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Art. 50 — Consenso dell’avente diritto

Art. 50 — Consenso dell’avente diritto

Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne (579; c.c. 5).

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 33275/2017

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 cod. pen.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell’ordinamento, in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport, nell’ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l’avversario. (In motivazione la Suprema Corte ha precisato che la condotta lesiva è esente da sanzione penale allorché sia finalisticamente inserita nel contesto dell’attività sportiva, mentre ricorre l’ipotesi di lesioni volontarie punibili nel caso in cui la gara sia soltanto l’occasione dell’azione violenta mirata alla persona dell’antagonista).

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Cass. pen. n. 34977/2016

La causa di giustificazione non codificata del rischio consentito nell’attività sportiva non opera nell’ipotesi di lesioni personali cagionate nello svolgimento di una mera esibizione sportiva, trovandoci, in questo caso, di fronte ad una attività modellata sulla falsariga di una gara sportiva, ma, a differenza di quest’ultima, non disciplinata dalle regole stabilite dagli organismi di categoria, alla cui osservanza è ricondotta l’assenza di antigiuridicità del fatto. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso l’operatività della scriminante in relazione alle lesioni provocate a seguito di uno scontro tra due natanti, nel corso di una esibizione non competitiva).

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Cass. pen. n. 42114/2011

In tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito, qualora nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro.

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Cass. pen. n. 20944/2011

La scriminante putativa del consenso dell’avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della persona che può validamente disporre del diritto. (Fattispecie in tema di appropriazione indebita di un bene oggetto di locazione).

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Cass. pen. n. 17210/2011

L’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia pertanto in un in errore inescusabile sulla legge penale.

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Cass. pen. n. 34521/2010

In caso di intervento medico-chirurgico con esito infausto, il consenso del paziente che, se espresso validamente e nei limiti di cui all’art. 5 c.c., preclude la possibilità di configurare il delitto di lesioni volontarie, assumendo efficacia scriminante, non è necessario, perché l’intervento medico-chirurgico sia penalmente lecito, in presenza di ragioni di urgenza terapeutica o nelle ipotesi previste dalla legge. (La Corte ha anche osservato che, in presenza di una manifestazione di volontà esplicitamente contraria all’intervento terapeutico, l’atto, asseritamente terapeutico, costituisce un’indebita violazione non solo della libertà di autodeterminazione del paziente, ma anche della sua integrità; peraltro, in caso di esito fausto dell’intervento, la sussistenza di un pericolo grave ed attuale per la vita o la salute del paziente, pur non scriminando la condotta, esclude il dolo intenzionale di lesioni, in quanto il medico che interviene nonostante il dissenso del paziente, si rappresenta la necessità di salvaguardarne, cionondimeno, la vita o la salute poste in pericolo).

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Cass. pen. n. 20595/2010

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, deve ritenersi non rientrare nell’ambito del cosiddetto rischio consentito nella specifica attività calcistica l’intervento di un giocatore sulla palla – a gioco fermo per il fischio dell’arbitro – malgrado la vicinanza della mano di un giocatore caduto a terra.

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Cass. pen. n. 2437/2009

Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle “leges artis”, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.

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Cass. pen. n. 11335/2008

Il consenso espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, è vero e proprio presupposto di liceità dell’attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell’ammalato.

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Cass. pen. n. 11640/2006

In tema di lesioni colpose, il consenso del paziente ad un trattamento medico — che non si identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma che costituisce un presupposto per la validità e liceità dell’attività medica — perde di efficacia, ancorché consapevolmente prestato in ordine alle conseguenze lesive all’integrità personale, se queste si risolvano in una menomazione permanente che incide negativamente sul valore sociale della persona umana. (Nella specie, è stato ravvisato il reato di lesioni personali colpose in relazione ad un intervento odontoiatrico che aveva determinato nel paziente l’indebolimento permanente della funzione masticatoria).

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Cass. pen. n. 45210/2005

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 c.p.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell’ordinamento, in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport, nell’ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l’avversario — che aveva realizzato una rete — con una gomitata al naso, in quanto imprescindibile presupposto della non punibilità della condotta riferibile ad attività agonistiche è che essa non travalichi il dovere di lealtà sportiva, il quale richiede il rispetto delle norme che regolamentano le singole discipline, di guisa che gli atleti non siano esposti ad un rischio superiore a quello consentito da quella determinata pratica ed accettato dal partecipante medio; ne deriva che la condotta lesiva esente da sanzione penale deve essere, anzitutto, finalisticamente inserita nel contesto dell’attività sportiva, mentre ricorre, come nella fattispecie, l’ipotesi di lesioni volontarie punibili nel caso in cui la gara sia soltanto l’occasione dell’azione violenta mirata alla persona dell’antagonista.

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Cass. pen. n. 19473/2005

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l’uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l’area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente il cui comportamento può essere – pur nel travalicamento di quelle regole – la colposa, involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco.

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Cass. pen. n. 23214/2004

In tema di arbitraria occupazione del demanio marittimo, sono irrilevanti sia l’acquiescenza degli organi preposti alla sua tutela, sia il preteso consenso dell’avente diritto.

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Cass. pen. n. 39204/2003

In tema di lesioni cagionate nel contesto di un’attività sportiva non opera la scriminante di cui agli artt. 50 e 51 c.p. e si verte, invece in una ipotesi di superamento del c.d. «rischio consentito» ogniqualvolta l’agente realizzi l’evento lesivo mediante una violazione volontaria delle regole di gioco, tali da superare appunto i limiti della lealtà sportiva. (Fattispecie in cui, in una partita di calcio, l’imputato poneva in essere un intervento a gambatesa colpendo un ragazzo coetaneo e cagionandogli lesioni guaribili in 40 giorni).

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Cass. pen. n. 26446/2002

In tema di attività medico-chirurgica, allo stato attuale della legislazione (non avendo ancora trovato attuazione la delega di cui all’art. 3 della legge 28 marzo 2001 n. 145, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedica), deve ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l’espresso, libero e consapevole rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente. In tale ultima ipotesi, qualora il medico effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potrà profilarsi a suo carico il reato di violenza privata ma non mai – ove il trattamento comporti lesioni chirurgiche ed il paziente venga successivamente a morte – il diverso e più grave reato di omicidio preterintenzionale, non potendosi ritenere che le lesioni chirurgiche, strumentali all’intervento terapeutico, possano rientrare nelle previsioni di cui all’art. 582 c.p.

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Cass. pen. n. 23599/2002

Nell’ambito degli episodi di «nonnismo», non ricorre la scriminante del consenso dell’avente diritto neanche quando il soggetto passivo abbia accettato di sottoporsi a prove di iniziazione (nella specie, quella denominata dello «sbrago»), in quanto la manifestazione di volontà non può in nessun caso ritenersi libera da condizionamenti, in considerazione della forzata convivenza e del clima di intimidazione creato dai militari più anziani nei confronti dei più giovani.

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Cass. pen. n. 24942/2001

In tema di lesioni cagionate nel contesto di una attività sportiva, ricompresa nella categoria degli sports a violenza solo eventuale, non opera la scriminante di cui agli artt. 50 e 51 c.p. e si verte, invece in una ipotesi di superamento del c.d. rischio consentito, ogniqualvolta venga posta coscientemente a repentaglio l’incolumità del giocatore avversario il quale è legittimato ad attendersi comportamenti agonistici anche rudi, ma non violazioni del dovere di lealtà che si risolvano nel disprezzo per l’altrui integrità fisica. (Fattispecie in cui, in una gara di calcetto a cinque, l’imputato, durante una azione di gioco, a seguito della «umiliazione» scaturita da un tunnel, per ostacolare la corsa del giocatore avversario, allargava i gomiti e andava a colpire quest’ultimo al volto cagionando allo stesso lesioni guaribili in sette giorni).

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Cass. pen. n. 3901/2001

Il fatto che comportamenti oggettivamente truffaldini (quali, nella specie, la sottoscrizione di fogli di presenza da parte di dipendenti di un’azienda municipalizzata, i quali poi si assentavano arbitrariamente dal servizio), siano posti in essere con l’acquiescenza dei funzionari o dei rappresentanti dell’ente (fornito di personalità giuridica) al quale detti comportamenti arrecano danno, non rende configurabile, in favore dei loro autori, l’esimente del consenso dell’avente diritto, potendosi semmai ipotizzare il concorso morale degli stessi funzionari o rappresentanti nel reato.

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Cass. pen. n. 1951/2000

In tema di c.d. «illecito sportivo» l’autore dell’evento lesivo che sia stato rispettoso delle regole del gioco, del dovere di lealtà nei confronti dell’avversario e dell’integrità fisica di costui non sarà perseguibile penalmente in quanto non potrà dirsi superata la soglia di «rischio consentito». Diversamente, allorché il fatto lesivo si verifichi perché il giocatore violi volontariamente le regole del gioco disattendendo i doveri di lealtà verso l’avversario, il fatto non potrà rientrare nella causa di giustificazione ma sarà penalmente perseguibile. (Nella specie la Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi scriminato il comportamento del giocatore di pallacanestro che aveva sferrato un pugno al giocatore avversario attingendone la mandibola destra).

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Cass. pen. n. 3398/1999

Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) non può essere scriminato dal consenso dell’avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali relative ad ordinamenti diversi da quello italiano. Dette sub-culture, infatti, ove vigenti, si porrebbero in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dall’art. 2 Cost., i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famiglia negli articoli 29-31 Cost. (Fattispecie in cui la scriminante del consenso dell’avente diritto era stata fondata sull’origine albanese dell’imputato o delle persone offese per le quali varrebbe un concetto dei rapporti familiari diverso da quello vigente nel nostro ordinamento).

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Cass. pen. n. 3747/1996

Ai fini dell’esclusione del requisito dell’arbitrarietà nell’occupazione di area demaniale marittima sono irrilevanti, rispetto all’istituto della concessione, le figure giuridiche dell’acquiescenza (la costruzione del porto sarebbe «avvenuta sotto gli occhi di tutti e nel silenzio acquiescente di tutti») degli organi preposti e del conseguente consenso dell’avente diritto. (Nella specie la S.C. ha osservato che la concessione è un atto amministrativo che acquista giuridica esistenza ed efficacia solo se emessa nella forma che documentalmente lo individua, non ammette equipollenti e non può essere surrogato da manifestazione di consenso od omissioni di dissenso, se, non nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge; che il consenso scriminante è solo quello concernente diritti soggettivi privati [ il che non può dirsi in ordine a consenso eventualmente prestato all’uso o all’occupazione di beni demaniali ] e, inoltre, e soprattutto è necessario che il consenso del titolare del diritto preceda la condotta dell’agente).

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Cass. pen. n. 5640/1994

Il consenso della vittima per rapporti sessuali particolari non può escludere l’eventuale sussistenza di reati di ratto, violenza carnale, minacce e lesioni, ove questi comportamenti siano di fatto realizzati oltre una sfera di ragionevole previsione iniziale, in quanto incidono su beni personali tutelati dall’ordinamento in sè e, come tali, non disponibili a discrezione del titolare. In particolare, non può invocare la buona fede o la scusante dell’orgasmo sessuale chi si abbandoni ad atti oggettivamente gravi e pericolosi in un rapporto sessuale particolare, pur accettato all’inizio dalle parti. (Nella specie l’imputato realizzò una serie di atti sadomasochistici come legamento della vittima, bruciature, percosse e coito orale e vaginale, mettendo la vittima, non più consenziente, in una situazione di oggettiva impotenza, accompagnando tali atti con gravi minacce a mezzo di un coltello).

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Cass. pen. n. 7186/1990

L’esimente putativa (nella specie consenso dell’avente diritto) può trovare applicazione solo quando sussista un’obiettiva situazione — non creata dallo stesso soggetto attivo del reato — che possa ragionevolmente indurre in errore tale soggetto sull’esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante. (Nella specie la corte ha ritenuto che un paramedico, il quale abusi di una paziente che si trovi in stato di incoscienza, non possa invocare il consenso presunto dell’avente diritto in base al rilievo che la donna non abbia fatto opposizione: egli infatti non può confondere — in virtù delle sue conoscenze tecniche — lo stato di prostrazione fisica con il suddetto consenso tacito).

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Cass. pen. n. 8986/1989

Le cause di giustificazione del reato possono trovare applicazione solo quando le situazioni di fatto cui si riferiscono risultino pienamente provate. Pertanto il dubbio sulla loro esistenza le rende inoperanti e non incide minimamente sugli elementi costitutivi del reato.

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Cass. pen. n. 594/1989

In tema di lesioni personali, il consenso dell’avente diritto ha efficacia, come causa giustificatrice, se viene prestato volontariamente nella piena consapevolezza delle conseguenze lesive all’integrità personale, sempre che queste non si risolvano in una menomazione permanente la quale, incidendo negativamente sul valore sociale della persona umana, fa perdere di rilevanza al consenso prestato. (Fattispecie in tema di lesioni conseguenti a terapie odontoiatriche).

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Cass. pen. n. 7197/1988

Le cause di non punibilità possono essere riconosciute solo quando siano rigorosamente provate, quando i loro presupposti, pur non esistendo obiettivamente siano erroneamente ritenuti come reali dall’agente a causa di un erroneo ed incolpevole apprezzamento sorretto da circostanze di fatto tali da giustificare la ragionevole persuasione di una determinata situazione che, ove fosse stata realmente sussistente, avrebbe determinato gli estremi per il riconoscimento della causa di giustificazione.

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Cass. pen. n. 745/1988

Ai fini dell’applicazione di un esimente, non basta l’indicazione, da parte dell’imputato, di una situazione di fatto astrattamente riconducibile a tale applicazione, ma occorre che quella situazione risulti rigorosamente provata, dal momento che le cause di giustificazione, configurandosi come elementi negativi di un reato perfetto in tutti i suoi aspetti, possono operare soltanto se siano effettivamente sussistenti in tutti gli estremi richiesti dalla legge. Ne consegue che all’imputato, se pure non fa carico un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, incombe certamente un compiuto onere di allegazione.

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Cass. pen. n. 11476/1987

L’imputato, nel caso in cui intenda far valere nel giudizio una causa di giustificazione in suo favore, non ha già l’onere di fornire la prova rigorosa di quanto da lui affermato al riguardo, bensì di indicare tutti quegli elementi su cui il giudice potrà indirizzare le indagini e gli accertamenti circa la sussistenza della scriminante. Tuttavia in caso di inadempimento dell’onere di allegazione da parte dell’imputato di elementi di indagine il giudice, qualora le risultanze processuali glielo impongano, e proprio sotto l’aspetto probatorio, ha l’obbligo di rilevare la sussistenza dell’esimente, da accertarsi con o senza l’ausilio dell’imputato, il quale resta sempre libero di privilegiare una linea difensiva al posto di un’altra.

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Cass. pen. n. 7425/1987

Il generico divieto di atti dispositivi del proprio corpo che importino una diminuzione permanente dell’integrità fisica non esclude l’efficacia scriminante del consenso in ordine a specifici atti dispositivi di volta in volta ritenuti leciti dal legislatore. (Fattispecie in tema di vasectomia).

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