Art. 136 – Codice penale – Conversione delle pene pecuniarie non eseguite
Le pene principali della multa e dell'ammenda, non eseguite entro il termine di cui all'art. 660 del c.p.p. indicato nell'ordine di esecuzione, si convertono a norma degli articoli 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689. La pena pecuniaria sostitutiva della reclusione o dell'arresto, non eseguita entro lo stesso termine, si converte a norma dell'articolo 71 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 2360/2025
In tema d'interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d'inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell'atto oggetto di erronea interpretazione.
Cass. civ. n. 1995/2025
In materia di contratti, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto - comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere certo e obiettivo - sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo tale da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell'esistenza ed efficacia del contratto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la possibilità di qualificare la qualità di socio della debitrice principale in termini di presupposto implicito delle fideiussioni prestate, onde inferirne la sopravvenuta inefficacia in conseguenza del suo venir meno, trattandosi di situazione di fatto priva di carattere obiettivo, dipendendo dalla volontà ed attività del socio).
Cass. civ. n. 660/2025
indicato dalla norma richiamata - Configurabilità - Conseguenze - Possibilità di evitare la decadenza con una mera richiesta stragiudiziale - Ammissibilità. In tema di contratto autonomo di garanzia, ove le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire "a prima richiesta", l'eventuale rinvio pattizio alla previsione della clausola di decadenza di cui all'art. 1957, comma 1, c.c., deve intendersi riferito - giusta l'applicazione del criterio ermeneutico previsto dall'art. 1363 c.c. - esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione; pertanto, deve ritenersi sufficiente ad evitare la decadenza la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale.
Cass. civ. n. 353/2025
L'interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per erronea o insufficiente motivazione, ovvero per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, la quale deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti canoni; altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di un'interpretazione diversa da quella censurata, come tale inammissibile in sede di legittimità. (Nella specie, in applicazione di detto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con cui - in una causa di risarcimento danni per inadempimento delle obbligazioni assunte da un professionista incaricato dell'isolamento termico di un edificio - si censurava l'interpretazione della Corte territoriale, che aveva escluso la natura novativa degli accordi conclusi tra le parti per l'eliminazione dei vizi, perché tale critica non si era articolata attraverso la prospettazione di un'obiettiva contrarietà al senso comune di quello attribuito al testo e al comportamento interpretato o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell'interpretazione complessiva dell'atto, bensì mediante la mera indicazione dei motivi per cui la lettura interpretativa criticata non era ritenuta condivisibile, rispetto a quella considerata preferibile).
Cass. civ. n. 34588/2024
In tema di pornografia minorile, è ammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca la mancata applicazione dell'attenuante della minore gravità del fatto, riconosciuta per effetto della declaratoria di incostituzionalità, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 2024, sopravvenuta alla decisione in grado di appello, dell'art. 600-ter, comma primo, n. 1, cod. pen., nella parte in cui non prevede che, nei casi di minore gravità, la pena sia diminuita in misura non eccedente i due terzi, a condizione che non emergano elementi di particolare allarme sociale tali da escludere, "ictu oculi", la configurabilità stessa della diminuente speciale.
Cass. civ. n. 32249/2024
In applicazione del principio del "favor rei", può continuarsi ad applicare la norma penale di favore dichiarata incostituzionale ai soli fatti commessi durante la sua apparente vigenza, ma non a quelli perpetrati nel vigore di una disciplina pregressa, dovendosi escludere che la declaratoria di illegittimità costituzionale possa determinare un trattamento più favorevole anche con riferimento ai fatti posti in essere sotto la vigenza della legge penale precedente, maggiormente severa. (Fattispecie in tema di commercio clandestino di sostanze anabolizzanti, avvenuto nella vigenza del disposto, meno favorevole, di cui dell'art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, che precedette l'entrata in vigore dell'art. 586-bis cod. pen., il cui comma 7 è stato dichiarato incostituzionale da Corte cost. n. 105 del 2022, limitatamente alle parole «al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»).
Cass. civ. n. 25154/2024
In tema di determinazione dell'indennità di espropriazione, la sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del criterio del VAM (valore agricolo medio), trova applicazione ai rapporti non ancora definitivamente esauriti, con riguardo ai quali l'indennità va stimata utilizzando il criterio generale del valore venale pieno.
Cass. civ. n. 23056/2024
La mancata comunicazione dell'ordinanza di scioglimento della riserva con la quale siano stati assegnati i termini ex art. 190 c.p.c. costituisce motivo di nullità della sentenza, senza che la parte risulti onerata di indicare quale pregiudizio, in concreto, le sia derivato da tale inosservanza, trattandosi di ipotesi, equiparabile a quella della mancata assegnazione dei suddetti termini, di impedimento all'esercizio, nella sua pienezza, del diritto di difesa con conseguente violazione del principio del contraddittorio.
Cass. civ. n. 18401/2024
In tema di rapporto di lavoro del personale ferroviario, ai fini della diversa quantificazione dell'indennità di utilizzazione di cui all'art. 31 del Contratto aziendale di Gruppo FS, la contrattazione collettiva qualifica come "condotta continuativa ed effettiva" esclusivamente l'attività nel corso della quale il lavoratore PDM (personale di macchina) è responsabile della guida del treno e come "lavoro" le attività accessorie e complementari da eseguire prima della partenza e dopo l'arrivo dei treni, mentre rientra nella nozione di "condotta continuativa" l'attività che ricomprende due periodi di guida del treno senza intervalli di pausa o con intervalli di pausa inferiori ai 15 minuti netti ovvero con fermate di servizio inferiori ai 30 minuti, sicché le eventuali operazioni accessorie o complementari restano in essa assorbite.
Cass. civ. n. 18388/2024
Nel rito cd. Fornero, il termine breve per proporre reclamo avverso la sentenza che decide il ricorso in opposizione, di cui all'art. 1, comma 58, della l. n. 92 del 2012, decorre dalla comunicazione di cancelleria del testo integrale della decisione all'indirizzo PEC del difensore, il cui perfezionamento deve essere certificato dalle ricevute di accettazione e consegna generate dal sistema, senza che possano ammettersi atti equipollenti (nella specie, l'attestazione di cancelleria circa l'avvenuta comunicazione telematica della sentenza), e il messaggio di mancata consegna per fatto imputabile al destinatario rende necessaria la comunicazione mediante deposito dell'atto in cancelleria, ex art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012, conv. dalla l. n. 221 del 2012.
Cass. civ. n. 18214/2024
In tema di sindacato sull'interpretazione dei contratti, la parte che ha proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una clausola contrattuale non può contestare, in sede di giudizio di legittimità, la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione con cui il ricorrente aveva rivendicato un'interpretazione alternativa, plausibile e a sé più favorevole, in ordine ad una comunicazione del datore di lavoro che, secondo l'assunto del giudice d'appello, non documentava la cessazione dall'incarico di amministratore delegato ad iniziativa dei vertici aziendali, non consentendogli così di accedere ai benefici previsti da un accordo precedentemente intercorso tra le parti).
Cass. civ. n. 18016/2024
In materia di addizionale Ires per le imprese operanti nel settore della commercializzazione degli idrocarburi (c.d. Robin tax), la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008, disposta a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2015 nella G.U., non produce effetti sulle obbligazioni tributarie riguardanti adempimenti relativi ai periodi d'imposta chiusi in data antecedente al 12 febbraio 2015, con esclusione, pertanto, del diritto al rimborso dei relativi versamenti, anche se effettuati successivamente a tale data.
Cass. civ. n. 15568/2024
La richiesta del lavoratore, anteriore alla scadenza del periodo di comporto, di fruire dell'aspettativa senza stipendio di cui all'art. 51 del c.c.n.l. personale servizi di pulizia del 31 maggio 2011 determina il naturale prolungamento del comporto oltre il previsto termine di dodici mesi, con la conseguenza che nessun licenziamento può essere validamente intimato in detto periodo.
Cass. civ. n. 13210/2024
In materia di patto commissorio, l'art. 2744 c.c. deve essere interpretato in maniera funzionale, sicché in forza della sua previsione risulta colpito da nullità non solo il "patto" ivi descritto, ma qualunque tipo di convenzione, quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento giuridico, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito. (Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia che aveva escluso la sussistenza della patto illecito di garanzia in relazione ad una vendita, qualificata come datio in solutum dando assorbente prevalenza alla mancanza del patto di retrovendita nel contratto definitivo, senza considerare che tale negozio costituiva l'ultimo di quelli conclusi tra le medesime parti per saldare un debito pregresso accertato, quali la scrittura privata di concessione d'iscrizione ipoteca, il rilascio di titoli bancari, la stipula di un preliminare di vendita contenente patto di retrovendita collegato al saldo del debito e non già al pagamento di un prezzo, indici dello scopo finale di garanzia piuttosto che di quello di scambio).
Cass. civ. n. 12300/2024
Non integrano violazione dell'art. 3, comma 5, del d.l. n. 726 del 1984, conv. in l. n. 863 del 1984, e non danno luogo a trattamento discriminatorio, le clausole della contrattazione collettiva nazionale che, nel contesto di una riforma degli istituti contrattuali della retribuzione, distinguono i lavoratori con contratto di formazione e lavoro, poi trasformato in contratto a tempo indeterminato, dal personale già in servizio con rapporto a tempo indeterminato, sancendo l'equiparazione dei primi al personale di nuova assunzione, ai soli fini dell'esclusione dall'attribuzione di nuove voci salariali, senza incidere sulla conservazione dell'anzianità di servizio. (Nella specie, la S.C. ha affermato che legittimamente i lavoratori con contratto di formazione e lavoro dell'ATAC s.p.a. erano stati esclusi dalla fruizione dell'elemento di riordino del sistema retributivo - cd. E.R.S. -, in quanto emolumento non correlato all'anzianità di servizio).
Cass. civ. n. 10430/2024
La missiva contenente la richiesta di pagamento "a saldo di ogni spettanza fino a quella data maturata" (nella specie peraltro inviata in corso di causa), in mancanza di una più univoca volontà abdicativa del professionista, non assume valore dispositivo e di rinuncia ad ogni ulteriore pretesa ed a specifici diritti in esecuzione dell'incarico di patrocinio non essendo ammissibile frazionare l'unitarietà della prestazione professionale.
Cass. civ. n. 8982/2024
Nel caso in cui l'appello venga respinto, perché rigettato integralmente, ovvero dichiarato inammissibile o improcedibile, il giudice attesta l'obbligo dell'appellante, ancorché ammesso in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 (cd. TUSG), rilevando a tal fine soltanto l'elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, mentre le condizioni soggettive della parte vanno invece verificate, nella loro specifica esistenza e permanenza, a cura della cancelleria al momento dell'eventuale successiva attività di recupero del contributo.
Cass. civ. n. 8334/2024
In tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, richiesto a pena di inammissibilità dall'art. 365 c.p.c., è integrato, indipendentemente dal suo contenuto, dalla congiunzione (cd "collocazione topografica") realizzata dall'avvocato, ex art. 83, comma 3, c.p.c., tra la procura rilasciata su foglio separato con firma autenticata e l'atto cui si riferisce, e quindi anche se la procura non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in maniera evidente, la non riferibilità all'attività professionale tipica del giudizio di legittimità, ed il suo conferimento non sia antecedente alla pubblicazione di detto provvedimento o successivo alla notificazione del ricorso.
Cass. civ. n. 7974/2024
L'avvocato difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ha diritto a compenso per l'attività svolta in sede di mediazione obbligatoria conclusa positivamente senza avvio della lite giudiziale, per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 10 del 2022 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., gli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 - nella parte in cui non prevedono l'applicabilità del patrocinio a spese dello Stato ai procedimenti di mediazione ex art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2018 quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo - non potendo più trovare applicazione la norma dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione della declaratoria di illegittimità.
Cass. civ. n. 7354/2024
Nelle procedure di mobilità del personale docente di fascia C per l'anno scolastico 2016-2017, l'assegnazione delle cattedre avviene, ex art. 6 del c.c.n.i. dell'8 aprile 2016 e del relativo Allegato 1, in considerazione delle preferenze espresse dai candidati, senza che sussista alcuna violazione del criterio meritocratico di cui all'art. 97 Cost., essendosi in una fase successiva a quella del reclutamento: ne consegue che all'assegnazione non si procede seguendo una graduatoria unitaria riferita a ciascun ambito territoriale, articolata tenendo conto del punteggio conseguito da ogni insegnante, ma sulla scorta di distinte graduatorie, elaborate sulla base dell'ordine di preferenze espresso dal richiedente in relazione ai vari ambiti territoriali, strutturate al loro interno in considerazione del punteggio conseguito.
Cass. civ. n. 6839/2024
Il contratto di ormeggio, pur rientrando nella categoria dei contratti atipici, é sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale, consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo; il suo contenuto può, tuttavia, estendersi anche ad altre prestazioni, quali la custodia del natante o delle cose in esso contenute, nel qual caso compete a chi fonda un determinato diritto o la responsabilità dell'altro contraente, sullo specifico oggetto della convenzione, fornire, anche a mezzo presunzioni, la relativa prova. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in relazione ad un furto di un natante ormeggiato presso un circolo nautico, aveva escluso la sussistenza di un'obbligazione di custodia senza valutare, ai fini della prova presuntiva dell'inclusione del servizio di guardiania nel contratto, tutti gli elementi indiziari acquisiti in giudizio, quali la previsione di uno specifico costo, con doppio pagamento per il noleggio e per la guardiania, e la presenza di una sottoscrizione, risultata apocrifa, di una clausola di esonero da responsabilità del circolo nell'ipotesi di furto).
Cass. civ. n. 4600/2024
Il passaggio in giudicato della sentenza che dichiari l'inammissibilità, per ragioni di rito, di un'opposizione a decreto ingiuntivo, al pari dell'estinzione del giudizio incardinato dall'opposizione, la quale riguarda solo l'opposizione al decreto in quanto accertativo del credito al momento della sua pronuncia, non precludono al debitore ingiunto di far valere - con un'azione di accertamento negativo o, se sia minacciata o iniziata l'esecuzione sulla base del decreto, attraverso gli strumenti, secondo i casi, dell'opposizione al precetto o all'esecuzione - eventuali fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato in via monitoria verificatisi tra l'emissione del decreto ingiuntivo ed il termine per proporre opposizione, ovvero sopravvenuti nel corso del giudizio ex art. 645 cod. proc. civ., ancorché gli stessi fossero stati introdotti in tale sede senza formare oggetto di una specifica domanda di accertamento. (Affermando tale principio, la S.C. ha ritenuto che l'estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non influisse sul valore vincolante della transazione raggiunta in ordine al limite di esigibilità della somme dovute sulla scorta del decreto ingiuntivo opposto, così rigettando il ricorso avverso la decisione impugnata che aveva confermato l'ammissione allo stato passivo del fallimento del credito, non nella sua integralità, ma per la minor somma oggetto di accordo transattivo).
Cass. civ. n. 3521/2024
La denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, è parifìcata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché anch'essa comporta, in
Cass. civ. n. 2028/2024
In tema di sospensione del processo a seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, il dies a quo del termine per la riassunzione del giudizio deve essere diversamente individuato nelle ipotesi di sospensione necessaria e di sospensione anomala del giudizio: nel primo caso - relativo al giudizio da cui è promanato l'incidente di costituzionalità -, esso è rappresentato dal giorno in cui avviene la comunicazione alla parte, ad opera della cancelleria del giudice che ha disposto la sospensione, della pronuncia della Corte costituzionale che ha definito la questione di legittimità costituzionalità ad essa rimessa, mentre, nel secondo caso - di pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice -, esso è rappresentato dal giorno di pubblicazione della predetta pronuncia nella Gazzetta Ufficiale.
Cass. civ. n. 45175/2023
Il verbale d'udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è disciplinato dall'art. 2700 cod. civ. (Conf.: n. 7785 del 1996,
Cass. civ. n. 34018/2023
L'art. 6 del c.c.n.i. concernente la mobilità del personale docente per l'anno scolastico 2016/2017 - ove è previsto, con riferimento ai docenti assunti nell'anno scolastico 2015/2016 provenienti da graduatorie ad esaurimento, che "La mobilità avverrà secondo un ordine di preferenza tra tutti gli ambiti territoriali" - va interpretato, avuto anche riguardo all'"Allegato 1" al predetto c.c.n.i. - il quale dispone, tra l'altro, che "Per ciascuna delle operazioni l'ordine di graduatoria degli aspiranti è determinato, per ciascuna preferenza, sulla base degli elementi di cui alla tabella di valutazione dei titoli allegata al presente contratto" e che "L'ordine in cui vengono esaminate le richieste è dato dal più alto punteggio" -, nel senso che l'assegnazione delle cattedre consegue alla formazione di plurime e distinte graduatorie secondo l'ordine di preferenza espresso dai candidati con riferimento a ciascun ambito territoriale, al loro interno poi strutturate sulla base del punteggio conseguito da ciascun candidato, e non alla formazione di una graduatoria unitaria riferita a ciascun ambito territoriale tra quelli indicati dai candidati ed articolata sulla base del punteggio conseguito.
Cass. civ. n. 26993/2023
L'art. 42 del c.c.n.l. Aiop del 2002-2005, nella parte in cui prevede che "il datore di lavoro può recedere dal rapporto allorquando il lavoratore si assenti oltre il limite dei diciotto mesi complessivi nell'arco di un quadriennio mobile", va interpretato nel senso della non cumulabilità delle assenze per malattia con quelle per infortunio, in quanto le parti collettive - come si evince dal chiaro tenore della complessiva regolamentazione contenuta nel predetto articolo - hanno previsto e disciplinato il comporto con esclusivo riferimento alle assenze per malattia.
Cass. civ. n. 26360/2023
Il decreto interministeriale di approvazione delle delibere e dei regolamenti della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali esula dalla fattispecie costitutiva di tali atti, di natura negoziale, e dal novero dei requisiti che ne determinano l'esistenza e la validità, configurandosi come una "condicio iuris" che opera retroattivamente sin dall'emanazione degli atti stessi, salvo che non sia indicato un termine diverso. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la pronuncia impugnata che aveva affermato l'assoggettamento della domanda di pensione al requisito anagrafico stabilito da un regolamento entrato in vigore in data antecedente alla presentazione della predetta domanda, benchè l'approvazione ministeriale del regolamento in questione fosse intervenuta successivamente).
Cass. civ. n. 22307/2023
registrazione, ha interesse a tutelare la correttezza del sindacato della Commissione sulle decisioni di una propria articolazione interna (UIBM).
Cass. civ. n. 20878/2023
A seguito della sentenza Corte costituzionale n. 40 del 2019, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella parte relativa al minimo edittale, fissato in anni otto di reclusione piuttosto che in anni sei, deve ritenersi illegale la pena inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente, anche con riferimento ai fatti commessi in epoca precedente al 30 dicembre 2005. (In motivazione, la Corte ha precisato che, pur trovando origine la predetta declaratoria di illegittimità costituzionale nell'assetto sanzionatorio determinatosi per effetto della sentenza Corte cost. n. 32 del 2014, non risultano poste altre limitazioni o condizioni alla sua applicazione).
Cass. civ. n. 20713/2023
La designazione convenzionale di un foro territoriale come esclusivo presuppone una pattuizione espressa, che non può essere desunta in via di argomentazione logica da elementi presuntivi, dovendo per converso essere inequivoca e non lasciar adito ad alcun dubbio circa l'intenzione delle parti di escludere la competenza degli altri fori contemplati dalla legge; in tal caso, la parte che eccepisca l'incompetenza del giudice adito non è tenuta a contestare ulteriormente tutti i fori alternativamente concorrenti.
Cass. civ. n. 19873/2023
L'obbligazione alternativa presuppone che entrambe le prestazioni dedotte in obbligazione facciano carico al medesimo soggetto. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in relazione ad una compravendita immobiliare in favore di una società, aveva ritenuto il pagamento del prezzo convenuto dalla società come obbligazione alternativa rispetto a quella di trasferimento di una quota sociale, a cui si era impegnato il socio).
Cass. civ. n. 19492/2023
In tema di appalto pubblico, ove lo scioglimento del contratto sia dipeso dall'annullamento delle delibere di approvazione del progetto e di adozione delle relative varianti per la mancanza o l'inadeguatezza della verifica di compatibilità ambientale e la carenza di adeguate indagini geologiche e geognostiche, e ove siano altresì riscontrate carenze del progetto, viene in considerazione, ai fini delle reciproche responsabilità, il principio di cui all'art. 2055 c.c., e ciò che rileva è sempre il fatto nella sua unicità, a prescindere dalla identità delle norme giuridiche violate da ciascuno; in questi casi è possibile escludere il nesso di causalità rispetto ad alcune delle condotte quando, motivando caso per caso, possa riconoscersi a uno degli antecedenti causali un'efficienza non semplicemente preponderante, ma determinante e assorbente, tale da escludere ogni effettivo nesso tra l'evento e gli altri fatti ridotti al semplice rango di occasioni.
Cass. civ. n. 18801/2023
reddituale - Revoca - Obbligatorietà - Esclusione - Attivazione dei poteri officiosi d’indagine da parte del giudice, anche in sede di opposizione alla revoca - Necessità - Fattispecie. In tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la mancata indicazione numerica della situazione reddituale nell'autodichiarazione da allegare all'istanza di ammissione al beneficio non costituisce di per sé motivo di revoca dell'ammissione disposta in via provvisoria, dovendo il giudice – anche in sede di opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 – attivare i poteri istruttori officiosi in relazione alla determinazione non solo del "quantum", ma anche dell'"an". (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato l'ordinanza del giudice di merito che aveva rigettato il ricorso in opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002 avverso il decreto di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta in via provvisoria dal Consiglio dell'odine degli avvocati, evidenziando che nella sezione ove andavano indicati i redditi, la ricorrente non aveva indicato alcuna cifra espressa in numeri, limitandosi a dichiarare "vivo con i miei genitori che mi sostengono economicamente").
Cass. civ. n. 17943/2023
Non sono applicabili i criteri ermeneutici previsti in materia contrattuale dagli artt. 1362 ss. c.c. nell'interpretazione del precetto, atto di natura non processuale che preannuncia l'esecuzione forzata e ha un contenuto legale tipico, consistente nell'assegnazione al destinatario di un termine per il pagamento e nella correlata minaccia di agire coattivamente in mancanza di quello.
Cass. civ. n. 16155/2023
In tema di protezione internazionale, nei giudizi di appello la revoca dell'ammissione dello straniero al gratuito patrocinio con effetto "ex tunc" è ammessa, ex art. 136 TUSG, limitatamente alle ipotesi in cui risultino insussistenti i presupposti per l'ammissione ovvero l'interessato abbia agito o resistito in giudizio, fin dall'origine, con mala fede o colpa grave. (Nella specie, la S.C. ha cassato l'ordinanza emessa in sede di appello con la quale era stata revocata l'ammissione al beneficio del ricorrente "ex tunc" in ragione della manifesta infondatezza dei motivi di appello).
Cass. civ. n. 13779/2023
In tema di prestazioni sanitarie in regime di convenzionamento, ai fini del tetto massimo rimborsabile alla struttura, in difetto di espressa previsione in tal senso nella convenzione, non può calcolarsi anche la somma a carico del privato, poiché tale computo è contrario alla "ratio" del limite massimo, che è quella di porre un tetto alla spesa pubblica, ossia al rimborso a carico dell'ASL, a cui non concorre, pertanto, la somma a carico del privato.
Cass. civ. n. 9387/2023
La domanda diretta a far accertare la non conformità alla legge o al regolamento del contenuto della decisione approvata in una riunione di partecipanti al condominio, quale riportato nel relativo verbale, sia pure per mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, o per impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico, da valutarsi in relazione al difetto assoluto di attribuzioni, può comunque integrare gli estremi di un'azione di accertamento della nullità o dell'inesistenza materiale di detta deliberazione e può pertanto essere proposta da un condomino, se a tale accertamento egli abbia un interesse concreto e attuale, diretto ad eliminare la situazione di obiettiva incertezza che la delibera generava quanto al contenuto dell'assetto organizzativo della materia regolata.
Cass. civ. n. 5288/2023
L'art. 175 del c.c.n.l. del 18 luglio 2008 per i dipendenti delle aziende del settore terziario - ove è tra l'altro previsto che "durante la malattia, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento" - deve essere interpretato nel senso che esso non contempla una ipotesi di comporto cd. secco, non contenendo alcun riferimento al carattere consecutivo, cioè ininterrotto, delle assenze.
Cass. civ. n. 4332/2023
L'art. 51 del c.c.n.l. 31 maggio 2011 per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi - che prevede un limite massimo di conservazione del posto in caso di assenze per infermità e, nel contempo, quanto agli operai, il diritto alle retribuzioni fino a guarigione nel caso di infortunio sul lavoro - va interpretato nel senso della non computabilità delle assenze per infortunio nel periodo di comporto, stante la inequivoca previsione di diversità degli effetti determinati dai distinti eventi patologici della malattia e dell'infortunio nell'ambito del rapporto di lavoro nella sua integralità; infatti, in caso di malattia, il superamento dei limiti di conservazione del posto comporta la cessazione ovvero, eventualmente, la sospensione del rapporto, mentre, in caso di infortunio, la corresponsione integrale della retribuzione fino alla guarigione clinica determina la continuità giuridica del rapporto stesso.
Cass. civ. n. 3142/2023
conseguentemente presumere rientrante nella competenza del giudice adito, ai sensi dell'art. 14, comma 1, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto di competenza del tribunale la domanda di risarcimento del danno nella quale l'attrice, nel fare ricorso alla suddetta formula in alternativa all'indicazione della somma di euro 3.450,00, aveva altresì rinviato, per la determinazione del "quantum", alle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio da espletarsi eventualmente nel giudizio).
Cass. civ. n. 1940/2023
In tema di infortuni sul lavoro derivati dall'inosservanza delle regole per la realizzazione di ponteggi destinati all'esecuzione di "lavori in quota", integra la violazione dell'art. 136 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, l'omessa previsione di misure atte a garantire la stabilità del ponteggio in uso, senza che rilevi la quota o l'altezza dal suolo alle quali operano i lavoratori. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure l'affermazione di responsabilità del datore di lavoro per le gravi lesioni riportate da un operaio, impegnato in lavori edili in uno dei piani più bassi del ponteggio, a seguito della caduta determinata dal ribaltamento della struttura, non ancorata alla parete, né altrimenti stabilizzata, come prescritto dal piano di montaggio).
Cass. pen. n. 12153/2011
Ai fini dell'accertamento dell'insolvibilità del condannato - che costituisce il presupposto della conversione della pena pecuniaria, nella specie, in quella di libertà controllata - il pignoramento negativo pur potendo costituire prova sufficiente della predetta insolvibilità non riveste, tuttavia, carattere di prova necessaria ed esclusiva, non sussistendo in "subiecta" materia alcuna gerarchia delle fonti di prova.
Cass. pen. n. 26358/2005
Il condannato al pagamento della pena pecuniaria è tenuto al pagamento della pena anche nel caso in cui sia stata pronunciata nei suoi confronti dichiarazione di fallimento. Ne consegue che il giudice di sorveglianza può stabilire la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata, ritenendo accertato lo stato di effettiva insolvibilità del condannato sulla base dell'infruttuoso esperimento del pignoramento dei beni.
Presupposto della conversione delle pene pecuniarie è la verifica dell'effettiva insolvibilità del condannato, da intendersi come permanente impossibilità di adempiere, ed è distinta dalla situazione di insolvenza, che rappresenta invece uno stato transitorio, che consente il differimento o la rateizzazione della pena pecuniaria.
Cass. pen. n. 46129/2003
È legittimo il diniego del nulla-osta al rilascio del passaporto, a norma dell'art. 3, lett. d), della L. 21 novembre 1967 n. 1185, in relazione all'esecuzione di pena pecuniaria convertibile in libertà controllata per una durata superiore a due mesi, in quanto l'eventuale conversione comporta comunque una restrizione della libertà personale e, in caso di violazione delle prescrizioni inerenti alla predetta sanzione sostitutiva, quest'ultima si tramuta nella pena della reclusione o dell'arresto, secondo la specie di pena pecuniaria originariamente inflitta. (Fattispecie relativa all'esecuzione della pena di lire 24.000.000 di multa).
Cass. pen. n. 15021/2001
La durata della libertà controllata da applicarsi in conversione di pene pecuniarie inflitte con diverse pronunce di condanna va determinata non sulla base del cumulo di dette pene, ma facendo invece riferimento a ciascuna di esse, separatamente, nell'osservanza delle regole dettate dall'art. 102 della legge 24 novembre 1981 n. 689, fermo restando che la somma dei vari periodi di libertà controllata così determinati non può superare i limiti massimi stabiliti dal successivo art. 103 della stessa legge. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha censurato, la decisione del magistrato di sorveglianza il quale, prendendo a base il cumulo delle pene inflitte, aveva determinato la durata della libertà controllata in misura coincidente con il limite massimo di un anno e sei mesi stabilito, trattandosi di multe, dall'art. 103 della legge n. 689/1981; limite che risultava superiore alla somma aritmetica dei periodi in libertà controllata determinabili, con riguardo a ciascuna delle pene da convertire, secondo il criterio stabilito dall'art. 102 e, quindi, con l'operatività del limite ivi previsto di un anno per ciascuna pena).
Cass. pen. n. 6654/1996
Presupposto della conversione di pene pecuniarie, di cui agli artt. 136 c.p., 660 comma 2 c.p.p., e 102 L. 24 novembre 1981 n. 689 è l'effettiva insolvibilità del condannato, intesa come situazione oggettiva e permanente di impossibilità di adempienza. (Nella specie la Corte ha rigettato il ricorso affermando che il ricorrente è percettore di redditi da lavoro dipendente aggredibili nei limiti consentiti dalla legge, con conseguente non configurabilità di una situazione di «effettiva insolvenza»).
Cass. pen. n. 1233/1995
Il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza, a fronte della richiesta, da parte del pubblico ministero, di conversione di pena pecuniaria per insolvibilità di condannato irreperibile, declini la competenza propria e di qualsiasi altro magistrato di sorveglianza, restituendo gli atti allo stesso pubblico ministero, non è qualificabile - indipendentemente dalla sua fondatezza o meno - come abnorme, ma è assimilabile, per il suo contenuto sostanziale, ad una declaratoria di inammissibilità della richiesta, pronunciata ai sensi dell'art. 666, comma secondo, c.p.p. Avverso detto provvedimento, quindi, in base a quanto previsto dall'ultima parte della disposizione normativa ora richiamata, è esperibile ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 5892/1995
Ai fini della individuazione del magistrato di sorveglianza territorialmente competente a provvedere sulla richiesta di conversione della pena pecuniaria per insolvibilità del condannato, deve in ogni caso farsi riferimento al luogo di residenza di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 107 della L. 24 novembre 1981 n. 689, atteso il carattere di specialità di tale norma rispetto alla disciplina generale dettata, in materia di competenza per territorio della magistratura di sorveglianza, dall'art. 677 c.p.p. Ne consegue che, ai fini anzidetti, non può, quindi, aversi riguardo al luogo in cui il condannato sia detenuto o internato, specie quando la privazione della libertà sia di non lunga durata e tale, quindi, da non comportare uno stabile radicamento in quel medesimo luogo degli usuali interessi del soggetto; e ciò anche alla luce della considerazione pratica secondo cui il magistrato di sorveglianza del luogo in cui il condannato ha, da libero, la sua abituale residenza è meglio in grado di determinare le modalità di esecuzione della pena conseguente alla conversione, di controllarne l'effettiva osservanza e di adottare, in caso di inadempienza, gli opportuni rimedi.
Cass. pen. n. 5741/1995
È possibile procedere alla conversione della pena pecuniaria nella sanzione sostitutiva della libertà controllata solo dopo il rintraccio del debitore, in quanto è necessario preventivamente accertare il suo stato di insolvibilità. Ne consegue che, poiché l'accertamento di tale condizione non può prescindere dal materiale reperimento del condannato, spetta al P.M., organo preposto all'esecuzione ex art. 665, comma 1, c.p.p., provvedere al rintraccio del condannato, che costituisce il presupposto indispensabile per lo svolgimento dell'intera esecuzione.
Cass. pen. n. 5740/1995
Nei confronti di condannato a pena pecuniaria che risulti irreperibile non può ritenersi accertata, ai sensi dell'art. 660, comma 2, c.p.p. la «effettiva insolvibilità» e non può, conseguentemente, darsi luogo a provvedimento di conversione della pena anzidetta, presupponendo, fra l'altro, un tale provvedimento, ai sensi dell'art. 107, comma 2, della L. 24 novembre 1981, n. 689, anche la previa audizione del condannato stesso.
Cass. pen. n. 4800/1995
La capacità del condannato di essere assoggettato a pena pecuniaria rimane integra anche dopo la sua dichiarazione di fallimento; in tale ipotesi si realizza una situazione di insolvenza — che rappresenta uno stato transitorio — e non di insolvibilità per cui il magistrato di sorveglianza non deve procedere alla conversione della pena pecuniaria, ma può procedere al differimento o alla rateizzazione della medesima, escluso ogni obbligo di insinuazione del credito nel passivo fallimentare.
Cass. pen. n. 3801/1994
La conversione della pena pecuniaria può aver luogo, una volta accertata l'insolvenza del condannato, solo dopo il materiale reperimento di costui: evento, questo, cui è subordinata l'intera esecuzione.
Cass. pen. n. 3565/1994
Alla stregua dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 30 giugno 1971, n. 149 (richiamata dalla più recente sentenza della stessa corte in data 7 aprile 1987, n. 108), con la quale veniva dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 136 c.p. limitatamente alla possibilità di conversione della pena pecuniaria in pena detentiva (secondo la disciplina allora vigente), prima della chiusura della procedura fallimentare, quando si trattasse di condanna inflitta al fallito per reati commessi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, deve ritenersi che, anche nella vigente disciplina (artt. 660 c.p.p. e 102 della L. 24 novembre 1981, n. 689), permanendo la validità dei detti principi, la conversione delle pene pecuniarie nei confronti del fallito sia subordinata alle medesime condizioni a suo tempo indicate dal giudice delle leggi.
Cass. pen. n. 1260/1994
Presupposto per la conversione delle pene pecuniarie è l'insolvenza del condannato, il cui accertamento, ad opera del pubblico ministero quale organo preposto all'esecuzione delle sentenze, non può che aver luogo dopo il materiale reperimento del condannato stesso, anche perché quest'ultimo, originariamente insolvibile, può aver mutato la propria condizione. Ne consegue che, nell'ipotesi di irreperibilità del condannato, l'intera esecuzione (e non la sola conversione della pena pecuniaria) resta subordinata all'effettivo rintraccio della persona che vi deve essere sottoposta.
Cass. pen. n. 1346/1994
La competenza a provvedere in ordine alla conversione di pene pecuniarie è attribuita dal secondo comma dell'art. 660 c.p.p. al magistrato di sorveglianza, la cui competenza territoriale va individuata, quando il procedimento non riguardi reclusi o internati, sulla scorta del criterio di collegamento della residenza del condannato, dettato dall'art. 107 L. 24 novembre 1981 n. 689, secondo il disposto dell'art. 677 c.p.p. che nel dettare i criteri di determinazione della competenza territoriale fa espressa salvezza, per le ipotesi che l'interessato non sia detenuto o internato, di diversi criteri indicati dalla legge.
Cass. pen. n. 1180/1994
In tema di conversione di pene pecuniarie, il titolo che dispone la misura in cui la pena è convertita e le modalità concrete di esecuzione della stessa sono concettualmente diversi, sicché il collegamento solo «funzionale» operato tra le relative statuizioni dal quarto comma dell'art. 660 c.p.p. non è di ostacolo ad una separata decisione, quando, sorto l'obbligo di convertire la pena pecuniaria, non sia ancora possibile determinare le modalità di esecuzione della misura applicata, come avviene nel caso di condannato irreperibile. (Fattispecie in cui il magistrato di sorveglianza aveva dichiarato la propria incompetenza a disporre la conversione della pena pecuniaria nei confronti di un condannato irreperibile, assumendo che fino a quando costui non fosse stato reperito non poteva essere operata la conversione in quanto non risultava possibile determinare nel contempo le modalità di esecuzione della misura sostitutiva; la Cassazione ha ritenuto infondato tale assunto ed ha enunciato il principio di cui in massima, osservando altresì che anche il disposto dell'art. 102 L. 24 novembre 1981, n. 689, che consente di far cessare in ogni momento la pena sostitutiva a mezzo del pagamento della pena pecuniaria dovuta, rende opportuno che anche nel caso di irreperibilità si proceda comunque alla formazione del titolo relativo alla conversione, onde porre l'onere al condannato di attivarsi al pagamento per evitare la pena sostitutiva).
In tema di esecuzione di pene pecuniarie, con l'espressione «impossibilità di esazione», contenuta nell'art. 660 c.p.p., non viene indicato un termine tecnico assimilabile all'insolvenza, ma si intende solo significare una obiettiva situazione, attribuibile a qualsiasi ragione, transitoria o definitiva, che costituisce impedimento al regolare recupero della pena pecuniaria.