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Art. 2047 — Danno cagionato dall’incapace

Art. 2047 — Danno cagionato dall’incapace

In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto [ 2048 ].

Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno a un’equa indennità [ 843 2, 924, 925, 1038, 1053, 1328, 2045 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 1321/2016

Risponde, ai sensi dell’art. 2047, comma 1, c.c., dei danni cagionati dall’incapace maggiorenne non interdetto colui che abbia liberamente scelto di accogliere l’incapace nella propria sfera personale, convivendo con esso ed assumendone spontaneamente la sorveglianza, sicché, per dismettere tale responsabilità, è necessaria una determinazione di volontà uguale e contraria, che può essere realizzata anche trasferendo su altro soggetto l’obbligo di sorveglianza sì da sostituire all’affidamento volontario preesistente un altro quanto meno equivalente la cui idoneità va verificata dal giudice con valutazione prognostico-ipotetica “ex ante” riferita al momento “del passaggio delle consegne”. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva riconosciuto il trasferimento del dovere di sorveglianza su un incapace maggiorenne da un genitore all’altro, nella decisione della madre di non proseguire la convivenza con il figlio e nella contestuale libera e consapevole decisione del padre di portarlo con sé a vivere in campagna, in luogo astrattamente idoneo all’esercizio della sorveglianza in condizioni addirittura preferibili a quelle in precedenza offerte dalla madre).

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Cass. civ. n. 3242/2012

In tema di responsabilità civile, l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. postula l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto sono configurabili la “culpa in educando” e la “culpa in vigilando”; ne consegue che, ove il minore incapace, con il proprio comportamento illecito, cagioni un danno a se stesso, sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1218 o 2043 c.c., a seconda che ricorra una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza. Peraltro, a causa del richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c. all’art. 1227 c.c., il fatto del minore incapace di intendere e di volere che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno a se stesso è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e l’eventuale riduzione proporzionale del danno da risarcire. (Nella specie, si trattava del comportamento tenuto da un bambino di tre anni, ritenuto dal giudice di merito valutabile ai fini dell’art. 1227 c.c.).

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Cass. civ. n. 7247/2011

Ai fini del riconoscimento della responsabilità del sorvegliante, a norma dell’art. 2047 c.c., è necessario che il fatto commesso dall’incapace presenti tutte le caratteristiche oggettive dell’antigiuridicità e cioè che sia tale che, se fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbe un fatto illecito. Ne consegue che, nell’ipotesi di lesione personale inferia da un minore ad un altro nel corso di una competizione sportiva, occorre verificare, al fine di escludere l’antigiuridicità del comportamento dell’incapace e la conseguente responsabilità del sorvegliante, se il fatto lesivo derivi o meno da una condotta strettamente funzionale allo svolgimento del gioco, che non sia compiuto con lo scopo di ledere e che non sia caratterizzato da un grado di violenza od irruenza incompatibile con lo sport praticato.

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Cass. civ. n. 22818/2010

Nei confronti di persona ospite di reparto psichiatrico o di altra struttura equipollente, ancorché non interdetta nè sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della legge 13 maggio 1978, n. 180, la configurabilità di un dovere di sorveglianza, a carico del personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente responsabilità risarcitoria per i danni cagionati dal o al ricoverato, presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere del ricoverato medesimo. (Nella fattispecie la Corte ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado che aveva ravvisato il difetto di sorveglianza del personale della struttura nei confronti di persona adulta affetta da oligofrenia di grado elevato con note mongoloidi rimasta vittima di violenza sessuale all’interno della struttura psichiatrica presso la quale si trovava ricoverata).

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Cass. civ. n. 16803/2008

La presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2047 c.c. nei confronti di chi sia tenuto alla sorveglianza dell’incapace è configurabile a carico della struttura sanitaria soltanto in caso di ricovero ospedaliero del malato mentale, dovendosi; peraltro, considerare priva di tutela a carico del Servizio Sanitario l’esigenza di assicurare la pubblica incolumità che possa essere messa in pericolo dal malato mentale, rientrando tale compito tra quelli demandati in via generale agli organi che si occupano di pubblica sicurezza. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto dai parenti di un congiunto ucciso da un soggetto affetto da vizio totale di mente all’interno di un bar nei confronti dell’Azienda sanitaria, non potendosi configurare nei riguardi di quest’ultima uno stretto obbligo di sorveglianza a carico dell’omicida risultato malato di mente nell’ipotesi esaminata, considerandosi, altresì, che il T.S.O. può essere disposto solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che conentano di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere e, senza trascurare che, nel caso in questione, l’aggressore omicida, fino a pochi giorni prima del compimento del fatto delittuoso, non aveva dato segni di squilibrio e premonitori di una possibile manifestazione di follia).

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Cass. civ. n. 1148/2005

Qualora la responsabilità del genitore per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore trovi fondamento, essendo il minore incapace di intendere e volere al momento del fatto, nella fattispecie autonoma di cui all’art. 2047 c.c. e non in quella di cui all’art. 2048 c.c., incombe sul genitore del danneggiante la prova dell’affidamento ad altro soggetto della sorveglianza dell’incapace. Detta prova è particolarmente rigorosa, dovendo egli provare di non aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare un fatto impeditivo assoluto. (Nella specie, relativa all’infortunio occorso ad un minore colpito con un ceppo di legno da altro fanciullo di sette anni che giocava con lui, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dei genitori del danneggiante, essendo presente al gioco il padre del danneggiato, assumendo che la madre del primo, allontanatasi, aveva ritenuto tacitamente delegata all’altro adulto rimasto la sorveglianza del proprio figlio minore).

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Cass. civ. n. 19060/2003

L’accertamento in sede penale della mancanza di prova della colpa dei soggetti tenuti alla sorveglianza dell’incapace non comporta il superamento della presunzione di colpa su di essi gravante ai sensi dell’art. 2047 c.c., né costituisce prova del caso fortuito.

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Cass. civ. n. 11245/2003

La presunzione di responsabilità di cui all’art. 2047 c.c., posta a carico di chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, non è applicabile al caso di danni che l’incapace abbia causato a se stesso. Nel caso di danno arrecato dall’incapace (nella specie una bambina di tre anni) a se stesso, la responsabilità del sorvegliante e della struttura nella quale l’incapace è ammesso (nella specie un asilo nido comunale) va ricondotta non già nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., bensì nell’ambito della responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c.

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Cass. civ. n. 4633/1997

L’ampiezza dell’obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere (art. 2047 c.c.) è da rapportare alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresì la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato, possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del medesimo.

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Cass. civ. n. 565/1985

In tema di responsabilità civile da fatto illecito, la capacità d’intendere e di volere del minore, la quale esclude l’applicabilità dell’art. 2047 c.c., può essere accertata dal giudice del merito, con valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, anche mediante presunzioni, quale il riferimento alla stessa età del minore e al tipo di studi da lui frequentati.

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Cass. civ. n. 3142/1981

Il dovere di sorveglianza di un incapace, quale fonte di responsabilità per il danno cagionato dallò’incapace medesimo, ai sensi dell’art. 2047 primo comma c.c., può essere l’effetto non soltanto del vincolo giuridico, ma anche di una scelta liberamente compiuta da un soggetto, il quale, accogliendo l’incapace nella sua sfera personale o familiare, assuma spontaneamente il compito di prevenire od impedire che il suo comportamento possa arrecare nocumento ad altri. (Nella specie, enunciando il principio di cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicata la citata norma, con riguardo al danno cagionato da un bambino di quattro anni, a carico del marito della madre del minore, il quale, pur non avendolo riconosciuto, conviveva con lui e con la moglie, formando un unico nucleo familiare).

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