Art. 273 – Codice di procedura civile – Riunione di procedimenti relativi alla stessa causa
Se più procedimenti relativi alla stessa causa [39 c.p.c.] pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d'ufficio, ne ordina la riunione.
Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per la stessa causa pende procedimento davanti ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto la riunione, determinando la sezione o designando il giudice davanti al quale il procedimento deve proseguire.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 1877/2025
Poiché la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell'effettivo "thema decidendum et probandum", restando, anzi, intatta l'autonomia di ciascuna causa, il giudice - in osservanza del principio del "ne bis in idem" e allo scopo di non favorire l'abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni - deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l'eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l'impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, nella quale i giudici di merito avevano esteso ad un identico giudizio successivamente instaurato le preclusioni maturate nell'ambito di un primo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, rimasto sostanzialmente privo di definizione, poiché la causa "aveva perso il suo oggetto", essendo stato il provvedimento monitorio dichiarato inefficace in un autonomo procedimento ex art. 188 disp. att. c.p.c.).
Cass. civ. n. 25584/2024
Nell'ipotesi di espropriazione forzata di un bene locato, il pagamento di canoni locativi eseguito dal locatario all'esecutato-locatore, nel corso del processo esecutivo ma prima della designazione del custode professionale o della conoscenza della surroga nella custodia, ha efficacia liberatoria nei confronti della procedura a condizione che sussistano i requisiti della fattispecie di cui all'art. 1189 c.c., ovvero che il conduttore provi, oltre alla sua buona fede, l'esecuzione del pagamento in favore del creditore apparente, il quale deve risultare da una prova documentale munita di data certa ex art. 2704 c.c., non potendosi attribuire valore confessorio, nei confronti del custode giudiziario, a quietanze o dichiarazioni giudiziali rilasciate dall'esecutato.
Cass. civ. n. 20341/2024
In tema di misure cautelari reali, il giudice, nel valutare il "fumus commissi delicti", presupposto del sequestro preventivo, non può limitarsi all'astratta verifica della sussumibilità del fatto in un'ipotesi di reato, ma è tenuto ad accertare l'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell'evento alla condotta dell'indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall'art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali.
Cass. civ. n. 16780/2024
Nel giudizio risarcitorio promosso per i danni derivanti dalla trasfusione di sangue infetto, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all'indennizzo ai sensi della l. n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso, da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, nei confronti non solo del Ministero della Salute, ma anche di altri soggetti eventualmente responsabili sul piano risarcitorio (nella specie la gestione liquidatoria di una soppressa USSL), in ragione della natura di presunzione semplice del mezzo di prova.
Cass. civ. n. 15431/2024
In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, la sottoscrizione del modulo di contestazione amichevole da parte di entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro determina una presunzione iuris tantum valevole nei confronti dell'assicuratore, sul quale grava l'onere di fornire la prova contraria che i fatti si sono svolti con modalità e conseguenze diverse e incompatibili da quelle indicate su quel modulo dalle parti.
Cass. civ. n. 2438/2024
In materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d'incidente (cosiddetto C.I.D.) deve ritenersi preclusa dall'esistenza di un'accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto prevalenti, rispetto a quanto emergente dal C.I.D., le risultanze di consulenze tecniche d'ufficio disposte nel corso del giudizio intercorso tra il danneggiato e l'assicuratore).
Cass. civ. n. 1976/2024
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, configura un'ipotesi di ingiustizia formale del titolo custodiale ai sensi dell'art. 314, comma 2, cod. proc. pen. la mancata conferma, ex art. 27 cod. proc. pen., della misura cautelare applicata dal giudice per le indagini preliminari dichiaratosi incompetente in difetto delle condizioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., trattandosi di decisione definitiva favorevole all'indagato, assunta in un procedimento cautelare "de libertate". (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza di rigetto della richiesta di riparazione per essere stata erroneamente ricondotta ad un'ipotesi di ingiustizia sostanziale la mancata conferma della misura degli arresti domiciliari da parte del giudice competente ex art. 27 cod. proc. pen., che aveva omesso di considerare la valenza di tale provvedimento, caratterizzato, rispetto a quello non confermato, dall'identità della domanda cautelare).
Cass. civ. n. 1520/2024
Il giuramento decisorio non può essere deferito o riferito nei confronti del soggetto che ricopre una pubblica funzione o un pubblico incarico, in relazione a diritti della pubblica amministrazione da lui organicamente rappresentata, poiché egli non ne ha la libera e autonoma disponibilità.
Cass. civ. n. 47673/2023
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 371 cod. pen., non assume rilievo l'ammissibilità del giuramento secondo i parametri della legge civile, essendo demandato al giudice penale accertare esclusivamente la falsità della dichiarazione giurata, di talché la parte non può invocare eventuali lacune o improprietà della formula di giuramento, ferma restando la facoltà della parte medesima di addurre, ove occorra, precisazioni e chiarimenti, allo scopo di evitare la parziale falsità della risposta.
Cass. civ. n. 44882/2023
In tema di misure cautelari personali, i gravi indizi di colpevolezza possono essere desunti da atti di indagine compiuti all'estero, in un diverso procedimento, da Autorità straniere, la cui utilizzabilità è subordinata all'accertamento, da parte del giudice italiano, non della loro regolarità ma del rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali dell'ordinamento, ferme restando la presunzione di legittimità dell'attività svolta e la competenza del giudice straniero in ordine alla verifica della correttezza della procedura e alla risoluzione di ogni questione relativa ad eventuali irregolarità. (Fattispecie relativa a "chat" intercorse su piattaforma criptata "Sky.ECC" trasmesse dall'autorità giudiziaria francese a seguito di ordine europeo d'indagine).
Cass. civ. n. 33623/2023
In tema di impugnazioni cautelari, è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione dell'indagato che lamenti l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione a una soltanto delle imputazioni, nel caso in cui l'eventuale accoglimento del ricorso non comporterebbe alcun vantaggio per il ricorrente, al quale la misura risulti applicata anche per altri titoli di reato. (Fattispecie in cui la misura cautelare era stata emessa, oltre che per il delitto di associazione per delinquere, anche in relazione a numerosi delitti-fine di ricettazione e di riciclaggio, mentre con il ricorso ci si era limitati a contestare la gravità indiziaria con riferimento al solo delitto-mezzo). (Diff: n. 4038 del 1995,
Cass. civ. n. 31022/2023
La valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari deve tener conto della regola di giudizio a favore dell'imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all'imputato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto.
Cass. civ. n. 29614/2023
Il giuramento decisorio non può vertere sull'esistenza o inesistenza di rapporti, di situazioni, o di qualità giuridiche, né può deferirsi per provocare apprezzamenti, opinioni ovvero valutazioni di carattere giuridico, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate, che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l'intelligenza; pertanto, non può formare oggetto di giuramento decisorio la qualità di amministratore societario, poiché essa implica l'accettazione della nomina, che è atto negoziale e non fatto storico.
Cass. civ. n. 24695/2023
La confessione stragiudiziale, in quanto dichiarazione di scienza, è un atto giuridico in senso stretto, con la conseguenza che costituisce giudizio di fatto l'accertamento dell'esistenza della dichiarazione e del suo contenuto, mentre l'apprezzamento di tale contenuto quale confessione stragiudiziale integra un giudizio di diritto.
Cass. civ. n. 24616/2023
L'autonomia dei presupposti della cautela penale rispetto a quelli dell'adozione delle misure di prevenzione, anche patrimoniali, presuppone una specifica valutazione di queste ultime, rispetto alle quali l'accertamento penale può fungere da mero accertamento in fatto, ferma la necessità che il giudizio in tema di pericolosità sia compiuto dal giudice della prevenzione, senza possibilità di affidarsi ad un meccanismo di automatico riconoscimento della pericolosità ritenuta in sede cautelare penale.
Cass. civ. n. 23963/2023
In tema di fallimento, la quietanza "atipica" pattuita in contratto con il fallito "in bonis" non ha l'efficacia vincolante della confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., in quanto il curatore, pur ponendosi, nell'esercitarne il diritto, nella stessa posizione del fallito, è una parte processuale diversa da quest'ultimo.
Cass. civ. n. 22694/2023
Sussiste l'interesse del pubblico ministero a proporre ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale del riesame che, pur avendo confermato la sussistenza della gravità indiziaria in relazione a taluni dei delitti contestati e disposto il mantenimento della misura cautelare, abbia, purtuttavia, annullato parzialmente il provvedimento genetico in relazione ad altri delitti per i quali la misura stessa risultava adottata. (In motivazione, la Corte ha precisato che il pubblico ministero ha interesse alla cristallizzazione del cd. "giudicato cautelare" anche con riguardo ai delitti in relazione ai quali l'ordinanza genetica è stata annullata).
Cass. civ. n. 20248/2023
Le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l'introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito, in quanto la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell'effettivo "thema decidendum et probandum", restando anzi intatta l'autonomia di ciascuna causa. Ne consegue che, in tale evenienza, il giudice - in osservanza del principio del "ne bis in idem" e allo scopo di non favorire l'abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni - deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l'eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l'impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata.
Cass. civ. n. 20045/2023
In tema di "bis in idem" cautelare, dopo che il giudice della cognizione del procedimento principale asseritamente preclusivo abbia consentito al pubblico ministero di "chiudere" la contestazione "aperta" del reato associativo, così accettando la delimitazione temporale del "thema decidendum", il giudice del subprocedimento cautelare non può sindacare quella decisione - allo stato esistente ed efficace, ancorché non irrevocabile - né eventualmente disapplicarla in via incidentale per affermare che il primo processo abbraccia un ulteriore periodo di tempo rispetto a quello ritenuto dal giudice della cognizione, poiché compete a quest'ultimo evitare eventuali abusi e verificare che la perimetrazione dell'imputazione non si traduca in un'inammissibile ritrattazione dell'azione penale.
Cass. civ. n. 19082/2023
In tema di misure cautelari personali, i gravi indizi di colpevolezza possono essere desunti da atti di indagine compiuti all'estero, in un diverso procedimento, da Autorità straniere, la cui utilizzabilità è subordinata all'accertamento, da parte del giudice italiano, non della loro regolarità ma del rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali dell'ordinamento, ferme restando la presunzione di legittimità dell'attività svolta e la competenza del giudice straniero in ordine alla verifica della correttezza della procedura e all'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità riscontrate. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima l'utilizzazione di "chat" intercorse sulla piattaforma di comunicazione criptata "Sky Ecc", acquisite mediante ordine europeo di indagine dall'autorità francese, che ne aveva eseguito la decriptazione).
Cass. civ. n. 16091/2023
Nel giudizio di cassazione, è rilevabile d'ufficio la genericità, anche parziale, del provvedimento applicativo della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, dovendo i principi generali in materia di impugnazioni recedere a fronte di provvedimenti idonei a incidere sullo "status libertatis". (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza applicativa del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dell'obbligo di tenersi a una determinata distanza dai medesimi, sul rilievo che non era stata data specifica indicazione dell'ambito territoriale del divieto).
Cass. civ. n. 14228/2023
Il giuramento (decisorio o suppletorio) non può essere deferito in ordine alla sussistenza di un rapporto di custodia, integrando quest'ultima non già un fatto suscettibile di formare oggetto di confessione (sfavorevole al giurante e favorevole all'altra parte), bensì una situazione giuridica suscettibile di valutazione, siccome qualificante il contenuto del rapporto instauratosi tra il soggetto e la "res".
Cass. civ. n. 10687/2023
Nel giudizio promosso dalla vittima di un sinistro stradale nei confronti dell'assicuratore del responsabile, la confessione giudiziale resa dal conducente non proprietario del veicolo (il quale non è litisconsorte necessario) vincola il solo confitente, con la conseguenza che correttamente il giudice può accogliere la domanda nei suoi confronti, e rigettarla nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile auto.
Cass. civ. n. 10183/2023
Gli istituti della litispendenza e della continenza, operando soltanto tra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, non sono applicabili se le cause identiche o connesse pendano dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, anche se in gradi diversi, di talché, non essendo l'omessa riunione motivo di invalidità, sarà opponibile il giudicato prima intervenuto, ovvero, qualora non dedotto o rilevato, opererà la regola della prevalenza del successivo, salvo l'utilizzo dell'art. 337, comma 2, c.p.c.. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, nell'ambito di un giudizio di risoluzione contrattuale, nel quale era stata proposta domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni, non aveva ritenuto motivo di invalidità la mancata declaratoria di litispendenza o l'omessa riunione con altro precedente giudizio, in cui era stata proposta autonomamente identica domanda risarcitoria).
Cass. civ. n. 5332/2023
In tema di misure cautelari personali, l'impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell'ordinanza cautelare per l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l'adozione della misura prospettate nella originaria richiesta. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto ammissibile l'appello con cui il pubblico ministero si era limitato a contestare il mancato riconoscimento della gravità indiziaria, senza nulla dedurre in ordine alle esigenze cautelari rappresentate nella richiesta, ma non considerate dal giudice per le indagini preliminari).
Cass. civ. n. 1765/2023
L'indagato ha interesse ad impugnare l'ordinanza del tribunale del riesame che ha dichiarato l'incompetenza per territorio del giudice che ha disposto la misura cautelare e trasmesso gli atti al giudice ritenuto competente, con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, solo ai fini di una futura richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, mentre gli è preclusa ogni ulteriore censura, essendo l'ordinanza genetica destinata ad essere sostituita dal titolo emesso dal giudice competente ex art. 27 cod. proc. pen. o, in mancanza, a perdere definitivamente efficacia.
Cass. civ. n. 647/2023
Il divieto di deferire il giuramento su fatti illeciti, posto dall'art. 2739 c.c., trova il suo fondamento nell'opportunità di non obbligare il giurante a confessarsi autore di un atto per lui potenzialmente produttivo anche di responsabilità civile.
Cass. civ. n. 472/2023
In tema di dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale, il consenso del figlio che ha compiuto l'età di quattordici anni, necessario ex art. 273 c.c. per promuovere o proseguire validamente l'azione, è configurabile come un requisito del diritto di azione, integrativo della legittimazione ad agire del genitore, quale sostituto processuale del figlio minorenne, la cui mancanza determina una situazione di improponibilità o di improseguibilità dell'azione, a seconda che l'età in questione sia stata raggiunta prima della notificazione della citazione introduttiva ovvero in corso di causa, rilevabile anche d'ufficio; detto consenso può sopravvenire in qualsiasi momento ed è necessario che sussista al momento della decisione, ma non può ritenersi validamente prestato fuori dal processo, né può essere desunto da fatti o comportamenti estranei ad esso. (Nella specie, la S.C. ha affermato i predetti principi con riferimento ad un'azione di accertamento giudiziale della paternità, promossa dalla madre di una minore che aveva compiuto quattordici anni in epoca successiva alla sentenza della Corte d'appello che aveva dichiarato la paternità, ma anteriormete alla proposizione del ricorso in Cassazione avverso la stessa decisione impugnata).
Cass. civ. n. 18808/2021
Nel caso di riunione di cause, tra loro in rapporto di continenza e pendenti davanti al medesimo giudice, le preclusioni maturate nel giudizio preveniente anteriormente alla riunione rendono inammissibili nel giudizio prevenuto - in osservanza del principio del "ne bis in idem" e allo scopo di non favorire l'abuso dello strumento processuale - solo le attività, soggette alle scansioni processuali dettate a pena di decadenza, svolte con riferimento all'oggetto di esso che sia comune al giudizio preveniente e non si comunicano, pertanto, né alle attività assertive che, come le mere difese e le eccezioni in senso lato, non soggiacciono a preclusione, né alle attività assertive e probatorie che, pur soggette a preclusione, concernono la parte del giudizio prevenuto non comune con quello preveniente. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 29/01/2018).
Cass. civ. n. 24974/2020
L'iscrizione della causa a ruolo avviene, a norma degli artt. 168 c.p.c. e 72 disp. att. (applicabili anche al giudizio dinanzi al giudice di pace), su iniziativa del convenuto solo se questi si costituisce quando non si è costituito l'attore, onde l'iscrizione non può essere effettuata su richiesta della parte convenuta qualora l'attore si sia già costituito ed abbia presentato la nota di iscrizione a ruolo, determinando la formazione del fascicolo di ufficio, al quale va unito il fascicolo del convenuto che si costituisce successivamente. Ne consegue che in caso di duplice iscrizione della causa a ruolo, ove le due udienze di prima comparizione ed il giudice istruttore non vengano a coincidere e i due processi non vengano riuniti, l'unica iscrizione che dà luogo a un processo regolare è quella effettuata dall'attore per prima, in quanto solo rispetto a questa il meccanismo processuale consente una valida instaurazione del contraddittorio e l'esercizio del diritto di difesa. Pertanto, qualora non venga disposta la riunione e il procedimento iscritto per secondo prosegua fino alla sentenza in assenza dell'attore, erroneamente considerato non costituito, sono nulle l'attività processuale compiuta e la sentenza emanata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato la nullità della sentenza resa nel processo svoltosi, dietro iscrizione a ruolo eseguita dai convenuti e in contumacia di parte attrice, innanzi alla sezione distaccata di Ostia, perché il processo era stato previamente iscritto al ruolo del tribunale di Roma dall'attore). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 16/10/2017).
Cass. civ. n. 26285/2019
Tra l'opposizione a precetto ex art. 615, primo comma, c.p.c., e la successiva opposizione all'esecuzione ex art. 615, secondo comma, c.p.c., proposte avverso il medesimo titolo esecutivo e fondate su fatti costitutivi identici concernenti l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata, sussiste litispendenza, qualora le cause siano pendenti, nel merito, innanzi ad uffici giudiziari diversi, anche per grado; qualora invece le cause siano pendenti, nel merito, innanzi allo stesso ufficio giudiziario, ne va disposta la riunione di ufficio, ai sensi dell'art. 273 c.p.c., ferme le decadenze già maturate nella causa iniziata per prima. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c.).
Cass. civ. n. 15094/2019
Tra la domanda di concordato preventivo e l'istanza di fallimento ricorre un rapporto di continenza, che impone la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell'art. 273 c.p.c.; tuttavia l'omessa riunione non determina alcuna nullità, né impedisce la dichiarazione di fallimento, quando il tribunale abbia già disposto la revoca dell'ammissione alla procedura concordataria, purchè il debitore abbia avuto formale conoscenza dell'iniziativa per la sua dichiarazione di fallimento. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 06/05/2015).
Cass. civ. n. 31801/2018
Qualora nel corso di un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione, di cui all'art. 702-bis c.p.c., insorga una questione di pregiudizialità rispetto ad altra controversia, che imponga un provvedimento di sospensione necessaria ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (o venga invocata l'autorità di una sentenza resa in altro giudizio e tuttora impugnata, ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c.), si determina la necessità di un'istruzione non sommaria e, quindi, il giudice non può adottare un provvedimento di sospensione ma deve, a norma dell'art. 702-ter, comma 3, c.p.c., disporre il passaggio al rito della cognizione piena e, nel caso in cui i due procedimenti pendano innanzi al medesimo Ufficio o a sezioni diverse di quest'ultimo il giudice del giudizio reputato pregiudicato deve rimettere gli atti al capo dell'Ufficio, ex artt. 273 e 274 c.p.c. (salvo che il diverso stato in cui si trovano i due procedimenti non ne precluda la riunione), non ostando all'eventuale riunione la soggezione delle cause a due riti diversi, potendo trovare applicazione il disposto di cui all'art. 40, comma 3, c.p.c.
Cass. civ. n. 28461/2013
In tema di espropriazione immobiliare, nel caso in cui ad un primo pignoramento invalido ne segua, tra le stesse parti, un altro valido, la riunione tra le due procedure esecutive comporta che l'attività prevista dell'art. 567, secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80) ai fini dell'adempimento di cui all'art. 13 bis del d.l. 18 ottobre 2000, n. 291, convertito nella legge 14 dicembre 2000, n. 372, sebbene compiuta formalmente con riguardo al primo procedimento, comunica i suoi effetti anche al secondo, attesa l'identità delle azioni esecutive e tenuto conto che la riunione ai sensi dell'art. 273 cod. proc. civ. - norma applicabile in via analogica al giudizio di esecuzione - comporta la riferibilità delle suddette attività a ciascuno dei procedimenti esecutivi, restando priva di rilievo la mancata reiterazione del deposito della documentazione ex art. 567 cod. proc. civ. nel secondo procedimento, di cui non può essere dichiarato, per tale ragione, l'estinzione. (Principio enunciato dalla S.C. ai sensi dell'art. 363, terzo comma, cod. proc. civ.). (Dichiara inammissibile, App. Roma, 05/07/2007).
Cass. civ. n. 21761/2013
Gli istituti della litispendenza e della continenza (che regolano la competenza per territorio), operano soltanto fra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, secondo quanto reso evidente dal dato testuale dell'art. 39 cod. proc. civ.; pertanto, se le cause identiche o connesse (nella specie, opposizione all'esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi), pendano dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, trovano applicazione gli artt. 273 e 274 cod. proc. civ., ovvero, quando ragioni di ordine processuale impediscano la riunione ed una causa sia pregiudiziale rispetto all'altra o sia già giunta a sentenza, gli istituti della sospensione, di cui agli artt. 295 e 337 cod. proc. civ.
Cass. civ. n. 19153/2012
In ipotesi di cassazione con rinvio il giudizio di rinvio e quello avente ad oggetto la restituzione dei beni consegnati o delle somme pagate in virtù della sentenza cassata sono tra loro autonomi, onde possono essere celebrati separatamente e non v'è necessità di riunirli. Tuttavia, tale reciproca autonomia non è assoluta, in quanto viene meno nel caso in cui il giudizio di rinvio si concluda prima di quello sulle restituzioni, con una decisione identica a quella contenuta nella sentenza cassata: e, ricorrendo tale ipotesi, giudice delle restituzioni dovrà rigettare la domanda innanzi a lui proposta.
Cass. civ. n. 24002/2011
La riunione dei procedimenti relativi alla stessa causa può essere disposta d'ufficio anche nel corso del giudizio di legittimità, atteso che essa risponde alle stesse esigenze di ordine pubblico processuale (inammissibilità di duplicità di giudicati) in base alle quali, salvi i limiti del giudicato eventualmente formatosi, la litispendenza può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo e, quindi, anche in cassazione. (Cassa con rinvio, App. Roma, 23/06/2008).
Cass. civ. n. 12989/2010
Quando due cause tra loro connesse pendono davanti allo stesso giudice, non sussiste un problema di spostamento della competenza, quanto, invece, la possibilità di provvedere alla loro riunione ai sensi degli artt. 273 e 274 cod. proc. civ.; il provvedimento di riunione, così come la mancata assunzione del medesimo, ha carattere ordinatorio e, come tale, è insuscettibile di gravame in sede di legittimità. (Rigetta, App. Napoli, 30/12/2005).
Cass. civ. n. 9510/2010
La contemporanea pendenza, davanti al medesimo giudice, da intendersi come ufficio giudiziario, di più procedimenti relativi alla stessa causa non é riconducibile all'ambito di disciplina dell'art. 39, primo comma, cod. proc. civ., che postula la pendenza della stessa causa davanti a giudici diversi, ma dà luogo all'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 273 cod. proc. civ. (Regola competenza).
Cass. civ. n. 28537/2008
La riunione d' ufficio di procedimenti pendenti dinanzi allo stesso giudice in ordine alla medesima causa (art. 273 c.p.c. ), trova applicazione anche davanti alla Corte di cassazione nel caso di ricorsi per regolamento preventivo di giurisdizione, con la conseguenza che ove si prospettino, in entrambi i ricorsi, le medesime ragioni, il regolamento proposto con atto notificato in epoca successiva dev'essere dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, atteso che, pur non applicandosi al regolamento preventivo il principio di consumazione del gravame, non trattandosi di un mezzo di impugnazione, ciò non ne esclude l'assoggettabilità alla disciplina di cui all'art. 100 c.p.c.
Cass. civ. n. 19693/2008
Il provvedimento di riunione di cause, che si adegua al principio dell'economia dei giudizi, costituisce espressione del potere ordinatorio del giudice che lo esercita incensurabilmente, e, pertanto, non è suscettibile di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari; conseguentemente, l'omessa riunione di procedimenti relativi alla stessa causa, che non risulta tra l'altro sanzionata da nullità, non può assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale può quindi configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112 c.p.c..
Cass. civ. n. 14442/2008
I ricorsi per cassazione separatamente proposti contro la sentenza di merito resa in grado di appello e contro quella pronunciata nel successivo giudizio di revocazione possono essere riuniti, in quanto le due sentenze, integrandosi reciprocamente, definiscono inscindibilmente un unico giudizio e, quindi, in sede di legittimità, possono essere oggetto di esame contestuale e di un'unica decisione. Qualora si provveda a tale riunione, le questioni attinenti alla revocazione assumono carattere pregiudiziale, sicché il ricorso avverso la sentenza del relativo giudizio va esaminato per primo. (Rigetta, App. Ancona, 16 Dicembre 2002).
Cass. civ. n. 24645/2007
L'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno ex art. 96, comma 1, c.p.c. presuppone l'accertamento sia dell'elemento soggettivo (mala fede o colpa grave) sia dell'elemento oggettivo (entità del danno sofferto). Il primo presupposto, per concretizzarsi nella conoscenza della infondatezza domanda e delle tesi sostenute ovvero nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta conoscenza, è ravvisabile in tutti quei casi in cui venga proposto - contrariamente ad un costante, consolidato e mai smentito indirizzo giurisprudenziale - ricorso per cassazione avverso provvedimenti di natura ordinatoria, quali quelli emessi ex art. 273 e 274 c.p.c. Il secondo presupposto richiede, invece, l'esistenza di un danno e la prova da parte dell'istante sia dell'an che del quantum debeatur il che non osta a che l'interessato possa dedurre, a sostegno della sua domanda, condotte processuali dilatorie o defatigatorie della controparte, potendosi desumere il danno subito da nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) e della legge n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto), secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l'id quod plerumque accidit ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario sovente in una sede diversa da quella voluta dal legislatore e per di più non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano ex se anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa.
Cass. civ. n. 12252/2007
È ammissibile nel giudizio di cassazione la riunione di procedimenti relativi a cause connesse pendenti davanti allo stesso giudice, atteso che il principio posto dall'art 273 cod. proc. civ. ha carattere generale e può valere anche in sede di legittimità, giacchè risponde alle stesse esigenze di ordine processuale - evitare il pericolo di contraddittorietà e, in ogni modo, di duplicità di giudicati - in base alle quali, salvi i limiti del giudicato già formatosi, la litispendenza può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo. (Rigetta, Trib. Roma, 27 marzo 2003).
Cass. civ. n. 4963/2007
La pendenza del procedimento esecutivo non preclude nè rende inutile la reiterazione dell'atto processuale che vi dà inizio e, in funzione di questo, il compimento degli atti prodromici necessari, al fine di porre al riparo la concreta attuazione della pretesa esecutiva dai possibili insuccessi conseguenti agli eventuali vizi dei precedenti atti, ma determina solo la necessità della riunione dei distinti procedimenti, in tal modo instaurati innanzi al medesimo ufficio giudiziario, ai sensi dell'art. 273 cod. proc. civ.. (Rigetta, App. Milano, 7 Gennaio 2003).
Cass. civ. n. 21727/2006
Allorquando sussista una situazione che, in ragione di nessi tra procedimenti pendenti avanti allo stesso ufficio giudiziario, riconducibili alle fattispecie di cui agli artt. 273 o 274 c.p.c., avrebbe dovuto giustificare la rimessione al capo dell'ufficio di uno o dei procedimenti al fine della valutazione circa la loro riunione — nel caso dell'art. 273 — e circa la designazione di un unico magistrato o della stessa sezione per l'adozione dei provvedimenti opportuni — nel caso dell'art. 274 —, l'inosservanza di tale modus procedendi da parte del giudice avanti al quale si trovi uno dei procedimenti e l'adozione di un provvedimento di sospensione del giudizio avanti di lui pendente per pretesa pregiudizialità dell'altro, pendente avanti ad altro magistrato dell'ufficio (e anche presso una sezione distaccata o la sede principale dello stesso ufficio) rientra fra i fatti processuali che la Corte di cassazione, in sede di regolamento di competenza, deve valutare per stabilire se detto provvedimento sia stato adottato legittimamente, salvo il rilievo da attribuirsi alle successive vicende del processo considerato pregiudicante, ove prospettate dalle parti od emergenti dagli atti. Ne consegue che se, quando ha adottato il provvedimento, il giudice di merito si trovava in una situazione in cui non sarebbe stato legittimato ad adottarlo, ma avrebbe dovuto riferire al capo dell'ufficio per l'adozione del procedimento di cui al secondo comma delle norme degli artt. 273 e 274 c.p.c., la Corte di cassazione deve considerare il provvedimento di sospensione illegittimo, a meno che non risulti che, in relazione allo stato raggiunto dal processo ritenuto pregiudicante, non sarebbe possibile l'adozione da parte del giudice che emise il provvedimento di sospensione del modus procedendi imposto da quelle norme. (Sulla base di tali principi, poiché nella specie non risultava che il processo asseritamente pregiudicante avanti alla sede principale del tribunale non vi pendesse più, la S.C. ha caducato il provvedimento di sospensione adottato dalla sede distaccata).
Cass. civ. n. 20539/2005
La riunione dei procedimenti relativi alla stessa causa ai sensi dell'art. 273 c.p.c. può essere disposta d'ufficio anche nel corso del giudizio di legittimità, poiché essa risponde alle stesse esigenze di ordine pubblico processuale (inammissibilità di duplicità di giudicati) in base alle quali, salvi i limiti del giudicato eventualmente formatosi, la litispendenza può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo e, quindi, anche in Cassazione.
Cass. civ. n. 2649/2004
La mancata riunione di cause in materia di lavoro e previdenza non è prevista dalla legge come causa di nullità processuale estesa agli atti successivi, fino alla sentenza, e pertanto non può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione; la relativa facoltà configura comunque un potere discrezionale del giudice di merito, il cui mancato uso, implicante una valutazione di fatto circa la gravosità della riunione, o l'eccessivo ritardo del processo che ne conseguirebbe, non è censurabile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 15706/2001
I provvedimenti di riunione e separazione di cause costituiscono esercizio del potere discrezionale del giudice, hanno natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera opportunità, con la conseguenza che essi non sono sindacabili in sede di legittimità e non comportano, per gli effetti che ne discendono sullo svolgimento dei processi (riunione o separazione degli stessi), alcuna nullità.
Cass. civ. n. 8069/2000
In caso di domande di identico contenuto proposte, con unico atto, da diversi lavoratori contro un medesimo datore di lavoro, si verifica una situazione di litisconsorzio facoltativo improprio, in quanto, pur nell'identità delle questioni, permane autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori e con l'ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce — sebbene formalmente unica — consta in realtà di tante pronunzie quante sono le cause riunite, le quali conservano la loro autonomia anche ai fini della successive impugnazioni, che ben possono svolgersi separatamente le une dalle altre, senza che ne derivino interferenze reciproche fra i diversi giudizi susseguenti e senza che venga compromesso l'interesse all'unitaria trattazione di questioni di identico oggetto, atteso che lo stesso ben può trovare soddisfazione nell'esame delle separate impugnazioni nella medesima udienza.
Cass. civ. n. 7377/2000
La contemporanea pendenza, innanzi al medesimo giudice, di procedimenti relativi alla stessa causa, può dare luogo a provvedimenti ordinatori di riunione, non suscettibili di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari, e non all'applicazione delle disposizioni dettate dall'art. 39 c.p.c. in materia di litispendenza, la cui configurabilità postula la diversità dei giudici davanti ai quali quella causa sia stata proposta. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui il giudice di secondo grado, dopo aver correttamente disposto la riunione di due procedimenti pendenti in appello avverso due sentenze emesse dallo stesso giudice su domande sovrapponibili, pronunci solamente sul gravame avverso una delle due sentenze, senza tener conto delle ragioni addotte contro l'altra, pur enunciate in narrativa, ricorre una omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia.
Cass. civ. n. 12742/1999
Il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite pur essendo formalmente unica si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise e ciascuna pronuncia è impugnabile con il mezzo che le è proprio e soltanto ad iniziativa della parte in essa soccombente.
Cass. civ. n. 10653/1999
La riunione dei procedimenti relativi alla stessa causa ai sensi dell'art. 273 c.p.c. può essere disposta d'ufficio anche nel corso del giudizio di legittimità, atteso che essa risponde alle stesse esigenze di ordine pubblico processuale (inammissibilità di duplicità di giudicati) in base alle quali, salvi i limiti del giudicato eventualmente formatosi, la litispendenza può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo e, quindi, anche in cassazione.
Cass. civ. n. 7265/1999
La sospensione prevista dall'art. 295 c.p.c. presuppone la pendenza davanti allo stesso o ad altro giudice di una controversia avente ad oggetto questioni pregiudiziali rispetto a quelle dibattute nel giudizio da sospendere, ma oggettivamente diverse da tali ultime questioni. Sicché, ove si verta in ipotesi di identità di questioni in discussione innanzi al giudice del processo del quale si chiede la sospensione ed in altra, diversa sede, detto giudice conserva il potere di pronunciare sul thema decidendum devoluto alla sua cognizione, potendo soltanto configurarsi gli estremi per far luogo o alla riunione dei procedimenti (art. 273 c.p.c.) o ad una declaratoria di litispendenza o di continenza di cause (art. 39 c.p.c.).
Cass. civ. n. 9785/1995
I provvedimenti in tema di riunione dei processi, previsti dagli artt. 273 e 274 c.p.c., hanno natura ordinatoria e non sono quindi suscettibili di impugnazione innanzi ad altri uffici giudiziari.
Cass. civ. n. 1759/1992
Il provvedimento di riunione di più cause per ragioni di opportunità non incide sull'autonomia dei singoli giudizi e sulla posizione delle parti in ciascuno di essi, sicché la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce, ciascuna delle quali è assoggettata al regime formale e temporale d'impugnazione che le è proprio. Pertanto, la legittimazione ad impugnare, ed a resistere, compete ai soli soggetti che sono parte del corrispondente giudizio ed inoltre la parte vittoriosa in uno dei giudizi e soccombente in un altro può proporre impugnazione incidentale tardiva contro la pronuncia rispetto alla quale sia soccombente, solo se questa pronuncia sia stata impugnata in via principale da altra parte di quello stesso giudizio, e non anche se vi sia stata un'impugnazione principale nei confronti di una pronuncia relativa ad altro giudizio riunito.
Cass. civ. n. 5504/1985
Il provvedimento con cui il giudice riunisce più procedimenti pendenti avanti a lui, sia relativi alla stessa causa (obbligo di riunione) sia relativi a cause diverse ma connesse, (facoltà di riunione), non è censurabile in cassazione, neanche attraverso l'impugnazione della sentenza che chiude il giudizio in cui il provvedimento sia stato adottato, poiché nel secondo caso il provvedimento di riunione è del tutto discrezionale, mentre nel primo caso l'imposizione dell'obbligo di riunione è sprovvista di qualsiasi sanzione di nullità.