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Articolo 161 Codice di procedura civile — Nullità della sentenza

Articolo 161 Codice di procedura civile — Nullità della sentenza

La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi d’impugnazione.

Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 16216/2017

In tema di decisioni assunte dal tribunale in composizione monocratica, la sentenza emessa dal GOT che sia cessato dal servizio a seguito di accettazione delle relative dimissioni e che sia stata pubblicata, mediante deposito in cancelleria, successivamente a tale momento, è affetta da nullità insanabile, ricorrendo un vizio di costituzione del giudice, senza che assuma rilievo la diversa ed anteriore data della decisione eventualmente riportata in calce all’atto, difettando – analogamente a quanto avviene per il giudice di pace e diversamente dal caso di decisione collegiale – un momento deliberativo che assuma autonoma rilevanza.

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Cass. civ. n. 8817/2017

La sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore) è affetta da nullità sanabile, ai sensi dell’art. 161, comma 1, c.p.c., sicché, convertendosi il vizio in motivo di impugnazione, ove fatto valere con ricorso per cassazione dovrà essere disposto, in caso di accoglimento, il rinvio ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, il quale procederà alla rinnovazione della decisione conclusiva del grado, ovvero, nella specie, ad una nuova pronuncia della sentenza.

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Cass. civ. n. 4426/2017

La sentenza in calce alla quale si dia atto che la stessa è stata redatta con la collaborazione di un giudice ausiliario di corte d’appello non può considerarsi affetta da nullità, nè tanto meno da inesistenza, rilevabile anche d’ufficio in sede di impugnazione, in quanto con tale annotazione non si vuole intendere che il procedimento sia stato deciso dal magistrato ausiliario, ma solo che quest’ultimo abbia collaborato alla stesura della motivazione con il consigliere relatore della causa e componente del collegio che ha adottato la decisione, il quale, con la sottoscrizione, ne ha assunto la paternità

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Cass. civ. n. 7086/2015

La sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 od. proc. civ., nella specie quelli per il deposito delle memorie di replica, non è automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive – contenute nello scritto non esaminato dal giudice – la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta.

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Cass. civ. n. 5660/2015

L’omessa indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nome di una delle parti determina la nullità della sentenza stessa solo in quanto riveli che il contraddittorio non si è regolarmente costituito a norma dell’art. 101 cod. proc. civ., o generi incertezza circa i soggetti ai quali la decisione si riferisce, e non anche se dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza la loro identificazione, dovendosi, in tal caso, considerare l’omissione come un mero errore materiale, che può essere corretto con la procedura prevista dagli artt. 287 e 288 cod. proc. civ. (Nella specie, la S.C. ha escluso la nullità della sentenza impugnata, in quanto in quest’ultima si era dato atto che la convenuta, il cui nome era stato omesso, era stata parte del giudizio di primo grado e gli stessi ricorrenti avevano sia esposto nel ricorso per cassazione che la medesima era stata dichiarata contumace nel grado di appello, sia provveduto a notificarle il ricorso, così riconoscendola come parte del processo).

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Cass. civ. n. 642/2015

Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato.

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Cass. civ. n. 11021/2014

La sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore) è affetta da nullità sanabile ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.p., trattandosi di sosttoscrizione insufficiente non mancante, la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell’atto al giudice, mentre una diversa interpretazione, che accomuni le due ipotesi con applicazione dell’art. 161, secondo comma, c.p.c., deve ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della ragionevole durata.

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Cass. civ. n. 20067/2011

La nullità della sentenza di primo grado, conseguente al vizio di notificazione dell’atto di citazione (nella specie, in riassunzione e notificato alla parte, invece che al suo procuratore) non può essere prospettata in sede di comparsa conclusionale, dovendo essere fatta valere con l’ordinario mezzo d’impugnazione dell’appello, ancorchè a norma dell’art. 327, secondo comma, c.p.c., poichè si converte in motivo d’impugnazione, ai sensi dell’art. 161 c.p.c.; ne consegue che l’omessa deduzione osta alla possibilità di far valere successivamente tale nullità in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 14966/2007

Sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 156 e 360 n. 4 c.p.c., nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mercé valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in una causa di risarcimento dei danni, aveva ritenuto insussistente la prova dell’an debeatur rigettando per tale motivo non solo l’appello principale del danneggiato, che aveva lamentato l’insufficienza della liquidazione effettuata dal giudice di primo grado, ma anche l’appello incidentale del danneggiante, che aveva chiesto il rigetto della domanda).

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Cass. civ. n. 13506/2007

Il termine di impugnazione per far valere, ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c., la nullità della sentenza pronunciata in un giudizio proseguito nonostante l’automatica interruzione conseguente alla morte del convenuto, verificatasi dopo la notificazione dell’atto di citazione ma prima della costituzione, è, in conformità alla regola generale stabilita dall’art. 327, primo comma, c.p.c., di un anno dalla pubblicazione della sentenza, a meno che i suoi eredi, nell’impugnarla, non alleghino specificamente l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del secondo comma dello stesso art. 327 c.p.c., dovendosi equiparare la posizione degli eredi a quella del contumace che non abbia avuto cognizione del processo per nullità della citazione o della sua notificazione. Tale equiparazione comporta, con l’applicazione analogica dell’art. 327, secondo comma, c.p.c., che gli eredi debbano allegare specificamente la mancata conoscenza del processo, fornendone la prova, anche sulla base di elementi presuntivi in relazione alle circostanze del caso.

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Cass. civ. n. 12952/2007

Per far valere quale motivo di appello un vizio di nullità relativa che abbia inficiato il giudizio di primo grado, riflettendosi sulla validità della relativa sentenza, è necessario, in considerazione del disposto di cui all’art. 157 c.p.c., che la parte interessata lo abbia dedotto tempestivamente nella prima istanza o difesa successiva all’atto ritenuto invalido, ovvero alla notizia di esso, e che non abbia, quindi, rinunciato tacitamente ad eccepirlo, così implicitamente sanandolo, poiché, in caso contrario, il relativo motivo di impugnazione è da ritenersi inammissibile per carenza di interesse, fermo restando peraltro, che, anche quando non si sia verificata la preclusione a far valere la suddetta nullità processuale, è necessario che la parte impugnante indichi specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dalla invocata invalidità. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale si era censurata la sentenza di appello per non aver pronunciato sull’eccezione di nullità per violazione del principio del contraddittorio nel giudizio di primo grado verificatasi in apposita udienza, avendo lo stesso ricorrente ammesso di aver partecipato a quella immediatamente successiva nella quale non aveva formulato alcuna eccezione, così producendo la sanatoria della presunta nullità ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 157 c.p.c.).

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Cass. civ. n. 18948/2006

La sentenza è costituita essenzialmente dal dispositivo e dalla motivazione che, nella loro intima compenetrazione, concorrono a formare la forza imperativa della decisione, con la conseguenza che, mancando l’uno o l’altra, la sentenza è affetta da radicale inesistenza, la quale può essere fatta valere, oltre che con l’actio nullitatis proponibile in ogni tempo, anche mediante gli ordinari mezzi di impugnazione. (Nella fattispecie, relativa a dispositivo di sentenza pronunciato in udienza su opposizione a ordinanza ingiunzione per sanzione amministrativa pecuniaria, la S.C. ha altresì ritenuto legittimo il provvedimento del presidente del tribunale che aveva disposto il deposito in cancelleria del solo dispositivo, a seguito della decadenza del giudice onorario che lo aveva pronunciato, in quanto solo con il deposito era possibile l’attivazione dell’impugnazione).

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Cass. civ. n. 14376/2005

Nel caso di riunione di un procedimento civile ordinario soggetto al rito previsto per i giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995 ad altro procedimento introdotto prima di tale data, anche ammettendo, in via di ipotesi, che tale riunione abbia determinato l’adozione, per la causa piú recente, di un rito diverso da quello stabilito dalla legge, si deve escludere che ciò comporti, di per sè, effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla e può essere impugnata – deducendo, come motivo di impugnazione, l’errore consistito nell’utilizzazione di un diverso rito processuale – soltanto ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per aver inciso sulla determinazione della competenza, ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa. (Alla luce dell’enunciato principio, la Corte di cassazione ha ritenuto quindi superflua, nella specie, ogni ulteriore considerazione riguardo al fatto che la diversità di rito non è ostativa alla riunione delle cause in simultaneo processo).

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Cass. civ. n. 17392/2004

Il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni — distinguendosi, quindi, sia dall’error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c. — ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza.

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Cass. civ. n. 1369/2004

La difformità tra il dispositivo letto in udienza e quello trascritto in calce alla motivazione della sentenza non è causa di nullità di quest’ultima, giacchè, nel contrasto tra i due dispositivi, prevale quello portato a conoscenza delle parti mediante lettura in udienza, potendosi ravvisare nullità solo nel caso di insanabile contrasto tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione della sentenza.

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Cass. civ. n. 15746/2001

Il provvedimento collegiale con cui la Corte d’appello decida sul gravame proposto, ai sensi dell’art. 17 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nei confronti della sentenza del tribunale per i minorenni resa sull’opposizione avverso il provvedimento sullo stato di adottabilità, ha natura di sentenza per il suo contenuto decisorio e definitivo, sicché, ove erroneamente emanato in forma di ordinanza, i suoi requisiti formali di validità debbono essere commisurati alla disciplina dettata dall’art. 132 c.p.c.; ne consegue che, ove il presidente del collegio non cumuli in sé anche la qualità di estensore, la presenza della sua sola sottoscrizione rende il provvedimento in questione viziato dalla nullità insanabile di cui all’art. 161, secondo comma, c.p.c., la quale può essere fatta valere con il ricorso per cassazione ma, in caso di proposizione di questo per motivi diversi, deve essere rilevata anche d’ufficio in sede di legittimità, con annullamento del provvedimento impugnato e rinvio della causa ad altro giudice equiordinato.

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Cass. civ. n. 12292/2001

Oltre all’ipotesi espressamente prevista dall’art. 161, secondo comma, c.p.c. (mancanza della sottoscrizione del giudice), è possibile configurare altri casi di inesistenza della sentenza, tutte le volte che la stessa manchi di quel minimo di elementi o di presupposti che sono necessari per produrre quell’effetto di certezza giuridica che è lo scopo del giudicato, come nell’ipotesi di pronuncia resa nei confronti di soggetto deceduto prima della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio. Tale inesistenza va rilevata d’ufficio e può essere fatta valere, anche al di fuori dell’impugnazione nello stesso processo, con una autonoma azione di accertamento, non soggetta a termini di prescrizione o di decadenza, ovvero con un’eccezione ed altresì in sede di opposizione all’esecuzione.

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Cass. civ. n. 300/2001

Nel rito del lavoro solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la statuizione emanata (salvo che non si configuri un caso di inesistenza della sentenza). Tale insanabilità deve escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga (sì da potersi escludere l’ipotesi di un ripensamento del giudice); in tal caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l’esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall’altro, deve qualificarsi come inammissibile l’eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione. (Nella specie sussisteva una divergenza relativamente alla data di decorrenza del riconosciuto pensionamento di invalidità, e la data indicata nella motivazione era quella coerente con le risultanze della consulenza tecnica posta a base dell’accertamento giudiziale).

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Cass. civ. n. 260/2001

In forza del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, l’ordinanza che abbia il contenuto decisorio di una sentenza va qualificata come tale anche quando proprio una siffatta qualificazione comporti la sussistenza del vizio di cui all’art. 161, comma secondo, c.p.c., per non essere stato l’atto sottoscritto con l’osservanza delle prescrizioni in materia dell’art. 132, comma terzo, c.p.c., ossia dall’estensore e dal presidente ovvero soltanto da quest’ultimo quando cumuli in sé anche l’altra qualità. Conseguentemente, come contro il medesimo provvedimento è ammissibile l’impugnazione correlata alla sua natura di sentenza, così il giudice ad quem ha il potere-dovere di rilevare, anche d’ufficio, la nullità insanabile della sentenza impugnata che non esibisca il detto requisito della duplice sottoscrizione, ancorché tale nullità, non assorbendosi nei mezzi di gravame, possa essere fatta valere anche al fuori del rimedio impugnatorio, secondo quanto previsto dal citato art. 161, comma secondo, c.p.c. (Fattispecie relativa ad ordinanza collegiale, dichiarativa dell’estinzione del processo, sottoscritta dal solo presidente non relatore o estensore e avente valore sostanziale di sentenza in relazione al suo contenuto decisorio).

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Cass. civ. n. 16045/2000

Il motivo di nullità della sentenza, costituito dal fatto che la decisione risulta pronunciata da un collegio giudicante diverso da quello dinanzi al quale si è svolta la discussione, è assimilabile a quello della mancata sottoscrizione della sentenza e, come tale rientra nella previsione di cui all’art. 161, comma secondo, c.p.c., sottraendosi al principio che traduce in motivi di nullità i motivi di impugnazione; ciò comporta che detta nullità è rilevabile anche d’ufficio in sede di impugnazione e che, anche in esito al giudizio di cassazione, la causa debba essere rimessa allo stesso giudice che ha emesso la sentenza. (Nella specie, riguardando il vizio sentenza di lavoro emessa da un tribunale in grado d’appello, la causa è stata rinviata — a seguito della riforma di cui al D.Lgs. n. 51 del 1998 — alla locale corte d’appello).

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Cass. civ. n. 14788/2000

Non ricorre un’ipotesi di insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo — e pertanto non si ha nullità della sentenza — nel caso in cui il giudice di secondo grado, rilevata una nullità che non dà luogo a rimessione al primo giudice e rinnovati gli atti nulli, pervenga a decisione identica a quella del primo giudice e utilizzi nel dispositivo una formula di conferma, dovendo la portata precettiva della pronuncia individuarsi tenendo conto non solo delle deliberazioni formalmente contenute nel dispositivo ma anche delle enunciazioni della motivazione. (Nel caso di specie, era stato impugnato con reclamo il decreto che modificava, aumentando l’importo dell’assegno, le condizioni di divorzio; la Corte d’appello nella motivazione aveva dichiarato nullo il decreto, perché emanato senza il rispetto del principio del contraddittorio, ma, essendo pervenuto nel merito a stabilire il nuovo importo dell’assegno in somma identica a quella fissata dal primo giudice, nel dispositivo aveva utilizzato la formula «respinge il reclamo»; la S.C. ha respinto la censura di nullità della pronuncia).

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Cass. civ. n. 8946/2000

Il contrasto tra motivazione e dispositivo il quale non consenta di individuare il concreto comando del giudice attraverso la valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza e neppure offre la possibilità di ricorrere all’interpretazione complessiva della decisione — che presuppone una sostanziale coerenza delle diverse parti e proposizioni della medesima — concreta una ipotesi di nullità del provvedimento giudiziale, secondo quanto disposto dall’art. 156, comma secondo, c.p.c.

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Cass. civ. n. 1254/2000

La nullità, comminata dal secondo comma dell’art. 161 c.p.c., del provvedimento collegiale, avente natura sostanziale di sentenza ma erroneamente emanato in forma di ordinanza e quindi sottoscritto dal solo presidente, può essere fatta valere con l’appello e con il ricorso per cassazione — cioè con gli stessi rimedi prescritti dal primo comma della medesima norma per le nullità di carattere relativo — oppure, trattandosi di nullità assoluta, con un’azione autonoma di accertamento o con una semplice eccezione.

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Cass. civ. n. 1816/1999

L’inesistenza giuridica della sentenza può esser fatta valere, oltreché (ed in ogni tempo) attraverso il rimedio dell’“actio nullitatis”, anche mediante gli ordinari mezzi di impugnazione, con la conseguenza che, in tale ultima ipotesi (e diversamente da quanto accade per i vizi che comportano nullità), il giudice, dichiarata l’inesistenza della sentenza, deve rimettere le parti nel grado in cui tale radicale vizio si sia verificato, venendo, in tale ipotesi, consentita (a differenza dell’“actio nullitatis”) la continuazione del giudizio, con la pronuncia di una decisione di merito, nell’ambito dello stesso processo.

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Cass. civ. n. 3081/1998

La nullità della sentenza impugnata, per essere questa fondata sulle risultanze dell’attività probatoria svolta da una parte non ritualmente costituita, ricade nel novero di quelle per le quali vige la regola dell’assorbimento nei mezzi di gravame, di guisa che, in difetto di rituale e tempestivo rilievo della nullità degli atti presupposti, anteriormente alla sentenza sulla res controversa, la pronuncia di questa equivale ad accertamento implicito della regolarità del processo, con l’ulteriore conseguenza che il difetto di gravame sul punto ne determina la soggezione alla irretrattabilità del giudicato formale.

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Cass. civ. n. 8393/1996

Il difetto di rappresentanza-difesa tecnica che colpisca la citazione introduttiva del giudizio, pur se comporta una nullità insanabile all’interno e nello sviluppo del processo (per la preclusione posta dall’art. 125, secondo comma, c.p.c.), tuttavia non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo stesso, restando soggetto alla regola dell’art. 161, primo comma, c.p.c., secondo la quale il vizio di nullità della sentenza si converte in motivo di gravame. (Nella specie, l’attore, per errore a lui imputabile, aveva conferito la procura a difensore non abilitato, perché non più iscritto nell’albo degli avvocati e procuratori).

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Cass. civ. n. 272/1996

È nulla e non giuridicamente inesistente, a differenza della sentenza emessa a non iudice e di quella priva di sottoscrizione del giudice, la sentenza emessa dal giudice della controversia in violazione del fondamentale principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.); mentre in quest’ultima ipotesi, infatti, la sentenza proviene pur sempre dall’organo munito della potestas iudicandi e reca una statuizione che permane efficace finché non venga rimossa dal giudice dell’impugnazione, nel caso di sentenza resa a non iudice o priva di sottoscrizione del giudice l’esistenza della sentenza è solo apparente, non potendo la decisione rinvenire la sua fonte nell’organo statuale investito della relativa funzione, e non avendo il giudice chiamato a decidere assunto formalmente la qualità di autore della sentenza mediante la sottoscrizione del documento.

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Cass. civ. n. 1965/1994

La giuridica inesistenza della sentenza, assimilabile nel trattamento al caso espressamente previsto dall’art. 161, secondo comma c.p.c., ricorre allorché il provvedimento manchi di quel minimo di elementi o di presupposti necessari per la produzione dell’effetto di certezza giuridica, proprio del giudicato, come quando sia carente di dispositivo o questo sia assurdo o impossibile o provenga da organo privo di qualsiasi potere giurisdizionale. Ne consegue che un siffatto vizio radicale è da escludere con riguardo al caso di sentenza la cui motivazione, pur risultando da modulo predisposto e completato soltanto negli spazi bianchi, contenga, tuttavia, l’esatta indicazione del collegio giudicante, delle parti, dei relativi difensori, con relative elezioni di domicilio e procure, nonché di altri dati corrispondenti alla realtà processuale e rechi un dispositivo che ne specifichi la portata imperativa.

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