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Art. 414 — Istigazione a delinquere

Art. 414 — Istigazione a delinquere

Chiunque pubblicamente [ 266 ] istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione [ 115, 302, 303, 322, 415, 580 ]:

  1. 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
  2. 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.

Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente [ 266 ] fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

  1. 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
  2. 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 24103/2017

In tema di apologia di reato, premesso che il requisito della pubblicità è ravvisabile anche nel caso in cui il messaggio apologetico venga inserito in un sito internet privo di vincoli di accesso, deve ritenersi configurabile il reato nella condotta consistita nel postare sul proprio profilo personale “facebook” messaggi di esaltazione dei metodi e delle finalità di una organizzazione terroristica di ispirazione “jihadista”, quale deve qualificarsi quella costituita dall’ISIS (acronimo significante Islamic State of Irak and Syria).

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Cass. pen. n. 25833/2012

L’esaltazione di un fatto di reato, finalizzata a spronare altri all’imitazione integra il delitto di istigazione a delinquere quando, per le sue modalità, sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti, il cui accertamento, riservato al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato. (Nella specie è stata ritenuta la sussistenza del reato nell’esposizione, in occasione di un incontro di calcio, di uno striscione con la scritta “sotto l’ombra del cappello non ti fa capire se tira fuori il suo coltello o ti chiede come stai”con in calce la sigla B.I.S.L., dal significato “basta infami solo lame”).

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Cass. pen. n. 26907/2001

A seguito della sentenza interpretativa della Corte cost. n. 65/70, l’apologia di reato punita dall’art. 414 ultimo comma c.p. deve considerarsi reato a pericolo concreto; pertanto la condotta di chi compia l’esaltazione di un fatto o del suo autore al fine di spronare altri all’imitazione o anche solo per negare la ripugnanza del fatto o del suo autore, deve tradursi in un comportamento che abbia probabilità di un effetto suggestivo tenuto conto della qualità dell’agente e della massa generalizzata di persone potenziali recettrici delle espressioni apologetiche. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che configurasse il reato de quo la condotta di un sindaco che relativamente ad un omicidio compiuto ai danni di un tunisino, aveva affermato al telegiornale di una emittente televisiva nazionale che «nella medesima situazione anche lui avrebbe fatto lo stesso» e che «così il tunisino non poteva più nuocere a nessuno» e, in due quotidiani, che anche lui avrebbe fatto altrettanto, «anzi avrebbe ammazzato lo spacciatore con le sue mani.

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Cass. pen. n. 16041/2001

È atta ad integrare la fattispecie di cui all’art. 414 c.p. (istigazione a delinquere) sotto il profilo in particolare, dell’idoneità dell’azione a suscitare consensi, la condotta di chi, nel corso di una attività identificativa condotta dalle forze di polizia nei confronti di un gruppo di persone rispetto alle quali egli rivesta un ruolo «di riferimento», inciti pubblicamente i componenti del gruppo anzidetto a non ottemperare alla richiesta di fornire le generalità ed a commettere, quindi, in tal modo il reato di cui all’art. 651 c.p.

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Cass. pen. n. 8850/1998

L’espressione «chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati» di cui all’art. 414 c.p. va interpretata nel senso che l’istigazione deve avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico e deve rivolgersi a una pluralità indeterminata di persone. (Nella specie la Corte Suprema ha escluso la fattispecie delittuosa nell’operato di un agente di polizia giudiziaria che, incaricato di svolgere indagini in un negozio in cui era stato consumato il furto di parte della merce, aveva istigato due suoi colleghi a impossessarsi della merce residua non asportata, sia in considerazione del fatto che l’episodio si era verificato all’interno del negozio, fuori dell’orario di apertura e in occasione di indagini di polizia giudiziaria, sia perché l’istigazione non era stata indirizzata nei riguardi di un numero indeterminato di persone).

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Cass. pen. n. 11578/1997

L’elemento oggettivo dell’apologia di uno o più reati punibile ai sensi dell’art. 414, comma terzo, c.p., non si identifica nella mera manifestazione del pensiero, diretta a criticare la legislazione o la giurisprudenza o a promuovere l’abolizione della norma incriminatrice o a dare un giudizio favorevole sul movente dell’autore della condotta illecita, ma consiste nella rievocazione pubblica di un episodio criminoso diretta e idonea a provocare la violazione delle norme penali, nel senso che l’azione deve avere la concreta capacità di provocare l’immediata esecuzione di delitti o, quanto meno, la probabilità che essi vengano commessi in un futuro più o meno prossimo. (Fattispecie relativa alla pubblicazione, in un periodico di ispirazione anarchica, di tre articoli dedicati alla descrizione di altrettanti attentati a impianti di pubblica utilità, nonché a stabilimenti industriali, e connotati da una forte esaltazione dei fatti, capace di far sorgere il pericolo di ulteriori reati e di turbare l’ordine pubblico).

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Cass. pen. n. 10641/1997

Affinché possa ravvisarsi la materialità del delitto di istigazione a delinquere di cui all’art. 414 c.p., occorre che sia posta in essere pubblicamente la propalazione di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose, effettuata in maniera tale da poter indurre altri alla commissione di fatti analoghi: di talché è indefettibile l’idoneità dell’azione a suscitare consensi ed a provocare “attualmente e concretamente” — in relazione al contesto spazio-temporale ed economico-sociale ed alla qualità dei destinatari del messaggio — il pericolo di adesione al programma illecito. La valutazione circa la sussistenza di quest’ultimo requisito non può prescindere dalle stesse modalità del comportamento tenuto dal soggetto attivo, sì che il giudice di merito deve individuare il perché la condotta incriminata — assistita dal c.d. dolo istigatorio, consistente nella coscienza e volontà di turbare l’ordine pubblico o la personalità dello Stato — sia da ritenersi dotata di forza suggestiva e persuasiva tale da poter stimolare nell’animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi propalati o esaltati. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna oggetto del ricorso proposto dall’imputato, avendo rilevato la mancanza, da parte del giudice di merito, di una esaustiva indagine sulla pericolosità concreta ed immediata — nel senso precisato in massima — della condotta posta in essere dall’imputato medesimo, il quale aveva postulato nell’atto di appello l’assenza di uno specifico turbamento dell’ordine pubblico, dimostrata dall’esplicito dissenso manifestato dai destinatari del messaggio, lavoratori e studenti, al programma illecito dallo stesso propalato mediante la diffusione di volantini incitanti alla diserzione).

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Cass. pen. n. 6004/1996

Attesa l’inquadrabilità del delitto di pubblica istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), fra i reati di pericolo, per i quali non è ammissibile la figura del tentativo, deve escludersi la legittimità del sequestro di cose che si assumano riferibili ad un illecito penale costituito dal tentativo di commettere il suddetto reato. (Nella specie trattavasi di sciarpe che, nel corso di un servizio di prevenzione, erano state trovate in possesso ad alcuni sostenitori di una squadra di calcio e dalle cui caratteristiche si era ritenuto di desumere che esse fossero idonee a costituire incoraggiamento alla violenza, provvedendosi pertanto, da parte della polizia giudiziaria, al loro sequestro, ai sensi dell’art. 354 c.p.p.).

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Cass. pen. n. 2997/1994

Per la configurabilità del delitto di cui all’art. 414 c.p. è sufficiente la formulazione di un giudizio favorevole del fatto delittuoso, trattandosi di una figura di reato con evento di pericolo presunto. (Fattispecie relativa ad apologia dei reati di strage e di omicidio fatta in aula di giustizia).

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Cass. pen. n. 350/1991

Quando l’istigazione a delinquere viene contestata come commessa con il mezzo della stampa, non dall’autore dell’articolo incriminato, bensì dal direttore responsabile per fatto proprio, può pervenirsi all’affermazione della responsabilità di quest’ultimo dopo aver approfondito ed accertato non soltanto l’omesso controllo sul periodico ma anche — e per prima cosa — l’idoneità dello scritto a turbare l’ordine pubblico, che è il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 414 c.p. Siffatta valutazione va compiuta tenendo conto che la libertà di pensiero, il diritto di cronaca e quello di critica non sono assoluti: essi trovano limiti nella necessità di proteggere altri beni costituzionalmente tutelati e nell’esigenza di prevenire o far cessare quei turbamenti della sicurezza pubblica, la cui salvaguardia costituisce finalità immanente al sistema.

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Cass. pen. n. 13541/1986

Condizione di punibilità del delitto di apologia di reato, di cui all’art. 414, terzo comma del codice penale, è che il fatto sia stato commesso pubblicamente. Pertanto, ai sensi del quarto comma, n. 2 dell’art. 266, c.p., è sufficiente che il fatto medesimo sia commesso in luogo aperto al pubblico, come il salone di un barbiere, in cui chiunque può accedere per i servizi che esso offre, e in presenza di più persone (almeno due, come nella specie).
Le ipotesi previste dall’art. 414, primo comma, n. 1 (istigazione a delinquere) e dal terzo comma (apologia di reato), anche se equivalenti rispetto alla pena e sostanzialmente simili, sono strutturalmente autonome, non tanto nel contenuto, costituito nell’una e nell’altra ipotesi dalla esaltazione del delitto, quanto nel significato direzionale. Infatti, nell’ipotesi di «istigazione», la spinta al reato è diretta alla persona, mentre nell’ipotesi di «apologia» la spinta è indiretta, essendo affidata al contenuto apologetico, che può, peraltro, produrre i medesimi risultati dell’istigazione diretta.

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Cass. pen. n. 13534/1986

L’elemento soggettivo del reato previsto dall’ultimo comma dell’art. 414 c.p. si identifica nel dolo generico e nella cosciente volontà di commettere il fatto in sé, con la intenzione di fare l’apologia di uno o più delitti, ed è irrilevante l’indagine sul fine particolare del colpevole e sui motivi del fatto.

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Cass. pen. n. 8600/1986

Fare «apologia» agli effetti della sussistenza del reato preveduto nell’ultimo capoverso dell’art. 414 c.p. significa esprimere un giudizio positivo di valore rispetto ad un comportamento che la legge, invece, prevede come delitto ed il pericolo derivante dall’apologia dei delitti è presunto dal legislatore e, perciò, ne è superfluo l’accertamento.

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Cass. pen. n. 2252/1985

L’elemento soggettivo del reato di istigazione a delinquere, di cui all’art. 414 c.p., è costituito dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di incitamento o di esaltazione suggestiva a commettere determinati fatti delittuosi, anche soltanto come reazione ad un provvedimento che si ritiene oggettivamente ingiusto. (Nella specie, nel corso di riunioni avvenute in un cantiere di escavazione, gli imputati avevano istigato le maestranze a continuare l’attività di estrazione di inerti dal fiume, anche di notte, nonostante la revoca della concessione amministrativa).

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Corte cost. n. 65/1970

Non è fondata, in relazione all’art. 21 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 414 ultimo comma c.p., perché nell’ordinamento attuale l’apologia punibile è solo quella manifestazione di pensiero, che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti.

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