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Art. 148 — Infermità psichica sopravvenuta al condannato

Art. 148 — Infermità psichica sopravvenuta al condannato

Se, prima dell’esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale o durante l’esecuzione, sopravviene al condannato una infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l’infermità sia tale da impedire l’esecuzione della pena, ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un manicomio giudiziario ovvero in una casa di cura e di custodia. Il giudice può disporre che il condannato, invece che in un manicomio giudiziario, sia ricoverato in un manicomio comune, se la pena inflittagli sia inferiore a tre anni di reclusione o di arresto, e non si tratti di delinquente o contravventore abituale, o professionale, o di delinquente per tendenza.

[ La disposizione precedente si applica anche nel caso in cui, per infermità psichica sopravvenuta, il condannato alla pena di morte deve essere ricoverato in un manicomio giudiziario. ]

Il provvedimento di ricovero è revocato, e il condannato è sottoposto all’esecuzione della pena, quando sono venute meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 2731/1999

I ricoveri previsti dall’art. 148 c.p. costituiscono modalità di esecuzione della pena detentiva, e non misure di sicurezza. Pertanto essi sono disposti senza previo accertamento della pericolosità sociale, comportano il mantenimento dello stato detentivo del soggetto e sono computati nella durata della pena complessiva da espiare.

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Cass. pen. n. 5282/1996

Ai fini del differimento facoltativo della esecuzione di una pena detentiva ex art. 147 c.p., non è sufficiente che una o più infermità fisiche menomino in maniera più o meno rilevante la salute del soggetto e siano suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla libertà, ma è necessario che le patologie siano di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma contenuta nell’art. 27, comma secondo, della Costituzione. Occorre cioè che la malattia sia di tale gravità da escludere — in quanto preponderante sugli altri aspetti della vita intramuraria, globalmente considerata, del detenuto — sia la sua pericolosità, che la sua capacità di avvertire l’effetto rieducativo del trattamento penitenziario. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che la sindrome ansioso-depressiva può costituire causa di differimento della esecuzione della pena solo quando sia di tale gravità da non essere in alcun modo fronteggiabile in ambiente carcerario o abbia assunto addirittura i caratteri della vera e propria infermità psichica sopravvenuta, per il qual caso sarebbe comunque applicabile non più la norma di cui all’art. 147 c.p., bensì quella di cui all’art. 148 c.p.).

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Cass. pen. n. 5220/1996

Mentre l’art. 147 c.p. prevede la facoltà di ordinare il differimento della esecuzione della pena nei confronti di chi si trovi in condizioni di grave infermità fisica, l’art. 148 c.p. invece impone al giudice l’obbligo di ordinare il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia del condannato affetto da infermità psichica «tale da impedire l’esecuzione della pena». Le due norme sopra citate non sono suscettibili di applicazione congiunta, ma tra esse vi è un rapporto di reciproca esclusione, nel senso che, qualora sia prevalente la patologia psichiatrica — quando cioè quest’ultima sia di entità tale da rendere impossibile l’esecuzione della pena — al differimento o alla sospensione della pena conseguirà necessariamente il ricovero in struttura psichiatrica; mentre nel caso inverso, ai fini dell’esercizio del potere discrezionale del giudice, si dovrà avere esclusivo riferimento alla infermità psichica.

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Corte cost. n. 111/1996

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 148 c.p., in riferimento agli artt. 3, 27, 32 Cost., nella parte in cui prevede il ricovero in struttura psichiatrica giudiziaria del condannato affetto da grave malattia psichica sopravvenuta, rientrando nella discrezionalità del legislatore la scelta del trattamento differenziato da quello della grave infermità fisica, che non dà luogo alla applicazione di misure di sicurezza detentive a seguito del proscioglimento

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Cass. pen. n. 1802/1994

A seguito della sentenza costituzionale n. 146 del 1975, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 148 c.p., nella parte in cui prevede il giudice, nel disporre il ricovero del condannato in un ospedale psichiatrico giudiziario, ordini la sospensione della pena, la disciplina normativa dell’infermità psichica del condannato configura, non un’ipotesi di rinvio o di sospensione della pena, bensì soltanto un caso di mutamento obbligatorio del suo regime esecutivo, dovendo l’intero periodo di ricovero — dovunque trascorso — essere computato nella stessa pena. Ne consegue che, quando ricorra l’ipotesi di infermità totale e di pena da espiare non inferiore a tre anni di reclusione, il giudice è tenuto a disporre il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, perchè solamente nel caso di pena da espiare inferiore a tre anni di reclusione, sono consentiti, qualora ne ricorrano i presupposti, il ricovero in un ospedale civile o la detenzione domiciliare.

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