Art. 103 – Codice di procedura penale – Garanzie di libertà del difensore
1. Le ispezioni [244 c.p.p.] e le perquisizioni [247 c.p.p.] negli uffici dei difensori sono consentite solo:
a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati [60, 61 c.p.p.], limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito;
b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.
2. Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici [225 c.p.p.] non si può procedere a sequestro [253 c.p.p.] di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato.
3. Nell'accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell'ufficio di un difensore, l'autorità giudiziaria a pena di nullità [177-186 c.p.p.] avvisa il consiglio dell'ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.
4. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.
5. Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni [266 c.p.p.] dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.
6. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza [254 c.p.p.] tra l'imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall'articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati [191 c.p.p.]. Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale nei casi di discordanza rispetto al presente.
Massime correlate
Cass. civ. n. 19293/2024
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - in relazione agli artt. 24, 103, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell'art. 47 della Carta dei diritti dell'UE e degli artt. 6 e 13 CEDU - dell'art. 380-bis, comma 3, c.p.c. nella parte in cui stabilisce che, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, in conseguenza dell'istanza di decisione avanzata dal ricorrente, la Corte procede in camera di consiglio, anziché in pubblica udienza, perché la trattazione camerale soddisfa esigenze di celerità e di economia processuale, costituisce un modello processuale capace di assicurare un confronto effettivo e paritario tra le parti (ed è espressione non irragionevole della discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti processuali), garantisce la partecipazione del Procuratore generale (con la prevista facoltà di rassegnare conclusioni scritte) e non vulnera l'essenza collegiale della giurisdizione di legittimità (non avendo la proposta carattere decisorio, né di anticipazione di giudizio da parte del relatore).
Cass. civ. n. 18635/2024
Il giudizio di opposizione all'esecuzione forzata, anche se intrapresa in forza di sentenza di condanna emessa dalla Corte dei conti all'esito di un giudizio di responsabilità contabile, spetta alla giurisdizione ordinaria, perché non involge profili di cognizione relativi all'accertamento dei presupposti della responsabilità erariale, ma unicamente il diritto soggettivo a procedere in executivis. (Nella specie, la S.C. ha escluso che sull'opposizione ad un'esecuzione forzata, condotta in forza di una sentenza della Corte dei conti e con le forme dell'iscrizione a ruolo ex art. 2 d.P.R. n. 260 del 1998, potesse configurarsi la giurisdizione tributaria o contabile e ha affermato quella del giudice ordinario).
Cass. civ. n. 18003/2024
Nel giudizio di rivendicazione proposto, verso il fallimento, ex art. 103 l.fall., ciascun condomino ha un'autonoma legittimazione individuale ad agire e resistere in giudizio a tutela dei propri diritti di comproprietario, concorrente ed alternativa rispetto a quella dell'amministratore, cosicché è ammissibile l'opposizione dei condomini che, pur non avendo proposto domande nel procedimento di verificazione dello stato passivo, intendono evitare gli effetti sfavorevoli del decreto pronunciato nei confronti del condominio.
Cass. civ. n. 16784/2024
Gli atti presidenziali di amministrazione del processo (nella specie, emanati dal presidente di sezione di una Corte d'appello al fine di redistribuire i processi pendenti sul ruolo di un magistrato trasferito ad altro ufficio, rimodulandone altresì la scansione cronologica) non hanno natura propriamente amministrativa, non costituendo attuazione di una funzione discrezionale imperniata sulla ponderazione dell'interesse pubblico primario con gli altri interessi privati concorrenti, ma, in quanto inerenti all'organizzazione della giurisdizione, sono espressione di una competenza riservata all'ordine giudiziario, con la conseguenza che sono insindacabili da parte di qualsivoglia altro giudice, restando affidata la tutela del diritto della parte ad una decisione della causa in tempi ragionevoli ai rimedi preventivi o risarcitori di cui alla l. n. 89 del 2001 ovvero alle forme di interlocuzione endo-processuale con il giudice istruttore ovvero ancora, a livello ordinamentale, alla possibilità di segnalazione disciplinare al Procuratore generale della Corte di cassazione o al Ministro della giustizia (ferma restando, peraltro, la valutabilità dei suddetti provvedimenti organizzativi ai fini del conferimento o della conferma degli incarichi direttivi o semi-direttivi e in sede di valutazione di professionalità del magistrato).
Cass. civ. n. 13162/2024
L'esercente attività d'impresa o professionale ha diritto al rimborso dell'IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l'attività svolta.
Cass. civ. n. 10367/2024
In tema di liquidazione degli onorari, l'avvocato che assiste più parti aventi la medesima posizione processuale ha sempre diritto ad un solo compenso, ma maggiorato ex art. 4, comma 2, del d.m. n. 55 del 2014, variando, tuttavia, la misura del compenso standard su cui applicare le maggiorazioni in ragione dell'identità o della differenza tra le pretese dei diversi assistiti: nel caso in cui le istanze siano diverse, infatti, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, maggiorato del 30% per i primi dieci clienti e del 10% dall'undicesimo al trentesimo; se, invece, le pretese sono identiche in fatto ed in diritto, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, ridotto del 30%, e quindi maggiorato come indicato nella precedente ipotesi. (Nella specie, la S.C. ha ricondotto all'art. 4, comma 2, d.m. 55 del 2014, il caso dell'avvocato che aveva assistito, in una causa di risarcimento danni, i congiunti della vittima di un incidente stradale, in ragione della differenza del quantum delle varie domande, connesse per identità del titolo).
Cass. civ. n. 1867/2024
La sospensione dei procedimenti disciplinari nei confronti del personale alle dipendenze della P.A. - disposta dall'art. 103, comma 5, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modif. dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, e successivamente prorogata dall'art. 37, comma 1, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif. dalla l. 5 giugno 2020, n. 40 - si applica a tutti i termini indicati dall'articolo 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, ivi compresi quelli per la trasmissione all'ufficio procedimenti disciplinari e per la contestazione dell'addebito da parte di quest'ultimo, con la conseguenza che, ai fini della normativa emergenziale, la pendenza del procedimento va riferita al momento in cui è acquisita la notizia di infrazione.
Cass. civ. n. 35363/2023
un'autonoma rilevanza e si sostanzia nella richiesta di restituzione di una somma corrisposta indebitamente.
Cass. civ. n. 32559/2023
È ammissibile, ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost., il ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Consiglio di Stato - estromettendo dal giudizio dinanzi a sé gli enti esponenziali titolari di interessi legittimi collettivi incisi dal provvedimento amministrativo impugnato in prime cure - preclude ad essi la tutela giurisdizionale di loro posizioni giuridiche sostanziali qualificate. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza dell'Adunanza Plenaria che, chiamata a pronunciarsi su alcune questioni di rilevanza nomofilattica relative alla proroga delle concessioni dei ccdd. "balneari", aveva dichiarato inammissibile l'intervento delle associazioni di categoria e della Regione Abruzzo, concretizzando così un'ipotesi di rifiuto di giurisdizione).
Cass. civ. n. 31756/2023
L'eventuale ritardo nella proposizione della domanda di rivendica di beni mobili ex artt. 93 e 103 l. fall., dopo il decorso del termine di cui all'art. 101, comma 1, l. fall., non può essere imputato alla parte che abbia in precedenza avanzato istanza di restituzione dei medesimi beni ai sensi dell'art. 87-bis l. fall., in ragione del comportamento, al riguardo irrilevante, assunto dal curatore, che, in pendenza di detta istanza, abbia provveduto alla loro inventariazione senza formalizzare un espresso dissenso alla restituzione anticipata; una volta depositata l'istanza di restituzione dei beni a norma dell'art. 87-bis l.fall., solo il suo espresso rigetto da parte del giudice delegato rende edotta la parte istante della necessità di proporre la domanda di rivendica/restituzione di cui all'art. 103 l. fall.
Cass. civ. n. 25549/2023
Nel processo tributario, in forza del richiamo di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ed in ragione dei principi di cui agli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, è applicabile l'art. 103 c.p.c., essendo pertanto sufficiente, ai fini del cumulo di più cause nel medesimo processo, che queste ultime involgano la risoluzione di identiche questioni giuridiche ovvero siano connesse per il petitum e/o per la causa petendi, senza che sia necessaria anche un'identità delle relative questioni di fatto.
Cass. civ. n. 24005/2023
La domanda avanzata da militare di leva per il conseguimento della pensione privilegiata militare tabellata per infermità contratta per causa di servizio appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti, in quanto detta pensione, costituendo una "species" del trattamento privilegiato "ordinario", è parte del più ampio novero dei trattamenti pensionistici riconoscibili in ragione dei servizi prestati e delle invalidità ad essi ricollegabili.
Cass. civ. n. 21949/2023
Sussiste la giurisdizione del magistrato militare di sorveglianza, e non di quello ordinario, sulla richiesta di liberazione anticipata proveniente dal condannato dal giudice militare, quand'anche il predetto abbia successivamente perso la qualifica di militare.
Cass. civ. n. 18001/2023
In tema di concessione cimiteriale, ove il Comune abbia provveduto al rilascio di una concessione perpetua, antecedentemente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 800 del 1975, lo stesso ente territoriale non ne può modificare la disciplina, rideterminando unilateralmente il canone periodico, dal momento che i rapporti patrimoniali tra concedente e concessionario sono regolati dall'atto di concessione e non possono ammettersi interventi successivi dell'Amministrazione, diretti ad incidere negativamente nella sfera giuridica ed economica del destinatario, con l'eccezione della revoca per motivi pubblicistici legati all'insufficienza degli spazi rispetto ai fabbisogni cimiteriali comunali, purchè siano decorsi cinquanta anni dalla tumulazione dell'ultima salma.
Cass. civ. n. 17380/2023
Ai fini del riconoscimento della servitù per destinazione del padre di famiglia, per determinare il momento rilevante ai fini della costituzione della servitù va considerato lo stato di fatto esistente al tempo della cessazione dell'appartenenza dei due fondi al medesimo proprietario, con la conseguenza che, in caso di acquisto di uno dei due fondi per usucapione, occorre avere riguardo al momento del compimento del tempo necessario ad usucapire e non a quello della pronuncia giudiziale, che ha natura di mero accertamento.
Cass. civ. n. 11186/2023
In tema di società di capitali a partecipazione pubblica, la giurisdizione contabile della Corte dei conti sussiste qualora sia prospettato un danno cagionato ad una società "in house" attraverso la condotta di un soggetto svolgente la propria attività per conto di altra società "in house", partecipata dallo stesso ente pubblico, di cui la prima si sia avvalsa per la realizzazione dei propri scopi, in quanto l'art. 12 del d.lgs. n. 175 del 2016, nel prevedere la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società "in house", non distingue tra danno diretto e danno "obliquo", incentrandosi sulla natura giuridica pubblica del soggetto danneggiato, indipendentemente dalla forma privatistica, nell'ottica della più ampia tutela del pubblico erario. (Nella specie, la S.C. - con riferimento a vicenda nella quale una società "in house", in qualità di stazione appaltante di lavori, aveva commissionato all'appaltatore una fornitura per un importo palesemente eccessivo nonchè difforme dalle condizioni di mercato - ha dichiarato sussistente la giurisdizione contabile della Corte dei conti in relazione al danno cagionato a detta società da due dirigenti di società "in house" incaricate, mediante apposite convenzioni, delle prestazioni di assistenza e supporto nonché della predisposizione del progetto esecutivo propedeutico all'affidamento).
Cass. civ. n. 8557/2023
I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento; detti creditori possono invece intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell'attivo, per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati in loro favore.
Cass. civ. n. 8556/2023
Nel caso in cui in un giudizio con più parti non sussista un'ipotesi di litisconsorzio processuale necessario ma siano state proposte domande autonome e cumulate nei confronti di parti diverse, originate da un comune fatto generatore, la notifica della sentenza di appello effettuata nei confronti di una sola parte non determina anche nei confronti delle altre il decorso del termine breve per la proposizione del ricorso in cassazione, con la conseguenza che solo con il decorso del cd. "termine lungo" per impugnare la sentenza è definitiva nei confronti della parte cui non sia stata notificata la sentenza e solo dal decorso di tale termine decorre il "dies a quo" di cui alla l. n. 89 del 2001 per proporre l'azione di equa riparazione.
Cass. civ. n. 6100/2023
dell'amministrazione medesima. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. - in relazione a vicenda in cui una società aveva agito per il conseguimento del risarcimento del danno prodotto da dedotte illegittime modalità esecutive di un'opera pubblica per effetto delle quali era ostacolato il transito dei mezzi nella sua proprietà - ha evidenziato che, nella fattispecie, era stata lamentata non già l'inesistenza o illegittimità di un provvedimento di approvazione del progetto in variante dell'opera pubblica, quanto l'esecuzione di quest'ultima con modalità tali da risultare lesive dei diritti che competevano alla predetta società quale proprietaria frontista, titolare del diritto di accesso alla via pubblica).
Cass. civ. n. 4264/2023
In tema di società di capitali a partecipazione pubblica, prive dei requisiti per essere qualificate "in house", la giurisdizione della Corte dei conti sussiste solo qualora sia prospettato un danno arrecato dalla società partecipata al socio pubblico in via diretta, e non quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale, o sia contestato al rappresentante del socio pubblico di aver colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così pregiudicando il valore della partecipazione, o, infine, sia configurabile la speciale natura dello statuto legale di alcune società partecipate. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato il difetto di giurisdizione contabile, non essendosi prospettato lo sviamento ad altri fini del capitale pubblico, bensì il pregiudizio economico al patrimonio della società partecipata, che solo indirettamente si ripercuoteva sull'ente pubblico socio, attraverso la diminuzione del valore della quota di partecipazione).
Cass. pen. n. 19255/2017
In tema di garanzie di libertà del difensore, mentre per le perquisizioni e le ispezioni la garanzia di cui all'art. 103, comma primo, cod. proc. pen. è collegata all'esecuzione delle stesse presso gli uffici dei difensori, per i sequestri il divieto di acquisire documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato, è collegato direttamente alle persone dei difensori, ai sensi del secondo comma del citato art. 103, in linea con quanto previsto anche dall'art. 4 della direttiva 2013/48/UE; ne deriva che il divieto opera anche quando l'attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dagli uffici dei difensori.
Cass. pen. n. 55253/2016
L'art. 103, comma quinto, cod. proc. pen., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, riguarda l'attività captativa in danno del difensore in quanto tale ed ha dunque ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni - individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma - inerenti all'esercizio delle funzioni del suo ufficio e non si estende ad ogni altra conversazione che si svolga nel suo ufficio o domicilio. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto imune da censure un'ordinanza cautelare contenente riferimenti non al contenuto di specifiche intercettazioni tra imputato e difensore, ma al mero fatto storico del contatto tra di essi intervenuto, al fine di individuare l'utilizzatore della utenza che aveva chiamato quella in uso al legale).
Cass. pen. n. 26323/2014
Il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la "ratio" della regola posta dall'art. 103 c.p.p. va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa. (Fattispecie relativa alla intercettazione di un colloquio tra l'indagato ed un avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, per la cui utilizzabilità la Corte ha ritenuto necessario che il giudice del merito dovesse valutare: a) se quanto detto dall'indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all'amico; b) se quanto detto dall'avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute).
Cass. pen. n. 9884/2014
Quando procede a perquisizione nei casi previsti dall'art. 103 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la polizia giudiziaria non ha l'obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all'assistenza di un difensore perché tale tipologia di perquisizione, a differenza di quella contemplata dal codice di procedura penale, non presuppone necessariamente una preesistente notizia di reato e non è quindi funzionale alla ricerca e all'acquisizione della prova di un reato di cui consti già l'esistenza, ma può rientrare anche in un'attività di carattere preventivo.
Cass. pen. n. 12155/2012
Le guarentigie previste dall'art. 103 cod. proc. pen., non sono volte a tutelare chiunque eserciti la professione legale ma solo colui che rivesta la qualità di difensore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge, essendo essenzialmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato; pertanto, esse non possono trovare applicazione qualora gli atti di cui all'art. 103 cod. proc. pen. - ispezioni, perquisizioni, sequestri - debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale sottoposto ad indagine.
Cass. pen. n. 15208/2010
I limiti imposti dall'art. 103 c.p.p. quali "garanzie di libertà del difensore", con specifico riferimento al sequestro, non possono riguardare documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell'imputato, privi di una finalizzazione attuale all'espletamento delle funzioni del difensore. (Fattispecie di sequestro, ritenuto legittimo, di documenti in bozza rinvenuti in luoghi in uso all'imputato e non già "presso il difensore").
Cass. pen. n. 38578/2008
L'art. 103, comma quinto, c.p.p., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, riguarda l'attività captativa in danno del difensore in quanto tale ed ha dunque ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma inerenti all'esercizio delle funzioni del suo ufficio e non si estende ad ogni altra conversazione che si svolga nel suo ufficio o domicilio. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabile, ai fini dell'identificazione della voce dell'indagato captata nel corso di una intercettazione telefonica, una conversazione intervenuta sulla medesima utenza tra la di lui moglie e quello che era il suo difensore ).
Cass. pen. n. 34065/2006
Il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni di difensori, previsto dall'art. 103, comma quinto, c.p.p., ha per oggetto soltanto conversazioni o comunicazioni inerenti alla funzione difensiva, individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, anche a seguito di una verifica successiva all'eventuale captazione che non sia stata disposta nei confronti del difensore in quanto tale. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabili, ai fini dell'identificazione del presunto responsabile di un reato, la cui utenza telefonica cellulare era stata sottoposta ad intercettazione, elementi tratti da una conversazione del medesimo soggetto con quello che era il suo difensore in un procedimento civile, trattandosi di elementi non attinenti alla funzione difensiva di cui il legale era stato investito).
Cass. pen. n. 31177/2006
Le guarentigie previste dall'art. 103 c.p.p., in quanto volte a tutelare non chiunque eserciti la professione legale, ma solo chi sia «difensore» in forza di specifico mandato a lui conferito nelle forme di legge (e ciò essenzialmente in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato), non possono trovare applicazione qualora gli atti indicati nel citato art. 103 debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale che sia egli stesso la persona sottoposta a indagine. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che il pubblico ministero abbisognasse dell'autorizzazione del giudice, ai sensi del comma quarto dell'art. 103 c.p.p., per l'effettuazione di perquisizione nello studio di un legale sottoposto a indagine per truffa in danno di suoi clienti).
Cass. pen. n. 35656/2003
L'art. 103, comma 5, c.p.p., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, mirando a garantire l'esercizio del diritto di difesa, ha ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni relative agli affari nei quali i legali esercitano la loro attività difensiva, e non si estende, quindi, alle conversazioni che integrino esse stesse reato (nella specie, l'avvocato aveva preavvertito il suo cliente delle iniziative assunte dalle forze di polizia, fornendo consigli su come evitare la cattura e commettendo così il reato di favoreggiamento).
Cass. pen. n. 10664/2003
Per l'operatività del divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, lo svolgimento dell'attività difensiva non deve risultare necessariamente da uno specifico e formale mandato, conferito secondo le modalità previste dall'art. 96 c.p.p., potendo desumersi l'esistenza di un mandato fiduciario anche dalla natura stessa dell'incarico, circostanza questa che può essere confermata dallo stesso contenuto delle captazioni, oltre che dalla documentazione prodotta dall'interessato.
Cass. pen. n. 2816/2003
È legittimo il sequestro di un server informatico (completamente sigillato) presso lo studio di un avvocato indagato di concorso in bancarotta fraudolenta, al fine di verificare, con le garanzie del contraddittorio anticipato, la natura effettivamente pertinenziale rispetto al reato ipotizzato di atti e documenti sequestrati, così escludendo indebite conseguenze sulle garanzie del difensore in violazione dell'art. 103 c.p.p..
Cass. pen. n. 3513/1997
In tema di garanzie di libertà del difensore, l'autorizzazione del giudice prevista dal quarto comma dell'art. 103 c.p.p. costituisce una deroga alla disciplina ordinaria relativa al compimento di perquisizioni e sequestri nel corso delle indagini preliminari; tuttavia, una volta che detta autorizzazione sia intervenuta, il pubblico ministero rimane dominus delle indagini, sicché egli può dar corso o meno al compimento dell'atto investigativo o comunque scegliere i tempi della sua esecuzione sulla base di proprie valutazioni discrezionali vincolate esclusivamente dal fine cui devono essere orientate (art. 358 c.p.p.). Ne deriva che la perquisizione presso lo studio di un difensore non deve necessariamente essere eseguita senza soluzione di continuità, dovendosi viceversa ritenere che il pubblico ministero sia legittimato, ove ne ravvisi la necessità o solamente l'opportunità, a completare le operazioni anche in tempi diversi, senza che ciò comporti l'obbligo di munirsi di nuova autorizzazione per ogni accesso, sempre che l'attività di ricerca si svolga nello stesso luogo e con riferimento al medesimo indagato ed alle medesime imputazioni indicate nel decreto del Gip.
In tema di garanzie di libertà del difensore, la disposizione di cui all'art. 103, quarto comma, c.p.p., secondo cui all'attività di ispezione, perquisizione e sequestro da compiersi presso gli studi professionali legali deve procedere personalmente il giudice ovvero il pubblico ministero, non può essere interpretata nel senso che le relative operazioni debbano essere materialmente e fisicamente effettuate dall'autorità giudiziaria; la ratio della norma, infatti, non è quella di precludere alla polizia giudiziaria l'accesso alle carte ed ai documenti dei difensori, come se per ciò stesso si verificasse la compromissione del segreto professionale, bensì quella, assai diversa, di assicurare la presenza agli atti de quibus del magistrato che, anche in virtù della sua preparazione tecnica, sappia individuare con precisione i limiti che l'art. 103 c.p.p., al primo ed al secondo comma, pone all'attività di ispezione, ricerca ed apprensione. Non esiste alcuna preclusione legislativa, pertanto, né tantomeno da ciò può derivare sanzione processuale alcuna, a che il giudice o il pubblico ministero il quale, partecipando all'atto, ne assume la responsabilità, si limiti a dirigere e controllare le operazioni esecutive materialmente svolte in funzione di ausilio dalla polizia giudiziaria, secondo i compiti istituzionali a questa assegnati dal codice di rito (art. 56 c.p.p.).
In tema di garanzie di libertà del difensore, non può ritenersi che tutte le «carte» e i «documenti» che si trovino presso lo studio ovvero l'abitazione di un professionista iscritto all'albo degli avvocati siano perciò stesso da considerarsi «oggetto della difesa» e pertanto sequestrabili solo se «corpo di reato». Per «oggetto della difesa», come indicano il senso letterale delle parole e la ratio della norma, deve intendersi infatti inerenza ad un procedimento giudiziario, anche eventualmente concluso, in relazione al quale il professionista espleti o abbia espletato un mandato difensivo espressamente conferito dall'interessato; rimane escluso da tale definizione, pertanto, tutto ciò che, pur attenendo in genere all'attività professionale del legale, esula dall'espletamento di un mandato difensivo come sopra inteso, e che può dunque essere legittimamente sequestrato anche se rientrante solamente fra le «cose pertinenti al reato», salva in ogni caso la tutela del segreto professionale, opponibile anche in tali ipotesi nelle forme di legge (art. 256, primo comma, c.p.p.).
Cass. pen. n. 2588/1995
I limiti imposti dall'art. 103 c.p.p. quali «garanzie di libertà del difensore», con specifico riferimento al sequestro non possono riguardare documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell'imputato, privi di una finalizzazione attuale ed attuosa allo espletamento delle funzioni del difensore. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso la illegittimità del sequestro, operato nel corso di perquisizione presso l'indagato, di un documento intestato «pro memoria per l'Avv. ...»).
Cass. pen. n. 2337/1995
I divieti e le limitazioni stabiliti dall'art. 103 c.p.p. per gli atti ivi menzionati debbono ritenersi operanti con riguardo non ai soli soggetti che esercitano attività defensionale nel procedimento nell'ambito del quale si collocano gli atti predetti, ma a tutti coloro che, debitamente iscritti negli albi professionali, abbiano assunto difese in qualsivoglia altro procedimento.
Cass. pen. n. 1906/1995
Il divieto di perquisizione presso lo studio del difensore riguarda il professionista che assiste l'indagato nel procedimento a cui l'atto si riferisce; le garanzie di libertà del difensore previste dall'art. 103 c.p.p., infatti, in quanto inserite nel titolo settimo del codice che disciplina la figura del difensore dell'imputato, si riferiscono esclusivamente al professionista che assiste la parte privata nel procedimento penale, e non ad altri.
Cass. pen. n. 2576/1994
L'omesso avviso al locale Consiglio dell'ordine forense, nel caso di perquisizione dei locali adibiti a studio professionale del difensore e di sequestro del materiale ivi rinvenuto, si traduce in una inosservanza sanzionata da esplicita e tassativa nullità anche qualora gli atti sopra indicati siano stati eseguiti in presenza di altro avvocato in funzione di difensore del primo.
Cass. pen. n. 2604/1994
In tema di avvisi al difensore, nei casi in cui, ricorrendo una situazione di urgenza, la legge in luogo di prevedere la notifica dell'avviso, si limiti a stabilire che lo stesso deve essere dato al difensore, deve ritenersi sufficiente il procurare al destinatario dell'avviso l'effettiva conoscenza dell'avviso stesso, anche se questo è comunicato con forme diverse dalle notificazioni. Pertanto quando non sia possibile procurare tale effettiva conoscenza, è solo la conoscenza legale che può far ritenere osservata la norma che prescrive l'avviso, sicché in tal caso occorre usare le forme stabilite per le notificazioni che costituiscono il mezzo normalmente previsto dal legislatore per portare a conoscenza delle persone atti del procedimento da compiere o già compiuti. (Affermando tale principio la Cassazione ha annullato gli atti di perquisizione e di sequestro operati presso uno studio mancando la prova che la relativa comunicazione telefonica al Presidente del Consiglio dell'ordine, effettuata personalmente dal P.M. e ricevuta da una segretaria, senza l'osservanza delle forme di cui all'art. 149 c.p.p., avesse raggiunto il suo scopo; in particolare la Corte Suprema ha ravvisato evidente analogia di tale fattispecie con quella dell'avviso al difensore).
Cass. pen. n. 25/1994
In tema di garanzie di libertà dei difensori previste dall'art. 103 c.p.p., il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni opera anche nel caso in cui l'attività difensiva concerna un procedimento diverso da quello cui le intercettazioni atterrebbero. Peraltro il divieto in questione non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata.
L'operatività dei limiti e delle garanzie previsti dall'art. 103 c.p.p. per le ispezioni e perquisizioni da eseguire negli uffici dei difensori non è subordinata alla condizione che tali atti siano disposti dall'autorità giudiziaria nello stesso procedimento in cui è svolta l'attività difensiva. Ne consegue che deve ritenersi illegittima la perquisizione di uno studio di un difensore disposta dal P.M. ed eseguita dalla polizia giudiziaria senza l'osservanza delle prescrizioni dell'art. 103, terzo e quarto comma, c.p.p., anche se con riferimento ad un procedimento diverso da quello in cui era svolta attività difensiva. (La Cassazione ha altresì evidenziato che poiché le garanzie previste per le ispezioni e le perquisizioni dal terzo e quarto comma, dell'art. 103, c.p.p., si riferiscono ai soli atti disposti dall'autorità giudiziaria, resta fermo il potere della polizia giudiziaria di procedere a perquisizione nei casi di cui all'art. 352 stesso codice).
Cass. pen. n. 24/1994
Il divieto di sequestrare presso i difensori «carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato», previsto dall'art. 103, secondo comma, c.p.p., non è limitato all'ipotesi in cui il sequestro è disposto nell'ambito dello stesso procedimento in cui si svolge l'attività difensiva o all'ipotesi in cui questa sia ancora in corso, ed opera, quindi, anche nel caso in cui tale attività concerna un procedimento diverso. Inoltre, mentre per le ispezioni e per le perquisizioni la «garanzia» prevista dal citato articolo è collegata ai locali dell'ufficio, per i sequestri (così come avviene anche per le intercettazioni e per il controllo della corrispondenza) la lettera del secondo comma, con le parole iniziali («presso i difensori»), mostra che la garanzia è collegata direttamente alle persone (difensori e consulenti tecnici), sicché il divieto opera anche quando l'attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dall'ufficio.
Cass. pen. n. 3804/1993
Le garanzie di libertà dei difensori, previste dall'art. 103 c.p.p. sono apprestate a tutela non della dignità professionale degli avvocati, ma del libero dispiegamento dell'attività difensiva e del segreto professionale, che trovano il diretto supporto nell'art. 24 della Costituzione, che sancisce la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona. Tali garanzie mirano a prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva, in quanto l'attività di ricerca negli studi professionali implica la possibilità di esame di carte e di fascicoli utili per l'esercizio autonomo della attività di difensore. Esse, perciò, non vanno limitate al difensore dell'indagato o dell'imputato nel cui procedimento sorge la necessità di attività di ispezione, ricerca o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengono eseguiti nell'ufficio di un professionista, iscritto all'albo degli avvocati e procuratori, che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l'attività di ricerca, perquisizione e sequestro viene compiuta. (Nella specie, in applicazione del principio di diritto sopra massimato, è stato rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso ordinanza del tribunale che aveva dichiarato la nullità, per violazione dell'art. 103 c.p.p., del sequestro di documenti a seguito di perquisizione disposta dal procuratore della Repubblica presso lo studio legale di un avvocato, indagato per il reato di cui all'art. 323 c.p.).
Le limitazioni e i divieti alla effettuazione di ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni, previsti dall'art. 103 c.p.p. a garanzia della libertà dei difensori, operano a favore di qualsivoglia soggetto che, iscritto all'albo degli avvocati e procuratori, eserciti la professione legale e abbia quindi assunto la difesa di assistiti, anche quando tali difese riguardino procedimenti diversi da quello nell'ambito del quale gli atti anzidetti dovrebbero aver luogo.
Cass. pen. n. 3304/1993
Le limitazioni e i divieti alla effettuazione di ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni, previsti dall'art. 103 c.p.p. a garanzia della libertà dei difensori, operano a favore di qualsivoglia soggetto che, iscritto all'albo degli avvocati e procuratori, eserciti la professione legale e abbia quindi assunto la difesa di assistiti, anche quando tali difese riguardino procedimenti diversi da quello nell'ambito del quale gli atti anzidetti dovrebbero aver luogo.