anche da significativi "facta concludentia".
Cass. pen. n. 30133/2018
Integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta dell'imprenditore "colluso" che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e privo della "affectio societatis", instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l'imprenditore, nell'imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l'organizzazione mafiosa, nell'ottenere risorse, servizi o utilità. (Fattispecie relativa ad un imprenditore che si era accordato con i vertici di Cosa Nostra al fine di ottenere il monopolio, nei quartieri di rispettivo controllo, nelle attività di gestione dei videopoker e degli apparati di intrattenimento elettronici, in cambio del versamento di corrispettivi fissi o a percentuale sulle entrate).
Cass. pen. n. 26589/2018
In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del dolo, occorre che l'agente, pur in assenza dell'"affectio societatis" e, cioè, della volontà di far parte dell'associazione, sia consapevole dell'esistenza della stessa e del contributo causale recato dalla propria condotta alla sua conservazione o al suo rafforzamento, agendo con la volontà di fornire un apporto per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio, dovendo escludersi la sufficienza del dolo eventuale inteso come mera accettazione da parte del concorrente del rischio del verificarsi, insieme ad altri risultati intenzionalmente perseguiti, dell'evento, ritenuto invece solamente probabile o possibile.
Cass. pen. n. 26306/2018
Ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione ad associazione mafiosa non è sufficiente la collaborazione episodica alla trasmissione di messaggi scritti (c.d. pizzini) tra il capo cosca e soggetti affiliati alla stessa, richiedendosi, invece, un'attività di carattere continuativo e fiduciario di "veicolatore abituale di notizie", idonea a fornire un contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale, nonché alla sua conservazione e rafforzamento. (Fattispecie relativa alla consegna di messaggi in due sole occasioni, in cui la Corte ha annullato con rinvio per difetto di motivazione l'ordinanza cautelare che non spiegava come aveva tratto da tale dato di fatto il convincimento della stabilità del contributo del ricorrente).
Cass. pen. n. 25261/2018
Integra il reato di di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la condotta dell'imprenditore "colluso" che, pur senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, instauri con la cosca, su un piano di sostanziale parità e per propria libera scelta, un rapporto volto a conseguire reciproci vantaggi, consistenti, per l'imprenditore, nell'imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l'organizzazione mafiosa, nell'ottenere risorse, servizi od utilità. (Fattispecie in cui un imprenditore, che si occupava del trasporto dei rifiuti presso un termovalizzatore, poneva in essere una sistematica sovrafatturazione mediante la quale veniva occultato il "pizzo" pagato dalla società che gestiva il termovalizzatore e che era successivamente riversato all'associazione criminosa, ottenendone in cambio il monopolio del servizio di trasporto).
Cass. pen. n. 22554/2018
La circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, prevista dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, ha la funzione di reprimere il "metodo delinquenziale mafioso" ed è connessa non alla struttura ed alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza è contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso. (Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso degli imputati volto a contestare la sussistenza dell'aggravante citata, ritenendo che il delitto di sequestro di persona commesso dagli stessi fosse un chiaro "messaggio" intimidatorio nei confronti dei familiari della vittima, finalizzato a far cessare comportamenti lesivi del prestigio criminale dell'associazione).
Cass. pen. n. 111/2018
Il concetto di "appartenenza" ad una associazione mafiosa, rilevante per l'applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla "partecipazione", si sostanzia in un'azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale.
Cass. pen. n. 51906/2017
Ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all'omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l'unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione del vincolo della continuazione tra il reato associativo accertato con la sentenza impugnata ed altro analogo reato, relativo alla medesimo clan camorristico, accertato con sentenza di condanna emessa vent'anni prima, in quanto dalla sentenza impugnata emergeva che il gruppo criminale, sebbene operante nel medesimo ambito territoriale, era profondamente mutato nel tempo, quanto alla compagine sociale ed al programma delinquenziale, per effetto di circostanze contingenti ed occasionali inimmaginabili al momento dell'iniziale affiliazione del ricorrente).
Cass. pen. n. 41772/2017
Ai fini della configurabilità del reato di associazione di tipo mafioso è necessario che l'associazione abbia già conseguito, nell'ambiente in cui opera, un'effettiva capacità di intimidazione esteriormente riconoscibile, che può discendere dal compimento di atti anche non violenti e non di minaccia, che, tuttavia, richiamino e siano espressione del prestigio criminale del sodalizio. (In motivazione, la Corte ha precisato che gli eventuali atti di violenza e minaccia posti in essere da un'associazione di nuova formazione al fine di acquisire sul territorio la capacità di intimidazione, in quanto precedenti all'assoggettamento omertoso della popolazione e strumentali a strutturare il prestigio criminale del gruppo, sono atti esterni ed antecedenti rispetto alla configurazione del reato di cui all'art.416-bis cod.pen.).
La circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione ex art. 416-bis, cod.pen., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso; essa è pertanto configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo. (In motivazione, la Corte ha precisato che il riconoscimento della circostanza aggravante in questione rispetto ad alcuni reati fine di un'associazione per delinquere, commessi anche da soggetti estranei al reato associativo, non consente di attribuire necessariamente al sodalizio il carattere della mafiosità).
Cass. pen. n. 40855/2017
In materia di reati aggravati ex art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, trova applicazione la disciplina della prescrizione disposta dall'art. 160, comma terzo, cod. pen., che per i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., non prevede un termine massimo di prescrizione; ne consegue che in questi casi la prescrizione matura soltanto se, da ciascun atto interruttivo, sia decorso il termine (minimo) di prescrizione fissato dall'art. 157, cod. pen., e, pertanto, in presenza di plurimi atti interruttivi, è potenzialmente suscettibile di ricominciare a decorrere all'infinito.
Cass. pen. n. 36107/2017
In tema di associazione di tipo mafioso, non è esclusa la responsabilità per tale reato nell'ipotesi in cui - nei confronti dello stesso imputato - non sia stata raggiunta la prova della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 7, D.L. 13 maggio 1991, n.152 in relazione alla commissione di reati - fine, dal momento che non ogni reato commesso dai partecipanti al sodalizio criminoso è necessariamente compiuto con l'impiego del metodo mafioso o per agevolare l'organizzazione medesima.
Cass. pen. n. 35277/2017
È configurabile il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa nell'ipotesi in cui l'autore della condotta svolga il ruolo di "alter ego" del soggetto di vertice di un gruppo mafioso, ponendo in essere attività di ausilio ed intermediazione nei suoi riguardi, con carattere continuativo e fiduciario, tali da risolversi in un contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio, nonché alla conservazione ed al rafforzamento di quest'ultimo.
Cass. pen. n. 27428/2017
In tema di associazione di tipo mafioso, va considerato comportamento concludente idoneo, sul piano logico, a costituire indizio di intraneità al sodalizio criminale la presenza e la partecipazione attiva ad una cerimonia di affiliazione, essendo illogico ritenere che il rito di affiliazione o di conferimento di un grado gerarchico all'interno di un'organizzazione mafiosa possa essere officiato da soggetti estranei. (Fattispecie in cui la Corte ha giudicato immune da censure l'ordinanza impugnata, la quale aveva ritenuto che l'appartenenza dell'imputato alla 'ndrangheta fosse dimostrata, in particolare, dalla sua presenza al pranzo di affiliazione di altri sodali).
Cass. pen. n. 27394/2017
Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio con la c.d. «messa a disposizione», in quanto idonea ad accrescere, per ciò solo, la potenziale capacità operativa ed intimidatoria dell'associazione criminale.
Cass. pen. n. 27094/2017
In tema di associazione di tipo mafioso, la costituzione di una nuova organizzazione, alternativa ed autonoma rispetto ai gruppi storici, può essere desunta da indicatori fattuali come le modalità con cui sono commessi i delitti-scopo, la disponibilità di armi e il conflitto con le tradizionali associazioni operanti sul territorio, purché detti indici denotino la sussistenza delle caratteristiche di stabilità e di organizzazione che dimostrano la reale capacità di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di omertà e di assoggettamento che ne deriva. (Fattispecie nella quale la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza che ha escluso l'esistenza della gravità indiziaria del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. con riferimento ad una nuova formazione delinquenziale in difetto dell'accertamento che essa si sia proposta sul territorio ingenerando il clima di generale soggezione che ne giustifica la qualificazione mafiosa).
Cass. pen. n. 24851/2017
Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art.416 bis cod.pen., in ipotesi di strutture delocalizzate e di mafie"atipiche", non è necessaria la prova che l'impiego della forza intimidatoria del vincolo associativo sia penetrato in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di elezione, essendo sufficiente la prova di tale impiego munito della connotazione finalistica richiesta dalla suddetta norma incriminatrice. (In motivazione la Suprema Corte ha precisato che per le organizzazioni diverse dalle c.d. mafie storiche, la valutazione della sussistenza del requisito dell'esternazione del metodo mafioso, non deve essere necessariamente parametrata all'impatto ambientale determinato dal radicamento territoriale dell'organizzazione, giacché la condizione di assoggettamento e di omertà - variabile dipendente dalla permeabilità del contesto sociale all'uso strumentale dell'intimidazione mafiosa - costituisce il riflesso sociologico della metodologia associativa ma non è, rispetto ad essa, causalmente obbligato)
Cass. pen. n. 24850/2017
Il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. è configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza - anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una già attuale pericolosità per l'ordine pubblico. (In motivazione la Corte ha osservato come diverso sia invece il caso di una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ancorché caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche, giacché, rispetto ad essa, è imprescindibile la verifica, in concreto, dei presupposti costitutivi della fattispecie ex art. 416-bis cod. pen., tra cui la manifestazione all'esterno del metodo mafioso, quale fattore di produzione della tipica condizione di assoggettamento ed omertà nell'ambiente circostante).
Cass. pen. n. 31874/2017
Ai fini della applicabilità della speciale attenuante della dissociazione di cui all'art. 8 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152 (conv. in legge n. 203 del 1991) è necessario che il soggetto che ne benefici sia ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa ovvero di un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare le attività mafiose, ai sensi dell'art. 7 del medesimo D.L. n. 152 del 1991; la predetta attenuante non può, invece, trovare applicazione qualora la formale contestazione dell'aggravante di cui al citato art. 7 non trovi positivo riscontro in sentenza.
Cass. pen. n. 19245/2017
Ai fini della configurabilità dell'aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso", prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203), è sufficiente - in un territorio in cui è radicata un'organizzazione mafiosa storica - che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell'associazione, in quanto esso è di per sé noto alla collettività. (Nella fattispecie, relativa ad un'estorsione commessa nel territorio calabrese, la Corte ha ritenuto che i toni percepiti come "mafiosi" dalla P.O. - destinataria della richiesta di uno dei due imputati, pregiudicato per reati gravi, di non eseguire lavori ottenuti in appalto, in modo da favorire l'altro imputato - consentissero di ritenere integrato il "metodo mafioso" di cui alla predetta aggravante, essendo tali toni ben conosciuti dall'imprenditoria del luogo, ove la 'ndrangheta agisce, nella gestione delle attività economiche, in modo seriale, con modalità "tipiche" immediatamente distinguibili dalle vittime).
Cass. pen. n. 18773/2017
L'associazione di tipo mafioso si connota per l'utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l'adozione di uno stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all'esterno attraverso un'opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l'attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale.
Cass. pen. n. 14255/2017
In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, per il riconoscimento della circostanza aggravante della disponibilità delle armi non è richiesta l'esatta individuazione delle armi stesse, ma è sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, quale desumibile ad esempio dai fatti di sangue commessi dal gruppo criminale o dal contenuto delle intercettazioni.
Cass. pen. n. 8461/2017
In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura - caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine - accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall'altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione con cui il tribunale del riesame aveva reputato sussistere la permanenza del vincolo associativo in capo all'indagato - "braccio destro" del capoclan - nonostante la sofferta detenzione, sottolineando come i suoi contatti con il medesimo, e con l'intero gruppo, fossero nel frattempo continuati anche in ragione della periodica erogazione di somme di denaro da parte del sodalizio).
Cass. pen. n. 53423/2016
Alla circostanza aggravante di cui all'art. 7, comma 1, del D.L. n. 152/1991, conv. con modif. in legge n. 203/1991, che si articola nella duplice ipotesi dell'avvalersi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. e dell'avere agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, deve riconoscersi carattere oggettivo, quanto alla prima di dette ipotesi, e carattere soggettivo, quanto alla seconda.
Cass. pen. n. 52607/2016
Ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di un condannato per il reato di associazione di tipo mafioso, qualora sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra l'accertamento in sede penale e la formulazione del giudizio di prevenzione, l'attualità della pericolosità sociale può essere desunta, oltre che dalla condanna definitiva del proposto per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen., anche dall'assenza di elementi idonei a dimostrare il recesso dall'associazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi il provvedimento nel quale veniva sottolineata la mancanza di prova del venir meno dell'associazione di stampo mafioso, nonostante lo stato di detenzione di alcuni compartecipi, nonché l'elevato livello di coinvolgimento ed il rango assunto dal prevenuto nelle attività del gruppo criminoso).
Cass. pen. n. 44644/2016
In sede di applicazione o conferma della misura cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, il giudice non ha l'obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza della pericolosità dell'indagato, essendo sufficiente - in virtù della presunzione relativa della sussistenza delle esigenze cautelari contenuta nell'art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. - che egli dia atto dei gravi indizi in merito all'ipotesi di reato sopra menzionata e dell'inidoneità degli elementi, eventualmente evidenziati dall'indagato o dalla sua difesa, a superare detta presunzione.
Cass. pen. n. 33775/2016
Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 628, comma terzo n. 3, cod. pen., non è necessario che l'appartenenza dell'agente a un'associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma è sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante.
Cass. pen. n. 18132/2016
In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del dolo diretto occorre che l'agente, pur in assenza dell'"affectio societatis" e, cioè, della volontà di far parte dell'associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa nonché dell'efficacia causale della propria attività di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, essendo a tal fine sufficiente che egli abbia previsto ed accettato tale effetto come risultato non solo possibile, bensì certo, o comunque altamente probabile, della propria condotta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, ai predetti fini valutativi, si deve tener conto anche delle massime di esperienza desumibili, fra l'altro, dai rapporti intrattenuti con i membri del sodalizio a fini elettorali, dalla sua conoscenza del ruolo che i suddetti membri ricoprivano nell'ambito della cosca, nonché dalle connotazioni qualitative e quantitative dell'attività prestata in favore dei singoli sodali o del sodalizio).
Cass. pen. n. 34874/2015
Ai fini della consumazione del reato di cui all'art. 416 bis cod. pen., è necessario che l'associazione abbia conseguito, in concreto, nell'ambiente nel quale essa opera, e sia pure limitatamente ad un determinato settore, un'effettiva capacità di intimidazione, con la conseguenza che, nel caso di un'autonoma consorteria delinquenziale, pur se la stessa mutui il metodo mafioso da stili comportamentali in uso a clan operanti in altre aree geografiche, occorre comunque accertarne il radicamento "in loco" con quelle peculiari connotazioni. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la decisione impugnata in relazione ad un'organizzazione criminale che, pur conservando rapporti di parentela e di contiguità con soggetti appartenenti alla "ndrangheta" calabrese, operava in modo autonomo ed in via esclusiva in Umbria e che, inoltre, aveva avuto la costante necessità di far ricorso ad atti di intimidazione per conseguire i suoi illeciti scopi).
Cass. pen. n. 34147/2015
Ai fini della configurabilità della natura mafiosa della diramazione di un'associazione di cui all'art. 416 bis cod. pen., costituita fuori dal territorio di origine di quest'ultima, è necessario che l'articolazione del sodalizio sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale, ma attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano a contatto con i suoi componenti, la quale può, in concreto, promanare dalla diffusa consapevolezza del collegamento con l'associazione principale, oppure dall'esteriorizzazione "in loco" di condotte integranti gli elementi previsti dall'art. 416 bis, comma terzo, cod. pen. (Fattispecie relativa alle "locali" de "La Lombardia "collegata con 'ndrangheta operante in Calabria).
Cass. pen. n. 31413/2015
La circostanza attenuante speciale della dissociazione di cui all'art. 8 legge n.203 del 1991 si fonda sul mero presupposto dell'utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all'associazione di tipo mafioso e non può essere, pertanto, disconosciuta o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato né alle ragioni che hanno determinato quest'ultimo alla collaborazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione impugnata che non aveva applicato l'attenuante nel massimo perché la collaborazione era iniziata solo dopo che il soggetto era stato raggiunto da ordinanza cautelare).
Cass. pen. n. 25360/2015
È configurabile il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen. laddove l'associazione per delinquere si sia radicata "in loco" mutuando dai clan operanti in altre aree geografiche i ruoli, i rituali di affiliazione e il livello organizzativo, e risulti agire in concreto, nell'ambiente in cui opera, con metodo mafioso, esteriorizzando cioè un'effettiva forza intimidatrice rivolta verso i propri sodali e verso i terzi vittime dei reati-fine, che si traduce in omertà e assoggettamento. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva ravvisato la sussistenza di una organizzazione qualificabile a norma dell'art. 416 bis cod. pen., con riferimento ad una cosca che, costituitasi autonomamente in Veneto, utilizzava metodi violenti, si presentava dichiaratamente come collegata al clan dei "Casalesi" e si avvaleva della forza di intimidazione derivante dall'evocare tali legami).
Cass. pen. n. 8929/2015
In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, non sussiste la responsabilità del cosiddetto "capo famiglia", a titolo di concorso nel reato-fine "eccellente" (nella specie strage e delitti connessi), qualora questi, ancorché a conoscenza dei progetti in corso e del coinvolgimento operativo di "suoi" uomini, non abbia prestato fattiva, concreta e costante collaborazione nell'organizzazione e gestione del reato, decisa dalla struttura di vertice del sodalizio criminale, in quanto l'omessa attivazione di ipotetici provvedimenti interdittivi non potrebbe comunque essere considerata equivalente ad una prestazione di consenso o addirittura alla formulazione di un ordine nei confronti dei propri uomini.
Cass. pen. n. 53675/2014
In tema di misure cautelari nei confronti di soggetti indagati di partecipazione ad associazione mafiosa, in assenza di elementi da cui risulti l'avvenuto recesso volontario dal sodalizio, la valutazione prognostica sfavorevole prevista dall'art. 275, comma terzo, c.p.p., non è vinta dal fatto che l'incolpato abbia dismesso l'ufficio o la funzione nell'esercizio dei quali ha realizzato la condotta criminosa, in considerazione delle accertate capacità relazionali che egli, ricoprendo le precedenti cariche (nella fattispecie prima di consigliere provinciale e poi di sindaco), aveva intrecciato nel mondo della politica e dell'amministrazione pubblica.
Cass. pen. n. 28225/2014
Integra la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta di colui che, pur restando al di fuori del sodalizio criminale, assicura allo stesso, nell'arco di un periodo di tempo pluriennale, la costante consegna di cospicue somme di denaro versate da un imprenditore quale corrispettivo della "tranquillità" personale ed economica assicuratagli, in esecuzione di un accordo stipulato tra le due "parti" anche per effetto della mediazione dell'agente, poiché tale comportamento configura un contributo causale determinante alla realizzazione, almeno parziale, del programma criminoso dell'organizzazione delinquenziale, diretto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione.
Cass. pen. n. 43963/2013
In tema di associazione per delinquere, la parziale sovrapposizione di soggetti, tempi, territori e oggetto dell'attività criminale organizzata impone al giudice, per affermare la configurabilità di diversi ed autonomi sodalizi, di fornire espressa indicazione delle ragioni che inducono ad escludere l'ipotesi di un unico gruppo criminale che operi in permanenza, con fisiologici adattamenti della propria composizione ed azione al trascorrere del tempo e delle condizioni esterne. (Fattispecie relativa a condotte di partecipazione ad associazione di tipo mafioso dedita anche al traffico di stupefacenti).
Cass. pen. n. 43901/2013
La prova della partecipazione di un imprenditore ad una associazione per delinquere di stampo mafioso non può essere desunta dal solo fatto che egli si sia reso disponibile a fungere da formale intestatario di una impresa, o di sue quote, a favore di un esponente del sodalizio criminale, effettivo titolare e gestore dell'attività economica, trattandosi di espediente utilizzabile anche al solo fine di eludere divieti di natura civilistica o di celare interessi illeciti non riconducibili alla cosca.
Cass. pen. n. 35100/2013
La fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso si atteggia come reato permanente, al pari di quella di partecipazione alla medesima associazione da parte del soggetto organicamente inserito nel sodalizio, fermo restando che il concorrente può far cessare la permanenza desistendo dal continuare a prestare il proprio apporto alla vita dell'associazione.
Cass. pen. n. 22989/2013
Integra la fattispecie delittuosa prevista dall'art. 416 bis c.p. la condotta di coloro che, attraverso la carica intimidatoria indotta dalla "presenza" e dallo specifico "interesse" manifestato dal sodalizio mafioso sul territorio locale, condizionino e manipolino una tornata elettorale amministrativa al fine di creare le premesse per inserire uomini del sodalizio in seno all'amministrazione locale, non occorrendo che le pressioni sugli elettori assumano connotati di eclatante violenza o minaccia.
Cass. pen. n. 18491/2013
In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, deve escludersi che la semplice esistenza di relazioni di parentela con un esponente dell'associazione costituisca di per sé prova o solo indizio della appartenenza di un soggetto alla medesima. (Nella specie, la S.C. ha, comunque, affermato che, una volta accertata l'esistenza di una organizzazione delinquenziale a base familiare ed una non occasionale attività criminosa dei singoli esponenti della famiglia, nulla impedisce al giudice di attribuire alla circostanza che vi siano legami di parentela tra un soggetto e coloro che nella associazione occupano posizioni di vertice o di rilievo, valore indiziante in ordine alla sua partecipazione al sodalizio criminoso).
Cass. pen. n. 13506/2013
Integra il delitto di partecipazione ad una associazione mafiosa la condotta di colui che assolve il compito di far circolare ordini ed informazioni tra accoliti detenuti ed accoliti in libertà. (Fattispecie relativa alla moglie del capo di una cosca ristretto da lungo tempo in carcere).
Cass. pen. n. 45860/2012
Nella ipotesi di contestazione del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso in cui la condotta, iniziata prima della l. 24 luglio 2008 n. 125, introduttiva di un regime sanzionatorio più severo, sia proseguita anche dopo l'entrata in vigore di quest'ultima, sussiste un unico reato permanente e si applica la disciplina sanzionatoria in vigore al momento in cui la condotta associativa è venuta a cessare.
Cass. pen. n. 22582/2012
Integra la fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, e non quella di favoreggiamento continuato, la condotta reiterata e continuativa di rivelazione a membri del sodalizio criminale di notizie relative ad indagini svolte nei loro confronti dall'autorità. (Fattispecie relativa a rivelazione, protrattasi nel tempo, da parte di dipendente di un istituto di credito di informazioni sulle indagini bancarie condotte dalla Guardia di Finanza sugli esponenti di vertice di un sodalizio mafioso).
Cass. pen. n. 19943/2012
Il concetto di "appartenenza" ad una associazione mafiosa, richiesto ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione, va distinto da quello di "partecipazione", necessario ai fini dell'integrazione del corrispondente reato: quest'ultima richiede una presenza attiva nell'ambito del sodalizio criminoso, mentre la prima è comprensiva di ogni comportamento che, pur non integrando gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, sia funzionale agli interessi dei poteri criminali e costituisca una sorta di terreno favorevole permeato di cultura mafiosa.
Cass. pen. n. 18797/2012
Nei rapporti tra partecipazione ad associazione mafiosa e mero concorso esterno, la differenza tra il soggetto "intraneus" ed il concorrente esterno risiede nel fatto che quest'ultimo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur fornendo ad essa un contributo causalmente rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione, e, sotto il profilo oggettivo, è privo della "affectio societatis", mentre il partecipe "intraneus" è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell'accordo, e quindi del programma delittuoso, in modo stabile e permanente. (La S.C. ha precisato che anche il contributo degli appartenenti alla c.d. "borghesia mafiosa" può integrare gli estremi della vera e propria partecipazione all'associazione mafiosa, e non del mero concorso esterno).
Cass. pen. n. 47404/2011
La circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203 (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) è legittimamente desumibile di per sé, sul piano indiziario, dalla appartenenza degli autori del fatto ad un sodalizio di stampo camorristico, salvo che non ricorrano elementi indicativi della riconducibilità degli episodi ad un alveo "intimidatorio" di tutt'altra natura.
Cass. pen. n. 31345/2011
In tema di associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del concorso "esterno" nel reato non è sufficiente il fatto che l'imputato abbia preso in consegna e custodito un'arma di pertinenza dell'organizzazione e destinata all'esecuzione di un agguato già programmato, in assenza della dimostrazione della effettiva e significativa incidenza della circostanza sull'attività del sodalizio.
Cass. pen. n. 26331/2011
In tema di associazione a delinquere (nella specie di tipo mafioso), la messa a disposizione dell'organizzazione criminale, rilevante ai fini della prova dell'adesione, non può risolversi nella mera disponibilità eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand'anche di livello apicale, a servizio di loro interessi particolari, ma deve essere incondizionatamente rivolta al sodalizio ed essere di natura ed ampiezza tale da dimostrare l'adesione permanente e volontaria ad esso per ogni fine illecito suo proprio.
Cass. pen. n. 25242/2011
L'integrazione della fattispecie di associazione di tipo mafioso implica che un sodalizio criminale sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale, ma attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano a contatto con i suoi componenti. (La Suprema Corte ha precisato che il condizionamento della libertà morale dei terzi estranei al sodalizio non deve necessariamente scaturire da specifici atti intimidatori, ma può costituire l'effetto del timore che promana direttamente dalla capacità criminale dell'associazione).
La presenza, tra gli affiliati di un sodalizio criminale, di persone già condannate per delitti di mafia, non costituisce elemento decisivo per configurare il sodalizio come mafioso, se la caratura mafiosa del singolo soggetto non si sia trasmessa all'intera struttura associativa, non potendo essere accolta in astratto, in difetto di una concreta verifica, la regola "semel mafioso, semper mafioso".
Cass. pen. n. 16606/2011
Ai fini della configurabilità del reato di partecipazione ad associazione per delinquere (comune o di tipo mafioso), non è sempre necessario che il vincolo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato, e per fini di esclusivo vantaggio dell'organizzazione stessa, ben potendo, al contrario, assumere rilievo forme di partecipazione destinate, "ab origine", ad una durata limitata nel tempo e caratterizzate da una finalità che, oltre a comprendere l'obiettivo vantaggio del sodalizio criminoso, in relazione agli scopi propri di quest'ultimo, comprenda anche il perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere anche, nell'ottica del soggetto, una funzione meramente strumentale, senza per questo perdere nulla della rilevanza penale. (In motivazione, la Corte ha precisato che, a tali fini, non occorre evocare la diversa figura giuridica del cosiddetto "concorso eventuale esterno" del singolo nell'associazione per delinquere).
Cass. pen. n. 13609/2011
Non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell'ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al rafforzamento del medesimo, non erano programmabili "ab origine" perché legati a circostanze ed eventi contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell'associazione stessa. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso diretto al riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso ed un duplice omicidio commesso da un associato, disattendendo la tesi secondo cui, per ritenere configurabile la continuazione, sarebbe stato sufficiente il solo rapporto di strumentalità del predetto reato fine alla funzionalità della cosca).
Cass. pen. n. 10740/2011
La circostanza attenuante speciale per la dissociazione di cui all'art. 8 L. n. 203 del 1991 si fonda sul mero presupposto dell'utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all'associazione di tipo mafioso e non può pertanto essere disconosciuta, o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato o, ancora, alle ragioni che hanno determinato l'imputato alla collaborazione.
Cass. pen. n. 30402/2010
Ai fini della prova di un omicidio avvenuto all'interno di sodalizio mafioso, non rientrante tra i cosiddetti "delitti eccellenti" che, come tali, richiedono il necessario "placet" dell'organismo apicale dell'associazione criminosa, la chiamata in correità non può ritenersi riscontrata semplicemente con il dato della riconosciuta appartenenza ad essa, sia pure in posizione tendenziale di vertice, del chiamato, ma necessita di ulteriori e significativi riscontri.
Cass. pen. n. 29924/2010
Poiché l'associazione di tipo mafioso si connota rispetto all'associazione per delinquere per la sua tendenza a proiettarsi verso l'esterno, per il suo radicamento nel territorio in cui alligna e si espande, i caratteri suoi propri, dell'assoggettamento e dell'omertà, devono essere riferiti ai soggetti nei cui confronti si dirige l'azione delittuosa, in quanto essi vengono a trovarsi, per effetto della convinzione di essere esposti al pericolo senza alcuna possibilità di difesa, in stato di soggezione psicologica e di soccombenza di fronte alla forza della prevaricazione. Pertanto, la diffusività di tale forza intimidatrice non può essere virtuale, e cioè limitata al programma dell'associazione, ma deve essere effettuale e quindi manifestarsi concretamente, con il compimento di atti concreti, sì che è necessario che di essa l'associazione si avvalga in concreto nei confronti della comunità in cui è radicata. (Nella specie, in cui era stata accertata, in sede di merito, la sussistenza di una condizione di intimidazione sistematica di imprenditori, costretti ad esborsi mensili verso gli esponenti del sodalizio criminoso, nonché esposti a continue violenze, minacce e danneggiamenti, la Corte ha ritenuto correttamente configurata un'associazione di tipo mafioso)
Cass. pen. n. 24803/2010
Il reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche con riferimento a sodalizi criminosi a matrice straniera costituiti prima dell'entrata in vigore della L. 12 luglio 2008 n. 125, di conversione in legge del D.L. 23 maggio 2008 n. 92 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), che ha introdotto l'inciso "anche straniere" nell'ultimo comma dell'art. 416-bis c.p., in quanto essa non ha inserito un elemento di novità nel tessuto legislativo preesistente, ma ha solo adeguato la normativa a un dato già chiaro e conseguito per via di interpretazione.
Cass. pen. n. 24194/2010
La prova della partecipazione all'associazione, stante l'autonomia del reato associativo rispetto ai reati "fine", può essere data con mezzi e modi diversi dalla prova in ordine alla commissione dei predetti, sicché non rileva, a tal fine, il fatto che l'imputato di reato associativo non sia stato condannato per i reati "fine" dell'associazione.
Cass. pen. n. 16883/2010
La sussistenza della circostanza aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso", prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991 n. 203, non implica che sia stata dimostrata l'esistenza di un'associazione di tipo mafioso (Nel caso concreto, si trattava di un gruppo criminale dedito alle estorsioni, che era stato ricondotto alla fattispecie di cui all'art. 416 c.p. piuttosto che a quella di cui all'art. 416-bis c.p., in quanto non aveva ancora conseguito l'egemonia sul territorio).
Cass. pen. n. 14173/2010
Il delitto di associazione di tipo mafioso aggravato dalla disponibilità di armi concorre con quelli di detenzione e porto di armi comuni da sparo.
Cass. pen. n. 10243/2010
L'aggravante del "metodo mafioso", di cui all'art. 7 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, essendo prevista esclusivamente in relazione ai delitti, non può trovare applicazione rispetto alle contravvenzioni.
Cass. pen. n. 9091/2010
Rispondono del reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso i soggetti che abbiano assunto il ruolo di "avvicinati", e cioè che, pur non compartecipando ancora al patrimonio di conoscenze dell'organizzazione e non disponendo di potere deliberativo, si sono messi a disposizione del sodalizio mafioso e svolgono una sorta di apprendistato in attesa della piena affiliazione formale.
Cass. pen. n. 23121/2009
La mancanza di una formale contestazione dell'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203 - contemplata per i delitti, punibili con pena diversa dall'ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare le attività mafiose - è ostativa all'applicabilità della speciale attenuante, di cui al successivo art. 8 stessa legge, prevista a favore di chi, nei reati di tipo mafioso nonché nei delitti commessi al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori.
Cass. pen. n. 29770/2009
In tema di associazione di tipo mafioso, le condotte di partecipazione e di direzione o di organizzazione, se consumate in tempi diversi ma in relazione al medesimo sodalizio criminoso, non integrano due distinti reati in continuazione tra loro, bensì un unico delitto iscrivibile nel paradigma del reato progressivo caratterizzato dall'offesa crescente al medesimo bene giuridico. (In motivazione la Corte ha chiarito che il rapporto tra le due autonome fattispecie di reato descritte nei primi due commi dell'art. 416 bis c.p. deve essere risolto nel senso sopra descritto in forza della clausola di consunzione individuata dalla formula «per ciò solo» contenuta nel secondo comma dell'articolo menzionato).
Nell'ipotesi di concorso tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso dai commi quarto e sesto dell'art. 416 bis c.p., ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale di cui all'art. 63, comma quarto, c.p., bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui al citato sesto comma dell'art. 416 bis, che prevede l'aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata.
Cass. pen. n. 8738/2009
L'espressa adesione alla partecipazione ad un "processo camorristico", nel quale sia previsto l'uso di armi da sparo per l'esecuzione della eventuale condanna degli accusati, implica il consenso preventivo all'uso cruento e illimitato delle medesime, anche se tale evenienza sia di fatto riconducibile alla scelta esecutiva di un unico esecutore materiale. (Fattispecie in cui la Corte ha ravvisato un'ipotesi di concorso ordinario a norma dell'art. 110 c.p. e non quella di concorso cosiddetto anomalo, ai sensi del successivo art. 116, nella partecipazione di un concorrente nel duplice omicidio eseguito materialmente da altri all'esito di un "processo camorristico").
Cass. pen. n. 8451/2009
È configurabile la continuazione tra reato associativo e reati fine esclusivamente qualora questi ultimi siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso. (Fattispecie in cui è stata esclusa la continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso e quello di traffico di stupefacenti e conseguentemente è stata ritenuta inapplicabile la disciplina dell'art. 297, comma terzo, c.p.p. alle distinte ordinanze cautelari emesse in riferimento agli stessi).
Cass. pen. n. 3861/2009
L'aggravante cosiddetta del "metodo" o della "agevolazione" mafiosi ricorre anche se la condotta in cui essa si concreta sia stata esercitata da un solo soggetto, non essendo necessario che essa sia tenuta da una pluralità di persone, ma bastando che il soggetto passivo percepisca che la minaccia e l'intimidazione provengano da più persone, in quanto tale circostanza esercita, di per se stessa, maggiore effetto intimidatorio.
Cass. pen. n. 36769/2008
Ai fini della configurabilità del concorso esterno nell'associazione di tipo mafioso deve essere provato che la condotta atipica dell'estraneo abbia efficacemente condizionato, sia pure istantaneamente, quella tipica dei membri, necessaria per tenere in vita l'associazione in attuazione del programma. (Fattispecie relativa all'accordo intercorso tra l'associazione mafiosa ed esponenti di imprese locali e nazionali per l'assegnazione "a tavolino" di appalti pubblici di elevato importo).
Cass. pen. n. 28962/2008
In tema di associazione di tipo mafioso, non costituiscono espressione di «metodo mafioso » quei comportamenti genericamente riconducibili solo ad autorevolezza dei membri del sodalizio nella comunità locale, quando, in mancanza di ulteriori elementi di fatto, gli stessi non siano inquadrabili in un clima di sopraffazione a carico del corpo elettorale, ma possono avere spiegazioni alternative, anche se riconducibili a condotte illecite perché idonee al turbamento della libera espressione del voto. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso che, in difetto di ulteriori elementi, fossero espressione di metodo mafioso i summit risultati decisivi per la formazione delle liste e per le candidature dei vertici dell'amministrazione comunale, il ritiro delle schede e la loro riconsegna al momento del voto agli elettori, la consegna del cosiddetto «stampino » dato agli elettori analfabeti ovvero il presidiamento dei seggi e le promesse di impieghi o favori fatti agli elettori ).
Cass. pen. n. 27343/2008
La confisca di cui all'art. 12 sexies L. 7 agosto 1992, n. 356, è applicabile anche nei confronti degli eredi a seguito della morte della persona condannata con sentenza irrevocabile per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p., in quanto gli stessi non rientrano nella categoria dei «terzi estranei » di cui all'art. 240 c.p. e gli effetti della sentenza di condanna definitiva che vengono inevitabilmente a cessare dopo la morte del condannato sono solo quelli di natura personale e non quelli di natura reale. (Fattispecie in cui gli eredi avevano richiesto al giudice dell'esecuzione la restituzione di beni sottoposti a confisca dopo la morte della persona condannata con sentenza irrevocabile ).
Cass. pen. n. 542/2008
La prova del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, qualora sia fondata sulla convergenza di una pluralità di contributi dichiarativi, non può essere esclusa attraverso una selezione dei singoli compendi al fine di censurarne la loro autonoma valenza accusatoria. (La Corte ha precisato che operando in tal modo si procederebbe all'indebita estrapolazione del singolo elemento dal complessivo contesto probatorio, negando in maniera aprioristica e surrettizia la necessaria visione dinamica ed unitaria della continuità e ripetitività dei contegni di agevolazione e conservazione del consorzio criminoso, i quali costituiscono, invece, l'essenza della fattispecie in questione).
Cass. pen. n. 34974/2007
In tema di associazione di tipo mafioso, in mancanza di elementi relativi al compimento di atti diretti ad intimidire, deve comunque risultare un clima di diffusa intimidazione derivante dalla consolidata consuetudine di violenza dell'associazione stessa, clima percepito all'esterno e del quale si avvantaggino gli associati per perseguire i loro fini.
Cass. pen. n. 7660/2007
In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, sussiste la responsabilità del cosiddetto capo mandamento della provincia, a titolo di concorso nel reato-fine « eccellente» (nella specie strage e delitti connessi) qualora quest'ultimo — ancorché non sussista la prova che abbia partecipato alle riunioni della c.d. commissione in cui si sia deliberato il delitto — sia, tuttavia, in virtù della qualità di capo mandamento, membro di detta « commissione» e legato ai soggetti che all'epoca ne detenevano il controllo e tale delitto sia eseguito nel territorio appartenente al mandamento di cui egli abbia, quale capo, il controllo, considerato che un'eventuale inconsapevolezza al riguardo non solo avrebbe potuto seriamente ostacolarne l'attuazione ma anche comportare seri pericoli per i membri inavveduti; consapevolezza, d'altro canto, nella specie, dimostrata anche da ulteriori precise emergenze storiche in relazione al tempo ed al luogo del delitto (presenza nel territorio immediatamente prima, avvertimento al capo del mandamento vicino e conoscenza del luogo del delitto immediatamente dopo annotato su una cartina stradale).
Cass. pen. n. 1073/2007
In tema di associazione di stampo mafioso, affinché risulti integrato il concorso esterno, gli effetti delle condotte dei soggetti agenti devono risultare utili per l'intera associazione, e non solo per qualche suo componente, come nell'ipotesi di mero favoreggiamento personale. (Nel caso di specie, la S. comma ha ritenuto configurabile il concorso esterno a carico delle persone che avevano curato la trasmissione di messaggi — i c.d. pizzini — tra uno dei capi dell'associazione mafiosa, latitante da lungo tempo, ed un rappresentante di spicco della stessa, detenuto, in quanto tali condotte avevano fornito un contributo consistente all'associazione — garantendo agli esponenti di vertice di «Cosa Nostra» di mantenerne la gestione anche in situazioni di difficoltà quali la latitanza e la detenzione — e sussisteva la piena consapevolezza di recare aiuto all'intera organizzazione in capo agli autori delle condotte, a conoscenza del ruolo ricoperto all'interno dell'organizzazione dal soggetto ristretto in carcere, per effetto del vincolo di parentela ed affinità con quest'ultimo, vincolo che aveva legittimato la continua ammissione ai colloqui nella casa circondariale).
Cass. pen. n. 41332/2006
Allorché siano contestate, in relazione allo stesso reato, le circostanze aggravanti di aver agito al fine di agevolare l'attività d un'associazione di tipo mafioso e di aver agito per motivi abietti e il motivo abietto venga identificato per intero nella predetta finalità, l'aggravante comune deve essere assorbita in quella speciale.
Cass. pen. n. 40643/2006
L'adesione ad un sodalizio criminoso, che si è formato e ha operato in Italia, integra la partecipazione a un reato commesso nel territorio dello Stato anche qualora l'associato rimanga materialmente sempre all'estero, ove la sua condotta di partecipazione all'associazione si sia svolta per intero, con l'apporto di contributi apprezzabili alla organizzazione.
Cass. pen. n. 34193/2006
La circostanza attenuante speciale della dissociazione attuosa, prevista per i delitti di cui all'articolo 416 bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso, soggiace, in assenza di un'espressa deroga di legge, alla regola generale del giudizio di comparazione con altre circostanze.
Cass. pen. n. 30062/2006
La mancanza di una formale contestazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, configurabile rispetto ad ogni delitto, punito con sanzione diversa dall'ergastolo, che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, non è ostativa all'applicabilità della speciale attenuante, di cui al successivo articolo 8 della stessa legge, prevista per coloro che si dissocino dalle organizzazioni di tipo mafioso adoperandosi per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze.
Cass. pen. n. 26268/2006
Affinché la circostanza aggravante ex art. 7 D.L. n. 152 del 1991 (avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività dell'associazione prevista dallo stesso articolo) possa ritenersi configurata non è sufficiente la prova che l'agente abbia conseguito, al pari dei vertici mafiosi che hanno offerto protezione, un tornaconto anche economico della propria attività delittuosa, bensì la dimostrazione che tali vantaggi sono stati pariteticamente concordati e non rappresentano semplicemente la risultanza di uno degli effetti comunque ricollegabili alla condotta sopraffattrice della associazione.
Cass. pen. n. 19141/2006
Ai fini della consumazione del reato di cui all'art. 416 bis c.p., è necessario che l'associazione abbia conseguito, in concreto, nell'ambiente nel quale essa opera, un'effettiva capacità di intimidazione. Ne consegue che, in presenza di un'autonoma consorteria delinquenziale, che mutui il metodo mafioso da stili comportamentali in uso a clan operanti in altre aree geografiche, è necessario accertare che tale associazione si sia radicata in loco con quelle peculiari connotazioni. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di merito che, evocando acquisizioni giudiziarie ed elementi di notorietà in ordine alla esistenza in Sicilia di un clan mafioso a struttura familistica, era giunta alla conclusione che un'autonoma consorteria operante in territorio milanese, godendo della fama criminale della 'ndrangheta, aveva perpetrato in altro contesto spaziale le stesse metodiche comportamentali).
Cass. pen. n. 16493/2006
In tema di associazione di tipo mafioso, integra la materialità del «concorso esterno» l'attività del magistrato che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'affectio societatis, assicuri, in esecuzione di una promessa fatta ai vertici della associazione mafiosa, il proprio voto favorevole alla assoluzione di imputati appartenenti al sodalizio stesso e una gestione compiacente del dibattimento, così precostituendosi un giudice non imparziale ma prevenuto in favore degli imputati, il cui sodalizio si rafforza per effetto del contributo del membro della istituzione giudiziaria, e non essendo viceversa necessaria la prova che egli abbia anche persuaso e orientato le scelte degli altri membri del collegio. (In motivazione la Corte ha censurato la decisione dei giudici di merito i quali avevano assolto il magistrato sul rilievo che era mancata la prova del condizionamento operato dall'imputato sugli altri giudici, pur in presenza di indizi — quali dichiarazioni di collaboranti — non valutati nella loro globalità).
Cass. pen. n. 14527/2006
In tema di reati di criminalità organizzata, il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 8 D.L. n. 152 del 1991, che è fondata su un'utilità obiettiva, la quale consiste nel proficuo contributo fornito alle indagini ovvero nell'aver evitato conseguenze ulteriori all'attività delittuosa, non implica necessariamente, data la diversità dei rispettivi presupposti, il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, le quali si fondano su una globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole.
Cass. pen. n. 12393/2006
Qualora un'associazione di tipo mafioso sia caratterizzata dall'esistenza di un organismo di vertice, ogni deliberazione di azioni delittuose di natura strategica è di regola ascrivibile a coloro che ne fanno parte, a meno che non siano acquisiti elementi per ritenere che il soggetto non sia stato consultato o abbia espresso il suo dissenso. (La Corte ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione fondata su presunzioni in relazione alla possibile espressione di un dissenso).
Cass. pen. n. 8565/2006
La riconosciuta, reciproca indipendenza fra due associazioni di tipo mafioso non implica che eventuali azioni da esse svolte in comune siano necessariamente da qualificare come una sorta di interventi di «mutuo soccorso» posti in essere estemporaneamente, in conformità di un «codice d'onore» disciplinante, secondo comune esperienza, i rapporti fra associazioni criminose che non siano in conflitto fra loro, dovendosi al contrario verificare, prima di giungere ad una tale conclusione, che non si sia invece in presenza di interventi stabili e programmati posti in essere nell'ambito di quella che possa ritenersi una federazione tra le due associazioni, da riguardare, quindi, come un organismo di natura associativa autonoma, avente una propria struttura e propri autonomi obiettivi. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte, su ricorso del P.M., ha annullato con rinvio, per difetto di motivazione, la sentenza di merito che aveva escluso la configurabilità di un unico rapporto associativo fra due gruppi camorristici limitandosi ad osservare che la stessa non poteva essere desunta dal fatto che vi fossero stati reciproci interventi di sostegno dell'uno a favore dell'altro essendo questi da riguardare, appunto, secondo la suddetta sentenza, come semplici e sporadiche manifestazioni di «mutuo soccorso» inteso come doveroso nel mondo della criminalità organizzata).
Cass. pen. n. 3822/2006
L'appartenenza dell'imputato all'organismo centrale di un'organizzazione criminale di stampo mafioso («Cosa nostra»), titolare del potere di deliberazione in merito alla realizzazione di singoli e specifici fatti criminosi, non è di per sé elemento sufficiente per la configurazione del concorso morale nel delitto di omicidio, essendo necessario che i singoli componenti, informati in ordine alla delibera da assumere, prestino il proprio consenso, anche tacito, fornendo così il proprio contributo alla specifico reato. (La Corte ha quindi precisato che è sufficiente ad integrare il concorso anche il comportamento silente eventualmente tenuto nel corso di una riunione di tale organismo deliberativo, nel corso della quale è stato conferito il mandato omicidiario, in quanto anche la sola presenza può significativamente rafforzare l'altrui proposito criminoso).
Cass. pen. n. 46552/2005
In materia di partecipazione ad associazione di stampo mafioso è ragionevole considerare «imprenditore colluso» quello che è entrato in rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l'imprenditore nell'imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell'ottenere risorse, servizi o utilità; mentre è ragionevole ritenere «imprenditore vittima» quello che soggiogato dall'intimidazione non tenta di venire a patti col sodalizio, ma cede all'imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un'intesa volta a limitare tale danno. Ne consegue che il criterio distintivo tra le due figure è nel fatto che l'imprenditore colluso, a differenza di quello vittima, ha consapevolmente rivolto a proprio profitto l'essere venuto in relazione col sodalizio mafioso.
Cass. pen. n. 35034/2005
La fattispecie associativa finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) non si pone in rapporto di specialità con la figura associativa prevista dall'art. 416 bis c.p. (associazione di stampo mafioso), per cui deve escludersi l'applicazione dell'art. 15 c.p., potendo configurarsi il concorso formale di reati.