Art. 248 – Codice civile – Legittimazione all’azione di contestazione dello stato di figlio. Imprescrittibilità
L'azione di contestazione dello stato di figlio spetta a chi dall'atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse [100 c.p.c.].
L'azione è imprescrittibile [2934].
Quando l'azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell'articolo precedente.
Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori [102 c.p.c.].
Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e il secondo comma dell'articolo 245.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 13205/2024
In tema di enti locali, in caso di dichiarazione di dissesto del Comune, le sanzioni interdittive per gli amministratori, previste ex art. 248 TUEL, conseguono di diritto all'accertamento dei relativi presupposti da parte del giudice contabile, senza che quest'ultimo possa procedere alla loro applicazione diretta, riservata all'autorità amministrativa competente, determinandosi altrimenti un eccesso di potere giurisdizionale.
Cass. civ. n. 10160/2024
Integra il reato di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio la condotta dell'amministratore che, procedendo alla rivalutazione dei beni giustificata da "casi eccezionali" - di cui all'art. 2423, comma quinto, cod. civ. - che, però, non hanno inciso effettivamente sul valore al rialzo di quei beni, eviti che si manifesti la necessità di ricapitalizzare o di porre in liquidazione la fallita, così determinando l'ulteriore aggravamento del suo dissesto. (Fattispecie relativa alla rivalutazione arbitraria e strumentale di cespiti immobiliari effettuata al fine di compensare le rilevanti perdite di esercizio subite dalla società in conseguenza dell'incendio di un suo capannone).
Cass. civ. n. 8069/2024
Colui che agisce in giudizio con l'azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda e, quindi, la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d'impresa e non abbiano una finalità liquidatoria; spetta, infatti, agli amministratori convenuti dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva al verificarsi della causa di scioglimento, non comportino un nuovo rischio d'impresa, come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci, e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o comunque risultino necessari. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto responsabile l'amministratore delegato di una società fallita per avere proseguito l'attività d'impresa pur in presenza della perdita del capitale sociale, non avendo il convenuto fornito la prova che gli atti compiuti fossero finalizzati alla liquidazione della società o alla conservazione dell'integrità del valore del patrimonio).
Cass. civ. n. 48114/2023
In tema di bancarotta fraudolenta, nel caso di scioglimento e liquidazione di una società di capitali, la nomina dei liquidatori produce effetti dal momento in cui è stata iscritta nel registro delle imprese, sicché gli amministratori della società, fatta salva l'ipotesi in cui abbiano presentato le dimissioni in precedenza, rispondono penalmente delle condotte poste in essere fino a tale momento.
Cass. civ. n. 29257/2023
In tema di IVA, il diritto al rimborso dell'imposta per cessazione dell'attività, ai sensi dell'art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, sorge al momento della cessazione effettiva della medesima, da individuarsi con la messa in liquidazione della società e non con lo scioglimento o la cancellazione, successivi alla data della domanda di rimborso.
Cass. civ. n. 20806/2023
Nella fase della liquidazione, che non interrompe il periodo d'imposta ai fini dell'IVA e non determina la necessità di presentare un'autonoma dichiarazione, la società continua ad essere un soggetto IVA distinto dai soci, sicché, tenuto alla presentazione della relativa dichiarazione, è il liquidatore che assume la rappresentanza ex art. 2487, comma 1, lett. c, c.c., ragion per cui la sua dichiarazione che espone nei termini un credito è idonea a manifestare la volontà della compagine rappresentata di pretendere la soddisfazione del credito stesso.
Cass. civ. n. 6893/2023
La responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata - per il compimento di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all'art. 2484, comma 1, n. 4), c.c. - è disciplinata nel successivo art. 2486 c.c. e, pur avendo natura extracontrattuale, non è suscettibile di essere ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c., non venendo in evidenza un "fatto illecito" nel senso postulato da detta norma, in quanto gli amministratori agiscono nel compimento delle operazioni pregiudizievoli non in proprio ma in qualità di organi investiti della rappresentanza dell'ente.
Cass. civ. n. 3045/2023
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'emissione dell'avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio, di cui all'art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, non è giustificata dalla messa in liquidazione della società, che, non comportandone l'estinzione, non preclude l'attività di accertamento, né la soddisfazione delle eventuali ragioni creditorie dell'Ufficio.
Cass. civ. n. 4194/2018
Qualora non operi la presunzione di paternità ex art. 232 c.c. ed il figlio sia nato da genitori non uniti in matrimonio senza che ne sia successivamente intervenuto il riconoscimento, l'unica azione a disposizione del padre è quella "residuale", prevista dall'art. 248 c.c., di contestazione dello stato di figlio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che quest'ultima avesse erroneamente qualificato come disconoscimento di paternità l'azione con la quale, colui che all'anagrafe figurava essere il padre di un minore, nato dopo anni dalla pronuncia della sua separazione dalla madre e non riconosciuto, contestava la veridicità delle risultanze anagrafiche).
Cass. civ. n. 3529/2000
In presenza della normativa degli artt. 235 e ss. c.c. (che disciplina organicamente la contestazione di uno degli specifici presupposti della legittimità, quale è la paternità), non è possibile applicare alla stessa fattispecie anche l'art. 248 c.c., il quale riguarda la contestazione di presupposti necessariamente diversi da quello della paternità.
Cass. civ. n. 547/1996
Il figlio nato da madre coniugata, che abbia lo stato di figlio legittimo attribuitogli dall'atto di nascita (sussista o meno pure il possesso del relativo status), non può contestare la paternità legittima avvalendosi della disposizione di cui all'art. 248 c.c., in quanto tale norma non è concorrente con quella dettata in tema di disconoscimento della paternità e non può ad essa derogare, dato che configura un'azione con contenuto residuale, esperibile solo ove non siano previste e regolate altre azioni di contestazione della legittimità. Ne deriva che, per rimuovere la presunzione di concepimento durante il matrimonio, deve avvalersi dell'azione di disconoscimento della paternità anche il figlio che sia nato decorsi trecento giorni dall'omologazione della separazione consensuale (o dalla pronuncia di separazione giudiziale) in epoca in cui era vigente il vecchio testo dell'art. 232 c.c., poiché tale ipotesi, pur non essendo contemplata dalla legge del tempo tra le cause di esclusione della richiamata presunzione, è riconducibile, per effetto della disposizione transitoria di cui all'art. 229 della L. n. 151 del 1975, al disconoscimento del rapporto di filiazione per mancata coabitazione, ex art. 235, comma 1, n. 1, c.c. (che, nella specie, l'interessato avrebbe potuto e dovuto promuovere nel termine fissato dalla riferita disposizione transitoria).
Cass. civ. n. 25/1989
Il preteso padre naturale del figlio, che, nato da madre coniugata, abbia lo stato di figlio legittimo del marito di questa, in forza dell'atto di nascita, non può esperire, per contrastare tale paternità legittima, l'azione di contestazione della legittimità, contemplata dall'art. 248 c.c., poiché questa disposizione avente carattere residuale non trova applicazione con riguardo alle ipotesi in cui si metta in discussione la paternità, che sono compiutamente regolamentate dagli artt. 235 e 244 c.c., in terna di disconoscimento della paternità, con l'individuazione dei soggetti all'uopo abilitati, da cui è escluso il preteso padre naturale, nonché dei termini e delle condizioni per il disconoscimento medesimo. Tale principio manifestamente non pone in contrasto il citato art. 248 c.c. con l'art. 30 della Costituzione, sul diritto di entrambi i genitori di mantenere, educare ed istruire i figli (anche se nati fuori dal matrimonio), trattandosi di scelta discrezionale del legislatore ordinario, compatibile con detta norma costituzionale, mentre un'eventuale violazione dell'art. 3 della Costituzione, a causa dell'esclusione del preteso padre naturale fra le persone legittimate al disconoscimento di cui all'art. 235 c.c., potrebbe essere rilevante solo nel diverso caso in cui egli agisca tempestivamente, ai sensi dello stesso art. 235 c.c., sollevandone questione di legittimità costituzionale quale mezzo al fine di sentirsi includere fra i titolari dell'azione di disconoscimento.
Cass. civ. n. 658/1988
La contestazione della legittimità del figlio da presumersi concepito in costanza di matrimonio (vi sia o meno pure il possesso di stato), in relazione al presupposto della paternità, può essere effettuata solo con l'azione di disconoscimento di cui all'art. 235 (nuovo testo) c.c. e, quindi, da parte dei soggetti, nei termini ed alle condizioni all'uopo previste, indipendentemente dal fatto che vi sia stata declaratoria di nullità del matrimonio per impotenza del marito (con gli effetti del matrimonio putativo ai sensi dell'art. 128 c.c.), atteso che, pure in questo caso, non è esperibile l'azione di contestazione della legittimità di cui all'art. 248 (nuovo testo) c.c., la quale configura disposizione residuale, per le contestazioni diverse da quelle inerenti alla paternità. L'estensione di tale principio alla suddetta ipotesi di nullità del matrimonio manifestamente non pone le citate norme in contrasto con gli artt. 2, 24, 29 primo comma e 30 primo comma della Costituzione, in relazione alle conseguenze derivanti dall'inutile decorso del termine per l'azione di disconoscimento, vertendosi in tema di scelte del legislatore ordinario correlate all'inerzia della parte nell'avvalersi degli strumenti apprestati dall'ordinamento.