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Art. 2237 — Recesso

Art. 2237 — Recesso

Il cliente può recedere dal contratto [ 1373 ], rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta [ 1671, 2227, 2231 ].

Il prestatore d’opera può recedere dal contratto per giusta causa [ 2119 ]. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l’opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente [ 1672, 2228 ].

Il recesso del prestatore d’opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 16596/2016

In tema di contratto d’opera professionale, ove il committente abbia receduto “ad nutum” ex art. 2237 c.c., il professionista (nella specie, un geometra) che abbia agito nei suoi confronti in via risarcitoria, chiedendone la condanna a titolo di responsabilità contrattuale, non può successivamente, in tale giudizio, invocare l’applicazione delle clausole contrattuali che fissano il compenso per il caso di recesso del committente ovvero dell’indennità di cui all’art. 10, comma 1, della l. n. 143 del 1949, trattandosi di domanda nuova, di natura indennitaria, che si fonda sull’esercizio di una facoltà spettante “ex lege” al committente e non già su di un suo atto illegittimo.

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Cass. civ. n. 4459/2016

Il recesso dal contratto di prestazione d’opera professionale non richiede una specifica manifestazione di volontà in tal senso, essendo sufficiente un comportamento chiaramente indicativo della determinazione che l’opera del professionista non venga condotta a termine.

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Cass. civ. n. 469/2016

In tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sé la facolta di recesso “ad nutum” previsto, a favore del cliente, dal primo comma dell’art. 2237 c.c., dovendosi accertare in concreto, in base al contenuto del regolamento negoziale, se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, visto il carattere altamente fiduciario di un incarico conferito ad un medico ed avente ad oggetto anamnesi, diagnosi, informazione, consulenza ed assistenza per la cura di una malattia rara, aveva escluso che la clausola di durata biennale del contratto potesse univocamente intendersi quale rinuncia del paziente alla facoltà di recesso)

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Cass. civ. n. 9220/2014

Il recesso per giusta causa del prestatore d’opera intellettuale, ai sensi dell’art. 2237, terzo comma, cod. civ., particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva, va esercitato con modalità tali da evitare al cliente il pregiudizio dell’improvvisa rottura del rapporto, concedendogli il tempo di provvedere agli interessi sottesi al contratto.

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Cass. civ. n. 22786/2013

In tema di contratto d’opera, la previsione della possibilità di recesso “ad nutum” del cliente contemplata dall’art. 2237, primo comma, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto, dovendosi ritenere sufficiente – al fine di integrare la deroga pattizia alla regolamentazione legale della facoltà di recesso – la mera apposizione di un termine al rapporto di collaborazione professionale, senza necessità di un patto espresso e specifico. Ne consegue che, in tale evenienza, l’interruzione unilaterale dal contratto da parte del committente comporta per il prestatore il diritto al compenso contrattualmente previsto per l’intera durata del rapporto.

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Cass. civ. n. 14510/2012

L’art. 2237 c.c., il quale pone a carico del cliente che receda dal contratto d’opera il compenso per l’opera svolta (indipendentemente dall’utilità che ne sia derivata), può essere derogato dai contraenti, i quali possono subordinare il diritto del professionista al compenso alla realizzazione di un determinato risultato, con la conseguenza che il fatto oggettivo del mancato verificarsi dell’evento dedotto come oggetto della condizione sospensiva comporta l’esclusione del compenso stesso, salvo che il recesso “ante tempus” da parte del cliente sia stato causa del venir meno del risultato oggetto di tale condizione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in applicazione dell’enunciato principio, aveva negato il diritto al compenso al professionista per l’assistenza medico-legale svolta in un giudizio risarcitorio, avendo le parti condizionato il compenso stesso all’esito positivo della lite, laddove la causa si era conclusa con il definitivo rigetto della domanda di risarcimento, escludendo altresì che il recesso, operato dal cliente già al termine del procedimento di primo grado, potesse valutarsi come causa del mancato avveramento del risultato auspicato).

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Cass. civ. n. 6170/2011

Il prestatore d’opera intellettuale che receda dal contratto in presenza di una giusta causa ha diritto al compenso per le prestazioni già eseguite, a condizione che provi l’esistenza del suo credito e, dunque, anche il risultato utile derivato al cliente per la sua opera; ove, invece, il professionista receda senza giusta causa, lo stesso è tenuto al risarcimento del danno di cui il cliente abbia dimostrato l’esistenza.

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Cass. civ. n. 24367/2008

In tema di contratto d’opera, risponde ad interessi meritevoli di tutela per entrambe le parti, “ex” art. 1322 cod. civ., la pattuizione di predeterminazione della durata in deroga alla regolamentazione legale del recesso dal contratto, con la conseguenza che l’interruzione del rapporto contrattuale, per l’inadempimento di una delle due parti alla detta pattuizione, comporta per l’altra il diritto al risarcimento integrale del danno per la mancata esecuzione del rapporto nel periodo di tempo residuo rispetto alla scadenza del termine medesimo. L’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119 cod. civ., in relazione al rapporto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto d’opera, ove vi sia un fatto imputabile ad una delle parti che impedisca la prosecuzione anche temporanea del rapporto, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata. (Nella specie, il committente aveva mutato il contesto nel quale l’obbligazione doveva essere eseguita in modo tale da snaturarne oggetto e. contenuto, ed aveva preteso l’adempimento di una obbligazione diversa e più onerosa da quella assunta, con obblighi di collaborazione, se non di sott’ordinazione, originariamente non contemplati; la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che tale condotta, in quanto volta ad incidere sulle condizioni originariamente pattuite, da ritenersi essenziali in ragione della natura dell’incarico che era stato accettato, costituisse un inadempimento grave alle obbligazioni assunte con il contratto e legittimasse il recesso per giusta causa).

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Cass. civ. n. 9996/2004

Il recesso ingiustificato dal contratto di una delle parti (nel caso di specie, del professionista mandatario incaricato di svolgere una perizia contrattuale) giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l’anticipato scioglimento del rapporto è di per sé un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole.

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Cass. civ. n. 3062/2002

L’art. 2230 c.c., relativo alla prestazione d’opera intelletuale, stabilisce che il relativo contratto è disciplinato dalle norme contenute nel capo secondo del titolo terzo del libro Quinto del codice civile, nonché, se compatibili, da quelle contenute nel capo precedente riguardanti il contratto d’opera in generale. Pertanto, poiché la disciplina del recesso unilaterale dal contratto dettata dall’art. 2237 cod. cit. non è compatibile con quella dettata dall’art. 2227 per il contratto d’opera in generale (stabilendo il primo che, in caso di recesso del cliente, al prestatore d’opera spetta il rimborso delle spese sostenute ed il corrispettivo per l’opera eseguita, non anche il mancato guadagno, come previsto dal secondo), ne deriva che la norma speciale (art. 2237) prevale sulla seconda (art. 2227), di carattere generale, in ragione delle peculiarità che contraddistinguono la prestazione d’opera intelletuale.

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Cass. civ. n. 5738/2000

La previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, quale contemplata dall’art. 2237, comma primo, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto; sicché anche l’apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso.

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Cass. civ. n. 5775/1999

L’art. 2237 c.c. nel consentire al cliente di recedere dal contratto di prestazione di opera intellettuale ammette, in senso solo parzialmente analogo a quanto stabilito dall’art. 2227 c.c. per il contratto d’opera, la facoltà di recesso indipendentemente da quello che è stato il comportamento del prestatore d’opera intellettuale, ossia prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest’ultimo. Tale amplissima facoltà — che trova la sua ragion d’essere nel preponderante rilievo attribuito al carattere fiduciario del rapporto nei confronti dei cliente — ha come contropartita l’imposizione a carico di quest’ultimo dell’obbligo di rimborsare il prestatore delle spese sostenute e di corrispondergli il compenso per l’opera da lui svolta, mentre nessuna indennità è prevista (a differenza di quanto prescritto dall’art. 2227 cit.) per il mancato guadagno. Ciò non esclude, tuttavia, che ove si inseriscano nel contratto clausole estranee al suo contenuto tipico, alle stesse possano applicarsi, in mancanza di più specifiche determinazioni, le normali regole relative all’inadempimento dei contratti, con la possibilità, nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, di avvalersi di quella forma di autotutela rappresentata dall’
exceptio inadimplenti non est adimplendum.

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Cass. civ. n. 10444/1998

In materia di prestazioni professionali, il recesso operato ai sensi dell’art. 2237 c.c. non fa perdere al prestatore d’opera recedente il diritto al compenso per le prestazioni eseguite, tale compenso non può che essere determinato alla stregua dei criteri previsti dall’art. 2225 c.c., che pone in primo piano la determinazione negoziale. Sicché, in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all’intero compenso.

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Cass. civ. n. 3145/1998

Le parti di un contratto di opera professionale, pur subordinando la facoltà di recesso a determinate condizioni, non perciò rinunciano alla generale facoltà di recesso stabilita dall’art. 2237 c.c., dovendo invece tale rinuncia esser inequivoca, in base all’interpretazione demandata al giudice del merito.

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Cass. civ. n. 4501/1996

Il carattere fiduciario del rapporto avente ad oggetto una prestazione d’opera intellettuale comporta, stante il principio del recesso ad nutum da parte del cliente di cui all’art. 2237 c.c., che la pattuizione di una scadenza contrattuale debba intendersi come termine di durata massima del rapporto. Ciò non esclude, tuttavia, il potere delle parti di derogare, anche implicitamente, al detto principio, stabilendo che l’intenzione di far cessare il rapporto debba essere manifestata all’altra parte entro un dato termine prima della scadenza del contratto e che, in difetto di ciò, il rapporto debba intendersi tacitamente rinnovato.

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Cass. civ. n. 7606/1995

Nell’ipotesi di rapporto d’opera professionale al quale sia stato apposto un termine finale (inteso unicamente a determinare la durata massima del rapporto), il risarcimento del danno cagionato dal recesso anticipato del cliente deve essere liquidato secondo i criteri generali di cui agli artt. 1223 e ss. c.c., avuto riguardo alla peculiarità del rapporto — di carattere fiduciario — ed alle singole clausole di esso; in particolare, pur potendo il danno concretarsi nella mancata percezione, da parte del professionista, dei compensi che gli sarebbero spettati durante il periodo compreso fra la data della anticipata cessazione del rapporto e quella della sua scadenza contrattuale, è compito del giudice procedere ex officio all’accertamento di tutti i fattori causali del pregiudizio subito dal professionista e dell’eventuale concorso di colpa del medesimo, rilevante ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., secondo cui se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Compete invece al debitore provare i danni (
ex art. 1227, secondo comma, c.c.) che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

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Cass. civ. n. 7753/1992

La semplice apposizione di un termine finale al contratto di prestazione d’opera professionale non implica rinuncia alla facoltà di recesso a norma dell’art. 2237 c.c. — applicabile anche all’attività degli spedizionieri doganali — a meno che la rinuncia stessa non sia stata univocamente espressa dalle parti.

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