Art. 306 – Codice di procedura penale – Provvedimenti conseguenti alla estinzione delle misure
1. Nei casi in cui la custodia cautelare [284, 285, 286] perde efficacia secondo le norme del presente titolo [300, 302, 303], il giudice dispone con ordinanza l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura.
2. Nei casi di perdita di efficacia di altre misure cautelari, il giudice adotta con ordinanza i provvedimenti necessari per l'immediata cessazione delle misure medesime.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25271/2024
La solidarietà ex art. 68 r.d.l. n. 1578 del 1933 richiede un giudizio bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista, in modo che al giudice sia sottratto il potere di pronunciare sul processo; ciò si verifica anche quando le parti hanno previsto l'abbandono della causa dal ruolo o hanno rinunciato agli atti del processo, con conseguente estinzione di questo, purché i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione, accettando che, nei loro confronti, resti tenuta solo l'altra parte, a carico della quale la transazione abbia posto le spese giudiziali.
Cass. civ. n. 14172/2024
La presenza in giudizio di più difensori della stessa parte non autorizza i medesimi a moltiplicare gli atti tipici previsti dalla legge per la difesa dell'assistito, in quanto il potere di compiere l'atto si riferisce al diritto della parte di difendersi e contraddire, che è unico anche se la parte è assistita da più avvocati. (Nella specie, la S.C. ha considerato validamente espressa la rinuncia agli atti formulata da uno solo dei difensori della parte ricorrente).
Cass. civ. n. 13636/2024
La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente quello ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva rigettato l'appello ritenendo valida la rinuncia all'intera domanda effettuata dal difensore della ricorrente a verbale nel giudizio di primo grado).
Cass. civ. n. 8759/2024
Nel giudizio di cassazione, tanto nell'ipotesi di estinzione per rinunzia (accettata), quanto nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere, deve essere giudizialmente ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, essendo siffatte pronunzie sostanzialmente assimilabili all'ipotesi di estinzione del processo per rinunzia all'azione, espressamente regolata dal comma 2 dell'art. 2668 c.c..
Cass. civ. n. 34025/2023
In tema di impugnazioni, l'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi - tipici - del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria d'inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, "lato sensu" sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica.
Cass. civ. n. 30251/2023
La cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza d'interesse della parte alla definzione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l'effettivo venir meno dell'interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all'accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese che, invece, costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese.
Cass. civ. n. 26970/2023
La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione.
Cass. pen. n. 38287/2004
L'inefficacia della misura cautelare disposta da un giudice incompetente, dovuta ad omesso rispetto del termine imposto dall'art. 27 c.p.p., non impedisce al giudice competente di emettere una nuova misura cautelare sulla base degli stessi elementi in quanto si tratta di titolo autonomo di detenzione e l'eventuale omessa scarcerazione nel periodo intermedio non determina la perdita di efficacia della nuova misura in quanto non prevista come sanzione processuale dall'art. 306 c.p.p..
Cass. pen. n. 226440/2003
Poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall'ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l'intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p., suscettibile di appello ai sensi dell'art. 310 dello stesso codice. (Nella fattispecie, relativa a ricorso diretto in Cassazione contro il ripristino della misura ordinata dal G.I.P., la Corte, ribadendo il principio affermato dalle Sezioni Unite anche con riferimento al caso specifico di ricorso "per saltum", ha precisato che non può essere rintracciata "ratione materiae" (misura cautelare) una "vis attractiva" del ricorso per cassazione rispetto alla procedura ex artt. 306 e 310 c.p.p.; e ciò in quanto la questione dedotta - inefficacia sopravvenuta per mancanza dell'interrogatorio - non risulta neppure dal fascicolo del ricorso concernente il provvedimento coercitivo).
Cass. pen. n. 38707/2002
Poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall'ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l'intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p., suscettibile di appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p. (Nella fattispecie, relativa a ricorso diretto in Cassazione contro il ripristino della misura ordinata dal G.I.P., la Corte, ribadendo il principio affermato dalle Sezioni Unite anche con riferimento al caso specifico di ricorso "per saltum", ha precisato che non può essere rintracciata "ratione materiae" (misura cautelare) una "vis attractiva" del ricorso per Cassazione rispetto alla procedura ex artt. 306 e 310 c.p.p.; e ciò in quanto la questione dedotta - inefficacia sopravvenuta per mancanza dell'interrogatorio - non risulta neppure dal fascicolo del ricorso concernente il provvedimento coercitivo).
Cass. pen. n. 3867/2000
Allorché un indagato deve esser scarcerato per motivi attinenti alla validità degli atti compiuti, quali l'omesso interrogatorio di garanzia nel termine previsto, non è possibile disporne il fermo prima che lo stesso venga effettivamente scarcerato.
Cass. pen. n. 1566/1999
Nei casi di perdita di efficacia del provvedimento cautelare a norma dell'art. 309, decimo comma, c.p.p., il soggetto che ha diritto a riacquistare la libertà può, in ogni tempo, salvo il limite della preclusione derivante dal giudicato cautelare, non solo chiedere al giudice del procedimento principale la dichiarazione di sopravvenuta caducazione automatica dell'ordinanza dispositiva della misura coercitiva per l'inosservanza dei termini indicati nella citata norma, ma anche agire dinanzi al giudice della procedura incidentale di impugnazione per farla valere. (Fattispecie in tema di inosservanza del termine per la trasmissione degli atti al Tribunale del riesame previsto dall'art. 309, comma 5, c.p.p.).
Cass. pen. n. 2013/1999
Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, decimo comma, c.p.p., l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura, quale effetto automatico di detta inosservanza, può essere chiesta anche al giudice del procedimento principale a norma dell'art. 306 stesso codice, salvo che la relativa richiesta sia già stata respinta nel procedimento incidentale di impugnazione (riesame o ricorso per cassazione), dal momento che in quest'ultima eventualità si determina la preclusione endoprocessuale derivante dalla formazione del cosiddetto «giudicato cautelare». (Fattispecie relativa a richiesta di sopravvenuta inefficacia della custodia cautelare per inosservanza del termine di trasmissione degli atti al Tribunale del riesame, a seguito dell'interpretazione data da Corte cost. n. 232/98).
Cass. pen. n. 2/1999
Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, comma decimo, c.p.p., l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura, quale effetto automatico di detta inosservanza, può essere chiesta anche al giudice del procedimento principale a norma dell'art. 306 stesso codice, salvo che la relativa richiesta sia già stata respinta nel procedimento incidentale di impugnazione (riesame o ricorso per cassazione), dal momento che in quest'ultima eventualità si determina la preclusione endoprocessuale derivante dalla formazione del cosiddetto “giudicato cautelare”. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato l'inefficacia dell'ordinanza dispositiva della custodia cautelare relativamente a due ricorrenti, per inosservanza del termine di cui all'art. 309, comma quinto, c.p.p., ritenendo contestualmente inammissibili i ricorsi degli altri tre, che si erano già visti rigettare in precedenza ricorsi per cassazione avverso il medesimo provvedimento, senza che, frattanto la loro posizione si fosse modificata).
Cass. pen. n. 1560/1999
Deve affermarsi l'interesse dell'indagato a ricorrere per cassazione avverso il provvedimento del tribunale del riesame, reiettivo dell'appello (ex art. 310 c.p.p.) avverso il diniego di scarcerazione per intervenuta decorrenza dei termini di custodia cautelare, anche se sorretto dalla finalità della rimozione delle conseguenze extra penali sfavorevoli derivanti dal trattamento carcerario differenziato, di cui all'art. 41 bis, comma secondo, introdotto nell'ordinamento penitenziario con l'art. 19 del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. (Fattispecie in cui il trattamento differenziato era collegato alla sola imputazione di cui all'art. 416 bis c.p. e la custodia era anche per altri reati).
Cass. pen. n. 2589/1998
Il tribunale del riesame è competente a conoscere, oltre alle questioni di legittimità e di merito dell'ordinanza cautelare, anche le cause sopravvenute di inefficacia dell'ordinanza medesima, in quanto sussiste l'esigenza di un'immediata pronuncia sullo status libertatis conseguente alla suddetta perdita di efficacia, sicché il giudice investito del riesame contro la misura cautelare ha il potere, oltre che di annullare o riformare l'ordinanza ai sensi dell'art. 309, comma nono, c.p.p., anche di dichiarare immediatamente l'inefficacia della misura a norma dell'art. 306 stesso codice. (Fattispecie in tema di conflitto tra Gip e tribunale del riesame in ordine alla competenza a dichiarare la perdita di efficacia dell'ordinanza dispositiva della misura coercitiva a seguito della intempestiva trasmissione degli atti ai sensi dell'art. 309, comma quinto, c.p.p.).
Cass. pen. n. 508/1998
In tema di riesame delle misure cautelari la mancata trasmissione, da parte del pubblico ministero, di atti sopravvenuti favorevoli all'indagato non determina una nullità incidente sul procedimento di riesame, neppure sotto il profilo della violazione dei diritti della difesa; ciò in quanto la legge prevede una specifica sanzione e precisamente la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva. Tale inefficacia, non intaccando l'originaria legittimità del provvedimento impositivo della misura, deve essere fatta valere, ove non si provveda di ufficio, con l'attivazione, mediante istanza di scarcerazioe, del distinto procedimento regolato dall'art. 306 c.p.p. Tuttavia, non potendosi ritardare una decisione che incide sulla libertà personale dell'individuo, l'inefficacia della cautela restrittiva può essere eccepita anche nel corso del procedimento di riesame, ma solo ove ciò sia possibile e cioè solo quando il giudice dell'impugnazione sia in grado, avendone il potere, di apprezzare la fondatezza o meno, dell'eccezione. (Ha peraltro precisato la Corte che l'inefficacia della misura coercitiva per la mancata trasmissione di atti sopravvenuti favorevoli all'indagato non può essere eccepita in sede di ricorso per cassazione perché non lo consentono i limiti del giudizio di legittimità, richiedendosi, per determinare se tali atti siano favorevoli, o meno, all'indagato, una valutazione prettamente di merito sull'effettiva loro rilevanza ai fini della difesa).
Cass. pen. n. 1594/1998
Le circostanze implicanti la perdita di efficacia della misura cautelare, non risolvendosi in vizi processuali che incidono sulla legittimità dell'atto, operano sul piano della persistenza della misura e devono essere fatte valere dinanzi al giudice di merito con l'istanza di revoca prevista dall'art. 306 c.p.p., cui può seguire la proposizione dell'appello, in caso di rigetto dell'istanza medesima, e, successivamente, il ricorso per cassazione. Unica eccezione a tale iter processuale è consentita — per non ritardare la decisione de libertate — nel caso in cui, con il ricorso alla Corte Suprema avverso l'ordinanza emessa in sede di riesame, si facciano valere, insieme a vizi riguardanti l'originaria legittimità del provvedimento impositivo della misura, anche questioni attinenti al permanere della sua efficacia, sempreché le questioni stesse dipendano da vizi del procedimento di riesame e non siano, invece, ad esso esterne. (Nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto non deducibile con il ricorso per Cassazione la questione della decorrenza del termine massimo di durata della custodia cautelare).
Cass. pen. n. 353/1998
Al tribunale del riesame, e conseguentemente al giudice di legittimità in sede d'impugnazione avverso il relativo provvedimento, possono essere sottoposte solamente le questioni concernenti la sussistenza delle condizioni di legittimità della misura cautelare al momento dell'emissione dell'ordinanza custodiale; mentre le questioni che riguardano la perdita di efficacia del provvedimento per la mancanza o l'invalidità di successivi adempimenti, quale quello inerente all'interrogatorio, risolvendosi in vizi che non intaccano la validità del provvedimento, devono essere fatte valere in un distinto procedimento e vanno decise con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p., suscettibile di appello ex art. 310 c.p.p. Peraltro, ove siano stati proposti motivi di ricorso attinenti all'originaria legittimità dell'ordinanza impositiva e profili inerenti al successivo venire meno dell'efficacia del provvedimento per effetto di una causa estintiva della custodia cautelare, il ricorso per cassazione genera una peculiare vis attractiva, con possibilità di estensione della cognizione della Corte alle questioni riguardanti l'estinzione della misura, al fine di evitare il protrarsi di una decisione che, in caso di fondatezza del ricorso, avrebbe inammissibili effetti tardivi sulla scarcerazione della persona sottoposta alla misura cautelare.
Cass. pen. n. 1807/1997
Le cause che determinano l'inefficacia della custodia cautelare (nella specie per asserita inosservanza del termine perentorio fissato dall'art. 309, comma quinto, c.p.p.), poiché non agiscono sul piano dell'intrinseca legittimità dell'ordinanza applicativa, devono essere fatte valere nell'ambito di un distinto procedimento, mediante l'istanza di revoca specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p. e i rimedi eventuali dell'appello e del ricorso per cassazione, e non mediante riesame. Tuttavia, ove con il ricorso per cassazione avverso la decisione sulla richiesta di riesame sia censurata, insieme con la perdita di efficacia del provvedimento coercitivo, anche la legittimità originaria dello stesso, si dispiega la vis attractiva del proposto gravame e si radica la competenza del giudice di legittimità: con la conseguenza che, se l'assunto dell'inefficacia sopravvenuta della misura cautelare è fondato, non si ritarda ulteriormente la decisione de libertate conseguente all'estinzione della misura, che si sarebbe dovuta richiedere in altra sede ex art. 306 c.p.p., subito dopo l'ordinanza del tribunale del riesame.
Cass. pen. n. 8/1996
La pregiudiziale costituzionale, per espressa previsione normativa (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, secondo comma), determina la sospensione obbligatoria del procedimento che priva il giudice della potestas decidendi fino alla definizione della pregiudiziale medesima, né alle parti è attribuito alcun potere di rimuovere tale stasi processuale, essendo immodificabili ed insindacabili sia l'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale sia il pedissequo provvedimento di sospensione; tuttavia, nell'ipotesi in cui venga obbligatoriamente sospeso un procedimento in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare, il soggetto ad essa sottoposto che ritenga di aver maturato il diritto a riacquistare lo status libertatis per il verificarsi di una delle cause estintive del provvedimento coercitivo di cui all'art. 306 c.p.p., non incontra alcun ostacolo a far valere la sua pretesa in giudizio e può quindi promuovere davanti al giudice per le indagini preliminari, o ad uno dei giudici competenti per i vari gradi ai sensi dell'art. 279 c.p.p., un'azione di accertamento finalizzata alla declaratoria della sopravvenuta caducazione della misura ed all'ottenimento dell'ordinanza di immediata liberazione o di cessazione della misura estinta, secondo quanto dispongono, rispettivamente, il primo e il secondo comma del predetto articolo 306 c.p.p.; trattasi, invero, di azione di natura dichiarativa, rivolta alla tutela di un diritto assoluto ed inviolabile, esperibile in ogni tempo salvo il limite della preclusione ove la questione abbia già formato oggetto di giudicato cautelare nelle sedi proprie.
Cass. pen. n. 757/1995
La mancata esecuzione di cessazione di efficacia di misura coercitiva, diversa dalla custodia cautelare, non ha alcuna incidenza giuridica sul provvedimento di ripristino della stessa, allorché il medesimo sia fondato sui nuovi fatti processuali, quale l'intervenuta condanna nella fase di merito, e non sia semplicemente basato su circostanze preesistenti e conosciute o conoscibili da parte del giudice.