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Art. 346 — Millantato credito

Art. 346 — Millantato credito

[ Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato , è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da trecentonove euro a duemilasessantacinque euro.

La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da cinquecentosedici euro a tremilanovantotto euro, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare. ]

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 40940/2017

Il delitto di truffa è assorbito in quello di millantato credito previsto dall’art. 346, comma secondo, cod. pen. non potendo essere configurato il concorso formale tra i due reati in quanto la condotta sanzionata dall’art. 346, comma secondo, cod. pen., a differenza di quella prevista dal primo comma, consiste in una forma di raggiro nei confronti del soggetto passivo che viene indotto da una falsa rappresentazione della realtà ad un accordo che lo impegna ad una prestazione patrimoniale.

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Cass. pen. n. 9960/2017

I reati di millantato credito e di truffa possono concorrere – stante la diversità dell’oggetto della tutela penale, consistente, per il primo delitto, nel prestigio della P.A. e, per il secondo, nel patrimonio – qualora allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagni un’ulteriore attività diretta all’induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno. (Fattispecie nella quale l’imputato, per avvalorare i propri interventi corruttivi presso esponenti di pubbliche istituzioni volti ad ottenere l’assunzione delle vittime, aveva formato ed esibito alle stesse falsi documenti, inducendole, altresì, al compimento delle prestazioni sanitarie necessarie per certificare i presupposti del rapporto di pubblico impiego).

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Cass. pen. n. 8994/2015

I reati di millantato credito e di truffa possono concorrere – stante la diversità dell’oggetto della tutela penale, consistente, per il primo delitto, nel prestigio della P.A. e, per il secondo, nel patrimonio – qualora allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagni una ulteriore attività diretta alla induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno. (Fattispecie relativa all’offerta, formulata a contribuenti in difficoltà, di una intermediazione presso i funzionari della società esattrice delle imposte, al fine di estinguere le esposizioni debitorie previo pagamento di una percentuale dei debiti iscritti a ruolo, la cui persuasività era avvalorata dall’utilizzo di false ricevute ed attestazioni di pagamento, idonee a simulare l’avvenuta estinzione dei debiti tributari).

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Cass. pen. n. 8989/2015

In tema di millantato credito, poiché il delitto si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione e ricezione dell’utilità, il tentativo è configurabile solo qualora la millanteria del soggetto agente non raggiunga alcuno dei predetti risultati.

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Cass. pen. n. 36676/2013

È configurabile il reato di millantato credito nella condotta di millanteria di un avvocato rivolta non al potenziale cliente ma ai suoi familiari, atteso che l’oggetto della tutela penale del reato è il prestigio della P.A. e la condotta perseguita è costituita dall’essersi l’agente vantato di potersi inserire nella pubblica attività per inquinarne il regolamento svolgimento.

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Cass. pen. n. 17941/2013

Per la sussistenza del delitto di millantato credito, di cui al comma secondo dell’art. 346 cod. pen. non è necessario – a differenza di quanto previsto per la nuova fattispecie di cui all’art. 346 bis cod. pen. – che il pubblico funzionario, avvicinabile dal millantatore, debba essere descritto come corrotto o pronto a rendersi partecipe di una corruzione passiva in senso proprio, essendo, invece, sufficiente anche che ne sia preannunciata la sua disponibilità remunerabile a svolgere interventi presso terzi, sia pubblici funzionari che privati. (Fattispecie in cui è stato ritenuto sussistente il delitto di cui al comma secondo dell’art. 346 cod. pen. nei confronti di persona che si era fatta dare una somma di denaro con il pretesto di doverla consegnare ad un ufficiale giudiziario perché si adoperasse, tramite sue conoscenze, per ottenere un’assunzione presso una società privata).

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Cass. pen. n. 35060/2010

Non integra il delitto di millantato credito la condotta di colui che si limiti a prospettare di avere la capacità di mettere il proprio interlocutore in contatto con un pubblico funzionario senza contestualmente indurlo a credere di poter esercitare una reale influenza sullo stesso.

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Cass. pen. n. 12822/2010

In tema di millantato credito, ai fini dell’integrazione dell’ipotesi di cui all’art. 346, comma secondo, c.p. (che costituisce autonomo titolo di reato e non circostanza aggravante del reato previsto dal comma primo dello stesso articolo), è irrilevante che l’iniziativa parta dalla persona cui è richiesto di corrispondere il denaro o l’utilità, nè occorre che l’agente indichi nominativamente i funzionari o impiegati i cui favori devono essere comprati o remunerati.

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Cass. pen. n. 34827/2009

Integra il delitto di millantato credito aggravato (artt. 346, 61, n. 9, c.p.) e non quello di concussione, la condotta di induzione della vittima a versare una somma di denaro realizzata dal pubblico ufficiale mediante il raggiro della falsa rappresentazione di una situazione di grave pregiudizio e della proposta di comprare i favori di altri ignari ed inesistenti pubblici ufficiali per ottenere un risultato a lei favorevole. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto integrati gli estremi sia del millantato credito che della concussione, in relazione ad una somma di denaro richiesta dal dipendente di un comune, con il pretesto di un suo interessamento finalizzato a comprare i favori di un componente la commissione medica per il riconoscimento dell’invalidità civile).

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Cass. pen. n. 34440/2006

Ai fini della sussistenza del reato di millantato credito, è sufficiente il conseguimento da parte del millantatore della promessa di denaro o di altra utilità per la propria attività di intermediario, mentre è irrilevante che tale corrispettivo non sia stato più richiesto e versato (Fattispecie nella quale è stata esclusa la configurabilità della desistenza attiva in relazione alla condotta di un commercialista che aveva ottenuto da alcuni clienti la promessa di una somma di danaro — di seguito non più sollecitata nè versata — a titolo di indebito compenso per l’accoglimento di una pratica di finanziamento pubblico, della quale aveva garantito il buon esito grazie alla conoscenza di un funzionario regionale)

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Cass. pen. n. 30150/2006

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 346, comma secondo c.p. è irrilevante che il pubblico ufficiale abbia o meno emesso il provvedimento per il quale l’agente ha promesso il suo interessamento, in quanto il millantato credito si consuma già nel momento in cui l’agente si fa promettere l’utilità con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, apprestando una tutela penale anticipata rispetto alle diverse ipotesi di reato previste dagli artt. 318 e 319 c.p. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che non rilevasse, ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 346 c.p., la circostanza che il provvedimento di scarcerazione per comprare il quale l’agente, autista giudiziario, si era fatto consegnare una somma di danaro, millantando credito presso un giudice del Tribunale, in realtà fosse stato già emesso al momento della consegna del denaro).

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Cass. pen. n. 22248/2006

In tema di millantato credito, integra l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 346 c.p. la condotta di colui che riceve o accetta la promessa di denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato ovvero di doverlo remunerare; detta ipotesi, rispetto alla fattispecie prevista dall’art. 346, comma primo — in cui il raggiro consiste nel presentare il pubblico ufficiale, destinatario di pressioni amicali, come arrendevole — non configura una circostanza aggravante ma una figura autonoma di reato, in quanto il pubblico ufficiale è prospettato dall’agente come persona corrotta o corruttibile.

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Cass. pen. n. 39932/2005

L’elemento del raggiro tipico della truffa assume nel reato di millantato credito un carattere particolare, concretandosi nella vanteria, anche implicita, di ingerenze e pressioni presso un pubblico ufficiale. Ne consegue che il reato di truffa non può concorrere con il reato di millantato credito, anche nel caso in cui la vanteria si accompagni ad un atto diretto alla induzione in errore del soggetto passivo. (Nella specie, la Corte ha ravvisato il reato di cui all’art. 346 c.p. nella condotta degli imputati che avevano percepito ingenti somme per la loro opera di intermediazione presso non meglio identificati dipendenti del Coni e dei Monopoli di Stato per far ottenere alle parti offese concessioni di ricevitoria per il totocalcio e per il lotto, rafforzando l’errore di queste ultime con falsi sopralluoghi di sedicenti funzionari dei suddetti enti).

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Cass. pen. n. 49048/2004

Non integra il delitto di millantato credito (art. 346 c.p.) la millanteria consistente in «crediti» presso personaggi politici che non rivestano la qualità di pubblici ufficiali. (Nella specie, la Corte ha diversamente qualificato come truffa la condotta dell’imputato che aveva ricevuto da privati somme di denaro quale prezzo della propria mediazione per l’ottenimento di posti di lavoro, vantando influenza presso noti esponenti politici).

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Cass. pen. n. 21106/2004

Per rispondere, a titolo di concorso morale, del reato di millantato credito nella ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 346 c.p., occorre che l’agente abbia la consapevolezza che la propria azione, in sintonia con quella di chi in prima persona millanta il credito presso il pubblico ufficiale, rafforzi nel soggetto passivo del reato la credibilità del possibile favore illecito, pur essendo a conoscenza che il rapporto con il pubblico ufficiale non esiste: e ciò anche a prescindere dalla prova del fine di trarre una utilità in proprio.

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Cass. pen. n. 19647/2004

Il delitto di millantato credito e quello di truffa, possono concorrere tra loro allorché alla millanteria, tipica del primo di detti reati, si aggiungano altri comportamenti che costituiscano ulteriori artifizi e raggiri, idonei ad indurre in errore la persona offesa. (Nella specie, il concorso è stato ritenuto sussistente considerando che l’agente, secondo quanto accertato in sede di merito, oltre ad assicurare l’intervento di parlamentari per favorire l’assunzione di persone presso un ente pubblico, aveva fraudolentemente cercato di dimostrare il positivo sviluppo delle pratiche chiedendo agli interessati la produzione di varia documentazione, simulando la fissazione di visite mediche propedeutiche alle assunzioni, fingendo di comunicare telefonicamente con i suddetti parlamentari).

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Cass. pen. n. 49579/2003

I reati di millantato credito e di truffa possono concorrere anche se la violazione consista in una unica azione, in quanto allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, consistente nelle vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, può accompagnarsi un atto diretto alla induzione in errore del soggetto passivo, al fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la sentenza con la quale i giudici di merito avevano ravvisato il concorso tra i suddetti reati, sul rilievo che la falsa promessa di comperare il favore di un pubblico ufficiale, di per sè lesiva del prestigio della pubblica amministrazione, trovava la sua giustificazione in una specifica attività truffaldina svolta degli imputati, attività non prevista tra gli elementi tipizzati dall’art. 346 c.p.).

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Cass. pen. n. 39089/2003

In tema di millantato credito, deve ritenersi che il millantatore sia tenuto a restituire alla parte offesa quanto abbia da questa ricevuto come prezzo della propria mediazione o del favore del pubblico ufficiale o impiegato, in quanto frutto di accordo che, pur costituendo illecito penale, non costituisce, tuttavia, di per sè, offesa al buon costume.

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Cass. pen. n. 32341/2003

In tema di millantato credito, la ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 346 c.p., descrivedo una condotta che comporta una lesione anche di interessi non tutelati dal primo comma, configura un titolo autonomo di reato.

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Cass. pen. n. 17923/2003

La differenza tra le due ipotesi di millantato credito non sta nell’oggettiva destinazione del denaro o altra utilità data o promessa all’agente ma nella prospettazione che questi ne fa e che consiste nel prezzo per la propria mediazione presso il pubblico ufficiale (art. 346, primo comma c.p.) ovvero nel costo della corruzione (art. 346, secondo comma).

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Cass. pen. n. 17642/2003

In tema di millantato credito, la ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 346 c.p. – contenente la previsione di un titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie descritta nel primo comma della medesima disposizione – si differenzia dal delitto di truffa, per la diversità della condotta, non essendo necessaria né la millanteria né una generica mediazione, nonché dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa è quest’ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che è semplice soggetto danneggiato.

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Cass. pen. n. 16255/2003

Integra l’elemento materiale del reato di cui all’art. 346 c.p. la vanteria implicita o esplicita della possibilità di influire sul pubblico ufficiale in conseguenza della quale si ottiene un compenso per la mediazione, indipendentemente dalle modalità della condotta che rientra nell’apprezzamento del giudizio di merito e non richiede che abbia la caratteristica di una condotta ingannatoria o raggirante.

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Cass. pen. n. 15118/2003

Il reato di millantato credito si differenzia da quello di truffa sia perché oggetto della tutela penale è il prestigio della pubblica amministrazione (mentre per la truffa è il patrimonio), sia per la particolarità del raggiro, caratterizzato da vanterie, esplicite od implicite, di ingerenze e pressioni esercitabili dal millantatore nei confronti del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, senza la necessità che sia speso il nome di quest’ultimo, essendo sufficiente che la vittima sia consapevole che il presunto referente del millantatore sia persona investita di funzioni pubbliche. Di conseguenza non può escludersi la possibile concorrenza formale in un’unica azione delle due ipotesi delittuose.

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Cass. pen. n. 2645/2000

Per la configurazione del reato di millantato credito è indispensabile che il comportamento del soggetto attivo si concreti in una “vanteria”, cioè in un’ostentazione della possibilità di influire sul pubblico ufficiale che venga fatto apparire come persona “avvicinabile”, cioè “sensibile” a favorire interessi privati in danno degli interessi pubblici di imparzialità, di economicità e di buon andamento degli uffici, cui deve ispirarsi l’azione della pubblica amministrazione. Tale condotta deve indurre a far intendere alla vittima che il millantatore abbia la capacità di esercitare un’influenza sui pubblici poteri tale da rendere i detti principi vani e cedevoli al tornaconto personale, con la conseguenza che alla persona del danneggiato deve apparire evidente la lesione del prestigio della pubblica amministrazione che deve emettere l’atto o tenere un dato comportamento (vera parte offesa, che la norma intende proteggere), senza che importi che siano individuati i singoli funzionari e i reali rapporti che il millantatore intrattiene con essi.

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Cass. pen. n. 9425/1999

Per la configurabilità del reato di millantato credito è sufficiente che l’agente ostenti una possibilità di influire sul pubblico ufficiale o impiegato in via mediata, senza che occorra l’indicazione nominativa del funzionario o dell’impiegato che debbono essere comprati o remunerati, poiché l’interesse primario tutelato dalla norma di cui all’art. 346 c.p. è il prestigio della P.A. che è offeso quando un suo organo, anche se non specificamente indicato, viene fatto apparire come corrotto o corruttibile o quando la sua attività funzionale viene fatta apparire come ispirata a caratteri incompatibili con quelli di imparzialità o correttezza cui la P.A. deve ispirarsi ex lege.

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Cass. pen. n. 547/1998

Il reato di millantato credito si differenzia da quello di truffa non solo per il carattere preminente dell’offesa dell’interesse all’integrità dell’affidamento e del prestigio che deve fruire la pubblica amministrazione in ogni settore della sua attività, (al quale viene arrecato nocumento dalla prospettazione di potervi interferire comprando il favore dei soggetti preposti ai sui uffici), ma perché la condotta posta in essere non consiste in artifici o raggiri, ma nella vanteria di potersi ingerire nell’attività pubblica al fine di inquinarne il regolare svolgimento, mediante il mercimonio dell’esercizio dei suoi poteri. (Fattispecie relativa alla condotta di chi si fa dare una somma di denaro dal partecipante ad un esame con il pretesto di consegnarla al funzionario esaminatore).

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Cass. pen. n. 11487/1997

La lesione del bene giuridico tutelato dal reato di millantato credito non è esclusa dall’esistenza di un radicato pregiudizio della parte offesa in ordine alla corruttibilità dei pubblici funzionari, dal momento che la conferma di tale pregiudizio, attraverso la conoscenza diretta di almeno un episodio di corruzione, è idonea a produrre una lesione ulteriore del prestigio della pubblica amministrazione.

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Cass. pen. n. 7976/1997

In tema di millantato credito, la ipotesi di cui al comma secondo dell’art. 346 c.p., che riguarda la condotta di chi riceve o accetta la promessa di denaro o di altra utilità col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo remunerare, non integra una circostanza aggravante rispetto alla fattispecie di cui al comma primo, ma una figura autonoma di reato. Infatti, mentre nella previsione del comma primo il raggiro consiste nel presentare il pubblico ufficiale, destinatario di pressioni amicali, come arrendevole, in quella del comma secondo il pubblico ufficiale è prospettato dall’agente come persona corrotta o corruttibile.

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Cass. pen. n. 5674/1997

Non è configurabile il reato di millantato credito di cui all’art. 346, secondo comma, c.p., qualora la richiesta avanzata dall’agente sia motivata non dalla necessità di comprare il favore del pubblico ufficiale, ma dall’opportunità di effettuare donativi di trascurabile valore economico in occasione di particolari festività (i cosiddetti munuscula).

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Cass. pen. n. 4915/1997

Ai fini della sussistenza dell’ipotesi delittuosa prevista dal secondo comma dell’art. 346 c.p., che costituisce fattispecie autonoma e non ipotesi aggravata rispetto a quella prevista nel primo, non è necessaria né la millanteria né una generica mediazione. L’agente infatti non pone ad oggetto della propria pattuizione il proprio intervento, né richiede un compenso per sè, ma adduce come causa della controprestazione il «dover comprare il favore del pubblico ufficiale» ovvero «il doverlo remunerare». A fronte di tale condotta sono possibili due sole alternative: o il soggetto si appropria delle somme, ed in questo caso deve rispondere del reato di cui all’art. 346, comma 2, c.p., o veramente corrompe o tenta di corrompere il funzionario, ed in questo caso dovrà rispondere del reato di corruzione. Quando non vi siano elementi che dimostrino quest’ultima ipotesi, residua la prima, senza che assuma rilevanza né la millanteria del credito né l’eventuale assunta mediazione.
Nel reato di millantato credito previsto dal primo comma dell’art. 346 c.p. l’effettivo svolgimento di un’attività di mediazione può avere l’effetto di escludere l’antigiuridicità della condotta solo quando si tratti di una mediazione professionale lecita, perché riconosciuta da specifiche disposizioni di legge, e sempre con esclusione di aderenze personali extraprofessionali.

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Cass. pen. n. 4162/1995

Nella previsione del millantato credito di cui all’art. 346, comma 2, c.p. che integra una figura di reato autonoma rispetto a quella contemplata nel comma 1 dello stesso articolo, l’utilità deve essere carpita con il «pretesto» di dover versare una somma o assicurare un vantaggio al pubblico ufficiale o impiegato per ottenere che egli agisca nel senso desiderato ovvero per compensarlo dell’opera svolta. Se, invece, l’utilità fosse realmente destinata al funzionario infedele, sussisterebbe il diverso reato di corruzione, sempre che di questo ricorrano gli altri estremi. Ne consegue che, mancando il «pretesto» (e cioè la millanteria, tale dovendosi intendere il fatto di rappresentare alla vittima, contrariamente al vero, che sussiste già la disponibilità del funzionario corrotto), la condotta di colui che induce taluno a dargli danaro (o a prometterne) nel sincero proposito che il danaro serve realmente a corrompere il funzionario, non è punibile, arrestandosi l’azione al limite del tentativo di corruzione, attribuibile, peraltro, anche a colui che il danaro ha versato o promesso. (Nella specie la Corte ha ritenuto insussistente sia il millantato credito sia il reato di corruzione, nell’ipotesi in cui il concorrente nel reato contestato come millantato credito ex art. 346, comma 2, c.p., senza essere a conoscenza dell’altrui attività millantatoria, ricava da terzi somme o promessa di danaro nel convincimento certo che esse debbano servire agli altri concorrenti, che così gli hanno fatto credere, al fine di compensare funzionari corrotti per ottenerne i favori).

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Cass. pen. n. 11446/1994

I delitti di truffa e di millantato credito si differenziano oltre che per la diversità dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è il prestigio della pubblica amministrazione, anche per il mezzo utilizzato per la loro commissione sicché i due reati possono concorrere quando l’illecito profitto sia conseguito attraverso le millanterie proprie del secondo reato e la predisposizione di falsi documenti o la assunzione da parte degli agenti di false qualifiche pubbliche, che costituiscono artifici o raggiri propri della truffa.
In tema di millantato credito, l’ipotesi prevista dal capoverso dell’art. 346 costituisce una figura di reato autonomo rispetto a quella del comma 1. Se l’agente si fa consegnare la somma con l’intenzione effettiva di corrompere il pubblico funzionario, quando la corruzione non abbia luogo o inizio, la condotta non è punibile. Parimenti, in caso di contestazione del reato a più persone in concorso tra loro, quando si accerta che uno di essi riceve una somma di denaro nella reale convinzione che la stessa sia destinata effettivamente a corrompere un pubblico funzionario ignorando l’intenzione millantatoria del correo, non risponderà di concorso in quest’ultimo reato. Per il concorrente ignaro non si versa in ipotesi di dolo alternativo perché questi si è prospettato il solo evento della corruzione e ad esso aveva inteso apportare il proprio contributo causale. Il dolo alternativo infatti è configurabile non quando vi sia indifferenza del soggetto agente di fronte al possibile verificarsi di due o più eventi, ma quando quelli alternativamente previsti siano entrambi voluti e la indifferenza riguardi soltanto la verificazione di uno di essi sicché già al momento della realizzazione dell’elemento oggettivo del reato l’agente deve prevederli entrambi.

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Cass. pen. n. 10581/1992

Il reato di millantato credito è configurabile anche quando l’iniziativa parte dal soggetto passivo, non occorrendo che l’agente vada alla ricerca della persona alla quale offrire la sua illecita ingerenza, giacché oggetto specifico della tutela penale è il prestigio della pubblica amministrazione, che è comunque leso per il mercanteggiamento della pretesa influenza.

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Cass. pen. n. 9740/1992

L’ipotesi aggravata di millantato credito prevista dal secondo comma dell’art. 346 c.p. è del tutto autonoma da quella contemplata nel primo comma e, conseguentemente, si prescrive nel termine previsto dall’art. 157 n. 3 stesso codice. (Nella specie erano state concesse attenuanti ritenute equivalenti alle circostanze aggravanti contestate).

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Cass. pen. n. 5071/1991

Nel delitto di millantato credito la condotta offensiva ha ad oggetto la vanteria dell’agente di essere nelle condizioni di poter frustrare per personale tornaconto i principi che presiedono all’azione amministrativa a garanzia della collettività amministrata. Non vengono in discussione né rilevano i rapporti reali o presunti tra l’agente ed il pubblico ufficiale, poiché l’ostentazione di tali rapporti per tornaconto personale definisce la portata offensiva del delitto in esame, essendo essa stessa idonea ad esporre a pericolo l’interesse tutelato. D’altra parte, non può non ritenersi amplificata ovvero esagerata la facoltà di intrattenere rapporti con il pubblico ufficiale tutte le volte in cui essa venga riferita alla possibilità di determinare l’azione pubblica per il tornaconto personale. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso sul punto, il ricorrente aveva dedotto che era nella possibilità effettiva di influire sui pubblici ufficiali e, pertanto, non si configurava una millanteria nel comportamento assunto).

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Cass. pen. n. 12628/1990

Gli estremi della condotta del reato di millantato credito, prevista dall’art. 346, primo comma, c.p., devono intendersi realizzati nel solo fatto di chi, vantando in modo esplicito o dando ad intendere di avere possibilità di influire sul pubblico funzionario, si faccia dare o promettere un compenso per la propria mediazione presso il medesimo funzionario; e ciò a prescindere dalle particolari modalità della condotta, in forza delle quali egli riesca ad ottenere tale compenso, sia prospettando eventuali ostacoli od incertezze (che tuttavia non siano tali da far recedere il cosiddetto «compratore di fumo») sia promettendo il sicuro esito del suo intervento.

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Cass. pen. n. 7529/1990

La differenza tra le due ipotesi di delitto previste dall’art. 346 c.p. non sta nell’oggettiva destinazione del denaro o dell’altra utilità data o promessa, ma nella diversa rappresentazione della destinazione delle cose che l’agente fa al soggetto passivo; nella prima ipotesi, il millantatore si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della sua mediazione verso il pubblico ufficiale; nella seconda, invece, egli promette la corruzione del pubblico ufficiale.
Per la sussistenza del delitto di millantato credito è necessario che l’agente vanti un’efficace influenza sui pubblici ufficiali o impiegati incaricati di pubblico servizio, facendoli apparire facilmente corruttibili, e che, con tale mezzo fraudolento, determini altri a dare o a promettere danaro o altra utilità, quale prezzo della propria simulata mediazione. Pertanto ai fini della configurabilità del reato non è necessario che le persone presso cui si millanta credito siano nominativamente indicate oppure individuate mediante le indicazioni fornite, essendo sufficiente che le circostanze riferite dal millantatore siano tali da far sorgere nel soggetto passivo la ragionevole convinzione di poter utilizzare un’influenza diretta o indiretta sul pubblico ufficiale, per cui, per la sussistenza del reato è del tutto irrilevante il fatto che il millantatore abbia dichiarato di non conoscere il pubblico ufficiale, nei confronti del quale abbia espressamente assicurato la parte lesa di poter intervenire avvalendosi dell’opera di intermediari.
Rivestono, a tutti gli effetti, la qualifica di pubblico ufficiale i funzionari degli istituti bancari che, quali quelli del mediocredito, operano nel campo dei crediti speciali o agevolati, erogabili in favore di determinate categorie di imprenditori, con provvedimento pubblico di natura concessoria e che, inoltre, gravano, in varia misura sull’erario (fattispecie in tema di millantato credito).

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Cass. pen. n. 2145/1990

Commette il delitto di millantato credito, di cui all’art. 346 c.p., colui il quale si faccia consegnare del danaro promettendo alloggi grazie alla conoscenza di funzionari del comune e della regione.

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Cass. pen. n. 624/1990

Il reato di cui al secondo comma dell’art. 346 c.p. si consuma nel momento in cui l’agente fa promettere l’utilità col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o impiegato.

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Cass. pen. n. 11317/1989

Il delitto di cui all’art. 346 c.p. è configurabile anche quando il credito vantato presso il pubblico ufficiale o impiegato sia effettivamente sussistente, ma venga artificiosamente magnificato e amplificato dall’agente in modo da far credere al soggetto passivo di essere in grado di influire sulle determinazioni di un pubblico funzionario e correlativamente di poterlo favorire nel conseguimento di preferenze e di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione.
Il delitto di millantato credito sussiste anche quando il soggetto attivo ostenti la possibilità di influire mediatamente sul pubblico ufficiale o impiegato servendosi dell’opera di persona interposta.

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Cass. pen. n. 470/1987

I delitti di truffa e millantato credito si distinguono per la diversità dell’oggetto della tutela penale, che è il patrimonio, nella truffa, e il prestigio della pubblica amministrazione, nel delitto di cui all’art. 346 c.p. Pertanto le due violazioni, anche se unite in unica azione, producono due distinti eventi criminosi, con conseguente concorso formale di reati.

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Cass. pen. n. 8138/1985

Per la configurabilità del delitto di millantato credito non è necessario che si attribuisca falsamente al pubblico ufficiale un fatto di corruzione, essendo sufficiente far credere, al fine di carpire denaro alla vittima indotta in errore, che il pubblico ufficiale tenga una condotta scorretta e sia arrendevole a illecite inframmettenze.

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Cass. pen. n. 2302/1985

Non è compatibile con il delitto di millantato credito la concessione dell’attenuante del danno di particolare tenuità, dato che il delitto in esame non rientra fra i reati che comunque offendono il patrimonio.

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Cass. pen. n. 8043/1983

Nel delitto di millantato credito, l’interesse protetto è il pregiudizio della pubblica amministrazione, il quale viene offeso ogniqualvolta si dia a credere che il pubblico ufficiale o pubblico impiegato addetto a pubblico servizio, anziché uniformarsi a criteri di unità e correttezza, si lasciano corrompere nell’adempimento dei doveri inerenti alla loro qualità. Ne consegue che, una volta accertata l’inesistenza delle dichiarazioni simulate e una volta condannati i funzionari coinvolti per corruzione, passiva alcuni e attiva altri, non è ravvisabile nei confronti di questi ultimi anche il delitto di millantato credito.

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Cass. pen. n. 1264/1970

L’oggettività giuridica del delitto di millantato credito si identifica con la lesione del prestigio e del decoro della pubblica amministrazione, e il danno patrimoniale subìto dal privato non acquista rilievo rispetto alla norma incriminatrice; pertanto, l’attenuante del risarcimento del danno prevista dall’art. 62, n. 6, c.p. non è applicabile al delitto di millantato credito.

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