Art. 119 – Codice civile – Interdizione

Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero [125; c.p.c. 69, 70] e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo [117, 127] se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione [421] passata in giudicato, ovvero se l'interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio [427]. Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione [429], anche dalla persona che era interdetta [414].

L'azione non può essere proposta se, dopo revocata l'interdizione, vi è stata coabitazione per un anno [120 co. II, 122 4, 123 2].

Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale nei casi di discordanza rispetto al presente.

Massime correlate

Cass. civ. n. 27564/2020

E' nullo il matrimonio contratto da chi, al momento delle nozze, si trovava in una situazione di infermità mentale anche se il giudicato sull'interdizione si è formato in un momento successivo.

Cass. civ. n. 11808/2018

La convivenza prolungata come coniugi, quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, che dunque preclude la delibazione della sentenza di nullità del matrimonio concordatario pronunciata dal Tribunale ecclesiastico.

Cass. civ. n. 11536/2017

Il divieto per l'interdetto di contrarre matrimonio stabilito dall'art. 85 c.c. e il relativo regime di invalidità matrimoniale di cui all'art. 119 c.c. non possono essere estesi, neppure per analogia, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, posto che i sottostanti istituti di protezione si collocano su piani totalmente diversi. Le finalità di protezione del soggetto incapace devono, nell'amministrazione di sostegno, trovare fondamento e tutela in un individualizzato provvedimento del giudice tutelare. Anche nei casi in cui, in circostanze eccezionalmente gravi e nel suo esclusivo interesse, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno sia imposto divieto di contrarre matrimonio, è da escludersi che questo possa poi essere impugnato ai sensi dell'art. 119 c.c., potendosi in tal caso ricorrere unicamente all'impugnazione di cui all'art. 120 c.c., ovvero all'azione di annullamento ad opera dell'amministratore di sostegno.
In ragione delle significative differenze che intercorrono tra l'amministrazione di sostegno (diretta a valorizzare le residue capacità del soggetto debole) e dell'interdizione (volta a limitare la sfera d'azione di quel soggetto in relazione all'esigenza di salvaguardia del suo patrimonio nell'interesse dei suoi familiari), il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall'art. 85 c.c. per l'interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario dell'amministrazione di sostegno ma può essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di eccezionale gravità, quando sia conforme all'interesse dell'amministrato. In tali casi, il matrimonio contratto da quest'ultimo può essere impugnato da lui stesso ex art. 120 c.c. o dall'amministratore di sostegno ex art. 412, comma 2, c.c., non anche dai terzi ex art. 119 c.c., non potendosi richiamare la disciplina dell'interdizione.

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