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Art. 365 — Omissione di referto

Art. 365 — Omissione di referto

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro.

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale [ 384 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 51780/2013

Nel reato di omissione di referto, l’obbligo di riferire si configura per la semplice possibilità che il fatto presenti i caratteri di un delitto perseguibile di ufficio, secondo un giudizio riferito al momento della prestazione sanitaria in relazione al caso concreto, a differenza di quanto ricorre per la fattispecie di omessa denuncia, dove rileva la sussistenza di elementi capaci di indurre una persona ragionevole a ravvisare l’apprezzabile probabilità dell’avvenuta commissione di un reato, posto che, nell’illecito previsto dall’art. 365 c.p., la comunicazione fornisce, per vicende riguardanti la persona, elementi tecnici di giudizio a pochissima distanza dalla commissione del fatto, insostituibili ai fini di un efficace svolgimento delle indagini e del rispetto dell’obbligo di esercitare l’azione penale; ne consegue che il sanitario è esentato dall’obbligo di referto solo quando abbia la certezza tecnica dell’insussistenza del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la condanna di due medici i quali, in relazione al decesso di un minore, pur avendo riconosciuto l’errore diagnostico di un collega, avevano omesso il referto, ritenendo, sulla base di valutazioni probabilistiche ed approssimative, che l’evento letale fosse comunque inevitabile).

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Cass. pen. n. 18052/2001

L’esonero del sanitario dall’obbligo di referto di cui al secondo comma dell’art. 365 c.p. è previsto solo per il caso in cui i fatti che si dovrebbero descrivere nel referto convergono nell’indicare il paziente quale autore del reato esponendolo a procedimento penale. (Fattispecie nella quale la Corte non ha ritenuto che il sanitario potesse esimersi dall’obbligo di referto nel caso di ricovero di un paziente per tossicosi acuta da assunzione di droga, in quanto l’ipotesi che l’assistito fosse egli stesso un trafficante non poteva essere direttamente collegata al referto ma solo all’esito di ulteriori indagini che dal referto potevano prendere solo spunto).

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Cass. pen. n. 1473/1999

In tema di omissione di referto riferibile a lesioni conseguenti ad infortunio sul lavoro, non compete al sanitario alcun potere di delibazione della configurabilità di estremi di reato, dovendo la sua valutazione limitarsi al solo esame delle modalità del fatto portato a sua conoscenza. Ove non risulti, in base ad elementi certi ed obiettivi (che quindi non necessitano di alcuna verifica in sede di indagine) che il fatto si sia verificato indipendentemente da condotte commissive od omissive di chi aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento, il sanitario è tenuto all’obbligo del referto. Pertanto, se non sia possibile escludere, in astratto, l’esistenza di nesso causale tra l’infortunio e la violazione di norme antinfortunistiche, l’omessa segnalazione alla competente autorità da parte del sanitario di ipotesi di reato perseguibili d’ufficio, integra gli estremi del delitto di cui all’art. 365 c.p. (Nella fattispecie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del pretore, che aveva escluso la responsabilità del sanitario sulla base delle sole dichiarazioni dell’infortunato, il quale aveva descritto quanto occorsogli come fatto meramente accidentale).

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Cass. pen. n. 7034/1998

In tema di elemento psicologico del reato di omissione di referto, la valutazione da parte dell’esercente la professione sanitaria della perseguibilità di ufficio del delitto ravvisabile nel caso a lui sottoposto non deve essere fatta in astratto, ma in concreto, ossia con l’adozione di ogni criterio di giudizio che tenga conto delle peculiarità della situazione effettiva, dovendosi riconoscere al sanitario un margine di discrezionalità nell’apprezzamento della natura dell’infortunio in relazione al tipo di lesione riscontrata, alla descrizione dei fatti fornita dal paziente o dai suoi eventuali accompagnatori e agli altri possibili elementi di riscontro. (Fattispecie di lesioni da infortunio sul lavoro nella quale la Suprema Corte ha escluso il dolo in capo al medico in ordine al contestato reato di cui all’art. 365 c.p., avuto riguardo alla totale assenza di indicazioni da parte del paziente circa la dinamica dell’infortunio, ed essendo stata anzi fornita dal medesimo una versione del fatto tale da escludere qualunque violazione delle norme a tutela della prevenzione degli infortuni sul lavoro).

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Cass. pen. n. 5949/1998

Nel caso di lesioni gravi o gravissime riportate dal lavoratore subordinato nel corso della prestazione lavorativa, la possibilità di violazione di norme antinfortunistiche è in re ipsa e comporta di conseguenza l’obbligo di referto di cui all’art. 365 c.p. per il sanitario che intervenga a prestare la propria assistenza, senza che lo stesso debba accertare se e quale violazione si sia in concreto verificata. Quanto all’elemento soggettivo del reato, esso potrà escludersi solo quando l’agente abbia la certezza piena della inesistenza di qualunque possibilità di violazione di norme antinfortunistiche.

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Cass. pen. n. 5829/1998

In tema di omissione di referto, il convincimento del medico che all’onere di referto abbiano già adempiuto i sanitari intervenuti subito dopo la causazione delle lesioni si configura come erronea rappresentazione di un elemento di fatto idoneo ad escludere il dolo del delitto, inteso come rappresentazione ed intenzione dell’evento di pericolo proprio della fattispecie legale di cui all’art. 365 c.p., cioè la mancata immediata informazione dell’autorità giudiziaria.

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Cass. pen. n. 3447/1998

Il delitto di omissione di referto è reato di pericolo e non di danno e, per stabilire se il caso in merito al quale il sanitario ha prestato la sua opera possa presentare i caratteri di un reato perseguibile di ufficio, è necessario far ricorso ad un criterio di valutazione che tenga conto della peculiarità in concreto del caso, in ordine alla possibilità che esso dia luogo alle condizioni richieste ex lege per la punibilità del delitto. Quanto al profilo soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo, consistente nella conoscenza degli elementi del fatto per il quale si è prestata dal sanitario la propria opera o assistenza, che valgano a disegnare, ancorché possibilisticamente, la figura di un delitto perseguibile d’ufficio, e quindi l’obbligo del referto è nella conseguente coscienza e volontà da parte del sanitario di omettere o ritardare di riferirne all’autorità di cui all’art. 361 c.p. (Fattispecie in materia di lesioni subite in ambiente di lavoro con violazione delle norme antinfortunistiche. La Corte ha escluso che il sanitario potesse non rendersi conto che si trattava di un delitto procedibile d’ufficio).

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Cass. pen. n. 68/1998

In tema di omissione di referto, il dolo consiste nella conoscenza da parte del sanitario di tutti gli elementi del fatto per il quale egli ha prestato la propria opera, dai quali può desumersi in termini di possibilità la configurabilità di un delitto perseguibile d’ufficio, e dalla coscienza e volontà di omettere o ritardare di riferirne all’autorità giudiziaria o ad altra autorità indicata nell’art. 361 c.p. Ne consegue che il reato non è realizzato allorché il sanitario, nonostante una rappresentazione oggettivamente erronea della non perseguibilità d’ufficio del fatto esaminato, abbia comunque valutato compiutamente le risultanze di cui egli poteva concretamente disporre, alla luce delle quali sia confortata la ritenuta insussistenza possibilistica di un delitto perseguibile d’ufficio. (Fattispecie nella quale è stato escluso il dolo del delitto di omissione di referto in capo a un medico che aveva visitato un paziente che aveva riportato lesioni personali giudicate guaribili in oltre quaranta giorni a seguito di caduta da una scala nell’ambito del proprio lavoro, essendosi giudicato che le circostanze del fatto erano tali da rendere configurabile solo in termini del tutto ipotetici il reato di cui all’art. 590, comma terzo, c.p., perseguibile d’ufficio).

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Cass. pen. n. 11534/1997

Per integrare il dolo del delitto di omissione di referto (art. 365 c.p.) occorre, oltre la coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto, che il soggetto si renda conto che trattasi di fatti che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio, sicché il dolo medesimo non sussiste qualora erroneamente l’agente abbia la certezza dell’inesistenza di un delitto di quella specie.

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Cass. pen. n. 4400/1996

In tema di obbligo di referto il mancato rispetto degli specifici requisiti di cui all’art. 334 comma 3 c.p.p. non comporta la sussistenza del reato previsto dall’art. 365 c.p. (omissione di referto) qualora non vi sia sostanziale incompletezza o reticenza della denuncia. Deve, invero, escludersi che la norma processuale integri, al di là dei termini per l’adempimento, la norma sostanziale la quale ha un autonomo valore costitutivo e non meramente sanzionatorio.

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Cass. pen. n. 11344/1993

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 307 c.p. (assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata), nella nozione di «rifugio» rientra anche un luogo di cura nel quale, in assenza di immediata urgenza di trattamenti sanitari, taluno dei soggetti menzionati nel primo comma del citato art. 307 venga accolto e, successivamente agli interventi anzidetti, trattenuto fino a completa guarigione, in condizioni di clandestinità, nulla rilevando, in contrario, per quanto attiene la posizione del sanitario, l’esonero di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 365, secondo comma, c.p., dall’obbligo del referto, giacché tale esonero, previsto solo con riguardo alla prestazione dell’attività strettamente sanitaria, non può implicare la irrilevanza penale, sotto qualsivoglia altro profilo diverso da quello del reato di omissione di referto, dell’intera condotta, nel cui ambito la detta prestazione si sia collocata.

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Cass. pen. n. 10621/1987

La disposizione specifica dell’art. 95 L. 22 dicembre 1975, n. 685, in ordine all’anonimato, confermato dal successivo art. 96, di cui può beneficiare colui che fa uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti costituisce un particolare aspetto del dovere deontologico del sanitario del segreto professionale che ha trovato esplicita considerazione nel secondo comma dell’art. 365 c.p. Tale disposizione (infatti) stabilisce un’espressa deroga dell’obbligo del referto imposto dal primo comma quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

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Cass. pen. n. 1836/1968

Per il sanitario sorge l’obbligo del referto ai sensi dell’art. 365 c.p. quando egli abbia prestato la sua assistenza in casi che possano in concreto presentare i caratteri di delitto perseguibile di ufficio secondo la valutazione del sanitario medesimo. L’esclusione a posteriori di detta perseguibilità in base all’accertamento definitivo delle conseguenze fisiche o psichiche derivate al soggetto passivo non ha riflessi penalistici sulla responsabilità dell’omittente perché il reato di cui all’art. 365 c.p. è reato di pericolo.

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