Art. 2096 – Codice civile – Assunzione in prova
Salvo diversa disposizione [delle norme corporative], l'assunzione del prestatore di lavoro [3, 2071] per un periodo di prova deve risultare da atto scritto [1350 n. 13, 2241, 2725].
L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova [2241].
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto [1373], senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro [2120].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 10305/2025
Il recesso per mancato superamento del periodo di prova, pur se illegittimo perché esercitato senza osservare l'obbligo di motivazione previsto dalla contrattazione collettiva, in mancanza di una disposizione che ne preveda espressamente l'inefficacia, con conseguente reintegra del lavoratore, è comunque efficace e idoneo a produrre l'effetto estintivo del rapporto, salva la sola tutela risarcitoria. (Fattispecie in tema di recesso intimato in violazione dell'obbligo di motivazione previsto dall'art. 1, comma 5, del c.c.n.l. del 14 febbraio 2001 per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici).
Cass. civ. n. 9064/2025
La ripetizione del patto di prova nei confronti di un lavoratore assunto dopo una successione di contratti di lavoro è legittima qualora il nuovo rapporto presenti decisivi elementi di novità (come ad es. ove si instauri con un diverso datore, o sia inserito in una differente organizzazione produttiva anche se facente capo allo stesso datore o, ancora, abbia ad oggetto mansioni diverse da quelle già svolte) che rendano logicamente plausibile l'esigenza di una nuova sperimentazione e, quindi, astrattamente configurabile la causa funzionale del patto medesimo; in tali condizioni, il lavoratore che deduca l'illegittimità del patto di prova sopporta il relativo onere probatorio posto che, non operando la presunzione di difetto funzionale del patto che discende dal pregresso svolgimento di rapporti di lavoro fra le stesse parti e con le stesse mansioni, non può addossarsi alla parte datoriale l'onere di dimostrare le esigenze poste a base della sua apposizione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato illegittimo il patto di prova apposto al contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato da una società, subentrata ad altra in un appalto, con un lavoratore precedentemente impiegato nel servizio oggetto dell'appalto come lavoratore inviato da diverse agenzie di somministrazione in favore del precedente appaltatore, considerando solo la identità delle mansioni svolte e non anche la diversità della parte datoriale e del servizio appaltato).
Cass. civ. n. 23411/2024
In tema di pensione di vecchiaia, il regime derogatorio dei requisiti per l'accesso alla pensione di cui all'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, conv. dalla l. n. 214 del 2011, esteso temporalmente, nella ricorrenza dei presupposti di legge, in virtù dell'art. 1, comma 265, lett. c), l. n. 208 del 2015, si applica ai lavoratori che, dopo la risoluzione del rapporto, non hanno svolto attività riconducibile al paradigma del lavoro dipendente a tempo indeterminato, con la conseguenza che l'assunzione in prova non esclude l'applicazione della deroga nel caso in cui il rapporto venga risolto prima del superamento della stessa.
Cass. civ. n. 20239/2023
La nullità della clausola che contiene il patto di prova determina la automatica conversione dell'assunzione in definitiva sin dall'inizio ed il venir meno del regime di libera recedibilità sancito dall'art. 1 della l. n. 604 del 1966, con la conseguenza che il recesso "ad nutum", intimato in assenza di valido patto di prova, equivale ad un ordinario licenziamento - soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo -, il quale, nel regime introdotto dal d.lgs. n. 23 del 2015, è assoggettato alla regola generale della tutela indennitaria di cui all'art. 3, comma 1, del predetto d.lgs., non essendo riconducibile ad alcuna delle specifiche ipotesi, di cui al successivo comma 2 del menzionato art. 3, nelle quali è prevista la reintegrazione.
Cass. civ. n. 26679/2018
In tema di impugnazione del recesso motivato dal mancato superamento della prova, anche il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione deve allegare e provare l'inadeguatezza delle modalità dell'esperimento oppure il positivo esperimento della prova ovvero, ancora, la sussistenza di un motivo illecito o estraneo all'esperimento stesso, restando escluso che l'obbligo di motivazione contrattualmente previsto possa far gravare l'onere della prova sul datore di lavoro e che la valutazione discrezionale dell'amministrazione possa essere oggetto di un sindacato tale da omologare il mancato superamento della prova alla giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo.
Cass. civ. n. 22396/2018
In tema di pubblico impiego privatizzato, l'obbligo - imposto dalle parti collettive alle amministrazioni - di motivare il recesso intimato durante il periodo di prova, in quanto finalizzato a consentire la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto alla finalità della prova e all'effettivo andamento della prova stessa, non porta ad omologare il predetto recesso al licenziamento disciplinare, anche ove fondato sull'assenza di diligenza nell'esecuzione della prestazione, poiché tale mancanza ben può essere valorizzata al solo fine di giustificare il giudizio negativo sull'esperimento; nè l'obbligo in parola incide sulla ripartizione degli oneri probatori, spettando comunque al lavoratore dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo.
Cass. civ. n. 23898/2018
In tema di patto di prova, la disposizione del contratto collettivo che, attribuendo rilevanza sospensiva del periodo di prova alla malattia, stabilisca un periodo di comporto più breve rispetto a quello previsto per la generalità dei lavoratori, è legittima, poiché, da un lato, è coerente con la causa del contratto in prova, connotata della reciproca verifica di convenienza del rapporto - in cui rileva anche l'esigenza della parte datoriale di vagliare i tempi coessenziali all'esercizio della sua attività e la possibilità di proseguire nel rapporto stesso -, e, dall'altro, tutela sia il diritto alla salute che quello alla conservazione del posto del lavoratore, salvaguardando, in un'ottica di equo bilanciamento di interessi, il diritto al lavoro e quello al libero esercizio dell'impresa.
Cass. civ. n. 28252/2018
La ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro tra le medesime parti è ammissibile se, in base all'apprezzamento del giudice di merito, vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto legittima la prova perché giustificata dalla necessità imprenditoriale di verificare il contegno del lavoratore, da adibire a mansioni di portalettere già svolte, ma con contratti a termine di breve durata, risalenti nel tempo, nonché in ambito territoriale e con un bacino di utenza affatto diversi). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 13/08/2013).
Cass. civ. n. 17921/2016
Il licenziamento intimato sull'erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità per essere già avvenuta con esito positivo la sperimentazione del rapporto tra le parti, non è sottratto all'applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, sicché la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro è quella prevista dall'art. 18 st.lav. ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l'insussistenza del requisito dimensionale, ovvero quella riconosciuta dalla l. n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per l'applicabilità della tutela reale.
Cass. civ. n. 16214/2016
Il datore di lavoro che si ritenga leso dalla mancata proroga del patto di prova determinata da dolo del lavoratore deve provare gli artifizi e i raggiri che abbiano avuto efficienza causale sul suo consenso, restando il dedotto dolo comunque irrilevante ove cada non sulla stipulazione del contratto di lavoro o sull'individuazione dei suoi elementi essenziali ma solo sul patto di prova, che costituisce elemento accidentale del contratto. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro che deduceva la natura dolosa del comportamento di una lavoratrice, assunta in prova, che non aveva sottoscritto la mail aziendale contenente la proroga del patto di prova, al solo fine di avvalersi della conversione del contratto per scadenza del periodo di esperimento).
Cass. civ. n. 17371/2015
Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti a sperimentarne la convenienza, sicché è illegittimamente stipulato ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le stesse mansioni, ancorché diversamente denominate, e per un congruo lasso di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro o di un precedente datore di lavoro-appaltatore, titolare del medesimo appalto.
Cass. civ. n. 17587/2013
In tema di patto di prova, la dichiarazione di assunzione del lavoratore, se sottoscritta per ricevuta dal lavoratore, integra il requisito della forma scritta richiesto dall'art. 2096 c.c..
Cass. civ. n. 16224/2013
In tema di lavoro in prova, il principio secondo il quale il recesso del datore di lavoro per esito negativo della prova ha natura discrezionale e dispensa dall'onere di provarne la giustificazione (differenziandosi, pertanto, dal recesso assoggettato alla disciplina limitativa dei licenziamenti) si applica anche al recesso della P.A. nel rapporto di lavoro privatizzato, cui non si estende l'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi previsto dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di atto gestionale del rapporto di lavoro adottato con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Cass. civ. n. 15100/2012
In tema di lavoro con patto di prova, l'art. 2096 c.c. - secondo il quale, scaduto il termine di durata della prova, ciascuna parte può recedere dal rapporto, divenendo in caso contrario definitiva l'assunzione - si riferisce al caso in cui, alla scadenza del termine, il rapporto di lavoro continui a svolgersi e non a quello in cui le prestazioni lavorative cessino alla scadenza e la volontà di recedere del datore venga recepita successivamente dal lavoratore; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il rapporto cessa al momento della ricezione del licenziamento.
Cass. civ. n. 10440/2012
Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l'illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l'intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la declaratoria di nullità del secondo patto di prova, apposto al contratto a tempo indeterminato stipulato appena quindici giorni dopo la scadenza del rapporto a termine, durato tra le stesse parti per quasi sette mesi, non avendo l'imprenditore dimostrato l'esistenza di uno specifico motivo di rivalutazione delle caratteristiche del lavoratore).
Cass. civ. n. 4573/2012
Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso dalla mancata prestazione lavorativa inerente al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, invece, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, che, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire od escludere rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi, che si verifichino durante il periodo medesimo.(Nella specie, la decisione della corte territoriale, confermata dalla S.C., nell'interpretare l'art. 27 del c.c.n.l. per i lavoratori addetti all'industria delle calzature del 27 aprile 2000, contenente una indicazione esemplificativa di eventi non prevedibili quali cause di sospensione del periodo di prova, ha ritenuto che la disposizione aveva recepito il principio di effettività della prova, riconoscendo efficacia sospensiva anche al godimento delle ferie annuali).
Cass. civ. n. 23061/2007
Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, il quale, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.(Nella specie, il contratto collettivo prevedeva «che il periodo di prova ha una durata pari a sei mesi di servizio effettivo» e la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza di merito che aveva interpretato la previsione nel senso che si era inteso ricomprendere nel computo del relativo arco temporale solo i giorni effettivamente lavorati al fine di salvaguardare il periodo di prova).
Cass. civ. n. 13455/2006
Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alla qualifica di assunzione, ove questa (come nella specie ) corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica.
Cass. civ. n. 21698/2006
Con riguardo al rapporto di lavoro costituito con patto di prova, la facoltà di recesso prevista dal terzo comma dell'art. 2096 c.c. soggiace all'unico limite oltre quello temporale dell'adeguatezza della durata della prova della mancanza di un motivo illecito ed è consentita non solo al termine ma, salvo che l'esperimento sia stato stabilito per un tempo minimo necessario, anche nel corso del periodo di prova. Tale periodo, ancorché fissato in un semestre, rimane sospeso per malattia o infortunio del lavoratore, senza che a ciò sia di ostacolo la previsione dell'art. 10 della legge n. 604 del 1966 (secondo cui le norme della stessa legge si applicano, nei confronti dei lavoratori assunti in prova, «dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro»), non potendo prescindersi, nell'interpretazione della suddetta norma, dal rilievo che essa è posta nell'interesse precipuo del lavoratore ed atteso che l'indicata sospensione produce l'effetto di arrestare il decorso del periodo di prova senza dilatarne la durata. Questo principio non comporta un'alterazione dell'equilibrio originario delle posizioni delle parti, poiché il prolungamento del periodo di prova ha effetto reciprocamente sia a favore che a sfavore tanto del lavoratore che del datore di lavoro. In particolare, il prestatore di lavoro avrà modo di espletare fino in fondo l'esperimento e di dare così prova pienamente delle proprie capacità, mentre il datore di lavoro avrà tutto il tempo necessario per verificare queste capacità e, quindi, entrambe le parti avranno la possibilità di decidere se proseguire il rapporto convertendolo in una delle forme definitive previste dalla legge, o, invece, interromperlo.
Cass. civ. n. 19558/2006
Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, salvo che la motivazione sia imposta, a tutela del lavoratore, dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, in nessun caso lo stesso obbligo di motivazione può comportare la configurabilità dell'onere del datore di lavoro di provare la giustificazione del proprio recesso dal rapporto di lavoro in prova, in quanto ne risulterebbe la omologazione integrale al rapporto di lavoro definitivo, in palese contrasto con il sistema normativo costituito dall'art. 2096 c.c. e dagli artt. 5 e 10 della legge n. 604 del 1966.
Cass. civ. n. 8038/2002
Il datore di lavoro che, nella incontroversa esistenza del rapporto di lavoro, ne sostenga la cessazione per negativo esito della prova, ha l'onere di provare, ex art. 2967, secondo comma, c.c., l'esistenza di un valido patto di prova; a tal fine è necessario che il patto risulti da atto scritto, anteriore o contestuale all'inizio del rapporto di lavoro.
Cass. civ. n. 5591/2001
La forma scritta necessaria, a norma dell'art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta nullità assoluta dell'assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, deve sussistere sin dall'inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola orale mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore.
Cass. civ. n. 9948/2001
Il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando rifletta l'accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta la sua personalità. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro la mendace dichiarazione, resa dal lavoratore all'epoca di presentazione della domanda di assunzione, in ordine all'insussistenza di precedenti penali).
Cass. civ. n. 14950/2000
Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull'esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate. A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell'indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata.
Cass. civ. n. 13700/2000
Con riferimento al patto di prova inserito nel contratto di lavoro, per il quale l'ordinamento — per evidenti ragioni antifrodatorie — prescrive non solo la forma scritta, ma anche la predeterminazione della durata, entro limiti massimi, gli spazi di autonomia negoziale sono limitati, proprio per una valutazione «a priori» del carattere sfavorevole del rapporto in prova per il lavoratore, ma non sino al punto da non consentire alle parti una predeterminazione della durata per relationem, con rinvio esplicito alla disciplina collettiva, del tutto legittima ove esplicantesi entro i limiti inderogabili fissati dalla legge.
Cass. civ. n. 8295/2000
La clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata maggiore di quella massima prevista dal contratto collettivo applicabile al rapporto — fermo restando il limite di sei mesi di cui all'art. 10 della legge n. 604 del 19666 — può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni di cui sia convenuto l'affidamento al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell'interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi; il relativo onere probatorio ricade sul datore di lavoro, a cui la maggiore durata del periodo di prova attribuisce una più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della prova.
Cass. civ. n. 3451/2000
La causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell'interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro. Ne consegue che per evitare la sua illegittimità per incoerenza con la suddetta causa è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l'esperimento deve svolgersi. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sufficiente l'indicazione del livello contrattuale di inquadramento del lavoratore).
Cass. civ. n. 2579/2000
Quando le parti — o la parte in caso di negozio giuridico unilaterale — procedono alla re¬dazione per iscritto di un atto possono bene fare riferimento, mediante semplice richiamo per relationem, al contenuto di un altro atto, effettuando un rinvio materiale, perché diretto ad inserire nell'atto la clausola contenuta in un diverso atto e ad attribuire al sottoscrittore la paternità di quella clausola. Consegue che, poiché l'art. 2096 c.c. impone la forma scritta per il patto di prova ma non per le modalità di esecuzione della prova, il rinvio per relationem ad un contratto collettivo, in ordine a tali modalità, si deve ritenere legittimo, anche perché, tramite il rinvio, il contenuto non ha alcun margine di indeterminabilità. (Nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva ritenuto la validità del patto di prova, nel quale l'indicazione delle mansioni era stata fatta per relationem a quelle proprie dell'operaio di secondo livello del C.C.N.L.).
Cass. civ. n. 11597/1999
La stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all'inizio dell'esecuzione del rapporto di lavoro onde non attribuire al datore di lavoro, in frode alla normativa di natura pubblicistica sui licenziamenti posta dal legislatore a tutela del lavoratore, un facile strumento idoneo a consentirgli la libera recedibilità dal contratto almeno per un certo periodo anche senza giusta causa o giustificato motivo. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a efficacia differita con patto di prova apposto sin dal momento della stipula e, quindi, con attribuzione di efficacia differita al patto di prova medesimo, al pari di tutte le altre clausole, non escludesse l'anteriorità del patto stesso rispetto al momento in cui il lavoratore era stato assunto in forza del suddetto contratto di lavoro in precedenza stipulato).
Cass. civ. n. 12379/1998
Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l'interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già intervenuta con esito positivo, fatto che può essere provato anche per presunzioni, essendo desumibile dalla sussistenza di un precedente rapporto di lavoro tra le parti, o, come nella specie, dall'avere in precedenza il lavoratore prestato per un congruo lasso di tempo la propria opera per il datore di lavoro, sia pure in seguito a comando disposto dal precedente datore di lavoro, società controllata dalla società instaurante il nuovo rapporto e già beneficiaria del distacco.
Cass. civ. n. 10305/1998
Nell'ipotesi di recesso del datore di lavoro dal rapporto in prova, con manifestazione di volontà esplicitamente riferita all'esperimento in corso, tale qualificazione dell'atto come espressione del potere discrezionale di recesso durante il periodo di prova, sottratto alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, preclude al medesimo datore la responsabilità di prospettare a propria difesa, nella successiva controversia instaurata dal lavoratore con la contestazione della legittimità del recesso, circostanze del tutto estranee all'esito dell'esperimento ed eventualmente valutabili come giustificato motivo oggettivo in un rapporto soggetto alla disciplina della legge 15 luglio 1966 n. 604. Tale deduzione, modificando i termini della controversia, si pone in contrasto con il fondamentale principio del contraddittorio, del quale costituisce espressione la regola della immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento; tale regola ha portata generale come garanzia del diritto di difesa del lavoratore e si estende anche ai casi in cui il datore di lavoro giustifichi il recesso con una speciale situazione di inapplicabilità della tutela di cui alla citata legge n. 604/1966.
Cass. civ. n. 7644/1998
Il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova è sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed è caratterizzato dal potere di recesso da parte del datore di lavoro senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; grava sul lavoratore che deduce in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso l'onere di provare sia il positivo superamento dell'esperimento, sia l'imputabilità del recesso ad un motivo, unico e determinante, che sia estraneo alla funzione del suddetto patto e perciò illecito.
Cass. civ. n. 402/1998
Il lavoratore licenziato in periodo di prova può dedurre, oltre al motivo illecito del recesso, anche il motivo estraneo all'esperimento offrendo vuoi la prova diretta della sua esistenza, vuoi quella indiretta del positivo superamento dell'esperimento che depone, con la valenza della presunzione semplice, per l'esistenza di un motivo diverso da quello del mancato superamento dell'esperimento stesso; ma tale motivo estraneo all'esperimento non costituisce di per sè solo motivo illecito ex art. 1345 c.c., né è a quest'ultimo equiparabile quanto all'idoneità ad inficiare il recesso come affetto da vizio di nullità. Consegue che, ove il lavoratore dimostri che il recesso è avvenuto per un motivo che non è qualificabile come motivo illecito, ma che è estraneo all'esperimento lavorativo (quale nella specie la sopravvenienza di un'esigenza aziendale di ridimensionamento di un reparto e di conseguente soppressione di un posto di lavoro), il giudice non può ritenerne per ciò solo l'illegittimità, ma deve valutarne la giustificatezza in termini non dissimili dal giustificato motivo oggettivo di licenziamento in regime di recesso causale al fine di accertare l'idoneità, o meno, del recesso per termine alla prova ed a risolvere il rapporto..
Cass. civ. n. 3910/1997
Le parti del contratto di lavoro subordinato possono legittimamente, nella loro autonomia negoziale, convenire che il lavoratore, prima dell'effettiva assunzione, si limiti a svolgere una semplice attività «esplorativa» dell'ambiente di lavoro che sia finalizzata unicamente all'acquisizione delle opportune, reciproche informazioni concernenti l'instaurando rapporto.