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Articolo 110 Codice di procedura civile — Successione nel processo

Articolo 110 Codice di procedura civile — Successione nel processo

Quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 17673/2012

Il principio dell’ intrasmissibilità del diritto di prelazione fra coeredi, previsto dall’art. 732 c.c., non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo dei suoi eredi, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.

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Cass. civ. n. 9110/2012

La cancellazione dal registro delle imprese di una società di persone, analogamente a quanto avviene con riferimento ad una società di capitali, determina l’estinzione del soggetto giuridico e la perdita della sua capacità processuale. Ne consegue che, nei processi in corso, anche se essi non siano interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto contro il socio precedentemente estraneo al processo nei confronti di una società di persone che, parte nei precedenti gradi di giudizio, era stata poi cancellata dal registro delle imprese).

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Cass. civ. n. 7676/2012

Il socio di una società di capitali, estinta per cancellazione dal registro delle imprese, succede a questa nel processo a norma dell’art. 110 c.p.c. – che prefigura un successore universale ogni qualvolta viene meno una parte – solo se abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, secondo quanto dispone l’art. 2495, secondo comma, c.c.: tale vicenda, infatti, non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la di lui successione nel processo già instaurato contro la società, posto che egli non è successore di questa in quanto tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge, di riscossione della quota. La prova di tale circostanza è a carico delle altre parti ed integra la stessa condizione dell’interesse ad agire, che richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione della possibilità di ottenere un risultato utile, non essendo il processo utilizzabile in previsione di esigenze soltanto astratte. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio unico di s.r.l. cancellata, in assenza della deduzione e prova della condizione di cui all’art. 2495, secondo comma, c.c.).

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Cass. civ. n. 25341/2010

L’onere di provare la qualità di erede, gravante sul soggetto che agisce in giudizio in tale qualità, viene meno quando la controparte abbia tardivamente sollevato eccezioni in proposito (nella specie con la comparsa conclusionale di primo grado), dopo avere accettato il contraddittorio senza alcuna contestazione al riguardo.

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Cass. civ. n. 8765/2010

In caso di morte della parte, gli eredi possono far valere il titolo della successione in base al quale proseguono il giudizio in luogo della parte defunta, anche allo scopo di integrare la “causa petendi” della domanda, perché diversamente sarebbe preclusa la loro stessa partecipazione al giudizio.

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Cass. civ. n. 16428/2009

Il curatore dell’eredità giacente, pur non essendo rappresentante del chiamato all’eredità, è legittimato sia attivamente che passivamente in tutte le cause che riguardano l’eredità, anche quando sia venuta meno la situazione di giacenza, per l’adempimento degli obblighi che attengono al periodo di gestione dell’eredità. Non può quindi considerarsi inesistente la notifica al curatore del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia dell’Entrate in un giudizio avente ad oggetto l’adempimento di obblighi di natura fiscale sorti durante il periodo di giacenza, anche se, dopo la pronuncia della sentenza di appello, sia intervenuta l’accettazione dell’eredità da parte dell’erede.

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Cass. civ. n. 28409/2008

In tema di integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, a seguito della dichiarazione di interruzione del processo nella specie, per fallimento dell’opponente agli atti esecutivi la mancata riassunzione nei confronti della curatela fallimentare non può fondare un’immediata dichiarazione di estinzione del processo stesso, poichè la non integrità del contraddittorio, rilevabile anche d’ufficio dal giudice, implica che questi debba, ai sensi dell’art. 102, secondo comma, c.p.c., fissare un termine perentorio alle parti costituite per la suddetta integrazione, salvo dichiarare la nullità del giudizio nel caso in cui nessuna di esse vi abbia provveduto

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Cass. civ. n. 10676/2008

La società di capitali nella quale sia conferita l’azienda di una impresa individuale succede in tutti i rapporti attivi e passivi di quest’ultima. Da ciò consegue che la società nella quale sia confluita l’azienda di altra è soggetta all’esecuzione forzata fondata su un titolo giudiziale pronunciato nei confronti del conferente l’azienda, oltre ad essere legittimata a proporre opposizione all’esecuzione stessa.

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Cass. civ. n. 27183/2007

La fusione di società mediante incorporazione avvenuta prima della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003 ed all’introduzione dell’art. 2504 bis c.c., realizza una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale e produce gli effetti, tra loro indipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della società incorporante, per cui quest’ultima, al pari di qualsiasi successore universale, assume la stessa posizione processuale dell’attore, con tutte le limitazioni ed i divieti ad essa inerenti. Ne consegue che la stessa non può proporre domande nuove per l’attribuzione di diritti autonomi ed indipendenti dal diritto successorio, mentre le si debbono riconoscere i diritti fatti valere dal dante causa, anche quelli azionati prima della successione, ma acquisibili solo nel corso del tempo. Spetta quindi alla società incorporante il risarcimento dei danni derivanti da illecito permanente (nella specie illecita captazione di acque pubbliche), iniziato prima della fusione i cui effetti dannosi si siano però protratti anche successivamente.

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Cass. civ. n. 14266/2006

In tema di successione nel processo, la disposizione dell’art. 110 c.p.c. — il quale stabilisce che, quando la parte viene meno per morte od altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto — presuppone la qualità di erede, a seguito di valida accettazione della eredità, sicché l’assenza di siffatta qualità esclude la «legitimatio ad causam» la cui mancanza è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 13571/2006

Nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa legitimatio ad causam si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 c.c.) non al semplice chiamato all’eredità bensì (in via esclusiva) all’erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per l’acquisto di tale qualità, nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius, occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione.

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Cass. civ. n. 2637/2006

Ai sensi del nuovo art. 2505 bis c.c., conseguente alla riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo. Deve pertanto escludersi che la fusione per incorporazione determini l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c.

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Cass. civ. n. 13738/2005

In tema di legitimatio ad causam colui che promuove l’azione (o specularmente vi contraddica) nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto (nella specie rivendicazione della proprietà) deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all’onere di cui all’art. 2697 c.c., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perchè altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o a contraddire); per quanto concerne la delazione dell’eredità, tale onere che non è assolto con la la produzione della denuncia di successione — è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss. c.c. D’altra parte, con riguardo all’accettazione dell’eredità, poichè ai sensi dell’art. 476 c.c. l’accettazione tacita può desumersi dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, id est con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale, l’accettazione è implicita nell’esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che — essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari — non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall’art. 460 c.c., sicchè, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento della stato di fatto quale esistente al momento dell’apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede.

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Cass. civ. n. 19133/2004

Per effetto della soppressione delle Unità sanitarie locali e della conseguente istituzione delle Aziende Unità Sanitarie locali (aventi natura di enti strumentali della Regione), si è realizzata una fattispecie di successione ex lege delle Regioni in tutti i rapporti obbligatori facenti capo alle ormai estinte USL, con conseguente esclusione di ogni ipotesi di successione in universum ius delle ASL alle preesistenti USL; poiché, però, tale successione delle Regioni è caratterizzata da una procedura di liquidazione, che è affidata ad un’apposita gestione stralcio, la quale è strutturalmente e finalisticamente diversa dall’ente subentrante ed individuata nell’ufficio responsabile della medesima unità sanitaria locale a cui si riferivano i debiti e i crediti inerenti alle gestioni pregresse, usufruisce della soggettività dell’ente soppresso (che viene prolungata durante la fase liquidatoria), ed è rappresentata dal direttore generale della nuova azienda sanitaria nella veste di commissario liquidatore, il processo instaurato nei confronti di una USL prima della sua soppressione prosegue tra le parti originarie — salva l’ipotesi di intervento o chiamata in causa della Regione nella sua veste di successore a titolo particolare —, con le relative conseguenze in ordine alla legittimazione attiva e passiva di detto organo di rappresentanza della gestione stralcio ai fini della proposizione delle impugnazioni. (Nella specie, concernente una USL della Regione Emilia-Romagna, la S.C. ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dalla Regione e dal commissario liquidatore).

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Cass. civ. n. 875/2003

Le disposizioni processuali in materia di contraddittorio rispondono a canoni imperativi, sottratti alla disponibilità delle parti; ne deriva che una cessio actionis, dal lato attivo o passivo, concordata con il trasferimento del diritto controverso, non può comportare successione nel processo oltre i casi contemplati dall’art. 110 c.p.c., salva restando l’eventuale rilevanza del patto quale impegno ad un futuro consenso all’estromissione del dante causa, ai sensi dell’art. 111, terzo comma, c.p.c.

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Cass. civ. n. 4762/1999

In caso di morte di una parte nel corso del giudizio tutti gli eredi assumono, a norma dell’art. 110 c.p.c., la veste di litisconsorti necessari, sicché in caso di impugnazione proposta nei confronti di alcuni soltanto, il giudice, anche d’ufficio, deve disporre, a pena di nullità, l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi. Tuttavia, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari, oltre che di provare i presupposti di fatto che giustificano l’integrazione stessa.

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Cass. civ. n. 3112/1999

Il soggetto che si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti ha l’onere di provare detta qualità ed il fatto che non vi siano altri eredi, tuttavia il mancato adempimento di tale onere, ove nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle udienze successive alla costituzione e neppure in sede di conclusioni, non può essere denunciato per la prima volta in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 251/1999

Il legittimario pretermesso acquista la qualità di chiamato all’eredità solo dal momento della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione, rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie. Consegue che, anteriormente all’accoglimento della domanda di riduzione, l’erede pretermesso non è legittimato a succedere al defunto nel rapporto processuale da questi instaurato, poiché l’unico soggetto abilitato a proseguire il processo, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., è il successore a titolo universale.

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Cass. civ. n. 5875/1997

L’erede che abbia, espressamente o tacitamente, accettato l’eredità non può legittimamente qualificarsi terzo rispetto al de cuius, non potendosi considerare tale colui che subentri al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, poiché l’oggetto della delazione ereditaria si sostanzia proprio nel complesso dei rapporti giuridici trasmissibili, dei quali viene mantenuta la continuità con il mezzo tecnico del subingresso del chiamato nella posizione del precedente titolare, senza alcun mutamento (a parte la modificazione soggettiva) né dell’oggetto, né del titolo del singolo rapporto. Ne consegue che, verificatasi la successione nel processo, espressamente prevista dall’art. 100 c.p.c., sotto il profilo sostanziale si determina, in capo all’erede, la trasmissione della medesima situazione attiva o passiva già propria del de cuius, che deve essere accertata nei confronti del medesimo erede, senza che possa assumere rilievo alcuno la vicenda della morte del precedente titolare.

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Cass. civ. n. 2274/1997

Quando, a seguito della morte di una parte, del soggetto costituitosi in giudizio in suo luogo viene contestata non già la sua dichiarata qualità di erede del de cuius, ma, al fine di mettere in dubbio l’integrità del contraddittorio, la sua qualità di «unico» erede, spetta alla parte che propone l’eccezione di dare la relativa prova. (Nella specie la morte del de cuius, avvenuta nel corso del primo grado, non era stata dichiarata dal suo procuratore costituito, e l’erede si era costituito in appello).

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Cass. civ. n. 8452/1995

Per il disposto dell’art. 110 c.p.c. gli eredi della parte deceduta nel corso del processo debbono tutti partecipare al giudizio, quali litisconsorti necessari, essendo irrilevante la trasmissione all’uno o all’altro di essi per effetto di disposizioni testamentarie o di divisione, della titolarità del bene cui attiene la controversia, con la conseguenza che l’atto di prosecuzione volontaria, ancorché compiuto da alcuni soltanto degli eredi, è sufficiente a ricostituire il rapporto processuale, salvo l’obbligo del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo e nei cui confronti non sia avvenuta la riassunzione.

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Cass. civ. n. 9357/1992

L’art. 110 c.p.c., secondo il quale, in caso di morte di una parte, il processo è proseguito dal successore universale o nei suoi confronti, esaurisce i propri effetti nella sfera processuale e non si estende fino alla creazione di una legittimazione sostanziale esclusa dalla specifica disciplina del rapporto in contestazione. Ne consegue che, in tema di azione di disconoscimento della paternità, dovendosi escludere, in forza dell’art. 246 c.c., in caso di morte del genitore la legittimazione di soggetti diversi da ascendenti e discendenti, la mancanza di questi ultimi rende improseguibile l’azione da parte del collaterale dell’originario attore, ancorché ne sia erede.

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