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Art. 423 — Incendio

Art. 423 — Incendio

Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La disposizione precedente si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica [ 425, 449 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 14263/2017

Ai fini dell’integrazione del delitto di incendio (doloso o colposo) occorre distinguere tra il concetto di “fuoco”e quello di “incendio”, in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone.

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Cass. pen. n. 1697/2014

Il discrimine tra il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) e quello di incendio (art. 423 c.p.) è costituito dall’elemento psicologico del reato. Nell’ipotesi prevista dall’art. 423 c.p. esso consiste nel dolo generico, cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tende ad espandersi e non può facilmente essere contenuta e spenta, mentre, invece, il reato di cui all’art. 424 c.p. è caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento. Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall’art. 423 c.p., è applicabile quest’ultima norma e non l’art. 424 c.p., nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente.

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Cass. pen. n. 16612/2013

Nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall’art. 423 c.p., è applicabile quest’ultima norma e non l’art. 424 c.p., nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente.

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Cass. pen. n. 27542/2010

È configurabile il concorso tra il delitto di incendio e quello di omicidio, anche nella forma del tentativo, non potendosi identificare il pericolo per l’incolumità pubblica proprio del primo reato nel pericolo per la vita e l’incolumità delle persone. (Nella specie, la condotta dell’agente era consistita nell’appiccare il fuoco a una catasta di legna immediatamente prospiciente il vano cucina di appartamento abitato dal coniuge, in direzione del quale erano stati collocati tre candelotti di fuochi d’artificio e due bombole di gas con gli ugelli aperti).

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Cass. pen. n. 28843/2009

La presunzione “iuris et de iure”del pericolo nel caso di incendio di cosa altrui è configurabile anche con riferimento a cosa parzialmente altrui (nella specie, bene del quale il reo era comproprietario).

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Cass. pen. n. 4417/2009

Integra il delitto di incendio tentato l’appiccare un fuoco che sia poi domato sul nascere, prima di poter divampare in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, sì da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone.

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Cass. pen. n. 25781/2003

Il discrimine tra il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) e quello di incendio (art. 423 c.p.) è segnato dall’elemento psicologico del reato. Nell’ipotesi prevista dall’art. 423 c.p. esso consiste nel dolo generico, cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tende ad espandersi e non può facilmente essere contenuta e spenta. Il reato di cui all’art. 424 c.p. è, invece, caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento. Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall’art. 423 c.p., è applicabile quest’ultima norma e non l’art. 424 c.p., nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente.

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Cass. pen. n. 39680/2002

Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, non ostandovi la previsione di cui all’art. 42, comma secondo, c.p., che, riferendosi soltanto alla parte speciale del codice, non interessa le disposizioni di cui agli artt. 110 e 113 c.p. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità di un soggetto per aver contribuito a cagionare l’incendio appiccato dolosamente da persona rimasta ignota).

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Cass. pen. n. 6571/2000

L’obbligo di provvedere al taglio di rami di alberi in vicinanza di una linea elettrica in modo da assicurare una distanza di sicurezza dai conduttori aerei ed evitare — così — corti circuiti, fa capo — come previsto dall’art. 121 della legge n. 1775 del 1933 — (esclusivamente) al proprietario-gestore della linea elettrica (nella specie l’Enel), e, per esso, all’incaricato del controllo sul tratto interessato, e non è delegabile o trasferibile, neppure al proprietario del fondo oggetto della servitù di elettrodotto, a carico del quale, pertanto, in ipotesi di incendio colposo conseguente ad un fenomeno di arco voltaico, non si renderà configurabile alcun tipo di responsabilità penale. Ed ove poi quest’ultimo, con contratto stipulato all’atto della costituzione della servitù di elettrodotto, avesse assunto su di sè l’obbligo di provvedere al taglio dei rami, il conseguente titolo di responsabilità contrattuale non potrà, in sede penale, essere assunto in considerazione ai fini delle statuizioni civili, posto che l’azione civile da danno che può far valere nel processo penale è soltanto quella collegata direttamente e strettamente al fatto reato, e posto che sia le pretese della parte civile, che le eccezioni dell’imputato e dei responsabili civili ad esse correlative, debbono avere fondamento esclusivo nel titolo rappresentato dal «fatto di reato», e non possono in alcun modo riguardare titoli diversi aventi rilevanza solo civilistica, e perciò suscettibili di essere fatti valere solo nella loro sede propria, rappresentata da un autonomo processo civile.

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Cass. pen. n. 4129/2000

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 423, secondo comma, c.p., per «cosa propria» deve intendersi quella su cui grava il diritto di proprietà dell’agente e non quella semplicemente posseduta o sulla quale altri vanti un diritto reale limitato. (Nella specie la Corte ha ritenuto che non potesse considerarsi proprietario del bene colui che lo amministra e lo detiene in virtù di una carica societaria).

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Cass. pen. n. 14592/1999

Gli elementi costitutivi del reato d’incendio, classificato fra i delitti contro l’incolumità pubblica, vanno identificati nella vastità delle proporzioni delle fiamme, nella diffusività delle stesse, ossia nella tendenza a progredire e ad espandersi e nella difficoltà di spegnimento.

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Cass. pen. n. 6392/1998

Il tentativo di incendio è configurabile solo nel caso previsto dal primo comma dell’art. 423 c.p., e non nel caso di incendio di cosa propria, nel quale l’esclusione del tentativo è giustificata dalla circostanza che, diversamente, si anticiperebbe irrazionalmente la soglia di punibilità, reprimendo il pericolo di un pericolo. (Fattispecie, nella quale è stato ritenuto configurabile il tentativo, sul rilievo che il fuoco era stato appiccato nell’ingresso comune di un complesso condominiale, nel quale erano situate sia l’abitazione dell’autore del fatto, sia quella della moglie separata).

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Cass. pen. n. 5362/1997

L’elemento di distinzione tra il delitto di cui all’art. 423 c.p. (incendio) e quello previsto dall’art. 424 c.p. (danneggiamento seguito da incendio) deve individuarsi nella volontà del soggetto attivo del reato che nella prima fattispecie agisce per provocare un incendio, nella seconda soltanto per danneggiare e l’incendio che ne sorge è una conseguenza, non voluta, casualmente riferibile (per colpa) alla sua azione o omissione. Ne consegue che allorquando l’agente abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare un incendio, e cioè un fuoco con caratteristiche di intensità e di diffusività tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, dovrà rispondere – anche se per motivi indipendenti dalla sua volontà l’incendio poi non si sviluppa – del delitto di tentato incendio doloso.

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Cass. pen. n. 217/1997

L’elemento psicologico nel delitto di cui all’art. 423 c.p. consiste nel dolo generico. Ne consegue che, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a tale ulteriore e specifica finalità si associa la coscienza e volontà di cagionare un evento di proporzioni tali da assumere le caratteristiche richieste dall’art. 423 c.p., è applicabile la detta norma, e non l’art. 424 stesso codice, che prevede l’incendio come evento che esula dall’intenzione dell’agente. (In motivazione la S.C. ha chiarito che tale distinzione è applicabile anche in caso di tentativo, ipotesi nella quale occorre accertare se l’incendio rientri, come evento, nella proiezione della volontà dell’agente).

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Cass. pen. n. 6638/1995

Per la configurazione del reato di incendio di cui all’art. 423 c.p. è necessario che il soggetto agente abbia voluto cagionare l’incendio; mentre, quando il pericolo dell’incendio o addirittura l’incendio si siano verificate come conseguenza non voluta dell’azione sono configurabili rispettivamente il reato di cui all’art. 424, comma primo, c.p. (danneggiamento seguito da incendio) o l’ipotesi aggravata dello stesso reato prevista dal secondo comma del citato articolo. Pertanto, quello che distingue le ipotesi criminose previste dagli artt. 423 e 424 c.p. non è tanto l’entità delle conseguenze che si sono verificate, bensì l’elemento soggettivo del reato; nel senso che, nel reato previsto dall’art. 423 c.p., l’agente vuole cagionare l’incendio, mentre, in quello previsto dall’art. 424 c.p., il pericolo dell’incendio, o addirittura l’incendio, si verificano come conseguenza non voluta dell’azione commessa.

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Cass. pen. n. 4506/1995

Sussiste il delitto di incendio di cui all’art. 423 c.p. quando l’azione di appiccare il fuoco è finalizzata a cagionare l’evento con fiamme che per le loro caratteristiche e per la loro violenza tendano a propagarsi in modo da creare effettivo pericolo per la pubblica incolumità. Viceversa sussiste il delitto di danneggiamento seguito da incendio allorché il fatto viene realizzato con il solo intento e cioè con il dolo specifico di danneggiare la cosa altrui. Ne consegue che nell’ipotesi in cui l’agente, pur proponendosi di danneggiare la cosa altrui, tuttavia per i mezzi usati e per la vastità e le dimensioni del risultato raggiunto, ha realizzato un incendio di proporzioni tali da mettere in pericolo la pubblica incolumità, deve in ogni caso rispondere del delitto di incendio doloso e non già del meno grave reato di danneggiamento seguito da incendio.

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Cass. pen. n. 1336/1995

Qualora un incendio si sia sviluppato dopo avere dato fuoco a sterpaglie, il verificarsi di folate di vento non può considerarsi fatto imprevedibile, soprattutto in mesi dell’anno caratterizzati da variazioni atmosferiche, ma rappresenta un fenomeno da tenere in debito conto prima dell’accensione di un fuoco, che è operazione da controllare costantemente per la possibilità di propagarsi delle fiamme per un qualsivoglia motivo.

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Cass. pen. n. 2660/1991

Ai fini della sussistenza del delitto previsto dall’art. 423, comma secondo, c.p., il fuoco deve essere qualificato incendio ed il fatto configura il reato consumato di incendio della cosa propria se il fuoco è di tale intensità e di tale potere da costituire un concreto pericolo per la pubblica incolumità, dato che, ai fini penalistici, la nozione di incendio non richiede necessariamente la forza prorompente e distruggitrice delle fiamme.

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Cass. pen. n. 16264/1990

Sussiste il delitto d’incendio di cui all’art. 423 c.p. quando l’azione dell’appiccare il fuoco è finalizzata a cagionare l’evento con un fuoco che tenda a diffondersi, avente caratteristiche tali, per proporzioni e violenza, da determinare un pericolo effettivo per la pubblica incolumità. Invece per la sussistenza del delitto di danneggiamento seguito da incendio di cui all’art. 424 c.p. il fatto non deve essere realizzato con il proposito di provocare un incendio, ma con la sola intenzione di danneggiare la cosa altrui.

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Cass. pen. n. 2805/1989

In tema di reati di pericolo, va fatta distinzione tra il concetto di fuoco e quello d’incendio, in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone. Ne deriva che, non ogni fuoco è, di per sé ab origine, qualificabile come incendio; è tale, secondo la fattispecie legale, prevista sia dall’art. 423 che dall’art. 449 del codice penale, solo quando le fiamme, non controllate e non controllabili, assumano i connotati di cui sopra. Mentre nell’ipotesi dolosa la mera accensione del fuoco ha rilievo, se posta in essere allo scopo di provocare un incendio; viceversa, in quella colposa, rileva solo ed esclusivamente la fattispecie legale: l’essere, cioè, divampato l’incendio. In quest’ultima ipotesi, al fine della causale determinazione di tale evento, assume rilievo eziologico l’azione o l’omissione dell’agente, in esse dovendosi individuare l’esistenza, o meno, della colpa. La mera accensione del fuoco, dovuta, a fatto del soggetto cui si addebita l’incendio colposo, (o a qualsiasi altra causa), è giuridicamente irrilevante: assume rilievo esclusivamente il perché, ad opera di quali cause, per quali comportamenti, cui risulti estraneo l’intento di provocare l’incendio, il fuoco sia divampato assumendo le caratteristiche della vastità, diffusibilità e difficoltà di estinzione sopra evidenziate.

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Cass. pen. n. 875/1988

L’accensione dolosa di un fuoco a fine di incendio, non esclude la responsabilità di chi renda possibile con la sua condotta colposa, il diffondersi del fuoco che divampi in incendio.

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Cass. pen. n. 1495/1979

Per la sussistenza del delitto di incendio, di cui all’art. 423 c.p., non occorre la forza prorompente e distruttrice delle fiamme, ma è sufficiente che il fuoco tenda a diffondersi e non possa facilmente spegnersi ed è necessaria la volontà di cagionare l’evento, sapendo che il fuoco appiccato ha le caratteristiche dell’incendio. Invece, nel caso del danneggiamento seguito da incendio, di cui all’art. 424 c.p., il fatto non viene realizzato col proposito di provocare un incendio, ma con la semplice intenzione di danneggiare la cosa altrui. Quando al fine di danneggiare si associa quello di cagionare l’incendio è applicabile l’art. 423 c.p. e non l’art. 424 stesso codice.

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