Art. 146 – Codice civile – Allontanamento dalla residenza familiare
Il diritto all'assistenza morale e materiale previsto dall'articolo 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare [144], rifiuta di tornarvi.
La proposizione della domanda di separazione [150 ss.] o di annullamento [117 ss.] o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare.
Il giudice può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi [179, 215 ss.], nella misura atta a garantire l'adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 143, terzo comma, e 147.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14537/2025
In relazione al contratto autonomo di garanzia con clausola che limita la facoltà di opporre eccezioni, una volta accertata la qualità di consumatore del garante, non sussiste alcun impedimento ad applicare la disciplina del codice del consumo sulle clausole vessatorie.
Cass. civ. n. 14030/2025
In tema di inadempimenti contrattuali reciproci, la loro valutazione comparativa non può essere effettuata in base a un criterio meramente cronologico, addebitando la colpa alla parte che si sia resa inadempiente per prima, ma deve essere condotta secondo un criterio di proporzionalità, confrontando le condotte in base alla loro incidenza sul sinallagma contrattuale.
Cass. civ. n. 11942/2025
Laddove la procedura di rinnovo della carica di direttore generale dell'ENAM non risulti perfezionata con la stipula del contratto e si verifichi, ai sensi dell'art. 7, comma 3-bis, d.l. n. 78 del 2010, la soppressione dell'ente con conseguente subentro dell'INPDAP, è legittima la determinazione di mancato rinnovo dell'incarico, giacché la normativa sopravvenuta determina l'impossibilità giuridica della prestazione oggetto del contratto e la sua conseguente risoluzione, per ragioni dovute alla diversa organizzazione dell'amministrazione subentrante e al venir meno della pregressa funzione apicale.
Cass. civ. n. 11827/2025
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciale, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della l. n. 392 del 1978 (e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge), il conduttore che, scaduto il contratto, rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennità di avviamento a lui dovuta, è obbligato esclusivamente al pagamento del corrispettivo convenuto, a nulla rilevando il godimento dell'immobile o la sua mera detenzione senza concreta utilizzazione.
Cass. civ. n. 1701/2025
In tema di contratto di appalto, ove il committente convenuto in giudizio dall'appaltatore per il pagamento del corrispettivo sollevi l'eccezione generale di inadempimento, spetta all'appaltatore provare l'esatto adempimento della propria obbligazione, mentre ove il committente – che abbia la disponibilità fisica e giuridica dell'opera – proponga domanda di garanzia speciale per le difformità e vizi, spetta allo stesso appaltante dimostrare l'esistenza di tali difformità e vizi e delle conseguenze dannose lamentate.
Cass. civ. n. 25517/2024
L'art. 35, comma 1, della l.r. Lazio n. 4 del 2013 ha previsto la cessazione degli organi dell'ASP (Agenzia di sanità pubblica) - tra i quali figura il direttore generale - alla data di insediamento del commissario liquidatore; ne consegue che il contratto di lavoro intervenuto tra il predetto ente e il direttore generale deve considerarsi risolto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in applicazione dell'art. 1463 c.c. (Nella specie, confermando il rigetto del ricorso proposto dalla lavoratrice, la S.C. ha affermato che la soppressione del posto oggetto dell'incarico consegue alla complessiva ristrutturazione del servizio operata dal legislatore regionale, che ha previsto il trasferimento del solo personale a tempo indeterminato alle Istituzioni subentrate all'ASP).
Cass. civ. n. 21070/2024
Posto che l'eccezione ex art. 1460 c.c. può operare con riguardo a inadempimenti afferenti a rapporti diversi nel solo caso in cui questi ultimi siano stati voluti dalle parti, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, come funzionalmente e teleologicamente collegati, il mancato pagamento del corrispettivo relativo a un contratto di somministrazione di energia elettrica non abilita il fornitore a sospendere - ex art. 1565 c.c., norma che costituisce specificazione della generale eccezione di inadempimento - l'esecuzione di un distinto contratto, successivamente stipulato con lo stesso cliente, non potendosi configurare un collegamento negoziale tra rapporti i cui effetti si producono in periodi cronologicamente successivi.
Cass. civ. n. 19042/2024
In tema di interposizione di manodopera, l'obbligo retributivo del datore effettivo decorre dalla c.d. messa in mora (recte, dall'intimazione a ricevere la prestazione), la quale non dev'essere necessariamente successiva alla pronunzia dichiarativa della fittizietà dell'interposizione, perché nullità dell'interposizione e messa in mora sono elementi costitutivi del predetto obbligo, ma non sono richiesti secondo una rigida e predeterminata sequenza temporale. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto valida la messa in mora contenuta nell'atto introduttivo del giudizio).
Cass. civ. n. 18587/2024
L'eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, in quanto la gravità dell'inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l'eccezione d'inadempimento non estingue il contratto, pur potendo il creditore avvalersi dell'eccezione anche nel caso di inesatto inadempimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato il provvedimento impugnato che aveva ritenuto correttamente sollevata l'eccezione di inadempimento a opera della curatela fallimentare nel giudizio di opposizione allo stato passivo in cui si contestava la mancata ammissione del credito di un professionista che aveva eseguito prestazioni relative a un concordato preventivo dichiarato inammissibile e seguito da fallimento.).
Cass. civ. n. 13435/2024
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all'esproprio, intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare, abilita la parte acquirente a chiedere la risoluzione del contratto per il venir meno della causa in concreto, ovvero dell'istituto della presupposizione qualora si accerti che l'acquisto del terreno si fondava sull'attuale assetto urbanistico del bene promesso in vendita che ne consentiva una potenziale modifica da destinazione agricola ad area edificabile, considerato che successivamente alla stipula del contratto si è determinato oggettivamente un ulteriore e imprevedibile limite alla potenziale sua edificabilità, con il rischio di una futura perdita dello stesso diritto dominicale su parte del terreno promesso in vendita.
Cass. civ. n. 11243/2024
L'accertamento dell'acquisto a titolo originario della servitù di passaggio a favore del dante causa che trasmetta a titolo derivativo il proprio fondo, per il principio di ambulatorietà della servitù, esclude la necessità di accertare l'esistenza di un rapporto diretto tra l'avente causa e il fondo acquistato. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto di dover verificare i presupposti di cui all'art. 1146 comma 2, c.c. in capo all'avente causa di un fondo sul quale il dante causa aveva già maturato il diritto di servitù di passaggio a titolo originario).
Cass. civ. n. 11032/2024
In tema di separazione personale dei coniugi, l'allontanamento dalla casa familiare, costituendo violazione del dovere di coabitazione, è motivo di addebito solo ove abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, non avendo invece rilievo in caso di preesistente intollerabilità della convivenza, anche per una sola persona della coppia, con conseguente declino dei reciproci diritti e doveri matrimoniali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di addebito, dando rilievo ad una missiva in cui la moglie, prima del suo allontanamento dalla casa coniugale, aveva manifestato la volontà di separarsi).
Cass. civ. n. 8713/2024
La clausola solve et repete, prevista dall'art. 1462 c.c., avendo un contenuto fondamentalmente di diritto sostanziale, realizza la sua funzione anche se l'adempimento avviene nel corso del giudizio e per effetto di un provvedimento giurisdizionale non definitivo, con la conseguenza che il preventivo adempimento non è qualificabile come presupposto processuale e l'eccezione o la domanda riconvenzionale potenzialmente colpite dall'operare della clausola possono essere esaminate quando, sia pure nel corso del giudizio, sia avvenuto il soddisfacimento del diritto. (Nella specie la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza che aveva dichiarato improcedibile la domanda volta all'accertamento dell'illegittimità della fatturazione e della richiesta di pagamento del corrispettivo della somministrazione di energia elettrica, non avendo la ricorrente allegato e provato di aver proceduto al pagamento nel corso del giudizio).
Cass. civ. n. 8621/2024
In tema di pubblicità immobiliare, l'istituto dell'accessione del possesso non è sempre incompatibile con il sistema tavolare, occorrendo esaminare il contenuto del titolo di trasferimento del diritto reale e verificare se esso presenti elementi idonei a dimostrarne gli esatti confini, poiché l'incompatibilità sussiste solo ove si riscontri l'assoluta carenza di intavolazione del titolo di proprietà del dante causa, mentre ove essa esista, occorre verificare se, unitamente alla proprietà del bene, vi siano i presupposti per riconoscere anche l'accessione del possesso di eventuali diritti reali di servitù, o comproprietà, su beni diversi, posti a servizio di quello trasferito.
Cass. civ. n. 8286/2024
Nei contratti a prestazioni corrispettive, l'impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore non determina la risoluzione, ma la sola sospensione del contratto, per la cui ripresa non è necessaria una messa in mora, pur occorrendo che sussista ancora l'interesse del debitore a conseguire la prestazione e che il contraente fosse a conoscenza della causa di impossibilità temporanea. (Fattispecie relativa all'interruzione temporanea della somministrazione di energia elettrica a causa del furto dei cavi elettrici perpetrato da terzi).
Cass. civ. n. 1281/2024
In tema di appalto privato, il committente non può paralizzare l'esigibilità dei crediti dell'appaltatore eccependo che questi non ha provato l'adempimento delle sue obbligazioni nei confronti dei propri dipendenti, in quanto la responsabilità ex art. 1676 c.c. è subordinata all'esistenza di un debito del committente verso l'appaltatore con onere della prova a carico del lavoratore che chiede il pagamento, diversamente da quella prevista ex art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, che configura una responsabilità solidale del committente e dell'appaltatore nei confronti di coloro che lavorano per quest'ultimo. (Fattispecie in tema di subappalto).
Cass. civ. n. 785/2024
In tema di mediazione, la clausola predisposta unilateralmente dal mediatore - che prevede il diritto del compenso provvigionale, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un soggetto che si sia avvalso della sua attività qualora l'affare sia stato successivamente concluso da un familiare, società o persona "riconducibile" - è vessatoria ed abusiva, ai sensi dell'art.1341 c.c. e dell'art.33 del Codice del Consumo, in quanto determina un significativo squilibrio a carico del consumatore, obbligato ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento, anche in via presuntiva, del preventivo accordo con il soggetto che ha concluso l'affare o di ogni altra circostanza concreta da cui risulti che l'affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti. (Principio affermato dalla S.C. in fattispecie in cui, successivamente alla scadenza della mediazione, il contratto di locazione oggetto della stessa, veniva concluso dal coniuge della parte che si era vista rifiutare l'originaria proposta).
Cass. civ. n. 636/2024
Domanda di restituzione parziale del canone - Giurisdizione del giudice ordinario - Sussistenza – Fondamento - Fattispecie. La domanda con la quale l'utente del servizio idrico integrato chieda la riduzione del canone in ragione del parziale inadempimento della società somministrante appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, venendo in questione non già la mancata adozione di provvedimenti amministrativi volti a rideterminare la tariffa, bensì la contestazione che l'ammontare stabilito spetti per intero al cospetto di un inesatto adempimento. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla domanda volta alla riduzione, per il futuro, del canone del servizio idrico integrato, in considerazione della presenza, nell'acqua somministrata, di una quantità intollerabile di arsenico, che aveva reso la stessa non potabile per un certo periodo).
Cass. civ. n. 35554/2023
In tema di ammissione allo stato passivo dei crediti relativi ai compensi maturati dal professionista incaricato dal debitore per le prestazioni rese ai fini dell'accesso al concordato preventivo e per l'assistenza nel corso della procedura, il curatore, che solleva nel giudizio di verifica l'eccezione d'inadempimento, ha solo l'onere di contestare la negligente esecuzione della prestazione o il suo incompleto adempimento, restando a carico del professionista, pur in assenza di un'obbligazione di risultato, l'onere di dimostrare l'esattezza del suo adempimento ovvero l'imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili, dell'evoluzione negativa della procedura, culminata nella sua cessazione - anticipata o non approvata giudizialmente - e nel conseguente fallimento.
Cass. civ. n. 27590/2023
Il patto col debitore in forza del quale il creditore si obbliga a non mettere in esecuzione, per un determinato periodo di tempo e a certe condizioni, il credito portato da un titolo esecutivo (c.d. "pactum de non exequendo"), se stipulato prima della formazione del giudicato nel processo avente ad oggetto l'accertamento del credito, non preclude al creditore, una volta munito del titolo, la legittimazione a proporre l'istanza di fallimento del debitore, in quanto le parti possono disporre della situazione sostanziale, ma non dell'oggetto del processo.
Cass. civ. n. 27152/2023
L'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell'art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto, richiede l'incidenza sul sinallagma contrattuale di eventi che non rientrano nell'ambito della normale alea contrattuale e che si caratterizzano per la loro straordinarietà, connotato di natura oggettiva che qualifica un evento in base all'apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l'intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico); e per la loro imprevedibilità, che ha fondamento soggettivo, in quanto fa riferimento alla fenomenologia della conoscenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che, con riguardo ad un contratto di fornitura di mais stipulato il 7 agosto 2008, aveva escluso che il calo repentino del prezzo del prodotto in misura del 40% tra il mese di luglio e quello di agosto dello stesso anno potesse considerarsi evento straordinario ed imprevedibile, sul rilievo che l'acquirente, stabilmente operante nel settore, fosse già a conoscenza, nel periodo di riferimento, della tendenza al ribasso dei prezzi di mercato).
Cass. civ. n. 25258/2023
Non integra un'azione di ripetizione dell'indebito la domanda di restituzione della quota della tariffa del servizio idrico integrato che si assume non dovuta in ragione dell'assenza o del mancato funzionamento dell'impianto di depurazione, perché non è fondata sull'inesistenza originaria o sopravvenuta dell'obbligazione adempiuta dall'utente, ma è piuttosto riconducibile al rimedio di cui all'art. 1460 c.c. (sia pure esperito in via di azione, anziché di eccezione), con la conseguenza che, in caso di cessione d'azienda, legittimato passivo non è il cedente che ha ricevuto il pagamento, bensì il cessionario succeduto nei rapporti contrattuali di utenza in corso di esecuzione al momento della cessione, in applicazione dell'art. 2558 c.c. e non dell'art. 2560 c.c.
Cass. civ. n. 23606/2023
Il principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (risoluzione del contratto, "exceptio inadimpleti contractus" ecc.) non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari (per essere questi ultimi caratterizzati non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo, sicché i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell'esclusione del socio) non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all'organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. proposta dal socio nei confronti di una società cooperativa agricola e zootecnica, venendo in rilievo un rapporto di natura sinallagmatica tra l'obbligo del socio di conferire il latte e quello della società di pagamento del conferimento stesso).
Cass. civ. n. 21845/2023
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, il contegno del conduttore che, dopo aver denunciato i vizi del bene locato, accetti il rinnovo automatico del contratto alla prima scadenza, comporta l'implicita rinuncia a farli valere, in conseguenza della quale gli è precluso di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone o il risarcimento del danno o l'esatto adempimento, nonché di avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c..
Cass. civ. n. 15676/2023
Costituisce inadempimento all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, cui il lavoratore può opporre eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c., la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale disposta unilateralmente dal datore di lavoro.
Cass. civ. n. 10227/2023
L'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare conservativa irrogata ad alcuni dipendenti, aventi qualifica di macchinista, di Trenitalia s.p.a. - a causa del rifiuto dai medesimi opposto all'ordine datoriale di eseguire la prestazione a partire dalle ore 4.25, in anticipo rispetto all'orario ordinario delle 5.00 -, avuto riguardo, in una valutazione comparativa del comportamento delle parti, da un lato, all'assenza di profili di illiceità penalmente rilevanti nella richiesta di turno allargato, peraltro effettuata al massimo in due occasioni, senza quindi pregiudizio per le esigenze vitali dei lavoratori, e, dall'altro, alle conseguenze negative che tale rifiuto aveva provocato sul funzionamento del servizio di trasporto pubblico gestito dalla società).
Cass. civ. n. 9612/2023
Deve considerarsi come non apposta per nullità parziale di protezione, ex art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005, la clausola contenuta in un contratto di mediazione che preveda la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell'affare, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, poiché determina un significativo squilibrio normativo ex art. 33, comma 1, del citato d.lgs., così stravolgendo il fondamento causale dell'operazione economica posta in essere dalle parti.
Cass. civ. n. 9063/2023
Il professionista, nell'espletamento della prestazione promessa, è obbligato ai sensi dell'art. 1176 c.c. ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale di cui lo stesso risponde anche per colpa lieve, perdendo il diritto al compenso. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che – pur avendo riconosciuto che la progettazione affidata ad un gruppo di professionisti non rispettava i limiti di altezza rispetto al piano stradale previsto dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, rendendo così irrealizzabile l'opera commissionata – aveva riconosciuto il diritto dei professionisti a ricevere parte del compenso, sul rilievo che la società committente aveva potuto profittare del progetto).
Cass. civ. n. 8579/2023
In tema di accessione nel possesso ex art. 1146, comma 2, c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori ed il successore a titolo particolare possa unire al proprio quello del dante causa, è necessario che il trasferimento sia giustificato da un titolo astrattamente idoneo al passaggio della proprietà od altro diritto reale sul bene. (Nella specie, la S.C. ha escluso, per difetto di forma dell'atto traslativo, l'operatività dell'accessione rispetto al possesso di un sottotetto non menzionato nel titolo di acquisto del dante causa e riportato, invece, nella successiva vendita di costui alla propria avente causa, nei cui confronti il condominio rivendicava il sottotetto in questione quale bene comune.)
Cass. civ. n. 3351/2023
La dichiarazione di fallimento non integra, ai sensi dell'art. 2119, secondo comma c.c., una giusta causa di risoluzione del rapporto, sicché esso non si risolve ex lege, per effetto dell'apertura della procedura concorsuale, ma entra in una fase di sospensione, così deviando dall'ordinario principio di diritto comune, che attribuisce una tale tutela alla parte non inadempiente, in virtù dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., ovvero alla parte non insolvente, in virtù della facoltà di sospensione della propria prestazione ex art 1461 c.c. Un tale sistema si giustifica perché il curatore, a tutela della soddisfazione delle ragioni dei creditori cui la procedura fallimentare è finalizzata, abbia un tempo per valutare la convenienza di una scelta, autorizzata dal comitato dei creditori, tra il subentro nel rapporto, assumendone tutti gli obblighi del datore di lavoro fallito, ovvero lo scioglimento dal rapporto medesimo, senza assumerne alcun obbligo. Qualora, il curatore fallimentare opti per lo scioglimento del rapporto, esso cessa per effetto non già della dichiarazione di fallimento ex se, bensì, in presenza di un giustificato motivo oggettivo quale, ad esempio, la cessazione dell'attività di impresa, per effetto dell'esercizio di una facoltà comunque sottoposta al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi.
Cass. civ. n. 7041/2023
In tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimpleti non est adimplendum" al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame.
Cass. civ. n. 6728/2022
Il principio dell'accessione del possesso è applicabile non solo all'usucapione di cui all'art. 1158 c.c., ma anche a quella decennale di cui all'art. 1159 c.c.; in quest'ultimo caso, ai fini della maturazione dell'usucapione abbreviata in favore di chi abbia acquistato da meno di dieci anni e unisca al proprio il possesso del suo autore per goderne gli effetti, il decennio "ad usucapionem" decorre dalla data della trascrizione del titolo di acquisto del suo autore.
Cass. civ. n. 8596/2022
In tema di accessione del possesso, di cui all'art. 1146, comma 2 c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo, ancorché invalido o proveniente "a non domino", a giustificare la "traditio" del bene oggetto del possesso. (Nella specie, il venditore si era dichiarato proprietario del bene stesso per usucapione, pur in assenza di sentenza dichiarativa dell'intervenuta usucapione.
Cass. civ. n. 4079/2022
In caso di appalto di servizi, a fronte dell'inadempimento, da parte dell'appaltatore, dell'obbligo di presentazione del documento unico di regolarità contributiva (DURC), il committente è legittimato a sospendere il pagamento delle prestazioni, ai sensi dell'art. 1460 c.c., stante la sinallagmaticità del rapporto contrattuale e l'esposizione del committente al rischio di rispondere in solido del versamento degli oneri previdenziali e contributivi ex art. 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. (Fattispecie in tema di appalto di servizi di pulizia stipulato da un Condominio).
Cass. civ. n. 4225/2022
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, l'esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva. Ne deriva che, in caso di risoluzione, rispetto alle reciproche prestazioni già eseguite, il rapporto deve intendersi esaurito senza alcun effetto restitutorio e con l'ulteriore conseguenza che l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c.. può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga temporalmente e logicamente alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta all'eccipiente e sempre che non vi sia una complessiva irregolarità di esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 17020/2022
In tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l"exceptio non rite adimpleti contractus", di cui all'articolo 1460 c.c., si fonda su due presupposti: l'esistenza dell'inadempimento anche dell'altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell' immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perchè tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore.
Cass. civ. n. 24427/2022
Una questione pregiudiziale idonea a configurarsi quale causa pregiudiziale postula non solo che vi sia una domanda di parte relativa ad un punto costituente un antecedente logico necessario, di fatto o di diritto, rispetto alla decisione della controversia principale proposta - che come tale può essere accertato in via incidentale - ma anche che tale questione assuma un rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre il rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione della cosa giudicata a tutela di un interesse giuridico concreto, che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata.(Nella specie, in riferimento alla questione relativa all'accertamento della intervenuta risoluzione di un contratto di appalto prima del suo scioglimento per determinazione dei Commissari straordinari di una amministrazione straordinaria, la S.C. ha escluso che la stessa dovesse ritenersi una causa pregiudiziale in senso tecnico, essendo l'azione volta ad ottenere dalla committente il pagamento del corrispettivo dei lavori eseguiti, senza che la stessa potesse avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., con la conseguenza di escludere altresì la qualità di parte soccombente, come tale legittimata all'appello, in capo all'amministrazione straordinaria, pure convenuta in primo grado).
Cass. civ. n. 16914/2022
In tema di revocatoria fallimentare della compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l'accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto l'art. 67 l.fall. ricollega la consapevolezza dell'insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo al tempo del preliminare (salvo che ne sia provato il carattere fraudolento), tenuto anche conto che, qualora al momento della stipula del contratto definitivo si presenti il pericolo di revoca dell'acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore, il promissario acquirente ha comunque la facoltà di non concludere il contratto di compravendita, invocando il disposto dell'art. 1461 c.c.
Cass. civ. n. 11639/2022
In tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui al vecchio testo dell'art. 1469-bis cod. civ. (ora art. 33 del Codice del consumo, approvato con D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206), la qualifica di "consumatore" spetta solo alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice "consumatore" soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività; correlativamente deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto non necessariamente nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale.
Cass. civ. n. 37716/2022
Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attività produttiva. Ne consegue che il dipendente "sospeso" non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di "mora credendi", il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione.
Cass. civ. n. 19940/2022
Il divieto di cessione del diritto reale di uso su una porzione di cortile condominiale attribuito ad uno dei condomini non comporta che non sia configurabile in favore del successore a titolo particolare nella proprietà individuale dell'unità immobiliare, al cui servizio essa è destinata, anche in difetto di espressa menzione dei diritto d'uso nel contratto di alienazione, l'accessione del possesso agli effetti dell'art. 1146, comma 2, c.c. (nella specie, allo scopo di suffragare una maturata usucapione), occorrendo ai fini del cumulo dei distinti possessi del successore e del suo autore unicamente la prova di un 'titolo' astrattamente idoneo, ancorché invalido, a giustificare la "traditio" del medesimo oggetto del possesso. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che l'accessione del possesso del diritto reale di uso dell'area di cortile antistante l'unità immobiliare di proprietà esclusiva, può realizzarsi in favore del successore a titolo particolare nella proprietà dell'immobile, unendo il proprio possesso a quello della società costruttrice, relativo all'uso esclusivo della porzione di cortile riservato dal regolamento condominiale).
Cass. civ. n. 24175/2021
In tema di accessione nel possesso, mentre il comma 1 dell'art. 1146 c.c. stabilisce la continuazione del possesso del "de cuius" in capo all'erede senza alcuna interruzione per effetto dell'apertura della successione, il comma 2 della cit. norma prevede, per il successore a titolo particolare (tanto "inter vivos" quanto "mortis causa"), la facoltà di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra "ipso facto" nel possesso della cosa per effetto dell'acquisto del diritto, occorrendo, all'uopo, che si stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, seppur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'"accessio possessionis", il semplice diritto a possedere.
Cass. civ. n. 11793/2021
Per quanto concerne l'addebito della separazione, va osservato che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l'onere incombe su chi ha posto in essere l'abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto, anche se la domanda di separazione non sia stata già proposta. Tale prova è, poi, ancora più rigorosa - a carico di colui che pone in essere l'abbandono - nell'ipotesi in cui l'allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d'intollerabilità.
Cass. civ. n. 12719/2021
L'eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, in quanto la gravità dell'inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l'eccezione d'inadempimento non estingue il contratto, pur potendo il creditore avvalersi dell'eccezione anche nel caso di inesatto inadempimento. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 10/01/2018).
Cass. civ. n. 2622/2021
Nei contratti cosiddetti commutativi le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull'equilibrio delle prestazioni, ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l'effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, la applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell'ordinaria disciplina del contratto (art. 1467 e 1664 cod. civ.). L'assunzione del suddetto rischio supplementare può formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni; l'accertamento, in concreto, di detta volontà, attraverso l'interpretazione delle clausole contrattuali, costituisce un'indagine di fatto riservata al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se esente da errori di diritto.
Cass. civ. n. 40279/2021
Il perdurare di determinate condizioni di mercato, oggettive ed esterne, rispetto al contratto, non può essere considerato quale presupposto implicito di un accordo negoziale, in quanto la valutazione della permanenza di tali condizioni rientra nella normale alea che ciascun contraente accetta prima di intraprendere un rapporto contrattuale destinato a protrarsi nel tempo. A diversa conclusione può giungersi soltanto ove le suddette condizioni, mutando, integrino la situazione di straordinarietà ed imprevedibilità delineata dall'art. 1467 c.c., ovvero allorquando sia lo stesso legislatore a contemplare il mutamento delle condizioni oggettive del mercato quale presupposto legittimante una anticipata richiesta di porre fine al rapporto contrattuale.
Cass. civ. n. 36740/2021
La nozione di significativo squilibrio contenuta nell'art. 1469-bis c.c. (e, successivamente, nell'art. 33 codice del consumo), relativamente alle clausole vessatorie contenute nei contratti tra professionista e consumatore, fa esclusivo riferimento ad uno squilibrio di carattere giuridico e normativo, riguardante la distribuzione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, non consentendo invece di sindacare l'equilibrio economico, ossia la convenienza economica dell'affare concluso.
Cass. civ. n. 9359/2021
Il coerede che, dopo la morte del "de cuius", sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, però, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", risultando a tal fine insufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune. (Nella specie la S.C., riformando la pronuncia di merito, ha escluso che possa costituire prova dell'usucapione di un appartamento la circostanza che il coerede, che già vi abitava con il padre, abbia continuato, dopo la morte di questi, ad essere l'unico ad averne la disponibilità). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 10/07/2015).
Cass. civ. n. 11792/2021
Il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto.
Cass. civ. n. 36329/2021
L'impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell'art. 1218 c.c., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con la estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole.
Cass. civ. n. 12241/2020
Non è addebitabile la separazione a chi lasci la casa familiare in un contesto di intollerabilità della prosecuzione della convivenza causata dal contegno di entrambi i coniugi, rivelatisi inidonei a costruire persino un progetto di vita matrimoniale.
Cass. civ. n. 24698/2020
La dazione di ipoteca a favore di un terzo è un negozio unilaterale, non un contratto sinallagmatico, e ad essa non si applica la disciplina prevista dall'art. 1461 c.c., il presupposto della quale è la sussistenza di un contratto a prestazioni corrispettive, vale a dire un contratto in cui ognuna delle parti assuma una obbligazione verso l'altra, e rispetto al quale ciascuna di tali obbligazioni sia, nello stesso tempo, causa e effetto dell'altra.
Cass. civ. n. 23284/2019
Nel caso in cui sia dedotta la violazione dell'obbligo coniugale di convivenza, la prova dell'avvenuto allontanamento dal domicilio coniugale, a cura del coniuge che lo denuncia, è sufficiente ad integrare la fattispecie ai sensi dell'art. 146, comma 1, c.c., a meno che il coniuge che si è allontanato non provi che ciò sia avvenuto per giusta causa. (Nel caso di specie, correttamente la Corte di appello, stante il carattere incontestato dell'allontanamento denunciato, ha ritenuto sussistere la violazione del dovere coniugale da parte del G., sulla considerazione che questi aveva sostenuto che alla data del suo allontanamento la crisi coniugale era già scoppiata e che l'allontanamento era una conseguenza dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, senza tuttavia fornire alcuna prova di ciò che aveva prospettato come "giusta causa", ma affermandolo solo labilmente: tale statuizione non risulta nemmeno impugnata, tale non potendosi ritenere l'affermazione contenuta in ricorso, secondo la quale dagli atti sarebbe emerso che la crisi coniugale era da ascrivere a differenze caratteriali, attesa la assoluta genericità e mancanza di specificità della stessa).
Cass. civ. n. 23987/2019
In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti (nella specie per lo stato di inagibilità dell'immobile conseguente ad evento sismico), non trova applicazione l'art. 1591 c.c. - non essendo configurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati e la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni stessi nel periodo tra la cessazione del contratto e la effettiva riconsegna - ma la disciplina generale dettata dall'art. 1463 c.c. Ne consegue che il locatore è tenuto, per far valere il diritto alla restituzione del bene, a formulare apposita domanda - valendo essa a rendere imputabile al conduttore il ritardo - e, per ottenere il risarcimento del danno per ritardata restituzione, a dare prova di aver subito un effettivo pregiudizio dalla mancata disponibilità dell'immobile, non potendo tale pregiudizio ritenersi sussistente in re ipsa.
Cass. civ. n. 13960/2019
In tema di locazione finanziaria, il concedente che paghi al fornitore il prezzo del bene pur essendo a conoscenza del mancato adempimento, da parte di quest'ultimo, dell'obbligo di consegna, non può pretendere dall'utilizzatore il rimborso della somma versata atteso che, costituendo l'inadempimento del fornitore una causa di sopravvenuta impossibilità di adempiere ai sensi dell'art. 1463 c.c., il pagamento effettuato risulta privo di causa e non giustificabile in rapporto all'obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto sussistente il diritto del concedente al recupero del corrispettivo, considerando priva di effetti, in quanto non giustificata da un interesse meritevole di tutela, la clausola del contratto di leasing che poneva comunque a carico dell'utilizzatore il rimborso del prezzo).
Cass. civ. n. 3974/2019
La distruzione del bene locato, la quale fa venir meno l'obbligo di manutenzione a carico del locatore rendendo applicabile la disciplina dell'impossibilità sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, ricorre non solo quando il bene locato sia totalmente distrutto, ma anche quando la rovina, pur essendo parziale, riguardi gli elementi principali e strutturali del bene pregiudicandone definitivamente la funzionalità e l'attitudine a prestarsi al godimento previsto dalle parti con il contratto, fermo restando che la distruzione di un singolo elemento essenziale o strutturale non equivale a distruzione parziale dell'immobile locato solo se gli altri elementi, rimasti in efficienza, assicurino la consistenza complessiva dell'immobile e la sua funzionalità. (Nella specie, il giudice di merito, con decisione confermata dalla S.C., aveva affermato che non fosse stato dimostrato il verificarsi di una causa di impossibilità sopravvenuta tenuto conto che la dichiarazione di inagibilità dell'immobile riconducibile ad un evento sismico non poteva ritenersi equivalente alla sua distruzione totale o parziale, avendo inoltre accertato che, a seguito del sisma, il rapporto locatizio era proseguito per un triennio).
Cass. civ. n. 7225/2019
L'atipicità della causa di un contratto di compravendita immobiliare determinata dall'assunzione della garanzia di redditività del bene venduto non esclude la corrispettività tra le prestazioni a carico delle parti e la conseguente operatività, nel caso di eccessiva onerosità, non dell'art. 1468 cod. civ., bensì dell'art. 1467, primo e terzo comma, cod. civ., secondo cui è attribuito alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per avvenimenti straordinari e imprevedibili unicamente il potere di chiedere la risoluzione del contratto e soltanto alla parte, contro la quale è domandata la risoluzione, quello di evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. (Rigetta, App. Roma, 14/10/2003).
Cass. civ. n. 8760/2019
L'eccezione di inadempimento, anche se sollevata in buona fede, non ha effetti liberatori ma solo sospensivi; pertanto, quando ad essa faccia seguito una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della parte contro cui fu sollevata l'"exceptio inadimpleti contractus", gli effetti risarcitori, liberatori e restitutori della risoluzione restano disciplinati dalle previsioni dell'art. 1458c.c. art. 1458 - Effetti della risoluzione c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva erroneamente attribuito all'eccezione ex art. 1460 c.c. un effetto liberatorio non considerando che, una volta risolto il contratto di durata, nella specie di affitto di azienda, l'effetto della risoluzione non poteva travolgere l'obbligo del pagamento dei canoni). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, 17/06/2016).
Cass. civ. n. 14505/2018
La continuazione del possesso in favore dell'erede opera automaticamente, ai sensi dell'art. 1146, comma 1, c.c., diversamente dalla "accessio possessionis" a vantaggio del successore a titolo particolare di cui all'art. 1146, comma 2, c.c. che, invece, rimette alla volontà dell'acquirente, manifestata anche implicitamente e senza il ricorso a forme sacramentali, la scelta di unire il proprio possesso a quello del dante causa.