Art. 611 – Codice penale – Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato
Chiunque usa violenza [581] o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni.
La pena è aumentata [64] se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 4308/2025
In tema di trattenimento amministrativo dei richiedenti protezione internazionale ai sensi della legge 9 dicembre 2024, n. 187, è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - per contrasto con gli artt. 3, 24, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo con riferimento all'art. 6, par. 1), CEDU - dell'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come richiamato dall'art. 5-bis d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, nella parte in cui, rinviando alle disposizioni di cui all'art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che, sui ricorsi avverso i decreti di convalida o di proroga del trattenimento adottati dalle corti d'appello, la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del Procuratore generale senza intervento dei difensori, in tal modo affidando alla creazione dell'autorità giudiziaria l'individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione.
Cass. civ. n. 14865/2024
L'istanza di restituzione nel termine per impugnare una sentenza di appello deve essere trattata dalla Corte di cassazione nelle forme dell'udienza camerale non partecipata di cui all'art. 611 cod. proc. pen., onde assicurare alle parti adeguata interlocuzione rispetto alla decisione da adottare. (In motivazione la Corte ha chiarito che, ove venisse seguita la procedura "de plano", ordinariamente prevista dall'art. 175, comma 4, cod. proc. pen., potrebbero prospettarsi profili di incostituzionalità per violazione del principio del contraddittorio, atteso il ridotto regime di impugnazione delle decisioni di legittimità).
Cass. civ. n. 7140/2024
Nel procedimento trattato, in sede di legittimità, con il cd. "rito Covid", i documenti nuovi o, comunque, non presenti in atti che la difesa intende produrre per chiederne la formale acquisizione in funzione dell'utilizzazione a fini decisori devono essere trasmessi alla cancelleria della Corte di cassazione, a mezzo posta elettronica certificata, improrogabilmente "entro il quinto giorno antecedente l'udienza", in quanto tale termine, previsto, per il deposito delle conclusioni, ex art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, "in parte qua" senza modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (e più favorevole di quello di "quindici giorni prima dell'udienza" previsto, per il deposito di motivi nuovi e memorie, dall'art. 611 cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della novella di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) ha natura generale, in assenza di una specifica disciplina riguardante le produzioni documentali. (Fattispecie relativa alla produzione, da parte del difensore, di documenti di varia natura, non presenti in atti, avvenuta con due separati inoltri a mezzo PEC, rispettivamente due giorni prima e un giorno prima dell'udienza di trattazione orale).
Cass. civ. n. 49289/2023
Nel procedimento dinanzi alla Corte di cassazione celebrato nelle forme del rito cartolare secondo la disciplina emergenziale pandemica di cui all'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, convertito, con modificazioni, in legge 18 dicembre 2020, n. 176, come successivamente prorogata, la richiesta della parte civile di liquidazione delle spese processuali è inammissibile se contenuta in una memoria depositata oltre il termine dilatorio di cinque giorni prima della data fissata per la trattazione del processo.
Cass. civ. n. 47183/2023
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 628-bis, comma 4, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 111 e 117 Cost., nella parte in cui, disponendo che la richiesta per l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli della decisione sia trattata in camera di consiglio, non prevede che le parti possano discutere oralmente dinanzi alla Corte di cassazione.
Cass. civ. n. 29340/2023
È inammissibile l'istanza di restituzione nel termine ex art. 175 cod. proc. pen. - indirizzata alla Corte di appello e da quest'ultima trasmessa alla Corte di cassazione, quale giudice competente - proposta da difensore non cassazionista, considerato che essa deve essere proposta da difensore iscritto nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori, senza che detto "deficit" possa essere sanato dalla proposizione di motivi nuovi e memorie, ex art. 611 cod. proc. pen., da parte di difensore iscritto al predetto albo, trattandosi di vizio radicale inficiante i motivi originari, per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e dovendosi evitare il surrettizio spostamento in avanti dei termini di proposizione dell'istanza.
Cass. civ. n. 26764/2023
Nel giudizio di cassazione celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica, in assenza di tempestive richieste di discussione orale, è priva di effetti l'istanza di rinvio presentata dal difensore che dichiari di aderire all'astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di categoria, non avendo l'istante diritto di partecipare all'udienza camerale. (In motivazione la Corte ha precisato che il rinvio può essere concesso solo in relazione ad atti o adempimenti per i quali sia prevista la presenza del difensore e che, dunque, in caso di trattazione scritta, rimangono del tutto irrilevanti, ai fini dell'accoglimento dell'istanza, ulteriori circostanze quali la data di scadenza del termine previsto per la trasmissione delle conclusioni o se tale termine ricada nel periodo di astensione).
Cass. civ. n. 24690/2022
In tema di giudizio di cassazione, la revoca del difensore che ha proposto ricorso non preclude al nuovo difensore, successivamente nominato dall'imputato, di depositare motivi nuovi nei termini di cui agli artt. 585, comma 4 e 611, comma 1, cod. proc. pen.
Cass. pen. n. 15441/2021
Il delitto di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato e quello di estorsione possono concorrere, in quanto non sono in rapporto di specialità, essendo diverse le condotte finalistiche e i beni tutelati.
Cass. pen. n. 33703/2021
Per la sussistenza del delitto previsto dall'art. 611 cod. pen. è sufficiente che la violenza o la minaccia sia idonea, nel momento in cui viene esercitata, a determinare altri a commettere un fatto costituente reato, non essendo necessario che il reato-fine sia consumato o tentato.
Cass. pen. n. 34318/2015
Per la sussistenza del delitto previsto dall'art. 611 cod. pen. è sufficiente che la violenza o la minaccia sia idonea, nel momento in cui viene esercitata, a determinare altri a commettere un fatto costituente reato, non essendo necessario che il reato-fine sia consumato o tentato.
Cass. pen. n. 30570/2011
Il reato di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, commesso in danno di persona in condizione analoga alla schiavitù per indurla a perpetrare furti, concorre con i reati di riduzione in schiavitù e di alienazione e acquisto di schiavi di cui agli art. 600 e 602 c.p., dovendosi escludere che si versi in una ipotesi di reato complesso o progressivo.
Cass. pen. n. 8131/2007
Non integra il delitto di minaccia la condotta di colui che mostri un'arma, non già al fine di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì al fine di prevenirne un'azione illecita, rappresentandogli tempestivamente la legittima reazione che il suo comportamento determinerebbe. (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione del giudice di appello che ha ritenuto sussistente il delitto in questione nella condotta del soggetto che nel corso di un diverbio con altro soggetto, rientra in casa, si arma di un fucile da caccia e, rivolgendosi all'avversario, pronuncia la seguente espressione: «adesso voglio vedere se mi fai più paura»).
Cass. pen. n. 4932/2006
Nel caso di minaccia ad un testimone, sussiste il reato di minaccia per costringere a commettere un reato (art. 611 c.p.) e non il reato di minaccia a un pubblico ufficiale previsto dall'art. 336 c.p. quando non vi sia certezza dell'avvenuta assunzione formale della qualità di testimone in seguito a regolare citazione.
Cass. pen. n. 18380/2004
Il reato di estorsione è a dolo generico, in quanto il procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno non rappresenta soltanto lo scopo in vista del quale il colpevole si determina al comportamento criminoso, ma un elemento della fattispecie oggettiva. Diversamente, l'elemento psicologico del delitto previsto dall'art. 611 c.p. si riassume nell'intenzione di usare violenza o minaccia per costringere taluno a commettere un reato. (Nella specie la Corte ha ritenuto che gli atti di violenza e minaccia, commessi da un gruppo di disoccupati per ottenere un canale di accesso ai corsi di formazione organizzati dalla Regione, non fossero idonei a costringere l'ente ad accogliere la richiesta, ma che, tuttavia, l'azione, inidonea a configurare gli estremi della tentata estorsione, integrasse il delitto consumato di violenza o minaccia per commettere un reato).
Cass. pen. n. 42789/2003
Il delitto previsto dall'art. 611 c.p. (violenza o minaccia per costringere a commettere un reato) è un reato di pericolo che si consuma nel momento stesso dell'uso della violenza e della minaccia, indipendentemente dal reato fine; comunque, secondo gli ordinari principi in tema di concorso di persone nel reato, l'autore della violenza o della minaccia risponde del reato eventualmente commesso dal soggetto coartato, a prescindere dalla punibilità di quest'ultimo.
L'elemento oggettivo comune della fattispecie di estorsione e di quella di violenza e minaccia per costringere a commettere un reato è l'uso della violenza o minaccia come strumento di coartazione dell'altrui volere. Tuttavia, nel delitto di estorsione, l'autore mira a che la vittima compia una condotta «innominata» — ossia generica come quella della fattispecie di violenza privata — che procuri all'autore stesso o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno; invece, nel reato di cui all'art. 611 c.p., l'autore mira a che la vittima compia una condotta qualificata da un elemento specializzante, ossia una condotta integrante gli elementi costitutivi di un reato. Ne consegue che il delitto di cui all'art. 611 c.p. è integrato senza la sussistenza del «profitto» per l'autore e del correlativo «danno» per la vittima, elementi che possono, semmai, riferirsi alla struttura del fatto tipico dello specifico reato-fine, che rappresentando l'obiettivo dell'autore della violenza e della minaccia, la vittima di essa può «strumentalmente» realizzare. (Nel caso di specie, la Corte ha riqualificato l'originaria imputazione di estorsione nell'ipotesi di cui all'art. 611 c.p. in relazione alla condotta di minaccia grave con l'uso delle armi e di violenza, posta in essere nei confronti di un soggetto per costringerlo ad impossessarsi di numerose schede telefoniche prepagate, sottraendole alla società della quale egli era dipendente).
Cass. pen. n. 25711/2003
È configurabile il concorso formale di reati tra la minaccia messa in opera per costringere taluno a rendere falsa testimonianza e il concorso nella falsa testimonianza resa dal soggetto minacciato.
Cass. pen. n. 4555/1997
L'ipotesi criminosa prevista dall'art. 611 c.p. non ammette la figura del tentativo, giacché, con l'uso della violenza o della minaccia, si verifica già la consumazione, indipendentemente dalla realizzazione del reato-fine.
Cass. pen. n. 2704/1997
Tra la fattispecie di cui all'art. 611 e quella di cui all'art. 629 c.p., nella forma consumata o tentata, non sussiste alcun rapporto di specialità che si presenti riconducibile alla nozione accolta nell'art. 15 dello stesso codice, in quanto - a parte la diversità di beni giuridici tutelati dalle due fattispecie - nel primo reato la condotta presa in considerazione dalla legge è quella diretta a costringere altri a commettere un reato, mentre nel secondo reato la condotta incriminata è quella diretta a conseguire - in coerenza con la natura di reato contro il patrimonio che è propria della figura dell'estorsione - un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, sicché si riscontra in ciascuna delle due ipotesi criminose una diversità di condotte finalistiche, una diversità di beni aggrediti ed una diversità di attività materiali che non lascia sussistere tra esse quella relazione di omogeneità che le rende riconducibili ad unum nella figura del reato speciale ex art. 15 c.p. (In applicazione di detto principio la Corte ha rigettato il motivo con il quale il ricorrente, sulla base di un asserito rapporto di specialità bilaterale e reciproca tra le due fattispecie, sosteneva l'avvenuto assorbimento nel delitto di estorsione di quello previsto dall'art. 611 c.p.).
Cass. pen. n. 4131/1990
Il delitto previsto dall'art. 611 c.p. (violenza o minaccia per costringere a commettere un reato) è reato di pericolo che si consuma nel momento stesso dell'uso della violenza o della minaccia, indipendentemente dal realizzarsi del reato-fine. Se, però quest'ultimo reato poi si realizza, per effetto dell'azione o della compartecipazione del soggetto passivo della coazione, anche tale soggetto ne risponde in base alle norme sul concorso nel reato, a meno che non sia configurabile a suo favore una causa di esclusione della punibilità, come ad esempio quelle previste dagli artt. 46, 54, 86 c.p. (costringimento fisico, stato di necessità, determinazione dello stato di incapacità).
Cass. pen. n. 3909/1990
Il reato di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, di cui all'art. 611 c.p., commesso in danno di persona in condizione analoga alla schiavitù per indurla a perpetrare furti, concorre con i reati di riduzione in schiavitù e di alienazione e acquisto di schiavi di cui agli artt. 600 e 602 c.p., dovendosi escludere che si versi in una ipotesi di reato complesso o progressivo.
Cass. pen. n. 13611/1989
Perché ricorra la circostanza aggravante della minaccia commessa da più persone riunite, di cui all'art. 339 c.p., richiamato dall'art. 611 cpv. c.p. per la sussistenza dell'ipotesi aggravata della violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, occorre che la partecipazione di più persone sia percepita dalla vittima al momento della consumazione del reato.
Cass. pen. n. 1735/1988
La figura criminosa di cui all'art. 611 c.p. prevede una forma aggravata del reato di violenza privata - a differenza, però, di quest'ultima - che si consuma nel momento e nel luogo in cui l'agente ha costretto taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, la prima si consuma nel momento stesso in cui viene usata la violenza o la minaccia al fine di costringere o determinare altri a commettere un reato, indipendentemente dal fatto che il reato venga poi effettivamente commesso.
Cass. pen. n. 6733/1984
Il delitto di cui all'art. 611 c.p. richiede tanto il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di usare violenza o minaccia a una persona, quanto il dolo specifico, che è dato dal fine di costringere la persona violentata o minacciata a commettere un fatto preveduto come reato.
Cass. pen. n. 9436/1983
Il testo dell'art. 611 c.p. usando la locuzione «fatto costituente reato» e non «reato», comprende tutti quei fatti che la legge penale prevede come reato anche se in concreto gli autori di essi non siano imputabili o punibili o si tratti di reato non perseguibile di ufficio.
Cass. pen. n. 5762/1983
Il testimone mantiene la qualifica di pubblico ufficiale fin quando il processo non si è definitivamente esaurito, ed anche dopo aver egli già deposto è pertanto ipotizzabile il reato di violenza o minaccia in suo danno, previsto dall'art. 611 c.p.
Cass. pen. n. 7499/1982
Il delitto previsto dall'art. 611 c.p. si consuma nel momento stesso della minaccia o violenza esercitata al fine di costringere o determinare altri a commettere un reato. A differenza dell'istigazione non interessa che il reato-fine venga poi commesso o non possa commettersi immediatamente, ovvero sia subordinato ad un termine o ad una condizione. L'impossibilità del delitto per inidoneità dell'azione va esaminata pertanto in relazione all'ipotesi tipica di cui all'art. 611 c.p. e non al reato-fine.
Cass. pen. n. 331/1968
Il reato di cui all'art. 611 c.p. è un reato fine a sé stesso che si esaurisce nell'usare violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato. Qualora il reato determinato sia connesso con altro reato non necessariamente conseguenziale, ma costituente il fine principale che si propone di conseguire l'agente, il reato mezzo, che non sia elemento costitutivo o circostanza aggravante per realizzare il reato fine, resta aggravato dal nesso teleologico previsto dall'art. 61 n. 2, c.p. che inerisce sempre al reato mezzo e non già al reato fine.