Art. 89 – Codice di procedura civile – Espressioni sconvenienti od offensive
Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive.
Il giudice, in ogni stato dell'istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa [279 n. 3], può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l'oggetto della causa [2059 c.c.].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 34387/2024
In tema di sicurezza sul lavoro, la nozione di cantiere, ai fini dell'applicazione dell'obbligo di nominare, ex art. 90, comma 3, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il coordinatore per la progettazione e quello per l'esecuzione dei lavori, deve essere rapportata all'opera da realizzare e il momento della sua cessazione non è determinato da eventuali varianti in corso d'opera, ma dall'effettiva ultimazione di tutti i lavori ad essa inerenti.
Cass. civ. n. 33705/2024
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente di opere da eseguirsi da un'impresa appaltatrice che, in qualità di titolare di una posizione di garanzia, abbia considerato uno specifico rischio, apprestando e rendendo conoscibili le adeguate prescrizioni per evitarne la verificazione, può fare legittimo affidamento sulla loro osservanza da parte di soggetti qualificati ed essi stessi garanti rispetto al rischio. (Fattispecie in cui il lavoratore deceduto, socio dell'impresa appaltatrice, rivestiva la qualifica di responsabile del servizio di prevenzione e protezione (cd. RSPP) ed era altresì il firmatario del piano organizzativo per la sicurezza (cd. POS), sicché aveva preso in esame, nel documento di valutazione del rischio (cd. DVR), il pericolo di elettrocuzione, tuttavia verificatosi a causa dell'inosservanza delle misure operative predisposte al fine di evitarlo).
Cass. civ. n. 33336/2024
In tema di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, l'aggravante del fatto commesso in danno di persona "tossicodipendente" di cui all'art. 4, n. 7-bis, legge 20 febbraio 1958, n. 75, è configurabile non solo con riguardo a soggetto di cui sia stata clinicamente accertata tale condizione, ma anche a quello stabilmente dedito al consumo di droga e perciò disposto, per procurarsela, a concedersi sessualmente a chi è in grado di offrirla ovvero a prostituirsi.
Cass. civ. n. 30589/2024
La disposizione di cui all'art. 604, comma 5-bis, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 89, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui prevede che la nullità legata alla celebrazione del processo in assenza per difetto dei presupposti di cui all'art. 420 bis, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. è sanata se non è stata eccepita nell'atto di appello, si applica solo se la dichiarazione di assenza è successiva al 30 dicembre 2022.
Cass. civ. n. 25935/2024
In tema di impugnazioni, l'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., in virtù del quale il difensore deve depositare, a pena di inammissibilità, lo specifico mandato ad impugnare contenente la dichiarazione o elezione di domicilio, si applica anche all'imputato assente che sia stato dichiarato latitante, non essendo configurabile alcuna compressione del diritto di difesa, poiché il latitante non è giuridicamente impossibilitato a mantenere contatti con il proprio difensore al fine di concordare le strategie difensive.
Cass. civ. n. 21065/2024
Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, i "disturbi della personalità" possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. (Fattispecie in tema di peculato, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che aveva escluso nell'agente la compromissione della capacità di volere, in mancanza di specifici elementi dimostrativi dell'effetto cogente dell'impulso all'azione asseritamente indotto dalla ludopatia).
Cass. civ. n. 20520/2024
In tema di diffamazione, ai fini dell'applicabilità dell'esimente prevista dall'art. 598 cod. pen., non rileva la cancellazione delle espressioni diffamatorie disposta dal giudice civile ai sensi dell'art. 89, comma 2, cod. proc. civ., essendo distinti sia i canoni valutativi cui devono conformarsi quest'ultimo e il giudice penale nell'applicazione delle diverse disposizioni, sia la portata delle stesse, atteso che per offese non riguardanti l'oggetto della causa, di cui all'art. 89 cod. proc. civ., devono intendersi quelle "non necessarie alla difesa", pur se ad essa non estranee, mentre per "offese che concernono l'oggetto della causa", di cui all'art. 598 cod. pen., devono intendersi quelle che, benché non necessarie, siano comunque strumentali alla difesa.
Cass. civ. n. 16131/2024
In tema di impugnazioni, la previsione di cui all'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., trova applicazione unicamente nel caso in cui l'imputato sia stato dichiarato assente e non sia comparso nell'intero corso del giudizio di primo grado. (In motivazione la Corte ha precisato che la "ratio" della disposizione risiede nell'esigenza di consentire a colui che non abbia preso parte nemmeno a un udienza un più ampio margine temporale per interloquire, in ordine all'eventuale impugnazione, col difensore che lo ha rappresentato in sua assenza).
Cass. civ. n. 4613/2024
In tema di opposizione a decreto penale di condanna, non sono applicabili le disposizioni di cui all'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., in quanto l'art. 461, comma 1, cod. proc. pen. richiama esclusivamente le modalità di presentazione dell'atto di impugnazione previste dall'art. 582 cod. proc. pen. e non anche la forma dell'impugnazione e i requisiti di ammissibilità previsti dall'art. 581 cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che osta all'estensione della disciplina delle impugnazioni sia il principio di tassatività delle cause di inammissibilità, sia l'equiparazione dell'opposizione all'atto di impugnazione, che va operata in quanto compatibile con il "favor oppositionis").
Cass. civ. n. 49315/2023
In tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudizio di appello sia stato trattato con procedimento camerale non partecipato e non sia stata avanzata tempestiva istanza di partecipazione ex art. 598-bis, comma 2, cod. proc. pen., l'imputato appellante non può considerarsi "giudicato in assenza", in quanto, in tal caso, il processo è celebrato senza la fissazione di un'udienza alla quale abbia diritto di partecipare, sicché, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione, lo stesso non potrà beneficiare dell'aumento di quindici giorni del termine per l'impugnazione previsto dall'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Cass. civ. n. 46690/2023
In tema di impugnazioni, la nuova causa di inammissibilità di cui all'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., introdotta dall'art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in mancanza di indici normativi contrari, si applica anche al ricorso per cassazione, collocandosi la menzionata disposizione tra le norme generali sulle impugnazioni, sicché, ove la sentenza oggetto d'impugnativa sia stata pronunciata in data successiva al 30 dicembre 2022, è necessario lo specifico mandato in essa previsto per proporre ricorso per cassazione.
Cass. civ. n. 46482/2023
In tema di prove digitali, l'indisponibilità della tecnologia di "hackeraggio" utilizzata per estrarre e mettere in chiaro la messaggistica criptata non determina alcuna lesione dei diritti di difesa, atteso che l'ordinamento interno non obbliga alla ostensione degli attrezzi virtuali con cui si sia ottenuta la decodifica di contenuti telematici, fatta salva la possibilità per l'imputato di allegare anomalie tecniche che facciano fondatamente dubitare della correttezza delle acquisizioni, e che depongano per l'inquinamento del risultato. (Fattispecie relativa ad intrusione nel server delle piattaforme "Sky-Ecc" ed "Encrochat", mediante programma "software" non reso noto per il segreto opposto dalle autorità francesi).
Cass. civ. n. 43718/2023
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dagli artt. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell'art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell'appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell'imputato, unitamente all'atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l'elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell'atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un'opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi "in limine impugnationis" ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell'ampliamento del termine per impugnare e dell'estensione della restituzione nel termine.
Cass. civ. n. 41858/2023
In tema di impugnazioni, la causa di inammissibilità prevista dall'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per il caso di omesso deposito, da parte dell'imputato appellante, della dichiarazione o dell'elezione di domicilio richiesta ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, opera anche nei confronti dell'appellante sottoposto agli arresti domiciliari, al quale la notifica deve essere eseguita ai sensi dell'art. 157 cod. proc. pen. (In motivazione la Corte ha precisato che la nuova disposizione costituisce, per collocazione sistematica, norma generale sulle impugnazioni, non derogabile in ragione dello stato di detenzione dell'imputato al momento della proposizione del gravame).
Cass. civ. n. 41309/2023
In tema di impugnazioni, è applicabile al ricorso per cassazione l'onere formale del deposito di specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, unitamente alla dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell'imputato assente, come previsto dall'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. - introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - stante l'esigenza che anche il giudizio di legittimità si svolga nei confronti di un assente "consapevole". (Fattispecie relativa ad appello "a trattazione scritta" celebrato ante-riforma "Cartabia").
Cass. civ. n. 38442/2023
In tema di impugnazioni, nel caso in cui l'imputato sia detenuto al momento della proposizione del gravame, non opera, nei suoi confronti, la previsione dell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall'art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che richiede, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente all'atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, posto che tale adempimento risulterebbe privo di effetto in ragione della vigenza dell'obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell'imputato detenuto e comporterebbe la violazione del diritto all'accesso effettivo alla giustizia sancito dall'art. 6 CEDU.
Cass. civ. n. 37789/2023
In tema di impugnazioni, il termine al quale la disciplina transitoria di cui all'art. 89, comma 3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 àncora l'applicabilità del nuovo regime previsto agli artt. 581, commi 1-ter e 1-quater e 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., va riferito al momento della lettura del dispositivo e non già a quello del deposito della motivazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva dichiarato tardivo l'appello avverso una sentenza pronunciata prima del 30 dicembre 2022, con termine per il deposito della motivazione successivo a tale data, sul rilievo che non fosse applicabile l'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen.).
Cass. civ. n. 29321/2023
In tema di impugnazioni, è esclusa l'applicabilità all'appello cautelare dell'adempimento previsto, ai fini della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, dall'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, trattandosi di disposizione di stretta interpretazione e, pertanto, non applicabile analogicamente alle impugnazioni cautelari.
Cass. civ. n. 28743/2023
In tema di vizio parziale di mente, il riconoscimento, nel giudizio di appello, della diminuente di cui all'art. 89 cod. pen. preclude la possibile valutazione della stessa circostanza anche ai fini della riduzione della misura della pena base, determinandosi, altrimenti, la violazione del limite massimo di riduzione della pena fissato dalla legge. (Conf.: n. 2355 del 03/12/1971, dep. 1972,
Cass. civ. n. 22659/2023
In tema di imputabilità, l'assenza della capacità di volere può assumere rilevanza autonoma e decisiva, valorizzabile agli effetti del giudizio ex artt. 85 e 88 cod. pen., anche in presenza di accertata capacità di intendere (e di comprendere il disvalore sociale della azione delittuosa), ove sussistano due essenziali e concorrenti condizioni: a) gli impulsi all'azione che l'agente percepisce e riconosce come riprovevole (in quanto dotato di capacità di intendere) siano di tale ampiezza e consistenza da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze; b) ricorra un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale, che deve appunto essere ritenuto idoneo ad alterare non l'intendere, ma il solo volere dell'autore della condotta illecita. Ne deriva che l'esistenza di un impulso, o di uno stimolo all'azione illecita, non può essere di per sé considerata come causa da sola sufficiente a determinare un'azione incoerente con il sistema di valori di colui che la compia, essendo, invece, onere dell'interessato dimostrare il carattere cogente nel singolo caso dell'impulso stesso.
Cass. civ. n. 22140/2023
In tema di impugnazioni, è esclusa l'applicabilità all'appello cautelare degli specifici oneri formali previsti, ai fini della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, dall'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., novellato dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, posto che le indicate disposizioni stabiliscono adempimenti specificamente riferiti alla celebrazione della fase processuale del giudizio di merito di secondo grado e, pertanto, non sono astrattamente inquadrabili nel novero dei principi generali che regolano il sistema impugnatorio.
Cass. civ. n. 20899/2023
In tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la disposizione di cui all'art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore di detto decreto.
Cass. civ. n. 10611/2023
Sono utilizzabili i risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite attraverso l'utilizzo di un c.d. "server di transito", nel quale i dati informatici captati confluiscono per essere traslati agli impianti installati nei locali della Procura della Repubblica senza alcuna possibilità di immagazzinamento o riutilizzo e venendo successivamente cancellati in automatico, giacché in tal caso la registrazione delle operazioni, unico segmento del più complesso procedimento di intercettazione a dover essere effettuato, pena inutilizzabilità, nei locali della Procura della Repubblica, si svolge in tal sede.
Cass. civ. n. 3365/2023
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1-ter e 1-quater dell'art. 581, cod. proc. pen., introdotti dall'art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per contrasto con gli artt. 24, 27 e 111 Cost., in quanto tali disposizioni, laddove richiedono che unitamente all'atto di impugnazione siano depositati, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l'elezione di domicilio e, quando si sia proceduto in assenza dell'imputato, lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, non comportano alcuna limitazione all'esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all'imputato, ma solo regolano le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore, sicché essi non collidono né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con la presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge.
Cass. civ. n. 2468/2023
Qualora i finanziamenti complessivamente erogati o garantiti dalla società partecipante superino il rapporto di quattro ad uno rispetto al patrimonio netto contabile, la disciplina degli artt. 44, 89 e 98 (quest'ultimo nel testo "ratione temporis" vigente) del TUIR - volta a scoraggiare il fenomeno della sottocapitalizzazione - prevede due diversi effetti: per la società partecipata che ha ricevuto il finanziamento, l'indeducibilità degli interessi eccedenti (comprensivi di quelli corrisposti alla partecipata e di quelli corrisposti a terzi ma in ragione di rapporti garantiti dalla partecipante); per la società partecipante che ha erogato o garantito il finanziamento, l'irrilevanza degli interessi percepiti (cioè, riferiti ai soli finanziamenti erogati, con esclusione di quelli garantiti), per il 95 per cento del loro ammontare, alla formazione del reddito, nonché la loro assoggettabilità al medesimo regime fiscale previsto dall'art. 44 TUIR per i dividendi.
Cass. civ. n. 2323/2023
In tema di impugnazioni, è applicabile al ricorso per cassazione l'onere formale del deposito di specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, come previsto dall'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. - introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - stante l'esigenza che anche il giudizio di legittimità si svolga nei confronti di un assente "consapevole", così da limitare lo spazio di applicazione della rescissione del giudicato e dei rimedi restitutori. (In motivazione la Corte ha precisato che non è invece necessaria la contestuale dichiarazione o elezione di domicilio dell'imputato, ove il ricorso sia proposto da un difensore di fiducia abilitato alla difesa davanti alla Corte di cassazione, perché in tal caso all'imputato non è dovuta la notificazione dell'avviso di udienza).
Cass. civ. n. 17496/2022
L'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi e operano su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda, con la conseguenza che il dolo generico è compatibile con il vizio parziale di mente. (Fattispecie in tema di tentato omicidio, in cui il dolo è stato ritenuto pur a fronte di disturbo della personalità ed etilismo cronico, giudicati tali da non avere compromesso il potere di critica e la rappresentazione dell'evento).
Cass. civ. n. 38730/2021
L'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell'art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 14/03/2018).
Cass. civ. n. 27935/2020
Il provvedimento di cancellazione delle espressioni sconvenienti od offensive ha funzione meramente ordinatoria, avendo rilievo esclusivamente nell'ambito del rapporto endoprocessuale tra le parti, ed ha contenuto di puro merito, sicché della relativa contestazione non può farsi questione dinanzi al giudice di legittimità. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO TORINO, 21/08/2015).
Cass. civ. n. 4733/2019
La responsabilità conseguente ad affermazioni offensive per il giudice contenute negli scritti difensivi di un giudizio civile non ha natura penale, ma deriva da un fatto illecito ex art. 2043 c.c. di cui risponde, oltre all'avvocato autore delle espressioni offensive, la stessa parte, quale responsabile civile dell'operato del proprio difensore, posto che nel processo civile non trova applicazione l'art. 589 c.p., ma l'art. 89 c.p.c., quale norma posteriore e speciale rispetto alla prima.
Cass. civ. n. 14364/2018
L'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell'art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 15137/2016
In tema di espressioni sconvenienti o offensive contenute in atti processuali, quando l'istanza di cancellazione provenga dalla parte, la sua idoneità al raggiungimento dello scopo di sollecitare il potere officioso del giudice esige, a pena di nullità, che essa individui, con precisione, le espressioni "de quibus".
Cass. civ. n. 14659/2015
Il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti ed il suo esercizio d'ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all'obbligo di motivazione e non è sindacabile in sede di legittimità né è impugnabile il provvedimento di reiezione dell'istanza di cancellazione.
Cass. civ. n. 20593/2012
In tema di diffamazione, la competenza a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale per le offese contenute in scritti o discorsi dinanzi alla autorità giudiziaria, scriminabili ai sensi dell'art. 598 c.p., spetta solo al giudice della causa nell'ambito della quale furono pronunciate le frasi offensive, il quale è l'unico idoneo a valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui cui furono rivolte, rimanendo conseguentemente improponibile la domanda risarcitoria formulata davanti a diverso giudice.
Cass. civ. n. 27001/2011
In tema di responsabilità civile per espressioni offensive contenute in scritti processuali, sia la norma dell'art. 89 c.p.c. - finalizzata a regolare la correttezza formale del contraddittorio, senza individuare alcuna causa di non punibilità - sia quella dell'art. 598 cod. pen. - che prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti presentati dinanzi all'Autorità Giudiziaria allorché esse riguardino l'oggetto della causa - si riferiscono espressamente ed esclusivamente alle parti ed ai loro difensori, non potendo quindi trovare applicazione nei confronti del consulente tecnico di parte, che è figura processuale diversa e non equipabile alle predette. (Fattispecie relativa ad affermazione della responsabilità civile di un consulente tecnico di parte per espressioni diffamatorie nei confronti del consulente tecnico d'ufficio contenute in una memoria peritale depositata in un procedimento giudiziario).
Cass. civ. n. 21696/2011
L'art. 89 secondo comma c.p.c., che prevede la possibilità di assegnare alla persona offesa dalle espressioni sconvenienti od offensive contenute negli atti difensivi di un giudizio, una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale,non trova applicazione quando l'offeso non sia una delle parti ma il giudice che ha deciso la controversia.
Cass. civ. n. 16121/2009
Competente ad accertare e liquidare il danno derivante dall'uso di espressioni offensive contenute negli atti del processo, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., è di norma lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni. A tale competenza, tuttavia, è necessario derogare quando il giudice non possa, o non possa più, provvedere con sentenza sulla domanda di risarcimento, il che accade, in particolare, nei seguenti casi: A) quando le espressioni offensive siano contenute in atti del processo di esecuzione, che per tale sua natura non può avere per oggetto un'azione di cognizione e quindi destinata ad essere decisa con sentenza; B) quando siano contenute in atti di un processo di cognizione che però, per qualsiasi motivo, non si concluda con sentenza (come nel caso di estinzione del processo); C) quando i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice di merito (come nel caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado); D) quando la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti non della parte ma del suo difensore.
Cass. civ. n. 14552/2009
L'uso di espressioni sconvenienti od offensive negli atti difensivi obbliga la parte al risarcimento del danno solo quando esse siano del tutto avulse dall'oggetto della lite, ma non anche quando, pur non essendo strettamente necessarie rispetto alle esigenze difensive, presentino tuttavia una qualche attinenza con l'oggetto della controversia, e costituiscano perciò uno strumento per indirizzare la decisione del giudice.
Cass. civ. n. 6439/2009
La Corte di cassazione è competente ad ordinare, ai sensi dell'art. 89 cod. proc. civ., la cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive contenute nei soli scritti ad essa diretti, con la conseguenza che è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si chieda la cancellazione delle frasi del suddetto tenore contenute nelle fasi processuali anteriori, essendo riservata la relativa statuizione al potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità. Per la stessa ragione non è proponibile per la prima volta in cassazione la richiesta di risarcimento danni per responsabilità aggravata, prevista dall'art. 96 cod. proc. civ., quando venga riferita al comportamento delle parti tenuto nelle fasi precedenti del giudizio.
Cass. civ. n. 1018/2009
Il provvedimento di rigetto dell'istanza di cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella sentenza impugnata ha carattere ordinatorio e non incide sul merito della causa, al quale è anzi estraneo e, pertanto, non è suscettibile d'impugnazione con ricorso per cassazione.
Cass. civ. n. 12479/2004
La valutazione da parte del giudice di merito sul carattere sconveniente o offensivo di espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime a norma dell'art. 89 c.p.c. integrano esercizio di potere discrezionale, non censurabile in sede di legittimità, e l'istanza volta alla cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l'applicazione dell'anzidetto potere discrezionale, sicché l'omesso esame di essa non può formare oggetto di impugnazione in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 2954/2003
Allorché le espressioni, in ipotesi sconvenienti od offensive, contenute in un atto di causa (nella specie: in un ricorso per cassazione) siano indirizzate al difensore che svolse il proprio patrocinio in favore della parte nel pregresso grado di giudizio, l'attuale difensore della medesima parte, non essendo destinatario di alcuna offesa, non ha interesse a formulare la domanda di risarcimento, dovendo questa essere presentata necessariamente in proprio; essa, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
Cass. civ. n. 15503/2002
In tema di cancellazione delle espressioni offensive o sconvenienti contenute in scritti difensivi, l'apprezzamento circa l'effettivo rapporto tra queste e l'oggetto della causa - rimesso alla valutazione del giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità - consegue all'istanza di cancellazione della parte, senza che l'istanza stessa costituisca, peraltro, domanda giudiziale, risultando essa, per converso, una semplice sollecitazione all'esercizio di un potere officioso del giudice, strumentale all'obbligo delle parti di comportarsi in giudizio con lealtà e probità.
Cass. civ. n. 11063/2002
La cancellazione delle espressioni offensive e il risarcimento del danno previsti dall'art. 89 c.p.c. sono sanzioni diverse, distinte ed autonome: pertanto la prima, che non ha alcuna finalità risarcitoria, ma attua un fine preventivo, di polizia generale, impedendo l'immanenza di una causa di danno, può aver luogo senza la seconda a viceversa. L'insussistenza di alcun rapporto di pregiudizialità fa sì che la sanzione del risarcimento del danno non è subordinata alla preventiva cancellazione.
La sussistenza dei presupposti per il risarcimento del danno di cui all'art. 89 c.p.c., il cui riconoscimento costituisce peraltro esercizio di un potere di cui all'art. 89 c.p.c., il cui riconoscimento costituisce peraltro esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità, va esclusa allorquando le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo e non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni. Né è precluso che nell'esercizio del diritto di difesa, il giudizio sulla condotta reciproca possa investire anche il profilo della moralità, fattore non del tutto estraneo per contestare la credibilità delle affermazioni dei contendenti.
Cass. civ. n. 7628/2002
La valutazione del carattere offensivo o non di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un atto, in ordine alla quale esso ha l'obbligo di dare conto del convincimento cui perviene, nel rispetto dei canoni metodologici che, in maniera espressa o implicita, l'ordinamento pone: al riguardo, la regola contenuta nell'art. 360, n. 5, c.p.c. impone che la decisione impugnata debba essere convenientemente motivata su tutti i punti decisivi della controversia. Ciò implica che il sindacato di legittimità è circoscritto alla violazione del canone metodologico in sé, ed è esclusa ogni nuova valutazione del fatto rappresentato.
Cass. civ. n. 9946/2001
La cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute negli scritti difensivi può essere disposta, ex art. 89 c.p.c., anche nel giudizio di legittimità, rientrando essa nei poteri officiosi del giudice, e nessun rilievo ostativo può acquistare il profilo che la richiesta relativa — attenendo, ad esempio, a espressioni contenute nel controricorso — risulti formulata solo in sede di memorie ex art. 378 c.p.c., posto che in tal caso essa finisce con il valere comunque quale sollecitazione all'esercizio dei poteri d'ufficio. In tali ipotesi, tuttavia, non potrà però concedersi anche all'assegnazione di una somma di danaro a titolo di risarcimento danni, in quanto, risultando le memorie in questione destinate in via esclusiva ad illustrare e chiarire i motivi di impugnazione tempestivamente e ritualmente proposti, non potrebbe giammai trovare idonea tutela il diritto di difesa del destinatario della domanda risarcitoria, privato — in quanto tale — della possibilità di contare su un congruo termine per l'esercizio della facoltà di replica.
Cass. civ. n. 7527/2001
L'espressione “scritto presentato” di cui all'art. 96 c.p.c. va intesa nel senso di atto del processo portato alla conoscenza del giudice con i mezzi ed i modi fissati dal codice di rito; pertanto, quando l'esame dell'atto è precluso per ragioni di rito (nella specie, inammissibilità del ricorso per cassazione) non può darsi ingresso all'istanza di cancellazione di espressioni asseritamente sconvenienti ed offensive; in tal caso, infatti, non è possibile valutare né l'attinenza delle medesime all'oggetto della causa e la loro collocazione funzionale nell'ambito del contesto difensivo e quindi la violazione del dovere di lealtà e correttezza né la risarcibilità del danno, salva la rilevanza in altra sede dei contegni denunciati.
Cass. civ. n. 14942/2000
Nelle disposizioni dell'art. 89 c.p.c. l'offensività e la sconvenienza delle espressioni usate in scritti o discorsi difensivi costituiscono nozioni distinte e la seconda non riguarda la lesività del valore e dei meriti di qualcuno — aspetti tutelati dal divieto delle espressioni offensive — ma una lesività di grado minore, inerente al contrasto delle espressioni con le esigenze dell'ambiente processuale e della funzione difensiva nel cui ambito esse vengono formulate. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto sconveniente, anche se non offensiva nella dialettica processuale, l'espressione subdolamente insinua contenuta nel ricorso e riferita al comportamento processuale della controparte).
Cass. civ. n. 2188/1992
A norma dell'art. 89 c.p.c. l'offesa all'onore ed al decoro comporta, indipendentemente dalla possibilità o meno della cancellazione delle frasi offensive contenute negli atti difensivi, l'obbligo del risarcimento del danno non solo nell'ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l'esercizio della difesa, ma anche nell'ipotesi che esse si presentino come eccedenti le esigenze difensive; l'apprezzamento dell'avvenuto superamento dei limiti di correttezza e civile convivenza entro cui va contenuta l'applicazione della difesa integra, peraltro, esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.
Cass. civ. n. 520/1991
Ai fini di un corretto esercizio della professione forense, l'avvocato deve elevarsi al di sopra delle parti e, nel dare l'indispensabile contributo tecnico per la risoluzione della lite in favore del proprio cliente, deve mantenersi nei limiti invalicabili risultanti dal contemperamento della libertà di pensiero e delle esigenze di difesa con il necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo. Viene pertanto meno al dovere di correttezza, con conseguente lesione del decoro professionale (artt. 14 e 38 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578), oltre la violazione dell'art. 89 c.p.c., l'avvocato che in uno scritto difensivo si abbandoni ad espressioni dispregiative per la controparte o per altri soggetti, tanto più se estranei al giudizio, ove dette espressioni non siano attinenti alla materia del contendere e tanto meno indispensabili per chiarire una situazione di fatto non diversamente rappresentabile, restando in tal caso priva di valore esimente la soggettiva convinzione del professionista di dover reagire ad uno scritto difensivo della controparte.
Cass. civ. n. 4651/1990
L'ordine di cancellazione di frasi sconvenienti ed offensive connesso alla esigenza di assicurare il decoro del procedimento e la serenità del giudizio è affidato al potere discrezionale del giudice, esercitabile anche d'ufficio, ed è insindacabile in sede di legittimità, anche nel caso di motivazione sintetica, riferita cioè alla sola indicazione delle espressioni censurate.
Cass. civ. n. 5991/1979
Il comportamento delle parti e dei difensori nel giudizio è disciplinato dalla legge (artt. 88, 89 c.p.c.) in quanto nell'interesse superiore della giustizia e in quello particolare dei contendenti, la lite giudiziaria deve svolgersi correttamente con una condotta sempre ispirata a lealtà e probità e nel reciproco rispetto. La violazione delle norme di comportamento dà al giudice il potere di disporre, anche di ufficio, la cancellazione delle espressioni sconvenienti e ingiuriose, e tale potere può essere esercitato pure nel giudizio di legittimità per quanto riguarda le frasi offensive contenute negli atti diretti alla Corte di cassazione, la quale, in questa ipotesi, giudica anche nel merito. Ai sensi dell'art. 89 c.p.c., il giudice con la sentenza che decide la causa può assegnare alla persona offesa dalle frasi offensive contenute negli scritti difensivi della controparte o del suo patrocinatore una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, solo quando le espressioni non riguardano l'oggetto della causa. Non si applica, pertanto, nel processo civile l'art. 598 c.p., che per l'assegnazione di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, richiede la pertinenza delle frasi offensive all'oggetto della causa e del ricorso amministrativo, sia perché la norma del codice processuale civile è posteriore a quella del codice penale, sia soprattutto perché essa riguarda specificamente il giudizio civile, con la conseguenza che l'ambito di applicazione dell'art. 598 c.p. resta limitato al processo penale e a quello davanti all'autorità amministrativa. A norma dell'art. 89 c.p.c. le espressioni contenute negli scritti difensivi non debbono, nella forma e nel contenuto, eccedere i limiti di un civile esercizio del diritto di difesa e di critica, sicché le manifestazioni passionali e incomposte, caratterizzante dall'intento di offendere la controparte e i suoi difensori, costituendo abuso di quel diritto, debbono essere represse anche se abbiano attinenza con l'oggetto della causa; inoltre, devono essere cancellate le frasi che, pur nell'esercizio del diritto di critica nei confronti della decisione impugnata e dell'opera del magistrato, eccedono i limiti del rispetto dovuto ai giudici e all'amministrazione della giustizia.