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Articolo 375 Codice di procedura civile — Pronuncia in camera di consiglio

Articolo 375 Codice di procedura civile — Pronuncia in camera di consiglio

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

  1. 1) dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360;
  2. [ 2) ordinare l’integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione a norma dell’articolo 332 ovvero che sia rinnovata; ]
  3. [ 3) provvedere in ordine all’estinzione del processo in ogni caso diverso salla rinuncia ; ]
  4. 4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione ;
  5. 5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza.

La Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’articolo 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio.

  1. 1) dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’articolo 360;
  2. [ 2) ordinare l’integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione a norma dell’articolo 332 ovvero che sia rinnovata; ]
  3. [ 3) provvedere in ordine all’estinzione del processo in ogni caso diverso salla rinuncia ; ]
  4. 4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione ;
  5. 5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza.
L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 1316/2012

Nel giudizio di cassazione, è ammissibile la pronuncia in camera di consiglio anche ove si imponga la necessità di annullamento con rinvio al primo giudice per pretermissione originaria di un litisconsorte necessario, ai sensi dell’art. 383, terzo comma, c.p.c., ancorché si tratti di ipotesi non prevista testualmente dall’art. 375 c.p.c..

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Cass. civ. n. 1315/2012

Il procedimento in camera di consiglio presso la Corte di cassazione, previsto dall’art. 375 c.p.c., è ammissibile, nonostante la mancanza di un’espressa previsione, anche in ipotesi di manifesta improseguibilità del processo ex art. 382, terzo comma, c.p.c., inducendo a tale conclusione sia ragioni di economia processuale, desumibili dall’interpretazione costituzionalmente orientata della norma secondo il canone della ragionevole durata del processo, sia l’assenza di pregiudizio per il diritto di difesa delle parti, in quanto poste in grado di interloquire preventivamente sulla questione, a seguito della notificazione della relazione con le memorie di cui all’art. 380 bis c.p.c. e la richiesta di audizione in camera di consiglio, sia per l’identità strutturale del vizio di improseguibilità del processo rispetto a quelli, parimenti in rito, per cui è prevista la pronuncia camerale.

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Cass. civ. n. 21563/2011

Sebbene l’art. 375, comma primo, n. 1, c.p.c., anche nel testo modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, non preveda espressamente tra i casi di applicabilità del procedimento decisorio in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., l’ipotesi di improcedibilità del ricorso, essa vi si deve ritenere egualmente compresa.

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Cass. civ. n. 1878/2011

La decisione della Corte di cassazione sull’estinzione per rinuncia che sia intervenuta successivamente alla comunicazione della fissazione della trattazione in pubblica udienza o alla notificazione e comunicazione della trattazione in camera di consiglio deve essere adottata dalla Corte in composizione collegiale con ordinanza, atteso che è tale la forma di decisione collegiale prescritta dall’art. 375, n. 3, c.p.c. per le dichiarazioni di estinzione del processo al di fuori del caso di rinuncia.

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Cass. civ. n. 19051/2010

Le sezioni unite della Corte, in composizione collegiale possono dichiarare l’estinzione del giudizio per rinuncia delle parti al ricorso, sopravvenuta alla fissazione dell’udienza camerale o pubblica, secondo l’interpretazione coordinata dell’art. 391 e dell’art. 375, n. 3, c.p.c., posto che la limitazione contenuta in quest’ultima norma secondo la quale la Corte, sia a sezioni unite che a sezioni semplici non può provvedere in ordine all’estinzione in caso di rinuncia, introduce un’eccezione da circoscriversi temporalmente solo alla fase del procedimento anteriore alla fissazione dell’adunanza in udienza pubblica o in camera di consiglio.

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Cass. civ. n. 287/2009

La fissazione della trattazione dell’istanza di regolamento preventivo di competenza, così come di giurisdizione, in udienza pubblica e la relativa decisione con sentenza, anziché, ex art. 375 cod. proc. civ., nelle forme del rito camerale con l’emanazione di un’ordinanza, configurano mera irregolarità e non ragioni di illegittimità; invero, da un lato, la trattazione dei ricorsi in pubblica udienza è la regola generale, che assicura la realizzazione dei principi di oralità ed immediatezza, nonché del diritto di difesa e di pubblicità del processo, non recando pertanto essa alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti; dall’altro lato, proprio per effetto della trattazione in pubblica udienza, essendo ormai scisso il legame, istituito dal citato art. 375, fra rito camerale e l’ordinanza che ne costituisce il provvedimento conclusivo, l’istanza di regolamento non può che essere decisa con sentenza, tale forma risultando prescritta in via generale per i provvedimenti collegiali destinati a definire il giudizio all’esito di una pubblica udienza di discussione.

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Cass. civ. n. 23842/2007

L’inammissibilità della pronuncia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la S.C. ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo e al secondo comma dell’art. 375 c.p.c., ovvero emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove la Corte, invece, ritenga che la decisione del ricorso presenta aspetti di evidenza compatibili con l’immediata decisione, ben può pronunciarsi la manifesta infondatezza o la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche ove le conclusioni del P.M. siano, all’opposto, per la trattazione in pubblica udienza.

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Cass. civ. n. 22548/2007

Nel procedimento camerale disciplinato dall’art. 375 c.p.c., non essendo prevista la fase della discussione orale stabilita per l’ordinario giudizio di legittimità in pubblica udienza dall’art. 379, primo comma, c.p.c., non è ammissibile la costituzione tardiva mediante deposito di procura speciale, sia perché tale atto è preordinato al solo fine di consentire alle stesse di partecipare a detta fase del giudizio di legittimità (come si evince dal primo comma, secondo capoverso, dell’art. 370 c.p.c.), sia per le espressioni letterali usate dal legislatore nell’art. 375, ultimo comma, c.p.c. (nel testo anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile ratione temporis) da cui si evince che la facoltà delle parti di interloquire sulle conclusioni del P.M., presentando memorie, e poi di essere sentite, presuppone che sussista il loro diritto a ricevere la comunicazione delle predette conclusioni, e che cioè si siano costituite secondo le modalità ed i termini di cui all’art. 370 c.p.c., e ciò in funzione del rito camerale, la cui struttura semplificata è volta a realizzare il preminente interesse pubblico, di rilievo costituzionale, alla speditezza della definizione dei ricorsi che possono essere celermente decisi.

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Cass. civ. n. 6703/2007

Dato che tutta l’attività del giudice di legittimità è caratterizzata dalla funzione nomofilattica e che, ove siano dedotte questioni attinenti pretese fondate su fonti pattizie, il controllo della Corte di cassazione investe non soltanto il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 1362 ss. c.c., ma anche il controllo della motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione a motivi che contestino l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto collettivo, la manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, ai sensi dell’art. 375 dello stesso c.p.c., può essere ritenuta sulla base delle conclusioni cui siano pervenute precedenti pronunzie della Corte in sede di scrutinio di decisioni di merito fondate sugli stessi profili di fatto e su argomentazioni sostanzialmente identiche. (Nel caso di specie la Corte, similmente a quanto riscontrato da precedenti pronunzie adottate in relazione ad analoghe controversie, ha rilevato che nessuno degli argomenti adottati dal giudice di merito nell’interpretazione del contratto collettivo risulta idoneo a suffragare la soluzione accolta).

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Cass. civ. n. 3724/2007

Nel caso di regolamento di competenza, che sia stato assegnato alle Sezioni Unite, per essere stata prospettata una questione di giurisdizione, la relativa decisione va pronunciata in camera di consiglio, poiché anche l’esame di tale questione resta assoggettato al rito camerale che è proprio del giudizio in cui essa è sorta, fermo restando che il provvedimento conclusivo assume la forma di sentenza, atteso che l’art. 279 c.p.c., nel disciplinare la forma dei provvedimenti, indica che la decisione di questioni pregiudiziali, di giurisdizione e di competenza (se risolutiva) definisce il processo.

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Cass. civ. n. 22144/2006

La trattazione del ricorso con il procedimento camerale disciplinato dall’art. 375 c.p.c. non osta all’audizione, in camera di consiglio, dell’avvocato della parte non costituita (purché munito di procura speciale), non sussistendo valide ragioni, in base ad un’interpretazione conforme ai principi costituzionali di eguaglianza e di tutela del diritto di difesa, per differenziare, in relazione alla natura del rito, l’ipotesi in esame da quella prevista dall’art. 370, primo comma, ultimo periodo, c.p.c., il quale consente all’avvocato della parte non costituita di partecipare alla discussione orale in pubblica udienza.

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Cass. civ. n. 288/2006

In tema di procedimento di cassazione, la declaratoria di improcedibilità del ricorso può essere adottata con procedura camerale. Difatti, pure se l’art. 375 c.p.c. non richiama espressamente l’ipotesi della improcedibilità del ricorso, questa stessa appare unificata con quella della inammissibilità nell’art. 138 disp. att. (secondo cui «il primo presidente della Corte suprema di cassazione, nei casi di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso e negli altri casi previsti nell’art. 375 del codice, dispone l’invio al P.M. dei ricorsi che debbono essere decisi in camera di consiglio…») e non può non ritenersi ricompresa nella previsione del primo comma, n. 1, dello stesso art. 375: sia ove la si affermi prevalente sulla inammissibilità; sia ove la si rapporti ad altre ipotesi di procedura camerale, espressamente previste, come quella della declaratoria di estinzione per rinuncia (primo comma, n. 3); sia, infine, ove la si ragguagli alla esperibilità — introdotta dalla modifica dell’art. 375 citato per effetto dell’art. 1 della legge 24 marzo 2001, n. 89 — della procedura camerale nei casi (attinenti al merito della controversia propriamente detto) di manifesta fondatezza o infondatezza dei ricorsi, non rilevando, per essi, la forma del provvedimento conclusivo (sentenza e non ordinanza), che non viene ad incidere sulla scelta del rito.

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Cass. civ. n. 21291/2005

Con riferimento alla pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., qualora la Corte ritenga le censure manifestamente infondate, non sussistono ragioni incompatibili per la trattazione della causa in camera di consiglio anche se il P.M. abbia concluso per l’inammissibilittà e non per la manifesta infondatezza ai sensi del comma secondo del suddetto articolo.

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Cass. civ. n. 12384/2005

L’inammissibilità della pronuncia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la S.C. ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo e al secondo comma dell’art. 375 c.p.c., ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove la Corte, invece, ritenga che la decisione del ricorso presenta aspetti di evidenza compatibili con l’immediata decisione, ben può pronunciarsi per la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche ove le conclusioni del P.M. fossero, all’opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa.

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Cass. civ. n. 11963/2005

In tema di procedimento di revocazione delle sentenze della S.C., deve ritenersi che gli avvocati delle parti hanno la facoltà di essere sentiti se compaiono, in quanto l’art. 391 bis c.p.c., mentre fissa direttamente la forma della decisione in camera di consiglio, in ordine al modus procedendi prima della decisione rinvia all’art. 375 c.p.c. e tale rinvio — poiché, allorquando una norma rinvia ad un’altra che, come l’art. 375, contiene una disciplina composita e diversa in relazione ad una serie di fattispecie, l’interprete deve necessariamente ricercare all’interno di essa quella cui la fattispecie oggetto della norma dispositiva del rinvio si avvicina e non può, invece, negare efficacia in parte qua al rinvio, per il fatto che il legislatore non abbia espressamente indicato a quale parte della disciplina abbia inteso fare riferimento — comporta l’assimilabilità per omologia della revocazione, quale ipotesi in cui la forma camerale della decisione è prevista dalla legge e non disposta dalla Corte di cassazione (come, invece, nei casi di cui al secondo comma dell’art. 375), a quelle ipotesi per le quali il quarto comma dell’art. 375 prevede l’audizione (cioè a quelle di cui ai nn. 1, 4 e 5), tutte caratterizzate, come la revocazione, dall’interesse alla discussione (a differenza dell’ipotesi di cui al primo comma n. 1, che inerisce a provvedimento interlocutorio, e di quella del primo comma n. 2, che inerisce alla rinuncia). Siffatta interpretazione: a) è altresì rafforzata dalla circostanza che al momento dell’introduzione dell’art. 391 bis l’art. 375 c.p.c. non prevedeva ancora l’audizione in taluni casi dei difensori comparsi, onde il silenzio del legislatore nel disporre il rinvio è ancora più non significativo; b) è suggerita dal rispetto del principio di eguaglianza, in ragione della cennata omologia; c) non comporta, tuttavia, che l’omologia con le indicate ipotesi giustifichi la pronuncia sulla revocazione con ordinanza quando essa riguardi una sentenza (e non un’ordinanza della Corte), atteso che la forma della sentenza per la decisione discende dalla circostanza che la revocazione è impugnazione con fase rescindente e rescissoria, il che impone di «parametrare» la forma della decisione su quella del provvedimento impugnato.

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Cass. civ. n. 8968/2005

Qualora la Corte di cassazione rimetta gli atti al P.G., ai sensi dell’art. 138 disp. att. c.p.c., segnalando un’ipotesi di manifesta fondatezza del ricorso, e la necessità della trattazione di esso in udienza camerale, anche se il P.G. non concordi con tale valutazione richiedendo la trattazione in udienza pubblica, la Corte può ugualmente trattare la causa con procedimento camerale e pronunciare sentenza di rigetto per manifesta infondatezza, ricorrendo in ogni caso un’ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c. per la pronuncia in camera di consiglio.

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Cass. civ. n. 6407/2004

La decisione con la quale viene dichiarata l’inammissibilità del ricorso per Cassazione, se adottata all’esito di un’udienza pubblica, deve essere assunta non con ordinanza, bensì con sentenza, le cui forme debbono ritenersi prescritte (salvo le deroghe che risultino espressamente stabilite dalla legge) tutte le volte che, all’esito di una pubblica udienza di discussione, si adotti un provvedimento collegiale che comporti la definizione del giudizio dinanzi al giudice adito.

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Cass. civ. n. 10841/2003

L’avvenuta fissazione della trattazione di un’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione in udienza pubblica — anziché, come prescritto dall’art. 375 c.p.c., in camera di consiglio — è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l’udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento dì massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti (come è reso palese dall’adeguato termine stabilito per la comunicazione del giorno fissato per l’udienza medesima e dalla possibilità di deposito di memorie illustrative), nell’osservanza più piena del principio del contraddittorio, anche nei confronti del rappresentante del procuratore generale, sulle cui conclusioni è consentito svolgere osservazioni scritte. Peraltro, per effetto della trattazione dell’istanza di regolamento in udienza pubblica resta inciso il legame istituito dal citato art. 375 c.p.c. fra il rito camerale e la prescrizione dell’ordinanza come forma del provvedimento conclusivo, con la conseguenza che alla decisione dell’istanza di regolamento deve essere, in tal caso, attribuita la forma della sentenza, dal combinato disposto degli artt. 131, primo comma, e 279 c.p.c. essendo consentito enucleare, quale principio generale dell’ordinamento processuale (e salve le deroghe che risultino espressamente stabilite dalla legge), la prescrizione di una forma siffatta per i provvedimenti collegiali che, all’esito della pubblica udienza di discussione, comportano la definizione del giudizio davanti al giudice adito.

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Cass. civ. n. 92/1999

Nel giudizio di cassazione le notificazioni di cui all’art. 375, terzo comma, c.p.c. e le comunicazioni di cui al successivo art. 377, secondo comma, vanno effettuate presso la cancelleria della Corte di cassazione, in applicazione di quanto l’art. 366, secondo comma stesso codice stabilisce per il caso di mancata elezione di domicilio, qualora il domiciliatario, indicato con l’elezione di domicilio in precedenza effettuata ai sensi del suddetto secondo comma dell’art. 366 c.p.c., si sia trasferito fuori del luogo indicato con essa, senza comunicare alla Cancelleria della stessa Corte il nuovo domicilio, potendo tale comunicazione acquisire rilevanza fino a quando le attività di notificazione o comunicazione predette presso la Cancelleria non si siano perfezionate e non potendo, invece, assumere alcun rilievo la conoscenza del nuovo indirizzo del domiciliatario che abbia potuto acquisire l’ufficiale giudiziario in occasione di un inutile tentativo di notificazione nell’originario luogo di domiciliazione, ancorché il luogo di trasferimento del domiciliatario (sia esso o meno un avvocato) si situi in Roma, posto che il suddetto secondo comma dell’art. 366 (che ha natura di disposizione generale, atta a regolare non solo la notificazione del controricorso e dell’eventuale ricorso incidentale, ma tutte le notificazioni e comunicazioni da farsi agli avvocati delle parti nel giudizio di cassazione e, quindi, anche quelle di cui all’art. 375, terzo comma e 377 secondo comma) impone di configurare l’elezione di domicilio come una dichiarazione indirizzata ai soggetti che a diverso titolo operano nel giudizio di cassazione (cioè alla controparte; al giudice, per quel che attiene alla rilevanza che essa ha ai fini della regolarità dello svolgimento del processo e dell’esecuzione dei relativi controlli; all’ausiliario, tenuto ad individuare il luogo in cui indirizzare le comunicazioni e notificazioni cui la Cancelleria della Corte deve provvedere), con la conseguenza che un trasferimento del luogo della domiciliazione, per acquisire rilievo come nuova elezione di domicilio, esige anch’esso una specifica dichiarazione indirizzata e comunicata alla Cancelleria della Corte di cassazione.

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Cass. civ. n. 3999/1995

Quando i motivi esposti nel ricorso per cassazione non rientrano tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c. (o art. 362 stesso codice o art. 111 della Costituzione) ovvero sono per una qualsiasi ragione insuscettibili di dare ingresso al sindacato di legittimità sulle ragioni poste a fondamento della decisione, la Corte di cassazione pronuncia il rigetto del ricorso – come si desume dall’art. 375 c.p.c. – dovendo comunque procedere ad un esame del contenuto dello stesso, e non ne dichiara invece l’inammissibilità, la quale presuppone l’inosservanza di norme che regolano l’introduzione del processo davanti alla corte, il che preclude la presa in considerazione dei motivi del ricorso.

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Cass. civ. n. 101/1993

L’operatività dell’art. 375 c.p.c., che, quando sussistono le condizioni ivi previste, prevede la possibilità di trattazione del ricorso per cassazione in camera di consiglio — da ritenersi consentita, in difetto di contraria previsione espressa, anche con riguardo alle pronunce rimesse alla competenza delle Sezioni Unite (nella specie, adite per l’impugnazione di provvedimento disciplinare irrogato al Consiglio Superiore della Magistratura) — non è preclusa dal fatto che il medesimo ricorso sia stato in precedenza fissato per l’udienza pubblica — in quanto il rinvio della causa a nuovo ruolo restituisce al primo presidente il potere di scelta fra tale udienza e l’adunanza della camera di consiglio — e, manifestamente, non viola il diritto costituzionale di difesa, sia perché l’oralità non è di questo diritto connotato indefettibile, sia perché le esigenze difensive sono garantite dall’osservanza di adeguato contraddittorio.

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Cass. civ. n. 121/1991

L’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto, per motivi diversi da quelli attinenti alla giurisdizione, avverso decisioni del giudice amministrativo può essere pronunciata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., (per cui il relativo provvedimento d’assegnazione non ha natura giurisdizionale attenendo ai poteri organizzatori dell’attività della Corte di cassazione) senza che ciò violi gli artt. 24, 111, primo e terzo comma e 113 Cost., in quanto il diritto di difesa della parte è sufficientemente garantito, in relazione alla peculiarità del procedimento seguito, dalla prevista notificazione delle conclusioni del P.M. e dalla possibilità di depositare memorie illustrative; senza che l’esame camerale limiti in modo alcuno il sindacato delle S.U. della Corte di cassazione in ordine al ricorso, il cui mancato esame del merito non discende dal rito adottato, ma dall’apprezzamento della corte stessa espresso in ordine al suo contenuto.

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Cass. civ. n. 111/1991

Al fine della pronuncia in Camera di consiglio sul ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi ed agli effetti dell’art. 375 c.p.c., l’adesione del difensore della parte ad uno sciopero, proclamato dalle associazioni di categoria dei magistrati e degli avvocati per il giorno della relativa adunanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, non ne giustifica il rinvio, richiesto dal detto difensore, non comportando limitazioni al diritto di difesa anche considerato che il difensore medesimo non interviene a detta adunanza, e che, inoltre, il suo potere-dovere di redazione e deposito di memoria, non trova limite con riguardo allo svolgimento dell’adunanza stessa.

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Cass. civ. n. 354/1988

La mancanza dei motivi — che ai sensi dell’art. 375 c.p.c. comporta il rigetto del ricorso per cassazione in camera di consiglio — va individuata non nella omessa indicazione dei motivi (che determina l’inammissibilità a termini dell’art. 366 n. 4 c.p.c.) o nella loro manifesta infondatezza, ma quando il raffronto tra il contenuto sostanziale del ricorso e quello della sentenza impugnata è sufficiente ad evidenziare che le censure sono estranee alla tipologia legale prevista dall’art. 360 c.p.c. ed, in particolare, quando sotto l’apparente denuncia di violazione di legge o di vizi della motivazione, si tende ad ottenere dalla Corte di cassazione un riesame del merito della controversia.

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Cass. civ. n. 1007/1947

Il ricorso per cassazione nel quale manchino i motivi di cui all’art. 360 c.p.c. deve essere dichiarato inammissibile anche nel caso di pronuncia di ordinanza in camera di consiglio, nonostante che nell’art. 375, in relazione a tale ipotesi, sia previsto il rigetto del ricorso: su tale norma, infatti, contraria al sistema delle formule terminative del giudizio per cassazione prevale l’altra dell’art. 366, secondo la quale il ricorso deve contenere tra l’altro l’indicazione dei motivi, a pena di inammissibilità.

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