Art. 210 – Codice civile – Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni
I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, modificare il regime della comunione legale dei beni [177] purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell'articolo 161.
I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell'articolo 179 non possono essere compresi nella comunione convenzionale.
Non sono derogabili le norme della comunione legale relative all'amministrazione dei beni della comunione [180] e all'uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale [194].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14098/2025
Costituisce concorrenza sleale la condotta di un imprenditore che, per il tramite di propri dipendenti già alle dipendenze del concorrente, si appropria di tabulati recanti i nominativi di clienti e distributori di quest'ultimo, non rilevando la circostanza che essi fossero già noti al medesimo imprenditore ed a tali dipendenti, trattandosi di un complesso strutturato di informazioni aziendali comunque riservate, e non divulgabili ove esse superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati, il cui trasferimento è idoneo ad arricchire la conoscenza del concorrente e a fornirgli un vantaggio competitivo che trascende la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.
Cass. civ. n. 13691/2025
Il divieto di monetizzazione delle ferie non godute ex art. 5, comma 8, d.l. n. 95 del 2012, interpretato in conformità alla giurisprudenza della CGUE (v. sentenza del 18.1.2024, n. 218), si applica anche per ogni causa di cessazione del rapporto di lavoro (ivi compresi i licenziamenti) a cui il lavoratore abbia concorso attivamente, sempreché egli, ancorché dirigente, si sia consapevolmente astenuto dal fruire delle ferie dopo essere stato messo in condizione di esercitare in modo effettivo il relativo diritto dal datore di lavoro, su cui grava il corrispondente onere della prova. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, in assenza della prova anzidetta, aveva escluso la monetizzazione delle ferie per una lavoratrice licenziata per giusta causa, sul presupposto che ella, in quanto dirigente apicale, aveva potuto scegliere in autonomia il periodo di fruizione delle stesse).
Cass. civ. n. 12128/2025
Nel pubblico impiego privatizzato, il lavoratore, in considerazione del suo dovere di leale collaborazione nella tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio dell'attività, può essere adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di assegnazione, purché esse non siano completamente estranee alla sua professionalità e ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico, e sempre che la richiesta di svolgere mansioni inferiori sia marginale rispetto a quelle qualificanti ovvero, laddove non ricorra tale aspetto, sia meramente occasionale, fermo restando lo svolgimento in via prevalente delle suddette attività qualificanti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva affermato l'illegittimità dell'assegnazione di una infermiera a mansioni proprie di un operatore sociosanitario, in quanto non effettuata in via marginale ed occasionale bensì in maniera prevalente, riguardando buona parte della giornata lavorativa, nonché "costante e sistematica").
Cass. civ. n. 12027/2025
La radiazione dagli elenchi dei vigili del fuoco volontari ex art. 35, comma 2, della l. n. 521 del 1988 non costituisce esercizio di potestà disciplinare bensì conseguenza automatica della condanna penale per un reato doloso, configurando un'ipotesi di decadenza dovuta alla perdita dei requisiti morali e di condotta incensurabile richiesti per l'iscrizione e indispensabili in ragione delle funzioni, anche di polizia giudiziaria, conferite ai suddetti volontari. (Nella specie, la S.C., in riforma dell'impugnata sentenza, ha confermato il provvedimento di radiazione di un soggetto nei cui confronti era stata emessa sentenza di patteggiamento per il reato di violenza sessuale di gruppo ex artt. 110 e 609-octies c.p., in ragione della equiparazione della stessa alla sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p.).
Cass. civ. n. 11154/2025
Lo svolgimento di altre attività da parte del dipendente durante l'assenza per malattia, se da un lato mette in pericolo l'adempimento dell'obbligazione principale del lavoratore, per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia, dall'altro integra violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà e dei doveri di correttezza e buona fede; la relativa valutazione, trattandosi di illecito di pericolo e non di danno, è costituita da un giudizio ex ante, riferito al momento in cui è stato tenuto il comportamento contestato, e ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato illegittimo - per sproporzione tra la sanzione e l'infrazione disciplinare - il licenziamento comminato, a un lavoratore infortunatosi al braccio, in ragione dello svolgimento di un'attività ludica durante l'assenza per malattia, sulla scorta dell'accertamento che la serie variegata di attività compiute senza alcun tutore o fasciatura ne aveva esposto a rischio di peggioramento le condizioni di salute, tenuto conto delle prescrizioni mediche che indicavano il riposo e l'immobilizzazione dell'arto).
Cass. civ. n. 10648/2025
In base alla normativa dell'U.E., come interpretata dalla Corte di giustizia ed attuata nell'ordinamento italiano, le nozioni di "orario di lavoro" e di "riposo" si escludono a vicenda, sicché il tempo in cui il lavoratore è tenuto al pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non comportante interventi lavorativi, va considerato orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito secondo i criteri di proporzionalità e sufficienza ex art. 36 Cost. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, secondo cui i turni di reperibilità notturna, con obbligo di presenza sul posto di lavoro, non dessero diritto al compenso per il lavoro straordinario notturno ma all'indennità fissa mensile di reperibilità notturna, esclusa dal computo dell'orario di lavoro, prevista dall'art. 57 c.c.n.l. cooperative sociali del 2010, senza verificare però se la sua misura fosse conforme ai parametri costituzionali).
Cass. civ. n. 8706/2025
Nel caso di trasferimento del personale, l'accordo sindacale che individui i dipendenti da trasferire valorizzando unicamente l'anzianità maturata dopo la stipula di contratti a tempo indeterminato è contrario alla clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, che impone, viceversa, di tener conto della complessiva anzianità di servizio, quindi anche dei periodi di lavoro svolti in esecuzione di rapporti a termine, salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato illegittimo il trasferimento di un assistente di volo, disposto dalla compagnia aerea senza alcuna valorizzazione della complessiva anzianità di servizio in applicazione dell'art. 2.1.2 dell'accordo sindacale del 25.3.2022).
Cass. civ. n. 2157/2025
L'utilizzo dei permessi di cui all'art. 33 della l. n. 104 del 1992 in attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, tali da violare le finalità per le quali il beneficio è concesso e da far venir meno il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al soggetto in condizione di handicap, è comportamento idoneo a fondare il licenziamento per giusta causa ed accertabile dal datore anche attraverso agenzie investigative, cui può essere demandato il compito di verifica di condotte del prestatore fraudolente o integranti ipotesi di reato. (In applicazione del principio, la S.C. ha affermato che legittimamente il datore si era avvalso di un'agenzia investigativa per la verifica dell'uso fraudolento dei permessi, nella specie sistematicamente adoperati dal dipendente per praticare sport).
Cass. civ. n. 25840/2024
La retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE per come interpretato dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento con l'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore, in modo da evitare che il prestatore sia indotto a rinunziare al riposo annuale allo scopo di non subire decurtazioni nel trattamento retributivo.
Cass. civ. n. 22958/2024
Nel pubblico impiego contrattualizzato, l'art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 - in difetto di diverse disposizioni di legge o della contrattazione collettiva riferite a determinate categorie di lavoratori - deve interpretarsi nel senso che il lavoratore assegnato a mansioni appartenenti alla categoria superiore, ferma la nullità dell'assegnazione, ha diritto (per il periodo di svolgimento di tali mansioni in modo prevalente, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 52) al pagamento della differenza tra il trattamento economico iniziale previsto per la categoria superiore cui corrispondono le mansioni espletate e quello iniziale della categoria di inquadramento, in aggiunta a quanto percepito per la posizione economica di appartenenza ed, eventualmente, a titolo di retribuzione individuale di anzianità.
Cass. civ. n. 21527/2024
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale.
Cass. civ. n. 21224/2024
Agli effetti della tutela apprestata dall'art. 2103 c.c. è necessario che l'assegnazione a mansioni superiori sia stata piena, effettiva e continuativa e che l'inquadramento del lavoratore venga ad essere operato sulla base delle mansioni previste dal contratto collettivo raffrontandole con quelle in concreto espletate dal dipendente interessato, non rilevando invece che la qualifica superiore corrispondente alle mansioni attribuite sia classificata dal c.c.n.l. come "ad esaurimento". (Nella specie la S.C. ha affermato che il diritto all'acquisizione ex art. 2103 c.c. della superiore qualifica di educatore professionale, di cui al c.c.n.l. AIOP-ARIS 1988-1990, non poteva essere negata a lavoratore assegnato a tali mansioni in ragione del mancato possesso del titolo previsto dal d.m. n. 520 del 1998, poiché tale contratto prevede anche il profilo dell'educatore professionale senza titolo, qualificandolo come figura "ad esaurimento", per la quale non è richiesto detto titolo abilitante).
Cass. civ. n. 20226/2024
Anche se sottoposti alla disciplina di un contratto collettivo di lavoro di diritto privato, salva un'espressa e specifica contraria previsione legislativa, non sono sottratti alle regole generali della disciplina del pubblico impiego contrattualizzato di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 (che costituiscono principi fondamentali ex art. 117 Cost.) i rapporti di lavoro con un ente pubblico non economico (nella specie, quelli degli operai agricoli utilizzati dai consorzi di bonifica ex art. 5 della l.r. Puglia n. 15 del 1994), ai quali, pertanto, deve applicarsi l'art. 52 del citato d.lgs., secondo cui l'esercizio di fatto di mansioni superiori a quelle di formale inquadramento non comporta l'acquisizione della qualifica superiore, ma solo il diritto alle differenze retributive.
Cass. civ. n. 18892/2024
L'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro emanato dal giudice nel sanzionare un licenziamento illegittimo esige che il lavoratore sia in ogni caso ricollocato nel luogo e nelle mansioni originarie, salva la facoltà per il datore di lavoro di disporne, con successivo provvedimento, il trasferimento ad altra unità produttiva, laddove ne ricorrano le condizioni tecniche, organizzative e produttive previste dall'art. 2103 c.c., salva la dimostrata impossibilità, la cui prova incombe sul datore di lavoro, dovuta a insussistenza di posti comportanti l'espletamento delle ultime mansioni o di mansioni equivalenti.
Cass. civ. n. 18612/2024
Le operazioni di vestizione e svestizione del personale sanitario rientrano nell'orario di lavoro se il tipo di indumenti da indossare è imposto da superiori esigenze di sicurezza e igiene attinenti alla gestione del servizio prestato e all'incolumità del personale addetto, sicché - anche nel silenzio della contrattazione collettiva - il tempo impiegato per tali operazioni dà diritto a retribuzione. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che, in accoglimento del ricorso di infermieri, ausiliari specializzati e operatori sanitari, aveva qualificato come orario di lavoro il tempo - immediatamente precedente e successivo alla timbratura del cartellino - necessario per indossare e dismettere la divisa obbligatoria, custodita in appositi armadietti resi disponibili dall'azienda e collocati al piano interrato del luogo di lavoro).
Cass. civ. n. 18390/2024
La mancata fruizione del riposo giornaliero o settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di un danno non patrimoniale che deve ritenersi presunto, perché l'interesse leso dall'inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell'art. 36 Cost.
Cass. civ. n. 17715/2024
La normativa di tutela del dipendente pubblico che segnala condotte illecite di cui è venuto a conoscenza nel contesto lavorativo, ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 ratione temporis applicabile (c.d. "whistleblowing"), non può essere estesa fino a ricomprendere improprie attività investigative poste in essere dal lavoratore, in violazione dei limiti di Legge, per raccogliere prove di illeciti nell'ambiente di lavoro, né può riconoscersi efficacia scriminante alle segnalazioni effettuate per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori.
Cass. civ. n. 17036/2024
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l'obbligo datoriale di repêchage, anche ai sensi del novellato art. 2103, comma 2, c.c., è limitato alla ricollocazione in mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento e che non necessitano di una specifica formazione.
Cass. civ. n. 16493/2024
In tema di circostanze, l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. può essere riconosciuta, nel caso in cui la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, solo qualora l'imputato abbia proceduto nelle forme dell'offerta reale di cui agli artt. 1209 e ss. cod. civ., depositando la somma e lasciandola a disposizione della persona offesa, così da consentire a quest'ultima di valutarne l'idoneità a risarcire il danno e di decidere con la necessaria ponderazione se accettarla o meno, ed al giudice di apprezzarne la congruità e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo. (Fattispecie relativa a somma offerta a mezzo di assegno circolare, rifiutato dalla persona offesa, nella quale la Corte ha escluso la configurabilità dell'attenuante, poiché l'assegno non era stato depositato e lasciato a disposizione della vittima).
Cass. civ. n. 15677/2024
Il diritto al pagamento delle differenze retributive da svolgimento di mansioni superiori - nello specifico di autista soccorritore, anziché di autista di Croce Rossa Italiana (C.R.I.) - consegue solo all'effettuazione del cd. giudizio trifasico e alla verifica dell'espletamento, in concreto e con la necessaria prevalenza quantitativa, di mansioni superiori rispetto alla qualifica di inquadramento, che, nella specie (e con riguardo ai contratti collettivi C.R.I. relativi agli anni 1998-2001, 2002-2005 e 2006-2009) si concretizzano nell'inserimento del solo autista soccorritore (che integra una professionalità che opera in campo medico) - non anche del mero autista - nel processo produttivo tipico dell'attività sanitaria.
Cass. civ. n. 14944/2024
In tema di concorrenza sleale, il cd. storno vietato di dipendenti non ricorre ove l'imprenditore avvii una collaborazione professionale con il prestatore d'opera, che abbia posto fine al precedente rapporto di lavoro, disattendendo l'obbligo di preavviso o il divieto di concorrenza contratti con il vecchio datore di lavoro, poiché l'imprenditore che recluti il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto e l'assunzione in tali circostanze non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell'altrui impresa, salvo dimostrare che tale comportamento è univocamente finalizzato all'intenzionale scomposizione dell'organizzazione e della funzionalità dell'unità concorrente, così da menomarne la vitalità economica.
Cass. civ. n. 14843/2024
Ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, l'art. 1, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 66 del 2003 attribuisce espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro, sicché deve considerarsi orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi o non assoggettato al potere gerarchico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva considerato eterodirette ed obbligatorie l'effettuazione del tragitto dall'ingresso alla postazione informatica e ogni altra attività preliminare ai fini del "log in" e del "log out", poiché frutto delle decisioni del datore di lavoro riguardanti la struttura della propria sede, la collocazione della postazione di lavoro ed il percorso per raggiungerla, l'assegnazione di mansioni eseguibili solo tramite postazione telematica, la scelta del tipo di computer, la determinazione della procedura di sua accensione, l'orario esatto di inizio turno dinanzi alla postazione già inizializzata ed avviata all'uso).
Cass. civ. n. 14706/2024
Per la valutazione della manifesta eccessività della clausola penale ai fini dell'art. 1384 c.c., il criterio di riferimento per il giudice è costituito dall'interesse del creditore all'adempimento e, cioè, dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale nel corso di rapporto, sicché non può prescindersi da una comparazione con il danno che sarebbe stato ipoteticamente risarcibile in mancanza della clausola, la quale è una predeterminazione forfettaria di tale pregiudizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in relazione ad una penale pattuita a titolo di anticipata liquidazione del danno da demansionamento, ne aveva negato la riduzione senza valutare la circostanza del pensionamento del lavoratore a distanza di pochi mesi dalla modifica in peius delle mansioni).
Cass. civ. n. 13490/2024
Il rapporto di lavoro che si instaura fra l'università e i collaboratori esperti linguistici ha natura privatistica ed è pertanto sottratto all'obbligo di esclusività vigente nel settore del pubblico impiego contrattualizzato, con la conseguenza che - in caso di violazione dello stesso - non si applica la disciplina della decadenza di cui agli artt. 60 e ss. del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (richiamati dall'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001), fermo restando che il prestatore di lavoro è comunque tenuto al rispetto delle prescrizioni di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.
Cass. civ. n. 13481/2024
L'art. 48 del c.c.n.l. del 19 luglio 2001 per piloti di elicottero, che prevede il diritto a fruire di un periodo di ferie annuali della durata di 26 giorni, non può essere letto in modo da ricomprendere le ferie nelle giornate di riposo, in quanto tale interpretazione contrasterebbe con gli artt. 36, comma 3, Cost. e 2109 c.c., secondo cui il diritto alle ferie annuali è irrinunciabile, e con la disciplina nazionale ed europea, che non consente alcuna sovrapposizione tra riposi e ferie.
Cass. civ. n. 11870/2024
In tema di limiti all'esercizio dello "ius variandi" del datore di lavoro, l'art. 3 del d.lgs. n. 81 del 2015, di modifica dell'art. 2103 c.c., stabilisce il principio della fungibilità delle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale, il quale deve intendersi nel senso che, se il c.c.n.l. articola una medesima categoria legale in più livelli professionali, lo "ius variandi" è legittimamente esercitato solo se le nuove mansioni appartengono, oltre che alla medesima categoria legale, anche allo stesso livello professionale di quelle precedenti; se invece il c.c.n.l. non prevede più livelli professionali, ma solo livelli economici differenziati per anzianità o sulla base di criteri diversi dalla tipologia di mansioni svolte, detto potere sarà ugualmente esercitabile a condizione che le nuove mansioni rientrino nella medesima categoria legale.
Cass. civ. n. 10714/2024
L'art. 1306, comma 2, c. c., nel consentire al debitore solidale di opporre al creditore la sentenza più favorevole pronunciata nei confronti del condebitore esclude, ove il primo abbia manifestato la volontà di avvalersi del giudicato, la possibilità di porre a suo carico un importo superiore a quello precedentemente liquidato nei confronti del secondo, ma non preclude l'ulteriore rivalutazione dell'importo riconosciuto. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in seguito al passaggio in giudicato della sentenza di condanna di una società al risarcimento dei danni subiti da un lavoratore in conseguenza del suo demansionamento, aveva condannato gli amministratori e dipendenti della medesima società, quali debitori solidali, per lo stesso titolo).
Cass. civ. n. 10680/2024
Al corrispettivo del patto di non concorrenza si applica la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948, n. 5, c.c., trattandosi di convenzione che presuppone e trova causa nella cessazione del rapporto di lavoro, avendo la funzione di far permanere convenzionalmente a carico dell'ex dipendente l'obbligo di fedeltà previsto durante il rapporto di lavoro dall'art. 2105 c.c.
Cass. civ. n. 10627/2024
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l'obbligo di repêchage opera esclusivamente nell'alveo delle mansioni fungibili, in concreto attribuibili al lavoratore, non incombendo, anche nella vigenza del novellato art. 2103 c.c., alcun obbligo sul datore di organizzare corsi di formazione per la riconversione della professionalità del lavoratore licenziato.
Cass. civ. n. 10391/2024
In tema di contratto di lavoro a tempo determinato, nel regime di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, il lavoratore assunto a termine per ragioni sostitutive del prestatore assente può anche non essere destinato alle medesime mansioni o allo stesso posto del lavoratore rimpiazzato, perché la sostituzione deve essere funzionale alle esigenze dell'impresa, con la conseguenza che l'imprenditore - nell'esercizio del proprio potere di organizzazione - ha la facoltà di disporre l'utilizzazione del personale, incluso il lavoratore a termine assunto per ragioni sostitutive, attraverso gli spostamenti interni che ritenga più opportuni alla migliore performance aziendale e, quindi, anche attraverso un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena, ferma, però, la necessità della correlazione tra assenza ed assunzione a termine, dovendo la seconda essere realmente determinata dalla necessità creatasi nell'impresa per effetto della prima.
Cass. civ. n. 23506/2022
In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell'amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l'art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell'art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell'autorizzazione è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c.
Cass. civ. n. 20216/2022
Ai fini del calcolo della retribuzione feriale dei lavoratori subordinati, la cui determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva in mancanza di apposite previsioni da parte delle fonti legali (art. 36 Cost. e 2109 c.c.), la mancata inclusione di tutte le voci della retribuzione corrisposta durante il periodo di attività non contrasta con i principi dettati dal predetto art. 36 Cost., il quale non risponde al criterio della "onnicomprensività", ma demanda alla fonte contrattuale la garanzia di un trattamento "sufficiente", peraltro sempre controllabile dal giudice riguardo alla sua congruità rispetto ai parametri costituzionali.
Cass. civ. n. 21780/2022
Le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile del lavoratore - a cui è intrinsecamente collegato il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro - e, correlativamente, un obbligo del datore di lavoro, che, pertanto, è tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concederle.
Cass. civ. n. 24977/2022
Il potere attribuito all'imprenditore, a norma dell'art. 2109 c.c., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo, pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali; tuttavia, sia la fissazione che le eventuali modifiche del periodo stabilito devono essere comunicate ai lavoratori con preavviso, e, a tal fine, la comunicazione inviata alla sola RSU non è equiparabile a quella dovuta singolarmente, completa dell'individuazione del lasso temporale nel quale ciascun lavoratore è collocato in ferie.
Cass. civ. n. 21757/2021
Il procedimento di convalida dell'offerta reale e del successivo deposito liberatorio, relativi ad obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro, é un giudizio di liberazione coattiva del debitore, essendo la sentenza che lo definisce volta ad estinguere, con efficacia costitutiva, il debito, accertando la validità del deposito, ai sensi dell'art. 76 e ss. disp. att. c.c., a favore del creditore; oggetto di tale procedimento é la verifica della ritualità di tutte le modalità, formali e temporali, prescritte dalla relativa disciplina normativa, affinché il debitore si liberi delle sua obbligazione e, pertanto, parti necessarie del detto procedimento sono soltanto il debitore e il creditore. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 17/10/2018).
Cass. civ. n. 23329/2021
Nel rapporto di lavoro che sia stato qualificato "ab origine" come autonomo e sia stato successivamente convertito "ope iudicis" in lavoro subordinato non opera il principio di irriducibilità della retribuzione, sancito dall'art. 2103 c.c.
Cass. civ. n. 31182/2021
Il comportamento del datore di lavoro che lascia in condizione di forzata inattività il dipendente, pur se non caratterizzato da uno specifico intento persecutorio ed anche in mancanza di conseguenze sulla retribuzione, viola l'art. 2103 c.c., sussistendo in capo al lavoratore non solo il dovere ma anche il diritto all'esecuzione della propria prestazione lavorativa, costituendo il lavoro non solo uno strumento di guadagno, ma anche una modalità di esplicazione del valore professionale e della dignità di ciascun cittadino; ne consegue che la forzata inattività del lavoratore determinata dal datore di lavoro comporta un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato, con una indubbia dimensione patrimoniale che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa.
Cass. civ. n. 3540/2021
Il giudicato formatosi sulla domanda di riconoscimento di una qualifica superiore ai sensi dell'art. 2103 c.c. ricomprende ogni possibile profilo inerente al fatto costitutivo dedotto, e quindi lo svolgimento di mansioni superiori per il periodo di tempo utile al riconoscimento della superiore qualifica; pertanto, deve ritenersi preclusa la successiva domanda di una qualifica superiore diversa da quella rivendicata in precedenza, seppur avanzata in base ad una diversa norma contrattuale, poiché il fatto costitutivo resta sempre lo stesso.
Cass. civ. n. 38169/2021
Il godimento a titolo gratuito dell'alloggio costituisce una componente in natura della retribuzione, da considerare ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, solo qualora vi sia connessione con la posizione lavorativa del dipendente che ne fruisce e costituisca, dunque, emolumento collegato alle qualità intrinseche delle sue mansioni e non piuttosto allo specifico disagio di una prestazione dell'attività lavorativa; in quanto condizione di miglior favore, quale componente aggiuntiva ai minimi tabellari, non è coperta dalla tutela dell'art. 36 Cost. nè è in contrasto con il principio di irriducibilità della retribuzione, previsto dall'art. 2103 c.c., non essendovi compresi i compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati.
Cass. civ. n. 3543/2021
La violazione del dovere di fedeltà sancito dall'art. 2105 c.c. riguarda la concorrenza che il prestatore possa svolgere non già, dopo la cessazione del rapporto, nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella che egli abbia svolto illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, incluso il periodo di preavviso, al tal fine assumendo rilievo anche il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, che impone a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.
Cass. civ. n. 31349/2021
Nei rapporti di lavoro a tempo pieno, il diritto del datore di lavoro alla distribuzione dell'orario di lavoro, espressione del potere di organizzazione dell'attività, può subire limiti solo in dipendenza di accordi che vincolino l'imprenditore a particolari procedure, diversamente da quanto accade nei contratti con orario part-time, nei quali la programmabilità del tempo libero del lavoratore (al fine di garantire l'esplicazione di un'ulteriore attività lavorativa) assume carattere essenziale che giustifica l'immodificabilità dell'orario da parte datoriale
Cass. civ. n. 8958/2021
Il diritto soggettivo di astenersi dalla prestazione in occasione delle festività infrasettimanali è disponibile da parte del lavoratore, il quale può rinunciarvi in virtù di un accordo individuale con il datore di lavoro, il cui contenuto deve essere interpretato alla luce della l. n. 260 del 1949, che, pur prevedendo l'indisponibilità del diritto a livello collettivo e dunque la nullità delle clausole della contrattazione collettiva che dovessero prevederlo come obbligatorio, non prevede un divieto assoluto di lavorare nelle predette festività. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva giudicato nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola di alcuni contratti individuali di lavoro secondo cui, qualora richiesto, il lavoratore poteva essere chiamato "a prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali, fermo il diritto al riposo previsto dalla legge", ritenendola interpretabile come manifestazione di una generica disponibilità alla prestazione lavorativa, che necessitava di ulteriore specifico consenso del lavoratore, con riferimento alle singole giornate festive nelle quali il datore avesse richiesto il suo impiego). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TRENTO, 30/01/2017).
Cass. civ. n. 29907/2021
Il diritto soggettivo di astenersi dalla prestazione in occasione delle festività infrasettimanali è disponibile da parte del lavoratore, il quale può rinunciarvi in virtù di un accordo individuale con il datore di lavoro, o di accordi sindacali stipulati da O.O.S.S. cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato, dovendosi ritenere sufficiente l'espresso richiamo nel contratto di assunzione alla disciplina normativa del contratto collettivo di categoria ove le parti sociali - nel prevedere un'articolazione dell'orario di lavoro su tutto l'arco della settimana, giorni festivi compresi - senza negare il diritto al riposo nelle festività infrasettimanali, abbiano già preventivamente valutato le esigenze sottese al contemperamento del diritto individuale nel contesto delle peculiarità del settore di competenza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva condizionato l'esigibilità della prestazione lavorativa durante le festività infrasettimanali, di un dipendente addetto a servizi di sicurezza e vigilanza presso un'azienda operante nel settore del trasporto aereo, alla prova da parte del datore di lavoro di adeguate ragioni giustificative, oggettive e soggettive, riferibili al servizio pubblico essenziale da espletare). (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 03/08/2017).
Cass. civ. n. 36058/2021
In tema di riscatto agrario, ai fini della tempestività del pagamento del prezzo, occorre che si avveri la condizione sospensiva del versamento del prezzo di acquisto che, secondo quanto previsto dalla l. n. 2 del 1979, va effettuato nei termini indicati per la prelazione dall'art. 8 della l. n. 590 del 1965, decorrenti dall'adesione del terzo acquirente alla dichiarazione di riscatto oppure, ove sorga contestazione, dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto; atteso che le norme che attengono agli adempimenti di cui all'art. 1208 c.c. e ss., in tema di offerta reale, vanno interpretati ed applicati alla luce dei principi di buona fede e cooperazione del creditore nell'adempimento, ai fini del verificarsi della predetta condizione sospensiva, nell'ipotesi di rifiuto, ancorché pretestuoso, da parte del creditore di accettare l'indicato pagamento, è necessario - in difetto di norme specifiche sul punto - che il retraente effettui, secondo le generali disposizioni civilistiche sulle obbligazioni, il deposito liberatorio della relativa somma, ai sensi dell'art. 1210 c.c., dovendo, invece, escludersi una equipollenza tra versamento del prezzo ed offerta non formale di esso, dal momento che l'art. 1220 c.c. ricollega alla seria e tempestiva offerta non formale della prestazione il solo venir meno della "mora debendi", mentre la liberazione del debitore, unico evento equivalente al versamento del prezzo, consegue all'accettazione dell'offerta reale ovvero - in caso di mancata accettazione - all'accettazione della somma depositata o, in difetto, all'accertata validità del deposito dell'offerta ex art. 1210 c.c.
Cass. civ. n. 11540/2020
In tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell'ipotesi di modifica dell'elemento soggettivo dell'illecito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 27/04/2018).
Cass. civ. n. 20520/2019
In tema di trasferimento del lavoratore, per unità produttiva dalla quale il prestatore non può essere trasferito, se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, va intesa quella che costituisce articolazione autonoma dell'impresa, con idoneità a produrre beni e servizi dell'azienda, sicchè, quanto ai piazzisti, la stessa va individuata in relazione all'itinerario da compiere, alla zona da visitare o all'ambito territoriale assegnato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato come trasferimento il mero mutamento di clientela, all'interno della medesima area geografica di assegnazione, senza verificare la sussistenza di sostanziali mutamenti della prestazione). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 27/07/2017).
Cass. civ. n. 29626/2019
L'art. 2103 c.c. sulla disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretato alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un'organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tra l'altro, interventi di ristrutturazione aziendale, l'adibizione del lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori, a quelle precedentemente svolte senza modifica del livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato del codice civile.
Cass. civ. n. 24619/2019
In tema di licenziamento disciplinare, ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione contestata, il giudice di merito deve esaminare la condotta del lavoratore, in riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà, anche alla luce del "disvalore ambientale" che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere, per gli altri dipendenti dell'impresa, a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi.
Cass. civ. n. 10239/2019
Va sanzionata con il licenziamento, in quanto confliggente con l'obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c., la condotta del dipendente, il quale abbia taciuto di aver costituito una società potenzialmente concorrente con l'attività svolta dal suo datore di lavoro.
Cass. civ. n. 12538/2019
In tema di orario di lavoro, la prestazione lavorativa "eccedente", che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, dovendo escludersi che la mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria possa integrare un "concorso colposo", poiché, a fronte di un obbligo ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di tutelare l'integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, la volontarietà di quest'ultimo, ravvisabile nella predetta disponibilità, non può connettersi causalmente all'evento, rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 28/10/2014).
Cass. civ. n. 19261/2018
Nell'ambito del procedimento di liberazione coattiva del debitore, l'accettazione, anche tacita, del deposito, secondo l'espressa previsione dell'art. 1210 c.c., ha effetto liberatorio, con efficacia retroattiva (alla data del deposito stesso) e determina l'estinzione dell'obbligazione, con effetto assimilabile a quello della "datio in solutum". Da ciò consegue che, una volta intervenuto il ritiro da parte del creditore della somma depositata, senza sollevare riserve, non vi è luogo ad alcuna valutazione sulla congruità della prestazione depositata ed accettata, la stessa non può più essere messa in discussione sotto il profilo dell'esattezza dell'adempimento ed il debitore non potrà richiedere indietro la somma depositata.
Cass. civ. n. 9901/2018
Nell'ipotesi di demansionamento, il danno non patrimoniale è risarcibile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, nonché all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato una violazione dell'art. 2087 c.c., con conseguente obbligo di risarcimento del danno biologico, nella condotta tenuta dal datore di lavoro nei confronti di una lavoratrice alla quale, dopo il rientro dalla cassa integrazione, non erano stati assegnati compiti da svolgere, era stato disattivato il telefono e non era stato consentito di sostituire personale assente per maternità, nonostante le reiterate richieste).
Cass. civ. n. 836/2018
Il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi senza avallo giudiziario di eseguire la prestazione richiestagli, essendo egli tenuto a osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartite dall'imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost., e potendo egli invocare l'art. 1460 c.c. solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, o che sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello di accertamento dell’illegittimità del licenziamento del lavoratore che, adibito a mansioni inferiori per circa due mesi, aveva eccepito l’inadempimento datoriale e si era assentato per oltre quattro giorni dal posto di lavoro).
Cass. civ. n. 6793/2018
Per lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, la cui sostituzione da parte di altro lavoratore avente una qualifica inferiore non attribuisce a quest'ultimo il diritto alla promozione ai sensi dell'art. 2103 c.c., deve intendersi soltanto quello che non sia presente in azienda a causa di una delle ipotesi di sospensione legale (sciopero, adempimento di funzioni pubbliche elettive, infortunio, malattia, gravidanza, puerperio, chiamata alle armi) o convenzionale del rapporto di lavoro, e non anche quello destinato, per scelta organizzativa del datore di lavoro, a lavorare fuori dell'azienda o in altra unità o altro reparto. In particolare, poi, rilevano, ai fini dell'acquisizione del superiore livello contrattuale, le mansioni sostitutive quando le funzioni vicarie siano travalicate in ragione del carattere permanente della sostituzione e della persistenza solo formale della titolarità in capo al superiore delle mansioni proprie della relativa qualifica, sempre per effetto di una stabile scelta organizzativa del datore di lavoro.
Cass. civ. n. 11408/2018
In tema di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c. alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede.
Cass. civ. n. 28240/2018
L'esercizio dello "ius variandi" datoriale, vigente l'art. 2103 c.c. nella formulazione anteriore alla novella operata con il d.l.vo n. 81 del 2015, trova il suo limite nella salvaguardia del livello professionale raggiunto dal prestatore, sicché - pur in presenza dell'accorpamento convenzionale delle mansioni in una medesima qualifica - l'equivalenza deve essere valutata in concreto dal giudice di merito, al fine di verificare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza tecnico professionale acquisita dal dipendente.
Cass. civ. n. 25743/2018
Il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore anche ai sensi dell'art. 2729 c.c., attraverso l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
Cass. civ. n. 27129/2018
Per la sussistenza della frequenza e sistematicità di reiterate assegnazioni di un lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori, il cui cumulo sia utile all'acquisizione del diritto alla promozione automatica in forza dell'art. 2103 c.c., non è sufficiente la mera ripetizione delle assegnazioni, essendo invece necessaria - se non un vero e proprio intento fraudolento del datore di lavoro - una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento. (Nella specie, la prova della preordinazione delle assegnazioni e dell'intento utilitaristico è stata desunta dall'esigenza strutturale del datore di lavoro di sopperire alla carenza in organico della qualifica superiore attraverso reiterate assegnazioni infratrimestrali del lavoratore a mansioni superiori).
Cass. civ. n. 27266/2018
Il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità aziendale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all'art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall'osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. In tali casi, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata (garantita dall'art. 41 Cost.), il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.
Cass. civ. n. 663/2018
In tema di rapporto di lavoro subordinato privato, il grado di diligenza dovuta dal lavoratore, variabile secondo le peculiarità del singolo rapporto, deve essere apprezzato secondo due distinti parametri, costituiti dalla natura della prestazione, ovvero dalla complessità delle mansioni svolte anche con riferimento all'assunzione di responsabilità alle stesse collegata, e dall'interesse dell'impresa, ovvero dal raccordo della prestazione con la specifica organizzazione imprenditoriale in funzione della quale è resa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso una sentenza che, in relazione ad un responsabile di un ufficio postale in cui era avvenuta una rapina, aveva ravvisato la negligenza della condotta nella violazione delle disposizioni aziendali in materia di giacenza fondi ed utilizzo di casseforti).