Art. 1375 – Codice civile – Esecuzione di buona fede
Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14029/2025
Nei contratti con il consumatore, nei quali l'elenco dei comportamenti scorretti contenuti nella normativa di settore non rappresenta un numerus clausus, la pratica commerciale di apporre una clausola nulla, non avente alcun effetto per la parte disponente, può costituire una pratica ingannevole sussumibile nella disposizione dell'art. 21 del c.cons., in grado di dar luogo a un inadempimento contrattuale e al relativo risarcimento del danno, da cui far conseguire un obbligo informativo correlato alla invalidità della clausola in questione, posto che detta clausola ha un contenuto tale da orientare in maniera ingannevole il consumatore verso quel prodotto anziché verso un altro. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte d'appello che, in un contratto avente ad oggetto una polizza vita concluso da un consumatore, aveva rigettato la domanda di risarcimento danni escludendo che sussistesse in capo alla società assicuratrice l'obbligo di informare il contraente in merito al reale termine di prescrizione, per legge biennale, laddove nel prospetto informativo era indicato come decennale, così ingenerando nell'aderente il ragionevole affidamento in ordine al differimento della presentazione della richiesta).
Cass. civ. n. 12679/2025
Colui il quale, in pendenza delle trattative per la stipula di un contratto di compravendita, ottenga dal proprietario la detenzione dell'immobile non può ritenersi detentore di buona fede nel caso in cui l'altra parte gli manifesti in modo inequivoco la volontà di recedere dalle trattative e recuperare la detenzione dell'immobile; con la conseguenza che, anche se il recesso è ingiustificato e fonte di responsabilità precontrattuale, nella liquidazione del danno conseguente il giudice di merito deve tenere conto del periodo di tempo per il quale l'immobile è stato detenuto illegittimamente dalla parte avente diritto al risarcimento.
Cass. civ. n. 11154/2025
Lo svolgimento di altre attività da parte del dipendente durante l'assenza per malattia, se da un lato mette in pericolo l'adempimento dell'obbligazione principale del lavoratore, per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia, dall'altro integra violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà e dei doveri di correttezza e buona fede; la relativa valutazione, trattandosi di illecito di pericolo e non di danno, è costituita da un giudizio ex ante, riferito al momento in cui è stato tenuto il comportamento contestato, e ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato illegittimo - per sproporzione tra la sanzione e l'infrazione disciplinare - il licenziamento comminato, a un lavoratore infortunatosi al braccio, in ragione dello svolgimento di un'attività ludica durante l'assenza per malattia, sulla scorta dell'accertamento che la serie variegata di attività compiute senza alcun tutore o fasciatura ne aveva esposto a rischio di peggioramento le condizioni di salute, tenuto conto delle prescrizioni mediche che indicavano il riposo e l'immobilizzazione dell'arto).
Cass. civ. n. 1227/2025
In tema di diritto ai permessi ex art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, l'accertamento dell'abuso del diritto comporta la verifica dell'elisione del nesso causale fra l'assenza dal lavoro e l'assistenza del disabile, da valutarsi non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, tenendo conto, quindi, di tutte le circostanze del caso concreto, sicché tale abuso può configurarsi solo quando l'assistenza è mancata del tutto, oppure è avvenuta per tempi così irrisori, o con modalità talmente insignificanti, da far ritenere vanificate la salvaguardia degli interessi dell'assistito e le finalità primarie dell'intervento assistenziale voluto dal legislatore, in vista delle quali viene sacrificato il diritto del datore di lavoro all'adempimento della prestazione lavorativa.
Cass. civ. n. 656/2025
I principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, ex artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti, giacché, sotto il primo profilo, essi impongono a ciascuna di esse di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, ove necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto.
Cass. civ. n. 24366/2024
Nel pubblico impiego contrattualizzato, il conferimento dell'incarico dirigenziale di un ufficio legale interno della P.A. deve essere il frutto di una procedura comparativa che valuti - nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento ex 97 Cost., oltre che di correttezza e buona fede - i profili specifici e le esperienze professionali dei singoli candidati, senza che dall'art. 23 della legge professionale n. 247 del 2012 possa desumersi un obbligo per la P.A. di preferire nella procedura valutativa i titoli inerenti all'attività legale rispetto a quelli comprovanti le qualità manageriali. (Nella specie, la S.C. ha confermato che il maggior numero di anni di iscrizione all'albo ed il possesso dell'abilitazione al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori di un candidato non comportavano automaticamente la prevalenza dello stesso su altro aspirante con più vasta esperienza manageriale).
Cass. civ. n. 20802/2024
L'azione diretta proposta dalla vittima di un sinistro stradale nei confronti dell'assicuratore della r.c.a. è proponibile anche se preceduta da una richiesta stragiudiziale non conforme alle prescrizioni dell'articolo 148 c.ass., se l'assicuratore si è avvalso della facoltà di chiederne l'integrazione dopo la scadenza del termini previsto dal quinto comma della disposizione citata, in quanto, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede da cui è governata la procedura in esame, l'assicuratore non può trarre un vantaggio (la persistente proponibilità della domanda risarcitoria) dalla propria inerzia (la mancata tempestiva richiesta di integrazione della documentazione già ricevuta).
Cass. civ. n. 20128/2024
L'assicuratore che, prima della stipula di un'assicurazione sulla vita, sottopone al contraente un questionario anamnestico, per la valutazione del rischio, non ha alcun onere di indicare analiticamente tutti gli stati morbosi che ritiene influenti sul rischio, ma è sufficiente che ponga all'assicurato la generica richiesta di dichiarare ogni stato morboso in atto al momento della stipula o ne raggruppi le specie per tipologie, né tale formulazione del questionario può essere interpretata come disinteresse dell'assicuratore alla conoscenza di malattie non espressamente indicate.
Cass. civ. n. 14980/2024
In caso di morte dell'alunno minore, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante per i danni da perdita del rapporto parentale ha natura contrattuale nei confronti dei genitori - che rivestono la qualità di contraenti, avendo richiesto l'iscrizione del figlio - ed extracontrattuale nei confronti dei fratelli, atteso che l'esecuzione della prestazione della struttura scolastica non incide direttamente sulla loro posizione né è predicabile, in loro favore, un effetto protettivo del contratto, dovendo conseguentemente applicarsi la regola generale di cui all'art. 1372, comma 2, c.c., in virtù della quale il contratto ha efficacia solo tra le parti.
Cass. civ. n. 12842/2024
La parzialità dell'offerta reale, pur determinandone l'invalidità, non può comportare, di per sé, la risoluzione per inadempimento del rapporto giuridico in relazione al quale è stata fatta, essendo pur sempre necessario l'accertamento del requisito imprescindibile della sua gravità, da compiersi avendo riguardo alla natura della causa, all'interesse delle parti, alla loro condotta e alla corretta applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1375 c.c..
Cass. civ. n. 11816/2024
In tema di trasferimento d'azienda, l'inosservanza dell'obbligo di informazione di cui all'articolo 47 l. n. 428 del 1990 non determina l'invalidità della cessione, ma costituisce comportamento contrario agli obblighi di buona fede e correttezza, il cui inadempimento rileva come condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 l. n. 300 del 1970; di conseguenza, la carenza o la falsità delle informazioni fornite non può essere fatta valere dai singoli lavoratori ma solo dalle organizzazioni sindacali, poiché è nell'interesse del sindacato a sviluppare la propria azione di tutela che è stata prevista la procedura di informazione e consultazione dettata dall'anzidetto articolo 47, il quale va interpretato in conformità alla distinzione tra i diritti dei lavoratori e quelli delle organizzazioni sindacali operata dalla Direttiva 2001/23/CE.
Cass. civ. n. 9577/2024
In tema di leasing finanziario, nel quale si verifica una scissione tra soggetto destinato a ricevere, dal fornitore, la prestazione di consegna e soggetto destinato ad adempiere, nei confronti del fornitore, l'obbligazione di pagamento del prezzo, utilizzatore e concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune (sicché su entrambi grava un onere di collaborazione), di talché il concedente deve far in modo di salvaguardare l'interesse dell'utilizzatore all'esatto adempimento, mentre questi è, dal suo canto, gravato, nei confronti del concedente, dell'onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo diligente, sì che non ne risulti sacrificato l'interesse che anche il concedente ha all'esatto adempimento da parte del fornitore, secondo un modello comportamentale comune improntato alla reciproca cooperazione; con la conseguenza che il rischio del modo in cui la consegna della cosa è compiuta dal fornitore al cliente può essere ripartito tra il concedente e l'utilizzatore, se ambedue abbiano concorso a dare causa al danno che ne è risultato, in applicazione della regola dettata dall'art. 1227 c.c., per cui mentre il concedente, rispetto alla obbligazione assunta di concedere in uso la cosa verso un canone, risponde del mancato o difettoso adempimento se questo è dipeso da causa a lui imputabile, l'utilizzatore non ha diritto a che gli sia risarcito il danno che ha concorso a cagionare. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva imputato la responsabilità esclusiva, circa l'inutilizzabilità del bene concesso in leasing, all'utilizzatore, per aver ricevuto in consegna, senza riserve, un'auto di provenienza estera con un certificato di circolazione provvisorio e priva dei documenti necessari per l'immatricolazione definitiva, senza considerare l'obbligazione espressamente assunta dal venditore di effettuare le operazioni di trascrizione e immatricolazione e di consegnare al concedente i documenti attestanti la proprietà).
Cass. civ. n. 8745/2024
In tema di pubblico impego contrattualizzato, l'esercizio del potere disciplinare con l'irrogazione di una sanzione conservativa non preclude la successiva adozione della sanzione espulsiva quando, pur a fronte di addebiti della medesima tipologia e natura, i fatti contestati sono tuttavia diversi perché attinenti a condotte tra loro autonome, non sussistendo in tal caso alcuna violazione del divieto di bis in idem sostanziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente part time responsabile dell'ufficio condoni edilizi di un comune che, violando le disposizioni in materia di conflitto di interessi, aveva contemporaneamente curato per conto di privati pratiche di condono diverse e non collegate tra loro, in quanto attivate da distinti soggetti richiedenti e per distinte unità immobiliari, circostanze che erano state accertate in tempi diversi e con autonomi procedimenti disciplinari).
Cass. civ. n. 8217/2024
In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni a cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei relativi danni, neppure mediante riserva di farne valere ulteriori e diversi in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale, salvo che risulti in capo all'attore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. (In applicazione del detto principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto illegittima la condotta processuale degli attori, i quali, in seguito ad un sinistro stradale nel quale avevano perso la vita entrambi i genitori, avevano agito con due separati giudizi, chiedendo nell'uno il risarcimento per i danni subiti in conseguenza della morte del padre e, nell'altro, i danni conseguenti alla morte della madre).
Cass. civ. n. 6876/2024
Ai fini dell'integrazione, da parte del datore di lavoro, dell'attività antisindacale, a norma dell'art. 28 della l. n. 300 del 1970, rileva l'idoneità della condotta a produrre l'effetto che la disposizione intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale, sicché anche una condotta lecita nella sua obiettività configura un comportamento antisindacale ove presenti i caratteri dell'abuso del diritto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito nella quale era stato affermato che l'avere l'amministrazione datrice di lavoro - in presenza di una disposizione dell'accordo quadro per le elezioni delle RSU che prevedeva, in ipotesi di decadenza della RSU, la sottoscrizione dei contratti integrativi da parte dei componenti rimasti in carica - inteso trattare e, poi, stipulare un accordo con una RSU incompleta - integrata da un solo membro su tre -, avesse comunque alterato la normalità delle relazioni sindacali, non essendovi ragioni di necessità od urgenza, in quanto il contratto integrativo precedente si era rinnovato ed era dunque efficace).
Cass. civ. n. 5415/2024
In tema di apertura di credito bancaria, il recesso della banca può avvenire solo se sia indicata la giusta causa che lo sorregge, poiché tale condizione si connette direttamente al rispetto dei principi di correttezza e buona fede cui deve conformarsi il comportamento delle parti e consente di distinguere tale ipotesi rispetto a quelle in cui sia prevista la facoltà di recesso "ad nutum".
Cass. civ. n. 4034/2024
In materia societaria, sussiste abuso di maggioranza, con conseguente annullabilità della delibera assembleare che ne costituisca applicazione, qualora il voto espresso non trovi alcuna giustificazione nel perseguimento dell'interesse della società - in quanto volto a perseguire un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure ove sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a ledere i diritti partecipativi o gli altri diritti patrimoniali dei soci di minoranza, in violazione del canone della buona fede oggettiva nell'esecuzione del contratto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva valorizzato, quale forma di abuso della maggioranza assembleare, la circostanza che quest'ultima avesse disposto la soppressione della clausola statutaria contenente il diritto di prelazione interna, appena diciotto giorni prima della cessione di quote intercorsa fra altri due soci).
Cass. civ. n. 1488/2024
In tema di dirigenza medica, in applicazione dell'art. 19, comma 1, del d.lgs. 165 del 2001 (previsione generale) e dell'art. 15-ter, comma 1, del d.lgs. 502 del 1992 (disciplina speciale), il conferimento dell'incarico di titolare di struttura complessa deve conseguire ad una procedura comparativa dei profili specifici e delle esperienze professionali dei singoli candidati, improntata al rispetto delle regole di correttezza e buona fede e dei principi di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost., e concludersi con l'adozione di un provvedimento adeguatamente motivato, che illustri sia i criteri adottati, sia le ragioni giustificative della scelta assunta.
Cass. civ. n. 36127/2023
c.c., non solo l'esecuzione della prestazione principale, ma anche l'osservanza degli obblighi di correttezza e buona fede, che impongono al contraente di metterlo a conoscenza delle condizioni contrattuali e degli eventuali limiti posti dalle stesse all'esercizio del diritto all'indennizzo. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva escluso l'obbligo dell'assicuratore di informare il terzo beneficiario del mancato pagamento del premio da parte dello stipulante, dal quale era scaturita la sospensione dell'efficacia del contratto ai sensi dell'art. 1901 c.c.).
Cass. civ. n. 34512/2023
predeterminata - Recesso unilaterale - Mancato preavviso - Ultrattività sine die - Esclusione - Fondamento. Il mancato preavviso nel recesso unilaterale da un accordo collettivo di armonizzazione a tempo indeterminato non può determinare l'ultrattività, sine die, dell'accordo medesimo a favore dei lavoratori, poiché la violazione dell'obbligo di preavviso produce unicamente conseguenze di natura risarcitoria.
Cass. civ. n. 31026/2023
In tema di responsabilità per attività medico-chirurgica, al fine di permettere al paziente l'espressione di un consenso informato al trattamento sanitario, il medico deve fornire informazioni dettagliate in merito alla natura, portata ed estensione dell'intervento, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, che ben possono essere contenute in un modulo prestampato, la cui idoneità, ai fini della completezza ed effettività del consenso, va, invece, esclusa ove il contenuto del modulo sia generico.
Cass. civ. n. 30588/2023
In tema di conto corrente bancario, ancorché all'istituto di credito non faccia capo un dovere generale di monitorare la regolarità delle operazioni ordinate dal cliente, nondimeno – in applicazione dei doveri di esecuzione del mandato secondo buona fede – ad esso è ascritto un obbligo di protezione che, ogni qualvolta l'operazione appaia ictu oculi anomala e non rispondente agli interessi del correntista, impone di rifiutarne l'esecuzione o, quantomeno, di informare il cliente.
Cass. civ. n. 28139/2023
Non è configurabile una responsabilità contrattuale da contatto sociale del Comune affidante per i danni occorsi a un minore collocato in affidamento eterofamiliare, in ragione dell'assenza di specifici e reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione che distinguono tale specie di obbligazione dalla responsabilità aquiliana. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità contrattuale del Comune per i danni conseguenti all'annegamento di un minore nella piscina di proprietà dei coniugi ai quali era stato affidato, anche tenuto conto che questi ultimi, in quanto individuati dal Tribunale per i minorenni, non potevano considerarsi ausiliari del Comune ex art. 1228 c.c., in assenza di un rapporto di preposizione).
Cass. civ. n. 27545/2023
In tema di contratti bancari, la pretesa della banca di riscuotere interessi divenuti usurari nel corso del rapporto, avendo ad oggetto l'esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata, è contraria al principio di buona fede, che impone alle parti comportamenti collaborativi anche in sede di esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 26901/2023
Nella valutazione del rispetto di un termine di adempimento la buona fede non può venire in rilievo per stabilire quale sia il termine esatto entro cui adempiere, ma può solo servire a valutare se, per rispettare il termine, il debitore avrebbe dovuto tenere un comportamento che il creditore non avrebbe potuto pretendere per l'eccessivo sacrificio che avrebbe comportato. (Nella specie, la S.C. - in relazione ad un pagamento effettuato tramite bonifico bancario - ha escluso che la buona fede rilevasse al fine di stabilire se il termine dovesse considerarsi rispettato al momento dell'ordine di bonifico o dell'effettivo accreditamento).
Cass. civ. n. 25772/2023
In tema di danno iatrogeno subito da paziente ricoverato in ospedale, la responsabilità del medico non può essere esclusa per il sol fatto che egli fosse addetto a un reparto diverso e che il paziente non gli fosse stato affidato, dovendo la sua diligenza essere valutata non già "ex ante" in astratto, in base al suo mansionario, bensì "ex post" in relazione alla condotta concretamente tenuta, comparando le istruzioni terapeutiche da lui impartite con quelle suggerite dalle "leges artis" e concretamente esigibili, avuto riguardo alle specializzazioni possedute ed alle circostanze del caso concreto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte territoriale che, in relazione alla morte di una paziente ricoverata in altro reparto a seguito di un intervento chirurgico, aveva escluso la corresponsabilità del medico anestesista di turno in virtù della mera circostanza che egli non avesse il compito di supervisionarne la degenza, senza verificare se, una volta informato del peggioramento dei parametri ematici della stessa, avrebbe dovuto tenere una diversa condotta, alla stregua delle "leges artis" applicabili al caso concreto).
Cass. civ. n. 24743/2023
Nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 23600/2023
L'obbligo di consiglio alle parti, gravante sul notaio e derivante dagli obblighi di correttezza e buona fede oggettiva nell'esecuzione del contratto, quali criteri determinativi ed integrativi della prestazione contrattuale, non si esaurisce nell'obbligo di chiarimento rispetto alle clausole di contenuto ambiguo presenti nell'atto rogato, ed impone al notaio di dare in ogni caso informazioni ai clienti sugli effetti e sul risultato pratico dell'atto rogato e sulla corrispondenza di essi alla volontà manifestata dalle parti, dovendo il notaio garantire l'attitudine dell'atto ad assicurare il conseguimento del suo scopo tipico e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto. (In applicazione del principio la Corte, in relazione al rogito di una compravendita immobiliare con accollo da parte del compratore delle residue rate del mutuo ipotecario stipulato dalla parte venditrice e contestuale rilascio di quietanza di saldo del prezzo e rinuncia all'ipoteca legale, ha ritenuto configurabile l'obbligo del notaio di informare il venditore circa l'effetto non liberatorio di tale accollo, nonostante che il contratto riproducesse la disposizione del capitolato di mutuo che prevedeva la necessità di un'espressa dichiarazione dell'istituto di credito mutuante ai fini della liberazione del debitore originario).
Cass. civ. n. 22619/2023
In tema di buoni postali fruttiferi, poiché l'interpretazione del testo contrattuale deve raccordare il senso letterale delle parole alla dichiarazione negoziale nel suo complesso, non potendola limitare a una parte soltanto di essa, l'indicazione, per i buoni postali della serie 'Q/P', di rendimenti relativi alla serie 'P' per l'ultimo periodo di fruttuosità del titolo non è in sé decisivo sul piano interpretativo, in presenza della stampigliatura, sul buono, di una tabella sostitutiva di quella della serie 'P', in cui erano inseriti i detti rendimenti, tanto più ove si consideri che la tabella in questione adotta una modalità di rappresentazione degli interessi promessi che risulta eccentrica rispetto a quella di cui alla precedente tabella, così da rendere evidente l'assenza di continuità tra le diverse previsioni, di talché, in presenza di una incompleta o ambigua espressione della volontà delle parti quanto ai rendimenti del buono postale di nuova emissione rientrante nella previsione dell'art. 173 d.P.R. n. 156 del 1973, opera una integrazione suppletiva che consente di associare al titolo i tassi contemplati, per la serie che interessa, dal decreto ministeriale richiamato dal primo comma del detto articolo.
Cass. civ. n. 20990/2023
La società di persone, anche se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi dotato di una propria autonomia sostanziale e di una propria capacità processuale, distinta da quella dei soci. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la legittimazione del socio di una società di persone a far valere l'inadempimento di un notaio al contratto con il quale questi era stato incaricato di procedere al conferimento di un bene del primo nella società, sul presupposto che parte di tale contratto fosse unicamente la società, non potendo qualificarsi il socio come terzo beneficiario della prestazione ai sensi dell'art. 1411 c.c. - avendo tratto dalla stessa, al più, un vantaggio di mero fatto -, né potendosi prospettare un effetto protettivo del contratto nei suoi confronti, difettando l'identità del suo interesse rispetto a quello della società stipulante).
Cass. civ. n. 7467/2023
Il datore di lavoro ha il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell'infrazione ove avesse controllato assiduamente l'operato del dipendente, ma con riguardo all'epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza.
Cass. civ. n. 7185/2022
Il notaio incaricato della redazione di un contratto di compravendita immobiliare è tenuto a compiere le attività preparatorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato pratico voluto dalle parti, rientrando tra i suoi doveri anche l'obbligo di consiglio o dissuasione, la cui omissione è fonte di responsabilità per violazione delle clausole generali di buona fede oggettiva e correttezza, ex artt. 1175 e 1375 c.c., quali criteri determinativi ed integrativi della prestazione contrattuale, che impongono il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della parte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto responsabile, per inadempimento del contratto d'opera professionale, il notaio, il quale aveva rogato quattro atti di compravendita - con previsione di pagamento rateale e clausola di rinuncia della venditrice all'iscrizione di ipoteca legale - e, lo stesso giorno e nei due giorni successivi, aveva rogato altri quattro atti di rivendita a terzi dei medesimi cespiti da parte dello stesso acquirente, spogliatosi così dei beni costituenti garanzia patrimoniale generica per il pagamento del prezzo).
Cass. civ. n. 16743/2021
Il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. legittima in punto di diritto l'insorgenza in ciascuna parte dell'affidamento che, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nell'esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del "neminem laedere". Di talché, in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l'assoluta inerzia del locatore nell'escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei ad ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, l'improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto.
Cass. civ. n. 15077/2021
Si ha abuso del processo quando lo strumento processuale viene utilizzato per fini diversi ed ulteriori da quelli suoi propri, ed illegittimi, non, dunque, per tutelare diritti conculcati, ma per crearne di nuovi (ed ingiustificati) ad arte, ovvero per nuocere con intenti emulativi alla controparte. Sul piano soggettivo si ha abuso del processo quando la condotta di cui sopra venga tenuta in violazione del generale dovere di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.).
Cass. civ. n. 9200/2021
Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore" - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ravvisato una condotta contraria a buona fede e correttezza nel mancato ripristino della fornitura di energia elettrica in favore dell'utente, nonostante l'istanza di quest'ultimo, in quanto il somministrante aveva rilevato che l'utenza risultava a nome di altro soggetto, anche se un sopralluogo o una richiesta di chiarimenti, sebbene non previsti dal contratto, avrebbero potuto dimostrare che si trattava della medesima utenza, semplicemente volturata a un terzo).
Cass. civ. n. 3694/2020
La buona fede oggettiva, in funzione integrativa del contenuto del contratto, impone alle parti di porre in essere comportamenti comunque rientranti, secondo la legge, gli usi e l'equità, nello spettro complessivo della prestazione pattuita. Ne consegue la responsabilità professionale del notaio che, ancorché abbia autenticato le firme della dichiarazione di vendita di una vettura, non comunichi al venditore, che li abbia richiesti, i dati anagrafici dell'acquirente, pur avendo il potere di rilasciare copia ed estratti dei documenti a lui esibiti e non necessariamente depositati e nonostante venga in rilievo un atto soggetto a pubblicità mobiliare (ai sensi dell'art. 2683, n. 3, c.c.), la conservazione della cui copia, per quanto informale, rispondeva a prassi già in uso, costantemente osservata e successivamente trasfusa in atto normativo (l. n. 246 del 2005). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE ROMA, 04/05/2017).
Cass. civ. n. 13208/2010
In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase; pertanto, l'apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell'inadempimento stesso, nel caso in cui tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell'ablazione del vincolo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato risolto per morosità un contratto di locazione, senza tener conto che il locatore avrebbe potuto compensare il suo credito con il maggior debito esistente nei confronti del conduttore).
Cass. civ. n. 25047/2009
I principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile, come tali, in riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali (art. 1337), a quella dell'interpretazione del contratto (art. 1366) ed a quella della sua esecuzione (art. 1375), sicché la violazione dell'obbligo di attenervisi, sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia però il contenuto del contratto con il quale le parti abbiano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamente stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l'equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, una volta esclusa la sussistenza della violazione dei principi di buona fede e correttezza nella fase delle trattative contrattuali, aveva poi ritenuto di per sé non conferente l'evocazione dei medesimi principi rispetto alla pattuizione della condizione risolutiva del contratto preliminare di compravendita di un terreno in caso di mancata approvazione del piano di lottizzazione entro un certo termine, con l'obbligo di restituzione del solo prezzo anticipatamente corrisposto, maggiorato degli interessi a partire da una data determinata).
Cass. civ. n. 20106/2009
I princìpi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto.
Cass. civ. n. 9924/2009
Il comportamento - interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. - del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva. (Nella specie, i lavoratori, abbandonato il posto di lavoro e conseguita la pensione, non avevano offerto le prestazioni lavorative per oltre tre anni successivi alla pronuncia della Corte costituzionale n. 226 del 1990, dalla quale derivava la fondatezza della loro pretesa relativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al limite del sessantacinquesimo anno di età o del raggiungimento della contribuzione previdenziale massima; la S.C., nell'affermare il principio su esteso, ha cassato la sentenza impugnata, che, nell'accogliere la domanda di trattenimento in servizio proposta dagli anzidetti lavoratori soltanto nel 1993, non aveva considerato l'incidenza del descritto comportamento sulla persistenza del loro diritto a proseguire il rapporto di lavoro).
Cass. civ. n. 28056/2008
Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR al pagamento, in favore di un proprio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accantonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, effettuati tardivamente rispetto alle scadenze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR). L'effetto della compensatio lucri cum damno che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso che il danno patito da un dipendente del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR per il ritardato investimento in buoni postali fruttiferi di alcune delle quote annualmente accantonate del trattamento di fine rapporto potesse compensarsi con il guadagno ottenuto dal medesimo dipendente in ragione dell'anticipato investimento di analoghe quote relative ad altre annualità).
Cass. civ. n. 3462/2007
L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio (Nell'affermare il suindicato principio la S.C., con riferimento a contratto di trasporto marittimo di persone ha ritenuto violato l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza dal comportamento del vettore professionale il quale, nell'impossibilità di affrontare il viaggio di ritorno per le avverse condizioni meteorologiche, aveva mancato di accordarsi con altro vettore «pur di non pagare qualche soldo in più rispetto al costo del biglietto pagato dai passeggeri», non consentendo conseguentemente ai medesimi di rientrare in serata sul continente e di evitare il pernottamento di fortuna nel luogo di destinazione, privo di alberghi).
Cass. civ. n. 13345/2006
In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà: di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, cosa come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicché la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. (Nella specie, relativa al rilascio di immobile locato e alla detrazione dell'Iva sulle spese legali rimborsate dall'una all'altra parte, la S.C. ha precisato che pur non esistendo, dal punto di vista fiscale, alcun obbligo a carico del conduttore di dedurre quanto pagato a titolo di Iva per prestazioni professionali legali, lo stesso era tenuto a operare la deduzione de qua ex art. 1175 c.c., al fine di non pregiudicare la posizione di controparte ed ha pertanto confermato il rigetto della domanda di recupero dell'Iva su dette spese avanzata dal conduttore).
Cass. civ. n. 10127/2006
Il semplice fatto di ritardare l'esercizio di un proprio diritto (nel caso di specie, di agire in giudizio per far valere l'inadempimento contrattuale), se non finalizzato a produrre un danno alla controparte e senza un apprezzabile interesse per il titolare, non dà luogo a una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto, qualunque convinzione possa essersi fatta del ritardo il debitore, e non è causa per escludere la tutela giudiziaria, salvo che sia intervenuta un'inequivoca rinuncia tacita al diritto. (La S.C. ha affermato tale principio con riferimento a una fattispecie in cui il creditore aveva chiesto la risoluzione del contratto in via riconvenzionale dopo due anni dalla scadenza del termine per l'adempimento in un giudizio in cui era stato convenuto per il pagamento del corrispettivo della prestazione adempiuta in ritardo).
Cass. civ. n. 5140/2005
In tema di qualifiche dei prestatori di lavoro e di concorsi interni, la violazione delle regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e della buona fede (art. 1375 c.c.) si configura solo nell'ipotesi che vengano lesi diritti soggettivi già riconosciuti in base a norme di legge, riguardando le modalità di adempimento degli obblighi a tali diritti correlati. Le stesse regole non valgono, invece, a configurare obblighi aggiuntivi che non trovino ex art. 1173 c.c. la loro fonte nel contratto, nel fatto illecito o in ogni altro atto o fatto idoneo a produrlo in conformità dell'ordinamento giuridico. (Nella specie, la Corte Cass. n. ha confermato la sentenza impugnata che, con adeguata motivazione priva di vizi logici, aveva ritenuto che il comportamento aziendale, nella operazione di non facile espletamento concorsuale, dell'adeguamento della fascia dirigenziale a seguito di consistente modifica dell'intera struttura imprenditoriale per effetto della trasformazione dell'Ente Poste in società per azioni, fosse stato del tutto rispettoso degli impegni assunti in sede contrattuale e del tutto legittimo, in quanto espressione della insindacabile discrezionalità e della necessaria autonomia connaturata all'esercizio dell'attività di impresa).
Cass. civ. n. 23226/2004
Quando un accordo sindacale di conformazione del potere direttivo del datore di lavoro riservi al potere discrezionale dello stesso la valutazione della professionalità del dipendente secondo specifici criteri, analiticamente catalogati, per l'ammissione a corsi di addestramento finalizzati all'attribuzione di una qualifica superiore, l'obbligo del datore di esercitare detto potere secondo i principi di correttezza e buona fede stabiliti dagli art. 1175 e 1375 c.c. — con il correlativo diritto soggettivo dei lavoratori all'adempimento di questo obbligo strumentale, tutelabile in sede giurisdizionale — comporta la necessaria indicazione (sia pure in modo sommario) dei parametri che si assumono violati in riferimento ai candidati ingiustificatamente valutati in modo più favorevole.
Cass. civ. n. 5240/2004
La clausola generale di buona fede nell'esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; in virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta da un lato ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l'utilità della controparte, e, dall'altro, a tollerare anche l'inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. Ad un tale riguardo il semplice ritardo di una parte nell'esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l'inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte.
Cass. civ. n. 4462/2004
In tema di procedure concorsuali per gli avanzamenti di carriera del personale nell'ambito del rapporto di lavoro privato, qualora il datore di lavoro stabilisca attraverso un bando di concorso i criteri di selezione, assume l'obbligo di procedere secondo tali criteri e comunque secondo i principi di correttezza e buona fede, che si specificano nei doveri di imparzialità e di trasparenza. Ne consegue il sorgere, in capo a ciascun candidato, di una posizione soggettiva, oltreché di credito, di interesse legittimo di diritto privato, e non di soggezione; pertanto incombe sull'imprenditore debitore di provare di aver eseguito le operazioni di valutazione concorsuale attenendosi al suddetto dovere di imparzialità e in caso di inadempimento il prestatore di lavoro — creditore ben può esercitare l'azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione delle operazioni concorsuali e della valutazione, nonché l'azione di risarcimento del danno, danno consistente nella perdita della possibilità di un esito favorevole della valutazione e determinabile dal giudice di merito anche in via equitativa.
Cass. civ. n. 15482/2003
In relazione a una pluralità di rapporti contrattuali tra loro collegati per la realizzazione di un'unica operazione economica - nella specie, la regolamentazione della concorrenza attraverso la creazione di una nuova società rispetto a quella precedente e la previsione, a carico delle parti, dell'obbligo di rifornire detta società in misura predeterminata - la corrispondenza a buona fede dell'esercizio del diritto di recesso, contrattualmente stabilito - nella specie, in relazione ad un contratto di fornitura - deve essere valutata nel complessivo contesto dei rapporti intercorrenti tra le parti, onde accertare se detto recesso sia stato o meno esercitato secondo modalità e tempi che non rispondono ad un interesse del titolare meritevole di tutela, ma soltanto allo scopo di arrecare danno all'altra parte, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a tenere per preservare il reciproco interesse all'esatto adempimento delle rispettive prestazioni.
Cass. civ. n. 15150/2003
Il principio di buona fede contrattuale, sancito dall'art. 1375 c.c., ha la portata di ampliare (ovvero di restringere) gli obblighi letteralmente assunti con il contratto nei casi, e nella misura in cui, farli valere nel loro tenore letterale contrasterebbe con detto principio, il quale opera essenzialmente come un criterio di reciprocità che deve essere osservato vicendevolmente dalle parti del rapporto obbligatorio.
Cass. civ. n. 6763/2002
L'esercizio dello ius variandi rientra nella discrezionalità del datore di lavoro, che non è di per sé sottratta — in linea generale — all'osservanza dei doveri di correttezza e buona fede e, per il caso di violazione, al rimedio del risarcimento dei danni. Tuttavia, le clausole generali di correttezza e buona fede non introducono nei rapporti giuridici diritti e obblighi diversi da quelli legislativamente o contrattualmente previsti, ma sono destinate ad operare all'interno dei rapporti medesimi, in funzione integrativa di altre fonti; esse, pertanto, rilevano soltanto come modalità di comportamento delle parti, al fine della concreta realizzazione delle rispettive posizioni di diritto o di obbligo e, in quanto attengono alle modalità comportamentali ed esecutive del contratto, quale esso è stato stipulato dalle parti, si pongono nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente assunta o legislativamente imposta, così concorrendo alla relativa conformazione in senso (eventualmente) ampliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia apparente e consentendo al giudice di verificarne la coerenza con i valori espressi dal rapporto, garantendo in tal modo l'apertura del sistema giuridico a un rapporto dialettico costante con il contesto socio-economico e culturale di riferimento. Ne consegue che dalle clausole generali di correttezza e buona fede non può derivare per il datore di lavoro l'obbligo, non previsto dalla legge o da altra fonte, di giustificare e motivare il concreto esercizio dello ius variandi, ma se tale esercizio dà luogo a una discriminazione o a una vessazione o comunque ad un arbitrio nei confronti del lavoratore, egli è tenuto a risarcire i danni che ne derivano.
Cass. civ. n. 206/2001
Le valutazioni del datore di lavoro concernenti le note di qualifica dei dipendenti non sono insindacabili in giudizio, poiché il datore di lavoro è soggetto ai limiti posti da eventuali criteri obiettivi previsti dal contratto collettivo e agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., nonché all'onere di motivare le note stesse al fine di consentire la verifica del rispetto tali criteri e obblighi e della inerente necessaria trasparenza; nel caso, poi, in cui ad una determinata valutazione sia collegata l'attribuzione di un beneficio retributivo, il lavoratore ha l'onere di dedurre che la valutazione corretta avrebbe comportato l'attribuzione del beneficio, mentre la prova dell'esistenza di cause ostative ricade sul datore di lavoro. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, in relazione all'incentivo economico previsto dall'accordo 29 dicembre 1988 a favore del personale direttivo del Banco di Napoli riportante la qualifica di ottimo, aveva rigettato la contestazione del lavoratore, valorizzando il carattere discrezionale del giudizio del datore di lavoro).
Cass. civ. n. 10514/1998
Gli obblighi di correttezza e buona fede che, nel rapporto di lavoro, hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa le assicura, imponendo una serie di comportamenti di contenuto atipico, vengono individuati mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge; infatti gli obblighi stessi vanno individuati con il rispetto del complesso di regole in cui si sostanzia la civiltà del lavoro in un certo contesto storico-sociale, vale a dire dell'assieme dei principi giuridici puntualizzati dalla giurisdizione di legittimità, e vengono quindi ad assumere la consistenza di «standard» che rispetto a detti principi sono in rapporto essenziale ed integrativo. (Nella specie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che, in relazione a un licenziamento disciplinare, aveva ritenuto giustificabile il comportamento del lavoratore il quale, a seguito di un'assenza di un giorno — la cui mattinata sarebbe stata impiegata per la raccolta di funghi — aveva taciuto al datore di lavoro che il certificato medico prodotto gli era stato rilasciato nel pomeriggio e pertanto non copriva l'assenza ingiustificata del mattino; e che altresì aveva dato rilievo alla mancanza di recidiva, senza tenere presente la non decisività dell'assenza di precedenti, poiché la gravità delle mancanze va valutata in relazione ad ogni aspetto del caso concreto).
Cass. civ. n. 13131/1997
I principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. sono stati codificati dal legislatore come regulae iuris di carattere generale con esclusivo riferimento ai rapporti precontrattuali ed all'interpretazione ed esecuzione del negozio, e non anche con riguardo al contenuto del negozio medesimo, nel senso che (eccezion fatta per l'eventualità che la violazione di detti doveri si trovi ad integrare anche una delle specifiche ipotesi previste in tema di nullità o annullabilità dei contratti) i contraenti possono comporre i loro contrapposti interessi concordando del tutto liberamente il predetto contenuto negoziale, senza poi potere, proprio in ragione di tale libertà, invocare, a stipulazione avvenuta, l'asserita contrarietà di una o più delle clausole convenute ai doveri in questione (salvo che nei casi esplicitamente previsti dal legislatore).
Cass. civ. n. 9501/1995
In tema di condotta antisindacale, l'intenzionalità del comportamento del datore di lavoro, mentre è irrilevante nel caso di comportamento contrastante con norma imperativa, può assumere rilevanza quando la condotta del medesimo, pur se lecita nella sua obiettività, presenti i caratteri dell'abuso del diritto, giacché in questo caso l'esercizio del diritto da parte del titolare si esplicita attraverso l'uso abnorme delle relative facoltà ed è indirizzato a fine diverso da quello tutelato dalla norma, assumendo quindi (in coerenza con la norma dettata dall'art. 833 c.c. in materia di proprietà) nel campo delle obbligazioni, e del rapporto di lavoro in particolare, carattere di illiceità per contrasto con i principi di correttezza e di buona fede, i quali assurgono a norma integrativa del contratto di lavoro in relazione all'obbligo di solidarietà imposto alle parti contraenti dalla comunione di scopo che entrambe, sia pure in diversa e talora opposta posizione, perseguono.
Cass. civ. n. 2503/1991
In tema di esecuzione del contratto (o del rapporto obbligatorio) la buona fede si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici del merito, i quali avevano ritenuto non conforme a buona fede la mancata cooperazione del promittente venditore in favore del promesso acquirente al fine di far conseguire a quest'ultimo un mutuo per il pagamento del prezzo).
Cass. civ. n. 7987/1990
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il contraente che abbia adempiuto la propria prestazione non è tenuto, nel caso di inadempimento totale o parziale dell'altro contraente, a svolgere attività per conseguire aliunde la controprestazione, dato che gli artt. 1175, 1227 e 1375, pur prevedendo per entrambi i contraenti un dovere di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, sono dettati allo scopo di vietare comportamenti vessatori ed ostruzionistici, ma non possono essere intesi nel senso di trasferire a carico del creditore le obbligazione specifiche del debitore, o le conseguenze dell'inadempimento a lui imputabile.
Cass. civ. n. 3250/1977
La violazione dei doveri di correttezza e di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) ove non siano considerati in forma primaria ed autonoma da una norma — come nell'ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. — costituisce solo un criterio di qualificazione e di valutazione del comportamento dei contraenti. Pertanto, un comportamento ad essi contrario non può essere reputato illegittimo e, quindi, fonte di responsabilità ove al contempo non concreti la violazione di un diritto altrui, già direttamente riconosciuto da una norma giuridica.
Cass. civ. n. 1460/1973
La buona fede, intesa in senso etico, come requisito della condotta, costituisce uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni, e forma oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla schiettezza, alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale che integrano, appunto, il contenuto della buona fede.