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Art. 314 — Pubblicità

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La sentenza definitiva che pronuncia l’adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato [ disp.att. 37 ].

Con la procedura di cui al primo comma deve essere altresì trascritta ed annotata la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato [ 324 c.p.c. ].

L’autorità giudiziaria può inoltre ordinare la pubblicazione della sentenza che pronuncia l’adozione o della sentenza di revoca nei modi che ritiene opportuni [ 120 c.p.c. ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 12556/2012

Il decreto che pronunzia l’adozione di persone di maggiore età (art. 314 c.c.) ha natura costitutiva, produce effetti direttamente incidenti sullo “status” dell’adottato ed è connotato dalla stabilità, comprovata dalla circostanza della previsione della sua revocabilità soltanto in casi tassativi e specifici (artt. 305-309 c.c.), in conseguenza di fatti sopravvenuti e con efficacia “ex tunc”; pertanto, poiché siffatto decreto ha natura di provvedimento decisorio e definitivo, i vizi, sia processuali sia sostanziali, che eventualmente lo inficiano e ne determinano la nullità si convertono in motivi di impugnazione e possono essere fatti valere esclusivamente con il mezzo previsto dall’ordinamento, con la conseguenza che la decadenza dall’impugnazione comporta che gli stessi, in applicazione del principio stabilito dall’art. 161 c.p.c., non possono essere più dedotti neppure con l'”actio nullitatis”.

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