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Art. 2099 — Retribuzione

Art. 2099 — Retribuzione

La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempoo a cottimo [ 2100, 2101, 2108, 2131 ] e deve essere corrisposta nella misura determinata [ dalle norme corporative ], con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito [ 1755, 2103, 2751, 2955, 2956; 545 c.p.c.; 36, 37 Cost. ].

In mancanza di [ norme corporative o di ] accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice [ tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali ].

Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti [ 2102 ], con provvigione o con prestazioni in natura [ 1639, 2121 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 7925/2017

Ogni attività oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, salva la prova da fornirsi da colui che contesti l’onerosità che la stessa sia caratterizzata da gratuità; una tale prova, peraltro, non può essere desunta soltanto dalle formali pattuizioni intercorse tra le parti, ma deve consistere nell’accertamento, specie attraverso le modalità di svolgimento del rapporto, di particolari circostanze, oggettive o soggettive (modalità, quantità del lavoro, condizioni economico-sociali delle parti, relazioni tra esse intercorrenti), che giustifichino la causa gratuita e consentano di negare, con certezza, la sussistenza di un accordo elusivo dell’irrinunciabilità della retribuzione, senza che sia sufficiente la semplice dimostrazione che il lavoratore si riprometta di ricavare dalla prestazione gratuita un vantaggio futuro e non pecuniario (nella specie, l’acquisizione del punteggio derivante dallo svolgimento di attività d’insegnamento, utile ai fini dell’assunzione presso istituzioni pubbliche).

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Cass. civ. n. 26953/2016

Ai fini del giudizio circa l’adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice del merito deve accertare la natura e l’entità qualitativa e quantitativa delle prestazioni lavorative del dipendente, nonché le effettive esigenze del medesimo e della sua famiglia per un’esistenza libera e dignitosa: a tale scopo, può fare riferimento, come espressione parametrica delle condizioni di mercato, al contratto collettivo di categoria, ove questo non sia direttamente applicabile, o ad altro contratto che concerna prestazioni lavorative affini o analoghe.

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Cass. civ. n. 24449/2016

L’art. 36, comma 1, Cost. garantisce sia il diritto ad una retribuzione proporzionata, che assicura ai lavoratori una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e qualità dell’attività prestata, sia quello ad una retribuzione sufficiente, ossia che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle condizioni concrete di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera dignitosa, sicché il mancato adeguamento della retribuzione all’aumentato costo della vita, per un lungo periodo lavorativo, comporta che quanto percepito non sia più proporzionato al valore del lavoro secondo la valutazione fatta inizialmente dalle stesse parti. (Omissis).

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Cass. civ. n. 20228/2014

Gli scatti d’anzianità non sono soggetti al principio dell’infrazionabilità del periodo di servizio, applicabile solo per l’indennità di anzianità, ma a quello dell’assorbimento poiché l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere un elemento aggiuntivo della retribuzione in ragione dell’anzianità di servizio del lavoratore è necessariamente riferito alla durata della permanenza nella categoria o livello retributivo, che costituisce la base al calcolo degli scatti, sicché, in caso di progressione del lavoratore ad una categoria o livello superiore, gli stessi non si conservano per intero, né assume rilievo, in assenza di espressa disposizione contrattuale, la pregressa anzianità maturata.

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Cass. civ. n. 19923/2014

La corresponsione, in favore del lavoratore subordinato, di una retribuzione maggiore di quella dovutagli in forza della contrattazione collettiva, costituisce trattamento di miglior favore, giustificato anche in considerazione di specifiche particolarità del caso, salva la dimostrazione, il cui onere incombe sul datore di lavoro, di un errore non imputabile ad esso e riconoscibile anche dallo stesso lavoratore.

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Cass. civ. n. 15444/2014

Gli effetti della sospensione cautelare dal servizio permangono fino all’esito del procedimento penale o disciplinare, il cui esito favorevole condiziona il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte. Ne consegue che, qualora il rapporto di lavoro sia risolto per dimissioni del lavoratore, intervenute prima della conclusione in senso a lui favorevole del procedimento penale e senza che sia mai stato instaurato il procedimento disciplinare, al lavoratore competono tutte le retribuzioni per il periodo di sospensione cautelare, dovendosi ritenere la misura, avente carattere provvisorio, caducata e non potendo, per contro, un atto volontario del prestatore di lavoro, di carattere non disciplinare, assumere valenza retroattiva ai fini dell’interruzione del rapporto.

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Cass. civ. n. 15941/2013

Lo stato di carcerazione preventiva (o di custodia cautelare) del lavoratore subordinato non rientra tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall’art. 2110 c.c., e comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima, senza che – ove la detenzione concorra con il provvedimento di sospensione cautelare disposto dal datore di lavoro in pendenza del procedimento penale – possa essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione.

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Cass. civ. n. 813/2013

In tema di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc.dd. istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non esiste un principio generale ed inderogabile di omnicomprensività e, pertanto, nella quantificazione degli istituti indiretti il compenso per lavoro notturno o straordinario di turno può essere computato esclusivamente qualora ciò sia previsto da specifiche norme di legge o di contratto collettivo; tale disciplina collettiva, stabilendo un trattamento di maggior favore, può derogare, ai sensi dell’art. 7, ultimo comma, della legge 14 luglio 1959, n. 741, anche al criterio di computo della tredicesima mensilità dettato – richiamando la “retribuzione globale di fatto” – dall’accordo interconfederale per l’industria 27 ottobre 1946, esteso “erga omnes” con d.p.r. 28 luglio 1960, n. 1070, escludendo la computabilità dei compensi aggiuntivi nella tredicesima e prevedendo l’attribuzione di benefici diversi a favore del lavoratore. (Omissis).

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Cass. civ. n. 17353/2012

Nel contratto di lavoro – ove le prestazioni sono corrispettive, in quanto all’obbligo di lavorare dell’una corrisponde l’obbligo di remunerazione dell’altra – ciascuna parte può valersi dell’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., dovendosi escludere che alla inadempienza del lavoratore il datore di lavoro possa reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale a norma dell’art. 1181 c.c. e con la richiesta di risarcimento. Ne consegue che, nel caso di inadempimento della prestazione lavorativa il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni ove ricorrano le condizioni dell’art. 1460 c.c.. (Nella specie, la sentenza impugnata aveva condannato il datore al pagamento delle retribuzioni per il periodo, nel quale non vi era stata alcuna prestazione lavorativa, intercorrente tra la scadenza del periodo di comporto e la data di efficacia del licenziamento, ritenendo che il mantenimento del posto di lavoro del dipendente nel detto periodo, in assenza di causa legittima di sospensione, implicasse rinuncia del datore a far valere l’assenza ingiustificata del dipendente; la S.C., nel cassare la decisione impugnata, ha affermato il principio su esteso).

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Cass. civ. n. 16636/2012

Nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l’attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. (Nella specie, la corte territoriale aveva riscontrato un accordo tra le parti secondo cui il dipendente, nell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, doveva svolgere anche attività come amministratore o liquidatore delle società del gruppo, ricevendo per tali attività un compenso aggiuntivo corrisposto talora direttamente dal datore, talaltra per il tramite delle società del gruppo; la S.C. ha confermato la decisione, affermando il principio su esteso).

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Cass. civ. n. 5595/2012

In tema di retribuzione nel lavoro subordinato, ai fini della determinazione della base di calcolo degli istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non vige nell’ordinamento un principio di onnicomprensività, sicché il compenso per lavoro straordinario va computato, a tali fini, solo ove previsto da norme specifiche o dalla disciplina collettiva. Ne consegue che, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche e affini e delle aziende editoriali (nella specie, l’Istituto Poligrafico o Zecca dello Stato), per la determinazione della retribuzione feriale non sono inclusi i compensi per lavoro straordinario, in quanto l’art. 5 del c.c.n.l. di settore del 1986 e del 1989 fa esclusivo riferimento, per le ferie degli operai, alla retribuzione commisurata “all’orario contrattuale”, cui, per definizione, è estraneo il lavoro straordinario, mentre l’art. 6 di tali accordi collettivi, relativo alle ferie degli operai, non prevede l’inserimento di tale compenso variabile nella base di calcolo degli istituti indiretti, né può ritenersi consentita, da parte dell’interprete, l’introduzione di un criterio “di riempimento” della clausola contrattuale.

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Cass. civ. n. 1415/2012

In tema di determinazione della giusta retribuzione, i contratti collettivi di lavoro costituiscono solo possibili parametri orientativi, e, poiché non esiste nell’ordinamento un criterio legale di scelta in ipotesi di plurime fonti collettive, il giudice di merito può fare riferimento al contratto collettivo aziendale anziché a quello nazionale, in quanto rispondente al principio di prossimità all’interesse oggetto di tutela, pur se peggiorativo rispetto al secondo, e pur se intervenuto in periodo successivo alla conclusione del rapporto di lavoro, diversamente introducendosi, in modo surrettizio, un principio d’inderogabilità del contratto collettivo nazionale in forza di quello aziendale, sussistente invece solo rispetto al contratto individuale, e a maggior ragione da escludere quando non è possibile riferirsi direttamente alla fonte collettiva nazionale per mancanza di bilateralità d’iscrizione e di spontanea ricezione ad opera delle parti del rapporto individuale.

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Cass. civ. n. 5552/2011

In tema di determinazione del trattamento retributivo spettante al lavoratore subordinato, una volta accertata in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto come autonoma operata dalle parti, trova applicazione – salvo che per le indennità di fine rapporto che maturano al momento della cessazione del rapporto medesimo – il principio dell’assorbimento, per cui ove il trattamento economico complessivamente erogato in concreto dal datore di lavoro risulti superiore a quello minimo dipendente dalla qualificazione del rapporto, non debbono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai ..compensi periodicamente corrisposti, dovendosi, peraltro, escludere che il lavoratore sia tenuto, sulla mera richiesta del datore di lavoro, a restituire tale. eccedenza, atteso che i contratti collettivi stabiliscono le retribuzióni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che ciò impedisca al datore di lavoro di erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse semplicemente offerte al lavoratore o determinate da una contrattazione ovvero conseguenti alla diversa e inesatta qualificazione del rapporto tra le parti, la quale può essere frutto di un errore delle parti ma anche della volontà di usufruire di una normativa specifica ovvero di eluderla. Ne consegue che il datore di lavoro, ove chieda la restituzion. delle somme erogate in eccesso rispetto ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, ha l’onere di dimostrare che la maggior retribuzione è stata determinata da un errore essenziale avente i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c..

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Cass. civ. n. 23614/2010

In tema di rapporto di lavoro subordinato, le obbligazioni delle parti si inseriscono all’interno di un rapporto contrattuale sinallagmatico di carattere continuativo che rende inapplicabile il principio, valido per le obbligazioni unilaterali, secondo cui le obbligazioni non possono avere carattere perpetuo, dovendosi ritenere che le erogazioni da parte del datore di lavoro trovano la loro causa nelle prestazioni lavorative dei dipendenti, intesi sia come singoli che come collettività, mentre queste ultime traggono, a loro volta, la giustificazione nelle erogazioni a carico del datore, tra le quali rientrano tutte le somme di denaro, a qualsiasi titolo, anche diverso dallo stipendio di base e dalle voci previste dalla contrattazione collettiva, corrisposte ai dipendenti in maniera stabile e continuativa. Ne consegue che il datore di lavoro non può recedere unilateralmente, senza accordo preventivo, dall’obbligo a suo carico di corrisponderle, integrando l’eventuale loro cessazione, in assenza di specifica giustificazione di carattere giuridico (e non semplicemente di natura economica), una forma di inadempimento contrattuale che può essere, secondo i casi, totale o parziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto inadempiente il datore di lavoro per aver unilateralmente congelato la quattordicesima mensilità).

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Cass. civ. n. 21274/2010

La giusta retribuzione spettante al lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost., deve essere individuata nei minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, i quali devono applicarsi necessariamente, indipendentemente dall’iscrizione o meno del datore di lavoro ad un’associazione sindacale stipulante, ed anche nel caso si tratti di imprese di non rilevanti dimensioni, ove non sussista una separata contrattazione collettiva.

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Cass. civ. n. 15207/2010

In caso di sospensione dell’attività lavorativa per l’attualità di una crisi aziendale implicante la possibilità di intervento della cassa integrazione guadagni, la qualificazione giuridica delle somme corrisposte a titolo di anticipazione della prestazione previdenziale è consentita solo all’esito del procedimento per l’ammissione al trattamento di integrazione salariale, e in caso di mancato accoglimento della richiesta di intervento della C.I.G., tali importi costituiscono solo una parte della retribuzione, al cui pagamento il datore di lavoro continua ad essere interamente obbligato in base alla disciplina generale delle obbligazioni e dei contratti con prestazioni corrispettive, trovandosi in una situazione di “mora credendi” rispetto ad una sospensione unilateralmente da lui disposta, in difetto del relativo potere. Conseguentemente, la persistenza dell’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro in caso di sospensione dell’attività lavorativa non seguita da intervento della c.i.g. comporta necessariamente l’assoggettamento a contribuzione previdenziale e assicurativa delle somme che risultano corrisposte a titolo di anticipazione dell’integrazione salariale, ma sono da imputare definitivamente alla retribuzione contrattualmente dovuta.(In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che dette somme potessero essere qualificate come atti di liberalità, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969, per il solo fatto che fossero state oggetto di accordo transattivo).

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Cass. civ. n. 13256/2010

Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro si trovi nell’impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l’adesione ad uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia ai sensi dell’art. 2110 c.c., atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall’art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore, e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione di altri dipendenti in servizio, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenute meritevoli di un trattamento privilegiato.

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Cass. civ. n. 10527/2010

In tema di risarcimento del danno subito dal dipendente postale, collocato in quiescenza per raggiungimento della massima anzianità con-tributiva, in conseguenza della declaratoria di nullità della previsione contrattuale secondo cui il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della detta anzianità, il prestatore di lavoro deve allegare e provare il danno conseguito all’atto nullo produttivo dell’interruzione del rapporto, non avendo egli automaticamente diritto alle retribuzioni per il periodo successivo alla cessazione del servizio, neppure a titolo di risarcimento del danno, atteso che, in ragione della natura sinallagmatica del rapporto, la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di “mora accipiendi” nei confronti del dipendente.

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Cass. civ. n. 8255/2010

Il patto di conglobamento nei compensi corrisposti per le prestazioni lavorative di corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto (quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie e per le festività), può essere ammesso solo se dal patto risultino gli specifici titoli cui è riferibile la prestazione patrimoniale complessiva, poiché solo in tal caso è superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria, e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto, senza che, in senso contrario, possa essere invocato il criterio dell’assorbimento – imperniato sul “trattamento globale più favorevole” tra quello di fatto goduto e quello spettante sulla base dei minimi contrattuali con conseguente imputazione alle competenze indirette degli emolumenti eccedenti i primi – che, fondandosi sulla diversa situazione della conversione di un rapporto qualificato “ab origine” come autonomo in un contratto di, prestazione d’opera subordinata, pone la necessità di operare un raffronto, per la differente qualificazione delle voci di compenso, fra il percepito e il dovuto.

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Cass. civ. n. 7528/2010

In tema di diritto all’equa retribuzione per i lavoratori subordinati, il giudice di merito, nel determinare il compenso o la retribuzione base spettante al lavoratore subordinato, può, in mancanza di una specifica contrattazione di categoria, utilizzare alla stregua dell’art. 36 Cost. la disciplina collettiva di un settore – diverso da quello in cui di fatto ha operato il datore di lavoro – a semplici fini parametrici odi raffronto perla determinazione della sola retribuzione base spettante al lavoratore subordinato (senza riguardo agli altri istituti contrattuali). Tale determinazione può essere impugnata dal lavoratore in cassazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., in caso di disapplicazione del criterio giuridico della “sufficienza” della retribuzione – volto a garantire la soddisfazione, dei bisogni di una esistenza libera e dignitosa – nonché di quello della “proporzionalità” – volto a correlare la stessa retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, rimanendo di contro l’apprezzamento in concreto dell’adeguatezza della retribuzione riservato al giudice di merito.

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Cass. civ. n. 26985/2009

Il potere di emettere una decisione secondo equità ai sensi dell’art. 114 c.p.c. si differenzia dal potere di determinare, nel processo del lavoro, la retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., atteso che, nel primo caso, la decisione viene adottata a prescindere dallo stretto diritto e presuppone l’istanza delle parti, mentre, nel secondo, non è necessaria alcuna richiesta delle parti e la decisione viene adottata secondo le norme di diritto alla stregua della normativa vigente, con applicazione, in via parametrica, del contratto collettivo di settore di cui non sia possibile l’applicazione diretta e sul presupposto che la retribuzione di fatto corrisposta si appalesa rispondente ai criteri di adeguatezza e proporzionalità posti dalla norma costituzionale. Ne consegue che la sentenza con la quale è stata determinata la giusta retribuzione è appellabile ai sensi dell’art. 339, primo comma, c.p.c.

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Cass. civ. n. 14835/2009

Il trattamento economico aggiuntivo attribuito ad un dirigente con il riconoscimento di determinati “benefit” (quali l’attribuzione di buoni mensa, l’uso dell’auto, l’uso di un cellulare) può, in base alle pattuizioni che lo prevedono e alle particolarità del caso concreto, avere sia natura retributiva – qualora il beneficio si riferisca a spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa, risolvendosi in un adeguamento della retribuzione – sia natura risarcitoria – ove l’attribuzione si riferisca a spese che il lavoratore è tenuto a sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, costituendo la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale collegata alle modalità della prestazione lavorativa svolta – e il relativo accertamento è riservato al giudice di merito, restando incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Il valore dei pasti, di cui il lavoratore può fruire in una mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non co stituisce elemento integrativo della retribuzione, allorché il servizio mensa rappresenti un’agevolazione di carattere assistenziale, anziché un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale tra l’utilizzazione della mensa ed il lavoro prestato, sostituendosi ad esso un nesso meramente occasionale con il rapporto.

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Cass. civ. n. 13162/2009

Il principio generale secondo cui la retribuzione non spetta in assenza della corrispondente prestazione o della formale relativa offerta si applica anche al rapporto fra livello della prestazione (o della qualifica, che la presuppone) ed adeguata corrispondente retribuzione, nel qual caso deve negarsi la maggiore adeguata retribuzione solo se non vi sia (o non sia stata formalmente offerta) la prestazione di corrispondente livello. Ove, invece, la prestazione con il più elevato livello della connessa qualifica sia stata effettuata, assume rilievo il diverso principio previsto dall’art. 2103 cod. civ., in presenza delle necessarie condizioni normative, salvo che, in presenza di specifiche condizioni, un più elevato livello di qualifica sia separato, per incontestata disposizione del datore di lavoro, dalla maggiore relativa retribuzione e dalla stessa materiale corrispondente prestazione, e sia retroattivamente attribuito, nel qual caso, con la separazione e la retroattiva attribuzione della qualifica, non sussiste il diritto alla contestuale retribuzione corrispondente alla qualifica.

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Cass. civ. n. 6225/2009

Poiché il provvedimento di ammissione alla cassa integrazione guadagni ha efficacia costitutiva del rapporto previdenziale e derogatoria della disciplina del rapporto di lavoro, in caso di successivo provvedimento che, respingendo la domanda di rinnovo e prosecuzione del beneficio, disponga la cessazione dello stesso a partire da una determinata data, il datore di lavoro è non
esonerato dagli obblighi retributivi per il periodo compreso tra la cessazione del beneficio ed il provvedimento di diniego ove vi sia stata una sospensione del rapporto di lavoro non addebitatile a colpa del datore di lavoro e sia mancata l’offerta da parte dei lavoratori di riprendere il proprio lavoro con la messa a disposizione delle proprie energie.

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Cass. civ. n. 22863/2008

Ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l’adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacchè adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e che legittimando il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita “ex tunc” del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha confermato la sentenza di merito che, in applicazione del principio su enunciato, aveva ritenuto la validità del licenziamento con decorrenza dalla data della sospensione dal rapporto e, quindi, in epoca anteriore alla richiesta del dipendente – che mai aveva comunicato le sue dimissioni per sopravvenuta inidoneità fisica – di accertamento giudiziale della risoluzione per malattia).

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Cass. civ. n. 20316/2008

Al dipendente che sospenda volontariamente l’esecuzione della prestazione lavorativa, finché non provveda a mettere nuovamente a disposizione la stessa, anche se per facta concludentia e senza ricorrere a specifici requisiti formali, determinando una “mora accipiendi” del datore di lavoro, non è dovuta la retribuzione, atteso che, in applicazione della regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni, quest’ultima spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene effettivamente eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente. Peraltro, anche a tali fini, l’atto di costituzione in mora – ancorché effettuatile da un terzo, da un “nuncius” o da un rappresentante – configura un atto giuridico in senso stretto a carattere recettizio, sicché deve essere rivolto al datore di lavoro affinché possa risultare formalizzato il rifiuto a ricevere la prestazione. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di appello e, decidendo nel merito, ha rigettato la richiesta retributiva dei dipendenti di una Casa di Cura i quali avevano occupato i locali aziendali non rendendo tempestivamente edotto il datore di lavoro della cessazione dell’agitazione).

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Cass. civ. n. 19750/2008

Il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, che sia stato individualmente pattuito, è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, tranne che sia da questa diversamente disposto, o che le parti abbiano attribuito all’eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che, correttamente, la sentenza di merito aveva disatteso la domanda del ricorrente, secondo il quale andava esclusa la riassorbibilità del superminimo in quanto condizione di miglior favore e diritto acquisito, in quanto sin dall’accordo del 30 maggio 1990, con cui era stato regolato il passaggio dei lavoratori presso il COGEMA, era stata esplicitamente prevista la riassorbibilità dei maggiori trattamenti “ad personam”, clausola poi ribadita dalla società in data 22 giugno 1992 e non contraddetta dall’accordo sindacale del 28 marzo 1995, senza che assumesse rilievo – in assenza di ulteriori riscontri – la condotta del datore di lavoro che, in una prima fase, aveva continuato ad erogare l’emolumento aggiuntivo pur in con¬omitanza dei miglioramento economici contrattuali e legali).

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Cass. civ. n. 15070/2008

In mancanza di una diversa previsione della contrattazione collettiva, l’adozione della misura della sospensione cautelare non priva il lavoratore del diritto alla retribuzione, né determina, ove il procedimento disciplinare si sia concluso in senso sfavorevole al dipendente, l’efficacia retroattiva del recesso del datore di lavoro, con conseguente perdita ex tunc della retribuzione dalla data dalla sospensione.

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Cass. civ. n. 2872/2008

Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, ma continuative ed organizzate secondo regolari turni periodici, costituiscono parte integrante della ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali, concorrono alla composizione della base di computo dei compensi per ferie e festività, dell’indennità di anzianità, del trattamento di fine rapporto ed in genere di quegli istituti retributivi per la cui liquidazione la legge o la contrattazione collettiva facciano riferimento a siffatta nozione di retribuzione globale di fatto. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la sentenza impugnata che, interpretando l’art. 18 del C.C.N.L. 31 maggio 1987 per i lavoratori delle autostrade secondo cui il compenso per «l’eventuale» lavoro notturno è elemento solo «aggiuntivo» della retribuzione, ha ritenuto che la disposizione si riferisse al solo lavoro notturno non sistematico).

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Cass. civ. n. 10636/2006

Posto che le indennità aventi natura retributiva possono anche svolgere la funzione di compensare particolari disagi o di compensare forfettariamente oneri economici, la qualificazione come retributiva di un’indennità di mensa prevista da un contratto collettivo non esclude che la stessa possa essere correlata alla concreta presenza di determinate situazioni implicanti disagi od oneri. (Nella specie, la S.C., enunciando il riportato principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso il riconoscimento dell’indennità di mensa in favore dei dipendenti delle imprese esercenti servizi postali in appalto sul rilievo della corretta interpretazione delle clausole dell’inerente c.c.n.l. che, indipendentemente dall’attribuzione alla suddetta indennità della natura retributiva, implicavano che la sua spettanza presupponesse la presenza effettiva di determinate situazioni implicanti disagi od oneri, in concreto esattamente ritenuti insussistenti sulla scorta delle specifiche modalità dell’organizzazione lavorativa osservate).

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Cass. civ. n. 5496/2006

Anche nel contratto di lavoro subordinato – fermo restando il divieto di unilaterale riduzione della retribuzione di cui all’art. 2099 c.c. è possibile concordare la modifica delle originarie condizioni contrattuali relative agli aspetti retributivi per facta concludentia e ciò anche se il contratto sia stato stipulato per iscritto. (Nella specie, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata, con la quale era stata ravvisata l’accettazione del patto di modifica riguardo al sistema di rimborso delle spese di vitto – da quello «a piè di lista» a quello «forfettario» – sulla scorta del comportamento delle parti del rapporto lavorativo, rilevandosi, inoltre, che, in concreto, il protrarsi del nuovo sistema di rimborso per un lungo periodo di tempo e il carattere complessivamente migliorativo del medesimo – alla stregua di quanto congruamente accertato dal giudice di merito – rappresentavano circostanze idonee ad escludere l’unilateralità della rideterminazione del rimborso).

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Cass. civ. n. 2245/2006

Alla stregua dell’art. 36, primo comma, Cost. il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Di conseguenza, ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro, individuale o collettivo, risulti inferiore a questa soglia minima, la clausola contrattuale è nulla e, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell’art. 1419, secondo comma, c.c., il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri dell’art. 36, con valutazione discrezionale. Ove, però, la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto ad usare tale discrezionalità con la massima prudenza, e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali (principio affermato dalla S.C. con riferimento al compenso per lavoro straordinario diurno e notturno previsto dal CCNL dei lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana).

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Cass. civ. n. 20858/2005

Nel caso di trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della legge 18 aprile 1962 n. 230, non sussiste, per gli intervalli «non lavorati» tra l’uno e l’altro rapporto, il diritto del lavoratore alla retribuzione, al corrispondente rateo di tredicesima mensilità e la compenso per ferie non godute, mancando una deroga al principio generale secondo cui la maturazione di tali diritti presuppone la prestazione lavorativa, e considerato che la suddetta riunificazione in un solo rapporto, operando ex post non incide sulla mancanza di un effettiva prestazione negli spazi temporali tra contratti a tempo determinato; peraltro, il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla — in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione — soltanto qualora provveda a costituire in mora il datore di lavoro ex art. 1217, c.c., non essendo applicabili in via analogica le norme della legge n. 604 del 1966 e l’art. 18, legge n. 300 del 1970 e non potendo neppure ritenersi che non occorra la messa in mora, reputando, in contrasto con gli artt. 1206 e 1217, c.c., che l’offerta della prestazione coincida con l’interesse all’esecuzione ed alla controprestazione.

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Cass. civ. n. 5139/2005

In tema di determinazione dei minimi salariali e nel caso in cui il lavoratore chieda l’adeguamento della sua retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice deve preliminarmente valutare se sussista l’asserito difetto di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato e le primarie esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia, prendendo in considerazione — come statuito dalla Corte Costituzionale, da ultimo, con sentenza n. 470 del 2002 — l’importo globale della retribuzione di fatto percepita e non già isolate componenti della stessa retribuzione. Tale retribuzione costituzionalmente garantita corrisponde, in linea generale, a quella determinata dai contratti collettivi.

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Cass. civ. n. 17274/2004

Qualora il giudice di merito, nel fissare i parametri per la retribuzione adeguata ai sensi dell’art. 36 Cost., fa riferimento alla paga base e alla contingenza prevista dalla contrattazione collettiva, fornisce valida giustificazione del criterio equitativo adottato e, in mancanza di specifiche contestazioni, non ha alcun obbligo di motivare in ordine alla pretermissione di altre voci della contrattazione collettiva (nella specie, scatti di anzianità).

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Cass. civ. n. 17250/2004

Nel determinare la retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice di merito, assunti i minimi salariali indicati dal contratto collettivo nazionale quali parametri di riferimento, può legittimamente, secondo una valutazione non censurabile in Cassazione se non sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, discostarsi da essi in senso riduttivo, tenuto conto di una pluralità di elementi, quali la quantità e qualità del lavoro prestato, le condizioni personali e familiari del lavoratore, le tariffe sindacali praticate nella zona, il carattere artigianale e le dimensioni dell’azienda.

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Cass. civ. n. 5934/2004

La particolare garanzia apprestata dall’art. 36 Cost. a tutela del lavoratore subordinato non si riferisce ai singoli elementi retributivi, bensì al trattamento economico globale, comprensivo della retribuzione per lavoro straordinario, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 470 del 2002. Pertanto i criteri della proporzionalità e della sufficienza posti dalla citata norma costituzionale a tutela del lavoratore non trovano applicazione in caso di erogazione di un compenso per lavoro straordinario inferiore a quello erogato per l’orario ordinario.

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Cass. civ. n. 5519/2004

In tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice del merito, anche se il datore di lavoro non aderisca ad una delle organizzazioni sindacali firmatane, ben può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, che rappresenta il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione, anche se limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima. Ove il giudice del merito intenda discostarsi dalle indicazioni del contratto collettivo, ha l’onere di fornire opportuna motivazione, mentre costituisce specifico onere del datore di lavoro quello di indicare gli elementi dai quali risulti la inadeguatezza, in eccesso, delle retribuzioni contrattualmente previste in considerazione di specifiche situazioni locali o della qualità della prestazione offerta dal lavoratore.

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Cass. civ. n. 19123/2003

Ove il datore di lavoro corrisponda ai suoi dipendenti un determinato emolumento, il giudice del merito, al fine di accertare l’obbligatorietà dell’erogazione, deve valutare se quest’ultima — ancorché originariamente corrisposta con carattere di spontanea liberalità, senza essere imposta da alcuna fonte legale né pattizia, sia stata corrisposta continuativamente ad una generalità di dipendenti.

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Cass. civ. n. 7843/2003

Il principio generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora credendi nei confronti dei dipendenti. Ne consegue che sono validi, in linea di principio, i patti conclusi tra i lavoratori ed il datore di lavoro per la sospensione del rapporto di lavoro; tali fatti non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione e non concretano rinunzia alla retribuzione, invalida ex art. 2113 c.c., atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata esecuzione della prestazione.

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Cass. civ. n. 7752/2003

Nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquista, pur solo in via generale, una «presunzione» di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite; ne consegue che, ai fini dell’accertamento dell’adeguatezza di una determinata retribuzione, non può farsi riferimento ad una singola disposizione del contratto che preveda un diverso trattamento retributivo per altri dipendenti, l’eventuale inadeguatezza potendo essere accertata solo attraverso il parametro di cui all’art. 36 Cost., che è «esterno» rispetto al contratto; né può assumere rilievo, ai fini di tale accertamento, l’eventuale disparità di trattamento fra lavoratori della medesima posizione, atteso che non esiste a favore del lavoratore subordinato un diritto soggettivo alla parità di trattamento e che, soprattutto quando il trattamento differenziato trovi il suo fondamento in un dato oggettivo di carattere temporale, l’attribuzione di un determinato beneficio ad un lavoratore non può costituire titolo per attribuire ad altro lavoratore, che si trovi nella medesima posizione, il diritto allo stesso beneficio o al risarcimento del danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che — con riferimento all’attribuzione ai lavoratori neoassunti di un salario differenziato con esclusione di alcune voci aggiuntive previste dalla contrattazione collettiva — aveva negato il diritto di questi ultimi di conseguire le differenze retributive richieste).

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Cass. civ. n. 11607/2002

La corresponsione di un emolumento nel corso del rapporto di lavoro in favore della generalità dei dipendenti è sufficiente a farlo considerare come elemento della retribuzione, sia per la presunzione di onerosità che assiste tutte le prestazioni eseguite durante il detto rapporto, sia perché un’erogazione liberale da parte dell’imprenditore può giustificarsi solo se occasionale e collegata ad eventi particolari. Pertanto, il premio di fedeltà originariamente corrisposto in modo spontaneo ai dipendenti (nella specie, della Fiat SpA), trasformandosi, per effetto dell’inequivoco comportamento delle parti, (consistente nell’attribuzione della erogazione da parte del datore di lavoro in occasione della maturazione di un servizio pluriennale prestabilito e nella corrispettiva legittima attesa dei lavoratori a conseguirla) in un vincolo obbligatorio, viene privato della natura originaria, conseguendo il carattere di un corrispettivo per la fedeltà della prestazione resa per un numero predeterminato di anni, corrispettivo avente, per effetto del gradimento dei dipendenti, natura di compenso riconosciuto dall’uso aziendale, inserito, come clausola d’uso, nel contratto individuale del quale completa il contenuto in senso modificativo o derogativo in melius della contrattazione collettiva.

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Cass. civ. n. 9759/2002

Ai fini del giudizio circa l’adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice del merito deve accertare la natura e l’entità qualitativa e quantitativa delle prestazioni lavorative del dipendente, nonché le effettive esigenze del medesimo e della sua famiglia per un’esistenza libera e dignitosa; a tale scopo può fare riferimento, come espressione parametrica delle condizioni di mercato, al contratto collettivo di categoria, ove questo non sia direttamene applicabile, o ad altro contratto che concerna prestazioni lavorative affini o analoghe.

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Cass. civ. n. 10260/2001

Ai fini della determinazione della giusta retribuzione ai sensi dell’art. 36 Costituzione nei confronti di lavoratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale firmataria di contratto collettivo nazionale di lavoro, residente in zona depressa, con potere di acquisto della moneta accertato come superiore alla media nazionale, il giudice del merito può discostarsi dai minimi salariali stabiliti dal contratto collettivo non direttamente applicabile al rapporto, assunto con valore parametrico, accertando che gli effetti della riduzione non comportino risultati di sfruttamento del lavoratore, e, quindi, alla triplice condizione che utilizzi dati statistici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul potere di acquisto della moneta, che tenga conto dell’effetto già di per sé riduttivo della retribuzione contrattuale, insito nel principio del minimo costituzionale, e che, infine, l’eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della contingenza stabilita dalla legge n. 38 del 1986. (Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione della massima enunciata, ha annullato la sentenza di merito che, fra l’altro, aveva determinato la retribuzione calcolando il 70 per cento del minimo retributivo «contrattualizzato»).

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Cass. civ. n. 7186/2001

Nel caso di illegittima apposizione del termine a un contratto di lavoro, al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa alla scadenza del termine previsto non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro. Tale principio trova fondamento nella regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni del rapporto di lavoro secondo la quale, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, il diritto alla retribuzione sussiste soltanto in caso di effettivo svolgimento dell’attività lavorativa.

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Cass. civ. n. 1018/2001

Rientrano nel concetto di retribuzione e restano soggetti al regime della prescrizione dei crediti di lavoro non solo gli emolumenti corrisposti in funzione dell’esercizio dell’attività lavorativa, ma anche tutti gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa prestazione lavorativa, costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto ed hanno origine e titolo nel contratto di lavoro, mentre ne restano escluse le sole erogazioni originate da cause autonome ovvero da responsabilità del datore di lavoro. Ne consegue che soggiacciono alla prescrizione quinquennale i crediti per le maggiorazioni dovute ai dipendenti, retribuiti a misura fissa, in caso di coincidenza delle festività del venticinque aprile e del primo maggio con la domenica.

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Cass. civ. n. 14468/2000

Nel rapporto di lavoro subordinato, l’onere di provare la durata della prestazione, nonché, al suo interno, la misura dell’effettivo impegno lavorativo in termini di giorni e ore, grava sul lavoratore che agisca per il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni o di differenze di retribuzione, salvo che, in presenza di una misura predeterminata e normale delle prestazioni, sia il datore di lavoro ad eccepire il mancato adempimento dei corrispondenti obblighi. (Nella specie non risultava applicabile al rapporto — avente ad oggetto attività di carico, scarico e vendita di carburanti — un contratto collettivo e di conseguenza la S.C. ha escluso in radice la possibile rilevanza della mancata stipulazione in forma scritta di un contratto a tempo parziale, la cui normativa può ritenersi applicabile in assenza di un orario «ordinario previsto da contratti collettivi di lavoro»: cfr. art. 5, comma primo, D.L. n. 726 del 1984, convertito con modificazioni dalla legge n. 863 del 1984).

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Cass. civ. n. 14438/2000

Nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni presentate dal lavoratore (nella specie, per incapacità naturale), il principio secondo il quale l’annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva non comporta il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, atteso che la retribuzione presuppone la prestazione dell’attività lavorativa, onde il pagamento della prima in mancanza della seconda rappresenta un’eccezione che, come nelle ipotesi di malattia o licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, deve essere espressamente prevista dalla legge, a nulla rilevando che le dimissioni siano state immediatamente revocate, giacché le dimissioni producono istantaneamente lo scioglimento del rapporto di lavoro, onde la succes-siva revoca, in mancanza di consenso del datore di lavoro, non è idonea a ripristinare il suddetto rapporto.

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Cass. civ. n. 14395/2000

Non esistendo una generale e onnicomprensiva nozione legale di retribuzione, l’autonomia privata, individuale o collettiva, ben può escludere un determinato compenso dalla base di calcolo di istituti di retribuzione indiretta, ne tale facoltà può essere esclusa per l’indennità per le festività infrasettimanali in quanto il criterio (stabilito per tale emolumento l’art. 5 della legge n. 260 del 1949) della «retribuzione globale di fatto giornaliera comprensiva di ogni elemento accessorio» va riferito alla «retribuzione normale», rimessa alla contrattazione collettiva. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in applicazione dell’art. 7 C.C.N.L. 21 novembre 1946 e dell’art. 9 C.C.N.L.del 1980, aveva escluso dalla base di calcolo dell’indennità per festività infra-settimanali da corrispondere ad alcuni lavoratori autoferrotranviari le indennità previste dai punti 4 e 5 degli accordi nazionali 6 febbraio 1979 e 21 maggio 1981).

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Cass. civ. n. 13941/2000

Il principio della retribuzione sufficiente di cui all’articolo 36 della Costituzione riguarda esclusivamente il. lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di compenso per prestazioni lavorative, autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione, assimilabili a quelle svolte in regime di subordinazione. (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza con cui era stata rigettata la domanda di un messo di conciliazione diretta a conseguire un’equa retribuzione integrativa dei proventi percepiti a titolo di notifica degli atti giudiziari, interpretata dal giudice di merito nel senso che il rapporto fosse prospettato in termini di autonomia).

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Cass. civ. n. 11293/2000

Nella determinazione della giusta retribuzione a norma dell’art. 36 Cost., può assumere rilevanza anche l’anzianità di servizio del lavoratore, sul presupposto di una correlazione tra anzianità di servizio e qualità della prestazione resa, e il relativo apprezzamento dà luogo ad un giudizio di merito sul caso concreto, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione o per violazione di norme di diritto. Ne consegue che l’operato del giudice di merito che, nel determinare la retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, faccia riferimento ai minimi dei contratti collettivi del settore includendo gli aumenti corrispondenti agli scatti di anzianità, non può considerarsi irrazionale a priori e in sede di giudizio di cassazione la relativa sentenza va confermata se non ne sono dedotti specifici profili di irrazionalità.

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Cass. civ. n. 10434/2000

La determinazione da parte del giudice della retribuzione adeguata a norma dell’art. 36 Cost. — al quale scopo le tariffe retributive previste dai contratti collettivi post-corporativi offrono il primario criterio di riferimento non è preclusa ne dall’art. 43 del D.L.vo Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, che ha transitoriamente conservato efficacia normativa ai contratti collettivi corporativi, poiché le disposizioni di questi ultimi possono essere disapplicate dal giudice ordinario se contrastano con disposizioni imperative appartenenti ad un livello superiore della gerarchia delle fonti del diritto e, in primo luogo, con precetti costituzionali, né con l’attribuzione di efficacia erga omnes a determinati contratti collettivi di diritto comune mediante decreti presidenziali emanati in base alla delega di cui agli artt. 1 e 7 della L. 14 luglio 1959, n. 741, poiché la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutti tali atti aventi forza di legge nella parte in cui non consentono che la sopravvenuta non corrispondenza dei minimi economici da essi previsti alla retribuzione adeguata conferisca al giudice l’esercizio del potere attribuitogli dall’art. 36 Cost. (Corte cost. 6 luglio 1971, n. 156).

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Cass. civ. n. 9764/2000

La computabilità o meno di determinati emolumenti ai fini di istituti retributivi indiretti deve essere verificata alla stregua della disciplina collettiva, tenendo presente che il criterio di onnicomprensività della retribuzione, valido solo per determinati istituti di origine legale, non opera neppure come criterio sussidiario, per cui un particolare emolumento è computabile a detti fini in quanto ciò sia espressamente previsto dalla disciplina contrattuale e che il criterio di onnicomprensività, da questa eventualmente adottato in sede nazionale, non è riferibile ad istituti retributivi aggiuntivi introdotti a livello aziendale. (Fattispecie relativa al trattamento retributivo del personale del Servizio nettezza urbana del Comune di Roma assunto dalla azienda municipalizzata Amnu – ora Ama – dopo la relativa istituzione).

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Cass. civ. n. 3749/2000

Ove si adotti, quale parametro per la determinazione della giusta retribuzione, un contratto collettivo non vincolante fra le parti, il solo fatto del mancato adeguamento, da parte del datore di lavoro, di indennità accessorie corrisposte al lavoratore ad un aumento pattuito in sede di contratto collettivo non è di per sè significativo né probante di una violazione del principio ex art. 36 Cost., che può essere appurata dal giudice soltanto avendo riguardo al complesso delle voci retributive attribuite al lavoratore e conseguentemente riscontrando l’insufficienza e inadeguatezza di tale importo retributivo globale rispetto al cosiddetto minimo costituzionale rappresentato essenzialmente dalla retribuzione base stabilita dalla contrattazione collettiva non direttamente applicabile e dall’indennità di contingenza (a meno che anche la valutazione di altri istituti contrattuali sia dimostrata essenziale e imprescindibile per rendere la retribuzione adeguata e giusta ai sensi della norma costituzionale).

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Cass. civ. n. 13389/1999

I compensi per lavoro straordinario, anche se erogati in misura fissa e continuativa, non entrano – in difetto di una contraria volontà delle parti rigorosamente provata ed accertata dal giudice di merito – a far parte della retribuzione ordinaria; con la conseguenza che il compenso pagato per tale lavoro non rientra nella paga normale da porre a base per la determinazione di tutti gli istituti fissi come le ferie, le festività infrasettimanali, le mensilità aggiuntine. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che – interpretando la clausola del C.C.N.L. dei metalmeccanici che prevedeva un tetto massimo di 48 ore settimanali – aveva escluso che tale «tetto» costituisse nell’intento delle parti il normale orario lavorativo)

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Cass. civ. n. 11916/1999

È valido l’accordo col quale l’imprenditore e le organizzazioni sindacali pattuiscano, ai fini del ricorso alla Cassa integrazione guadagni, una sospensione del rapporto di lavoro con esonero del datore di lavoro dall’obbligazione retributiva indipendentemente dall’esito della richiesta di concessione dell’integrazione salariale; per l’efficacia di tale accordo è tuttavia indispensabile che i lavoratori interessati abbiano conferito specificamente ai rappresentanti sindacali l’incarico di stipularlo, oppure che provvedano a ratificarne l’operato, trattandosi di accordo che incide immediatamente sulla disciplina dei contratti individuali di lavoro e sui diritti di cui i singoli sono già titolari. Tanto l’incarico che la successiva ratifica possono essere espressi anche mediante comportamenti concludenti, purché si tratti di condotte significative della volontà degli interessati, in quanto l’iscrizione all’associazione sindacale non è atto idoneo a conferirle anche il potere di disporre di diritti acquisiti al patrimonio del lavoratore.

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Cass. civ. n. 3235/1999

Atteso che i minimi retributivi fissati dai contratti collettivi di diritto comune sono stabiliti in relazione ad un determinato orario settimanale, ne deriva che la loro utilizzazione come parametro per stabilire l’equa retribuzione di cui all’art. 36 Cost. (in relazione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato), non può prescindere dall’orario di fatto osservato dal lavoratore con conseguente riproporzionamento in riferimento a quest’ultimo.

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Cass. civ. n. 866/1999

La dichiarazione (ai sensi della legge n. 230 del 1962) d’illegittimità del termine, apposto ad un contratto di lavoro, con conversione ex lege del rapporto in rapporto a tempo indeterminato, comporta la persistenza, dopo la scadenza di quel termine illegittimo, di tutte le contrapposte obbligazioni, compresa quella datoriale di pagamento, alle scadenze legali o convenzionali, delle retribuzioni, senza che sia necessaria un’offerta contestuale della propria prestazione da parte del lavoratore, ai sensi dell’art. 1460 c.c., in presenza del comportamento del datore di lavoro che allontana il lavoratore stesso dall’azienda e poi costantemente ne rifiuta il rientro in azienda, nonostante le contestazioni del dipendente, e senza che neppure occorra un’offerta delle stesse prestazioni secondo le forme dell’art. 1217 c.c., avendo la costituzione in mora del creditore funzione diversa da quella di rendere ammissibile la richiesta di adempimento di un’obbligazione dovuta per la prosecuzione (illegittimamente rifiutata dalla parte inadempiente) di un rapporto di durata a prestazioni corrispettive.

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Cass. civ. n. 11137/1998

L’inesistenza di un principio di onnicomprensività della retribuzione comporta che un certo emolumento non possa, in mancanza di una previsione esplicita di legge o di contratto collettivo, essere incluso nella base di calcolo di altri istituti retributivi e che la contrattazione collettiva possa legittimamente escludere determinate voci retributive dalla computabilità ai fini dei vari istituti indiretti, salvo che questi siano regolati da norma imperativa (come nel caso della tredicesima mensilità la cui base di calcolo ex art. 9 dell’accordo interconfederale 27 ottobre 1946, esteso erga omnes con D.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070 è costituita dalla retribuzione globale mensile di fatto); restando l’interpretazione della disciplina collettiva di diritto comune riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in sede di legittimità solo per violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione (nella specie, l’impugnata sentenza, confermata in tale parte dalla Suprema Corte, aveva ritenuto che la contrattazione collettiva dei dipendenti di imprese di navigazione marittima non prevedeva, fino al Ccnl 8 novembre 1991, la regola della computabilità dell’indennità per lavoro notturno prestato a turni avvicendati nella base di calcolo per quattordicesima mensilità, ferie e permessi; tale pronuncia è stata invece cassata nella parte in cui escludeva tale compatibilità nella gratifica natalizia o tredicesima mensilità).

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Cass. civ. n. 3218/1998

Con riguardo a rapporto di lavoro intercorso con datore di lavoro non aderente ad una delle organizzazioni firmatarie di un contratto collettivo, è impedito assumere puramente e semplicemente quale parametro di determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 Cost. i minimi salariali fissati dal contratto non vincolante per il datore di lavoro, risolvendosi tale utilizzazione nella attribuzione al contratto collettivo di una efficacia erga omnes che non gli appartiene, e non è per contro vietato al giudice di merito, nella determinazione (incensurabile se adeguatamente motivata), della retribuzione proporzionata e sufficiente in base alla cit. norma costituzionale di far riferimento, sempre in via parametrica, agli importi previsti da un contratto collettivo locale o anche aziendale, pur se peggiorativo rispetto al contratto nazionale e pur se intervenuto in periodo successivo alla conclusione del rapporto di lavoro di cui trattasi.

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Cass. civ. n. 4224/1997

La determinazione della giusta retribuzione in un importo inferiore ai minimi salariali fissati dalla contrattazione collettiva non può essere giustificata col richiamo alle condizioni del mercato del lavoro relative al luogo in cui la prestazione viene effettuata, atteso che il precetto costituzionale di cui all’art. 36 Cost. è finalizzato ad impedire qualsiasi forma di sfruttamento del dipendente, che è reso possibile proprio dalle condizioni di un mercato depresso.

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Cass. civ. n. 974/1997

I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale (che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei relativi accantonamenti, disposta — in via di interpretazione autentica dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 — dall’art. 9 bis del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1 giugno 1991, n. 166), sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa. Ne discende la non operatività del criterio di inderogabile proporzionalità alle quantità e qualità del lavoro e, più in genere — con particolare riferimento alle pensioni aggiuntive rispetto al trattamento previdenziale obbligatorio — della garanzia dell’art. 36, primo comma, Cost., in relazione all’art. 2099 c.c., perché in materia il parametro di sufficienza ai fini di un’esistenza libera e dignitosa è rappresentato dai livelli di trattamento assicurati dal secondo comma dell’art. 38 Cost. Conseguentemente l’autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del quantum dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione, né al riguardo è invocabile (tanto più per il carattere contrattuale della disciplina) un principio generale di parità di trattamento nel rapporto di lavoro, e neanche può ritenersi pertinente — con particolare riferimento alla esclusione del trattamento integrativo in caso di svolgimento di determinate attività lavorative — il vincolo di destinazione delle somme allo scopo pensionistico, posto dall’art. 2117 c.c. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza con cui il giudice di merito aveva ritenuto legittima la clausola contrattuale collettiva escludente il diritto all’erogazione della pensione integrativa in costanza di prestazione di «servizio per aziende di credito», ed aveva interpretato la clausola stessa nel senso che non poneva un obbligo di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c. ed era riferibile anche a prestazioni lavorative autonome a favore di società di gestione di fondi comuni d’investimento, la cui attività all’epoca era appena agli inizi e successivamente era stata espressamente presa in considerazione).

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Cass. civ. n. 7379/1996

Per la determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 Cost. i contratti collettivi postcorporativi, non direttamente applicabili al rapporto, possono essere utilizzati soltanto quale parametro e quindi con esclusione dell’automatica applicazione degli istituti convenzionali di cosiddetta retribuzione indiretta, quali le mensilità aggiuntive o gli scatti di anzianità, la cui applicazione è subordinata all’esito positivo dell’indagine del giudice (condotta anche tenendo conto del rapporto fra la retribuzione di fatto ricevuta dal lavoratore e quella prevista dal contratto collettivo, nonché delle caratteristiche della prestazione e della situazione personale e familiare del lavoratore stesso) circa la necessità di computare i detti compensi per garantire l’adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost., dovendo in particolare considerarsi, quanto agli scatti di anzianità, che, ferma l’esclusione di ogni automatismo nella loro applicazione, la giusta retribuzione deve essere adeguata in proporzione all’acquisita anzianità di servizio, atteso che la prestazione di lavoro, di norma, migliora qualitativamente per effetto dell’esperienza.

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Cass. civ. n. 7326/1995

L’arbitrario mutamento di denominazione di un emolumento ad iniziativa di uno dei soggetti del rapporto di lavoro non vale di per sé ad attribuirgli natura e finalità diversa da quelle desumibili dalla sua natura e destinazione, giacché in caso contrario si consentirebbe un’inammissibile frode di una delle parti.

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Cass. civ. n. 5826/1995

Attesa l’inesistenza di un principio generale di onnicomprensività della retribuzione, nel caso di istituti retributivi di origine legale o contrattuale, per la cui operatività debba farsi riferimento al parametro costituito dalla retribuzione normale, la base di computo deve essere fissata con esclusione di tutte le erogazioni destinate a compensare le prestazioni che non siano a loro volta qualificabili come normali, anche se fisse e continuative; in particolare le prestazioni rese oltre l’orario normale, anche se il prolungamento del lavoro ha carattere di continuità, eventualmente in osservanza di turni di servizio prestabiliti, restano nondimeno straordinarie, salvo che non sia riscontrabile un patto specifico inteso a qualificare come orario ordinario quello che costituisce prolungamento dell’orario normale stabilito per legge o per contratto.

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