Art. 369 – Codice civile – Deposito di titoli e valori
Il tutore deve depositare il denaro, i titoli di creditoal portatore [1992, 2003] e gli oggetti preziosi esistenti nel patrimonio del minore presso un istituto di credito [251] designato dal giudice tutelare, salvo che questi disponga diversamente per la loro custodia.
Non è tenuto a depositare le somme occorrenti per le spese urgenti di mantenimento e di educazione del minore e per le spese di amministrazione.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 12115/2024
Il contratto d'appalto prevede la prestazione di un'opera, con organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio, verso pagamento di un corrispettivo, cosicché, ove dalle emergenze di causa non consti che le parti, nonostante il nomen iuris, abbiano inteso concludere un contratto atipico aleatorio, l'espressione che potrebbe avere più sensi deve essere interpretata escludendo che all'appaltatore possa essere negato il diritto al corrispettivo, ove abbia adempiuto alla propria obbligazione.
Cass. civ. n. 8940/2024
In tema di interpretazione del contratto, la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata avendo riguardo al senso letterale delle parole, da verificare alla luce dell'intero contesto negoziale ai sensi dell'art. 1363 c.c., nonché ai criteri d'interpretazione soggettiva ex artt. 1369 e 1366 c.c., volti, rispettivamente, a consentire l'accertamento del significato dell'accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere - mediante comportamento improntato a lealtà ed a salvaguardia dell'altrui interesse - interpretazioni cavillose deponenti per un significato in contrasto con gli interessi che le parti hanno voluto tutelare mediante la stipulazione negoziale.
Cass. civ. n. 28324/2023
Il collegamento cd. funzionale fra negozi postula un accertamento riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità sempreché sia condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, quindi considerando la volontà dichiarata dalle parti alla stregua degli interessi dalle stesse perseguiti nella prospettiva dell'operazione economica complessiva. (Nella specie, la S.C. ha censurato la sentenza d'appello che si era arrestata ad un'analisi formalistica e unidirezionale dei contratti oggetto di causa, rappresentati da un preliminare di permuta di un'area edificabile con appartamento da costruire a cui erano seguiti la compravendita dell'area e la stipula di un ulteriore preliminare di compravendita dell'unità immobiliare da edificare e, infine, una polizza assicurativa).
Cass. civ. n. 34795/2021
In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, pur assumendo funzione fondamentale nella ricerca della effettiva volontà delle parti, deve invero essere riguardato alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quelli dell'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell'interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c., avuto riguardo allo "scopo pratico" perseguito dalle parti con la stipulazione del contatto, e quindi della relativa "causa concreta".
Cass. civ. n. 24699/2021
Nell'interpretazione di una clausola negoziale, la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata sia indagando il senso letterale delle parole, alla luce dell'integrale contesto negoziale, ai sensi dell'art. 1363 c.c., sia utilizzando i criteri di interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c., rispettivamente volti a consentire l'accertamento del significato dell'accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere, mediante un comportamento improntato a lealtà e salvaguardia dell'altrui interesse, interpretazioni in contrasto con gli interessi che le parti abbiano inteso tutelare con la stipulazione negoziale, in una circolarità del percorso ermeneutico, da un punto di vista logico, che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione dei contraenti e di verificare se quest'ultima sia coerente con le restanti disposizioni dell'accordo e con la condotta tenuta dai contraenti medesimi. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto inammissibile la domanda del lavoratore volta al conseguimento di differenze retributive, considerate oggetto della generale rinunzia, contenuta in un verbale di conciliazione transattiva, "ad ogni domanda connessa all'esecuzione e cessazione del rapporto", senza valorizzare una esplicita clausola di salvezza altresì prevista nel predetto verbale).
Cass. civ. n. 10825/2020
Nell'interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all'ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 ss. c.c. e, in particolare, a quello dell'interpretazione contro il predisponente di cui all'art. 1370 c.c.
Cass. civ. n. 15471/2017
In tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata.
Cass. civ. n. 5173/1999
La trasformazione di una società di capitali in società di persone può essere deliberata dall'assemblea con la maggioranza qualificata di cui all'art. 2369, quarto comma, c.c. (che, con riferimento alle società per azioni, richiede, in via generale, anche in seconda convocazione, per le deliberazioni concernenti, tra l'altro, la trasformazione della società, il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale), salva la facoltà del socio dissenziente di recedere dalla società. L'esercizio di tale diritto è assoggettato ad un breve termine di decadenza, che l'art. 2437, secondo comma, c.c. fissa in tre giorni dalla chiusura dell'adunanza ove il socio dissenziente abbia partecipato alla stessa, e di quindici giorni dalla iscrizione della delibera nel registro delle imprese in caso contrario. In tale seconda ipotesi, peraltro, la eventuale comunicazione della delibera di trasformazione al socio non intervenuto, determinando la piena conoscenza dell'atto di cui si tratta, fa decorrere il termine per l'esercizio del diritto di recesso, indipendentemente dalla data della iscrizione nel registro delle imprese.
Cass. civ. n. 12008/1998
La deliberazione assembleare societaria assunta, in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata «inesistente», ed infatti essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibile al modello legale delle deliberazioni assembleari e per essere imputata alla società nel cui ambito viene assunta, e pone solo problemi di validità legati all'accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione.
Cass. civ. n. 5754/1993
In presenza di due patti contrattuali, ciascuno con chiaro significato, ma fra loro contrapposti, trova applicazione il criterio ermeneutico di cui all'art. 1369 c.c., sull'interpretazione più conveniente alla natura ed all'oggetto del contratto, tenendo conto che la norma, riferendosi alle ipotesi di «espressioni con più sensi», include il caso in cui un duplice senso sia evincibile, anziché dallo stesso contesto, da passi distinti del documento negoziale.
Cass. civ. n. 10816/1991
Nell'interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune — censurabile in sede di legittimità per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione — il giudice del merito può far ricorso alla regola d'interpretazione oggettiva dettata dall'art. 1369 c.c., solo previa dimostrazione della insufficienza dell'interpretazione soggettiva secondo i criteri (aventi carattere prioritario) dettati dagli artt. da 1362 a 2365 dello stesso codice. (Nella specie — concernente la questione della legittimità del licenziamento alla stregua di una clausola collettiva statuente la comunicazione al lavoratore del provvedimento disciplinare con lettera raccomandata entro un determinato termine — la S.C. ha cassato l'impugnata sentenza, censurandola per aver affermato senza adeguata motivazione l'ambiguità del dato letterale e per aver quindi ritenuto, alla stregua del detto criterio oggettivo, che la clausola richiedesse, nel termine fissato, la sola spedizione del provvedimento sanzionatorio, anziché la conoscenza di esso da parte del destinatario, in contrasto con la natura di atto unilaterale ricettizio propria del licenziamento).
Cass. civ. n. 5595/1988
L'art. 2369 terzo comma c.c., ove stabilisce che l'assemblea ordinaria di una società per azioni, in seconda convocazione, delibera sugli oggetto che avrebbero dovuto essere trattati nella prima (nella specie, nomina degli amministratori), qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti, è inderogabile, e comporta quindi la nullità della disposizione statutaria che richieda un minimo di partecipazione per la costituzione dell'assemblea e la validità delle sue deliberazioni, tenuto conto che la derogabilità contemplata dall'ultima parte di detto comma si riferisce esclusivamente al diverso caso del quorum dell'assemblea straordinaria e non è estensibile all'assemblea ordinaria, il cui funzionamento assume carattere essenziale per la vita della società.