Art. 573 – Codice civile – Successione dei figli nati fuori del matrimonio
Le disposizioni relative alla successione dei figli nati fuori del matrimonio si applicano quando la filiazione è stata riconosciuta [250] o giudizialmente dichiarata [269], salvo quanto è disposto dall'articolo 580.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 4357/2024
In tema di espropriazione immobiliare, l'obbligazione, assunta col contratto di donazione dal donatario di un immobile, di concedere ai donanti il godimento del cespite donato per tutta la durata della loro vita naturale non è opponibile ai creditori del donatario, né all'aggiudicatario del bene, poiché non si tratta di un'obbligazione "propter rem", bensì dell'attribuzione di un diritto personale atipico di godimento, ricollegato al "modus" della donazione, e la trascrizione della donazione modale non fa acquisire all'onere carattere reale, stante il principio di tipicità dei diritti reali e la riconduzione della donazione modale nell'ambito dei rapporti obbligatori.
Cass. civ. n. 11004/2023
Con riferimento ai segni distintivi, la scissione parziale societaria dà luogo ad una vicenda non meramente organizzativa, ma sostanzialmente traslativa dei beni inclusi nel patrimonio attribuito alla società beneficiaria della scissione, con la conseguenza che, essendo il marchio e la denominazione sociale dei segni distintivi autonomi - avendo il primo la funzione di identificare i prodotti fabbricati o commercializzati od i servizi resi da un imprenditore, la seconda quella di individuare la società come soggetto di diritto - l'attribuzione del marchio non implica anche il trasferimento della denominazione sociale, la quale può essere oggetto di valido trasferimento "inter vivos", anche ove assimilata alla ditta sociale, solo nel caso in cui sia ceduta l'intera azienda, previo espresso consenso dell'alienante.
Cass. civ. n. 2287/2017
In tema di successioni, l'art. 575 c.c. che, in mancanza di figli legittimi e del coniuge del genitore, ammetteva un concorso tra i figli naturali e gli ascendenti del genitore, attribuendo ai primi solo i due terzi dell'eredità paterna, non può trovare applicazione neanche per il periodo antecedente alla sua abrogazione ad opera della l. n. 151 del 1975, in quanto la norma citata è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla n. 82 del 1974 della Corte costituzionale; ne consegue che, anche in caso di apertura della successione antecedente al 1975, qualora, non vi siano circostanze preclusive all'applicazione retroattiva della declaratoria di incostituzionalità - quale, ad esempio, l'avvenuta formazione di un giudicato - i figli naturali riconosciuti o dichiarati, come nella specie, a seguito di riconoscimento giudiziale, conseguono, in mancanza di altri membri della famiglia legittima, lo stesso trattamento successorio riservato ai figli legittimi, succedendo, pertanto, in tutta l'eredità. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 12/06/2012).
Cass. civ. n. 15990/2013
Il figlio non può far valere le proprie ragioni ereditarie nei confronti dei beni della successione del padre naturale, in presenza di una sentenza di accoglimento dell'azione di disconoscimento del proprio stato di figlio legittimo altrui, su questa non è ancora passata in giudicato e non è idonea, quindi, a superare la permanenza del contrasto tra "status" che, ai sensi dell'art. 253 c.c., determina l'inammissibilità di ogni pretesa fondata sulla filiazione naturale.
Cass. civ. n. 1102/2013
La testata giornalistica, come segno distintivo della pubblicazione periodica, costituisce solo un elemento dell'azienda, quale segno distintivo di tale iniziativa editoriale; essendo quindi un bene immateriale, equiparabile al marchio, non può dar luogo, di per sè stessa, al trasferimento d'azienda, con la conseguenza che la relativa cessione costituisce prestazione di servizi assoggettata ad IVA, senza che assuma rilievo che essa sia avvenuta congiuntamente al trasferimento dell'azienda (o di un suo ramo) ovvero separatamente, restando quest'ultima soggetta, comunque, ad imposta di registro.
Cass. civ. n. 23630/2009
Il Massimario della Corte Suprema di Cassazione non ha proceduto alla massimazione in quanto la presente sentenza ribadisce principi già espressi nella sentenza di Cassazione Civile n. 26575/2007, RV600958 (Cassa senza rinvio, App. Napoli, 19/06/2008).
Cass. civ. n. 26901/2008
In tema di cessione del marchio, il divieto di alienazione separatamente dall'azienda o da un suo ramo particolare, previsto dall'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (nel testo, applicabile ratione temporis anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo n. 480 del 1992), riguarda i contratti conclusi prima del 31 dicembre 1992, cioè della data di entrata in vigore della predetta novella, come statuito dall'art. 90 del D.L.vo citato.
Cass. civ. n. 26575/2007
La sentenza di accertamento della filiazione naturale dichiara ed attribuisce uno status che conferisce al figlio naturale i diritti che competono al figlio legittimo con efficacia retroattiva, sin dal momento della nascita, con la conseguenza che dalla stessa data decorre anche l'obbligo di rimborsare pro quota l'altro genitore che abbia integralmente provveduto al mantenimento del figlio; peraltro, la condanna al rimborso di detta quota, per il periodo precedente la proposizione dell'azione, non può prescindere da un'espressa domanda della parte, attenendo tale pronunzia alla definizione dei rapporti pregressi tra debitori solidali in relazione a diritti disponibili.
Cass. civ. n. 14787/2007
Il divieto, previsto dall'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (nel testo, applicabile ratio-ne temporis anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo 4 dicembre 1992, n. 480), di cedere il marchio separatamente dall'azienda, riguarda esclusivamente il trasferimento della titolarità, e non anche la concessione della licenza, sia pure esclusiva ma comunque temporanea, dell'uso del marchio.
Cass. civ. n. 2137/2006
In tema di durata della locazione, il limite massimo previsto dall'art. 1573 c.c. deve intendersi applicabile non solo quando sia stata pattuita sin dall'inizio una durata eccedente i trenta anni ma anche quando, pur pattuita una durata inferiore, sia stata in contratto altresì prevista la rinnovazione del rapporto per un numero indeterminato di volte, in quanto la pattuizione della rinnovazione è valida ed efficace soltanto nei limiti temporali del trentennio, altrimenti realizzandosi attraverso la pattuizione di successive rinnovazioni proprio ciò che la norma ha inteso escludere in occasione della prima stipulazione del rapporto, con conseguente elusione del divieto dalla stessa norma stabilito. Pertanto, qualora le parti (come nella specie) abbiano inserito nel contratto la clausola secondo cui il locatore sia vincolato a non fare cessare il contratto alla scadenza se non per determinate proprie necessità, il decorso di un trentennio dal suo inizio comporta che, ove il rapporto alla scadenza si sia rinnovato per il periodo successivo, di esso ben può legittimamente darsi disdetta indipendentemente dal verificarsi delle indicate necessità. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza di merito che aveva affermato la legittimità della disdetta della locazione, ha anche ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 1573 c.c., sollevata dal conduttore ricorrente in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., osservando, da un lato, che la diversa disciplina rispetto al contratto di comodato è giustificato dalla diversa funzione dei due negozi e, comunque, il concedente può far cessare il comodato in qualunque momento e, dall'altro, che una eccessiva durata della locazione comprimerebbe il diritto di iniziativa economica che è garantito proprio dal predetto art. 41 Cost.).
Cass. civ. n. 1424/2000
In tema di marchio, non comporta violazione del precetto contenuto negli artt. 2573 c.c. e 15 R.D. n. 929 del 1942 (secondo cui il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito soltanto per effetto della contestuale cessione dell'azienda o di un ramo particolare di essa) la semplice cessione, oltre che dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo (nella specie, lemmi ingeneranti confusione con altra parola costituente marchio registrato di imprenditore concorrente), integrando tutto ciò il trasferimento di una specifica organizzazione produttiva legittimamente qualificabile come «ramo di azienda».
Cass. civ. n. 6656/1995
L'art. 2573 c.c. (anteriormente alle modifiche introdottevi dal D.L.vo 4 dicembre 1992, n. 480 recante «Attuazione della direttiva CEE sul ravvicinamento della legislazione degli Stati membri in materia di marchi d'impresa») e l'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, contenente disposizioni di analogo tenore, fanno divieto di cedere il marchio separatamente dall'azienda e stabiliscono inoltre la presunzione che la cessione di questa comporti la cessione di determinati marchi; dal che consegue la nullità ex art. 1418 c.c., per contrarietà a norme imperative, del contratto di cessione del marchio senza contestuale cessione dell'azienda, restando invece escluso che la sola cessione del primo implichi il sorgere della presunzione di cessione dell'azienda o del ramo di essa che realizza il prodotto al quale il marchio si riferisce.
Cass. civ. n. 2578/1995
Alla disposizione dell'art. 2573 c.c. (secondo la quale il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito solo con l'azienda o con un ramo particolare di questa), che è di stretta interpretazione, atteso il suo scopo di evitare frodi in danno del pubblico, si ottempera anche con il trasferimento del diritto di fabbricare il prodotto cui il marchio si riferisce, secondo le modalità tecniche protette dal brevetto, e con il trasferimento dei particolari elementi necessari, eventualmente, alla realizzazione del prodotto stesso. Pertanto, l'onere di provare la nullità della cessione del marchio, per mancato trasferimento dei predetti diritti ed elementi, incombe sul terzo che l'afferma.
Cass. civ. n. 3034/1993
Non comporta la violazione del precetto contenuto negli artt. 2573 c.c. e 15 D.P.R.n. 929 del 1942 (secondo cui il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito soltanto con l'azienda o con un ramo particolare di essa) la cessione, oltre dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo (nella specie, disegni e conoscenze, atte a rendere possibile la produzione dei beni già commercializzati con lo stesso marchio, e dei relativi cataloghi), integrando un trasferimento di una specifica organizzazione produttiva, qualificabile come «ramo di azienda».
Cass. civ. n. 9404/1987
La disposizione, contenuta nell'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, secondo la quale la cessione del marchio già registrato non può avvenire se non in dipendenza del trasferimento dell'azienda o di un ramo particolare di questa, è rivolta ad assicurare l'esigenza del mercato di contare sulla continuità del rapporto tra marchio ed impresa. Pertanto detta disposizione non trova applicazione, sicché è consentito l'autonomo trasferimento del marchio, allorquando l'originario titolare del marchio stesso non abbia fabbricato o messo in commercio prodotti contrassegnati con quel marchio, non essendovi in questo caso tutela del consumatore da salvaguardare.
Cass. civ. n. 5152/1983
Un negozio traslativo dell'azienda investe, salvo deroghe previste dalla legge o dalle parti, tutti, unitariamente, i suoi componenti, nonché i rapporti costituiti per l'esercizio dell'impresa, ed anche le azioni, sebbene non ancora proposte, atte a recuperare taluno dei componenti dell'azienda che sia stato invalidamente disaggregato mediante una precedente alienazione affetta da nullità. In particolare, con l'alienazione dell'azienda rimane trasferito all'acquirente, salvo diversa pattuizione delle parti, il diritto all'uso esclusivo del marchio costituito da una denominazione di fantasia (art. 2573, comma secondo, c.c.), e quindi, ove il marchio stesso sia stato oggetto di precedente trasferimento ad altri e affetto da nullità, anche l'azione diretta a far dichiarare tale nullità ed a recuperare il marchio all'azienda medesima.
Cass. civ. n. 191/1983
Le statuizioni del secondo e terzo comma dell'art. 480 cod. civ., relative alla decorrenza del termine prescrizionale in caso di istituiti sub condicione e di chiamati ulteriori, esaurendo l'ambito della vocatio (in quanto, diversamente dall'assunto del giudice a quo, sono da ritenere vocati i primi, per la logica della delazione condizionata, e i secondi, per letterale dettato della norma stessa) e non potendo perciò` ricomprendere anche soggetti non vocati, come i figli naturali che ottengano la dichiarazione giudiziale di paternità` posteriormente all'apertura della successione, non sono elevabili a tertium comparationis ai fini della valutazione della legittimità` costituzionale della diversità` di trattamento. Trova peraltro applicazione, in tema di accettazione dell'eredità` da parte di detti figli naturali, il principio generale ex art. 2935 cod. civ., della decorrenza della prescrizione dal giorno in cui il diritto può` essere fatto valere e pertanto e` possibile risolvere la controversia mediante una interpretazione logico - sistematica della normativa in questione, diversa dalla lettura offerta dal giudice a quo. (Non fondatezza della questione di legittimità` costituzionale - in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 480 cod. civ., nella parte in cui non prevede che per i figli naturali il termine di prescrizione del diritto di accettare l'eredita` decorra dal giorno della dichiarazione giudiziale di paternità` anziché` da quello dell'apertura della successione).
Cass. civ. n. 6259/1982
A norma dell'art. 2573 c.c. non occorre che la cessione del marchio sia contestuale o contemporanea al trasferimento dell'azienda, in quanto la ratio del divieto di alienazione non esige la contemporaneità dell'un trasferimento rispetto all'altro, ma richiede che la cessione del marchio possa ricollegarsi, secondo un rapporto di complementarietà economica, alla cessione dell'azienda, al fine di prevenire la possibilità di inganni e di frodi circa la provenienza del prodotto.