Art. 307 – Codice di procedura penale – Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini
1. Nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini, il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare.
1-bis. Qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli articoli 281, 282 e 283 anche cumulativamente.
2. La custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell'articolo 275, è tuttavia ripristinata:
a) se l'imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274;
b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'articolo 274 comma 1 lettera b).
3. Con il ripristino della custodia, i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova decorrono nuovamente ma, ai fini del computo del termine previsto dall'articolo 303 comma 4, si tiene conto anche della custodia anteriormente subita.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo [384] dell'imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1 o nell'ipotesi prevista dal comma 2 lettera b), stia per darsi alla fuga. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto [384-391]. Con il provvedimento di convalida, il giudice per le indagini preliminari, se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente.
5. La misura disposta a norma del comma 4 cessa di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza, il giudice competente non provvede a norma del comma 2 lettera a).
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 1900/2025
In caso di più fondi intercludenti appartenenti a diversi soggetti, l'azione per la costituzione di servitù coattiva di passaggio in favore del fondo intercluso (anche nelle ipotesi previste dagli artt. 1051, comma 3, e 1052 c.c.) deve essere promossa nei confronti di tutti i proprietari e avuto riguardo a tutti i percorsi concretamente sperimentabili, poiché essa determina un processo litisconsortile per comunanza dei plurimi rapporti bilaterali, strettamente correlati al fine di consentire il soddisfacimento del vantato diritto; pertanto, in mancanza dell'integrazione del contraddittorio ordinato dal giudice, il processo va dichiarato estinto, senza che ne derivi il rigetto della domanda. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363 c.p.c.).
Cass. civ. n. 132/2025
Qualora, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che abbia riformato una pronuncia non definitiva, il procedimento di primo grado sia stato sospeso ex art. 129-bis disp. att. c.p.c., la mancata riassunzione di esso, nel prescritto termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza che accoglie il ricorso, non spiega effetti estintivi sul giudizio di rinvio, che sia stato tempestivamente instaurato a norma dell'art. 392 c.p.c..
Cass. civ. n. 25802/2024
La mancata ottemperanza all'ordine di integrazione del contraddittorio emesso in difetto dei presupposti per la sua emanazione non può determinare l'accoglimento dell'impugnazione di merito fondata su tale motivo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato l'estinzione del giudizio, accogliendo l'eccezione di omessa integrazione del contraddittorio in primo grado, nonostante l'insussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario passivo tra i condomini a fronte di domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità esclusiva di uno solo di essi).
Cass. civ. n. 25271/2024
La solidarietà ex art. 68 r.d.l. n. 1578 del 1933 richiede un giudizio bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista, in modo che al giudice sia sottratto il potere di pronunciare sul processo; ciò si verifica anche quando le parti hanno previsto l'abbandono della causa dal ruolo o hanno rinunciato agli atti del processo, con conseguente estinzione di questo, purché i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione, accettando che, nei loro confronti, resti tenuta solo l'altra parte, a carico della quale la transazione abbia posto le spese giudiziali.
Cass. civ. n. 25180/2024
Il principio secondo cui l'autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest'ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio.
Cass. civ. n. 8252/2024
La notificazione dell'atto di citazione eseguita nell'ufficio ubicato nel comune di residenza risultante dai registri anagrafici è nulla, per violazione dell'ordine tassativo dei luoghi cui all'art. 139 c.p.c., allorquando il trasferimento altrove del destinatario risulti ritualmente denunciato ex artt. 44 c.c. e 31 disp. att. c.c., cioè attraverso una doppia dichiarazione, opponibile ai terzi di buona fede, perché fatta sia al comune di provenienza, con indicazione del luogo in cui s'intende fissare la nuova dimora abituale, sia a quello di destinazione, e detto vizio non può essere sanato se non dalla costituzione in giudizio del convenuto.(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che, in applicazione del criterio del raggiungimento dello scopo, aveva escluso la nullità della notificazione eseguita nelle mani del collega di ufficio della parte convenuta, ma senza osservare l'ordine di cui all'art. 139 c.p.c., che imponeva di preferire quello di nuova residenza).
Cass. civ. n. 4814/2024
La litispendenza presuppone la contemporanea pendenza della stessa causa dinnanzi a giudici diversi, assumendo all'uopo rilievo la situazione processuale, anche sopravvenuta, rispetto all'introduzione dei giudizi per come sussistente al momento della decisione. (Nella specie, la S.C. ha negato la sussistenza della litispendenza parziale, affermata dal giudice di merito relativamente alla riconvenzionale, atteso che il giudizio precedentemente instaurato, al momento della pronuncia, si era già estinto in ragione della sua mancata tempestiva riassunzione a seguito della disposta cancellazione dal ruolo).
Cass. civ. n. 114/2024
In virtù dell'art. 307, comma 4, c.p.c., nella formulazione anteriore alla riforma introdotta dall'art. 46 l. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis, l'estinzione del giudizio deve essere sollevata dalla parte interessata con assoluta pregiudizialità; ne consegue che, nel caso in cui emerga dall'atto di citazione in riassunzione che la parte attrice non ha provveduto, nei termini stabiliti dal giudice o dalla legge, ad integrare il contraddittorio, l'eccezione di estinzione deve ritenersi tardivamente proposta ove non sollevata nella prima difesa utile, nella specie rappresentata dall'atto di costituzione in riassunzione, rimanendo irrilevante la circostanza che il giudice, in violazione dell'art. 307, comma 3, c.p.c., a scadenza del termine avvenuta, abbia impropriamente assegnato un nuovo termine (nella specie, per notificare mediante pubblici proclami).
Cass. civ. n. 34670/2023
Quando l'ordinanza dichiarativa dell'incompetenza non contenga, come sarebbe doveroso, la pronuncia sulle spese, l'estinzione del giudizio per mancata riassunzione della causa dinanzi al giudice dichiarato competente rende improcedibile l'appello autonomamente proposto ai soli fini della pronuncia sulle spese.
Cass. civ. n. 31438/2023
L'ordine di integrazione del contraddittorio implica e presuppone la notifica di un atto pienamente valido, ossia dotato dei requisiti previsti dall'art. 163, comma 3, c.p.c., giacché la sussistenza di un termine decadenziale è incompatibile con la possibilità di una sanatoria, salvo che la mancata ripresa, immediata e tempestiva, del procedimento notificatorio, onde evitare l'estinzione del giudizio, sia dovuta a causa non imputabile alla parte.
Cass. civ. n. 30270/2023
In caso di tardiva costituzione dell'attore, in ipotesi di causa con più convenuti, la costituzione tempestiva di almeno uno di essi esclude, ex art. 171 comma 2 c.p.c., che possa disporsi la cancellazione della causa dal ruolo.
Cass. civ. n. 27254/2023
La parte contumace in primo grado non può eccepire in appello l'estinzione del processo nell'ipotesi in cui sia stata posta, nel grado in cui si è verificato l'evento interruttivo, nella condizione di formulare la relativa eccezione per esserle stato ritualmente notificato, in detto grado, l'atto di riassunzione del processo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inammissibile, per violazione dell'art. 345 c.p.c., l'eccezione di estinzione del processo sollevata, in grado d'appello, dalla parte rimasta contumace in primo grado, escludendo che quest'ultima potesse giovarsi degli effetti dell'eccezione ritualmente formulata, in primo grado, dalle altre parti).
Cass. civ. n. 26970/2023
La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione.
Cass. civ. n. 19974/2023
La chiamata in causa di un terzo ex art. 107 c.p.c. è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di primo grado, involgendo valutazioni sull'opportunità di estendere il processo ad altro soggetto, onde l'esercizio del relativo potere, che determina una situazione di litisconsorzio processuale necessario, è insindacabile sia in appello, che in sede di legittimità; pertanto, il giudice di appello può solo constatare la rituale dichiarazione di estinzione del giudizio da parte del giudice di primo grado, ove non si sia provveduto alla riassunzione del processo, con l'integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo, nel termine di un anno dall'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo pronunciata a seguito dell'inottemperanza all'ordine di chiamata in causa. (Nella specie, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza della corte territoriale la quale aveva escluso che, all'esito della cancellazione della causa dal ruolo, la successiva riassunzione, effettuata nei confronti degli originari convenuti ma non nei confronti del terzo, comportasse di per sé l'estinzione del giudizio).
Cass. civ. n. 16407/2023
In tema di equa riparazione, in caso di estinzione del giudizio presupposto per inattività delle parti, non può ritenersi automaticamente operante la presunzione "iuris tantum" di insussistenza del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, di cui all'art. 2, comma 2-sexies, lett. c), della l. n. 89 del 2001, introdotto dalla l. n. 208 del 2015. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, in un giudizio per risarcimento dei danni per responsabilità professionale, aveva dedotto dalla mancata riassunzione della causa da parte della convenuta l'assenza di un pregiudizio per la durata irragionevole del processo, così omettendo di differenziare la posizione processuale delle parti e, quindi, senza tenere conto che la convenuta aveva un interesse contrario alla riassunzione).
Cass. civ. n. 8835/2023
L'art. 299 c.p.c. è applicabile anche nel giudizio di appello e, la morte della parte che si sia verificata dopo la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio ma prima della scadenza del termine per la costituzione comporta l'automatica interruzione del processo, a prescindere sia dalla conoscenza che dell'evento abbiano avuto l'altra parte o il giudice, sia da qualsiasi attività diretta a determinarla, giacché l'effettiva conoscenza dell'evento interruttivo rileva ai soli fini della decorrenza del termine per la riassunzione. Ne consegue che, anche qualora l'evento interruttivo abbia colpito una parte avente la veste di litisconsorte necessario processuale, il giudizio deve essere riassunto o proseguito nel termine di cui all'art. 305 c.p.c. e non nelle forme di cui all'art. 331 c.p.c. - operante invece nei casi in cui, a fronte di una pluralità di eredi della parte deceduta, almeno uno di tali eredi si sia già costituito in giudizio - e che il vizio o la mancata tempestiva notificazione dell'atto di riassunzione, volta a garantire il corretto ripristino del contraddittorio, impongono al giudice di ordinarne la rinnovazione in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c. entro un termine perentorio, il cui mancato rispetto determina l'estinzione del giudizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 291, ultimo comma, e 307, comma 3, c.p.c.
Cass. pen. n. 5155/2018
In tema di ripristino della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 307, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., nei confronti del condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso scarcerato per decorrenza dei termini, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l'emissione della misura e i fatti accertati, il giudice, pur nel perimetro cognitivo limitato alla verifica della sola sussistenza delle esigenze cautelari rispetto alla quale l'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa, ha l'obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d'ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull'attualità e concretezza del pericolo di fuga.
Cass. pen. n. 27459/2017
In tema di misure cautelari personali, il provvedimento che ripristina la custodia cautelare in carcere a norma dell'art. 307, secondo comma, lettera b) cod. proc. pen., facendo rivivere quello originario cessato per decorrenza dei termini di fase, è impugnabile dall'interessato non già mediante il riesame bensì con l'appello ex art. 310 cod. proc. pen..
Cass. pen. n. 45140/2014
In sede di impugnazione cautelare, l'ordinanza di ripristino della custodia in carcere, erroneamente adottata dal giudice procedente dopo la pronuncia della sentenza di condanna nonostante l'assenza di pregresso titolo coercitivo per i reati posti a fondamento del provvedimento restrittivo, può essere riqualificata come ordinanza genetica di applicazione della misura custodiale ai sensi dell'art. 275, comma primo bis, cod.proc.pen. e confermata dal Tribunale in relazione ad esigenze cautelari diverse dal pericolo di fuga, così come l'appello proposto contro di essa deve essere riqualificato come riesame, senza che il mancato rispetto dei termini prescritti per tale rimedio determini la perdita di efficacia della misura.
Cass. pen. n. 26458/2014
In tema di applicazione di altre misure cautelari nei confronti dell'indagato scarcerato per decorrenza dei termini, l'inciso contenuto nel primo comma dell'art. 307 c.p.p., che consente l'adozione di misure sostitutive "solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare, va interpretato nel senso di ricomprendere tanto l'ipotesi di permanenza di tutte, alcune, o una sola delle esigenze originarie, quanto quella di sopravvenienza di nuove esigenze, intervenute alla stessa data della scarcerazione o anche in epoca successiva. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento del tribunale, adito ex art. 310, che aveva affermato la persistenza delle originarie esigenze, all'atto di adozione della misura sostitutiva, omettendo di compiere qualunque verifica in concreto).
Cass. pen. n. 42359/2013
Nei confronti di soggetto, scarcerato per decorrenza termini, indagato per uno dei reati contemplati nel comma primo bis dell'art. 307 c.p.p., possono essere adottate con provvedimento successivo alla scarcerazione misure sostitutive sulla base anche delle permanenti originarie esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 19042/2013
In tema di misure cautelari personali, in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini, qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407, comma secondo, lett. a), c.p.p. il giudice può disporre - attesa la lettera dell'art. 307, comma primo bis c.p.p. - nei confronti dell'imputato le sole misure cautelari del divieto di espatrio, dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, il divieto e l'obbligo di dimora (artt. 281, 282, 283 c.p.p.) ma non anche il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.).
Cass. pen. n. 2840/2013
Ai fini del ripristino della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga non va ritenuta in astratto, sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall'art. 275, comma terzo, c.p.p., bensì in concreto, con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce.
Cass. pen. n. 15283/2009
La durata della sospensione della patente di guida, quale sanzione amministrativa accessoria, è pari, in caso di pluralità di reati, al cumulo di periodi previsti in riferimento a ciascun reato. (La Corte ha precisato che al cumulo delle sanzioni amministrative sono inapplicabili le discipline tipicamente penalistiche, finalizzate a limitare l'inflizione di pene eccessive - art. 81 c.p. - o ad evitare restrizioni troppo ampie delle libertà personali - art. 307, comma primo bis, c.p.p.).
Cass. pen. n. 46788/2008
Ai fini del ripristino della misura cautelare, già dichiarata inefficace per scadenza dei termini, non è richiesta l'instaurazione del contraddittorio tra le parti, garantito, invece, dalla possibilità d'impugnazione, atteso che il provvedimento di ripristino, dando semplicemente nuova attuazione a quello originario, non postula alcun accertamento circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. (Fattispecie di ripristino di misura adottato contestualmente alla sentenza di condanna di primo grado su richiesta del P.M. intervenuta fuori udienza il giorno precedente).
Cass. pen. n. 5740/2008
In materia cautelare, la convalida del fermo - che ha un valore circoscritto al controllo dell'operato della Polizia Giudiziaria - e l'ordinanza applicativa della custodia cautelare, ancorché emesse contestualmente, sono provvedimenti indipendenti e autonomi l'uno dall'altro: ne consegue che l'eventuale nullità del primo non determina la nullità del secondo. (Nella fattispecie la Corte, ha rigettato il ricorso fondato sull'assunto della nullità dell'ordinanza come conseguenza della nullità della convalida di un fermo illegittimamente disposto dal P.M. a carico di un soggetto non indiziato di delitto ma imputato già condannato in primo grado e scarcerato per decorrenza dei termini, nei cui confronti si sarebbe dovuto procedere ex art. 307 comma secondo c.p.p.).
Cass. pen. n. 30972/2007
Ai fini del ripristino della custodia cautelare, contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna ai sensi dell'art. 307, comma secondo, lett. b), c.p.p., l'entità della pena inflitta costituisce un elemento di imprescindibile valenza che, in presenza di ulteriori circostanze oggettive, rende ragionevolmente probabile il pericolo di fuga del condannato. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che assumono significativo rilievo anche l'inserimento dell'imputato in una pericolosa associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti e la sua frequentazione con persone di particolare spessore delinquenziale).
Cass. pen. n. 9857/2007
In ipotesi di ripristino della custodia cautelare in carcere contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 307, comma secondo, lett. b), c.p.p., il giudice non è tenuto a espletare l'interrogatorio di garanzia previsto dall'art. 294 c.p.p., in quanto l'adozione del provvedimento limitativo della libertà personale si fonda sul complesso delle risultanze probatorie formate ed acquisite nel contraddittorio fra le parti e in ordine alle quali è stata, quindi, assicurata la pienezza ed effettività del diritto di difesa. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 29907/2006
L'applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge agli artt. 276, comma primo, e 307, comma primo bis, c.p.p. (La Corte ha altresì precisato che, al di fuori dei casi in cui siano espressamente consentite da singole norme processuali, non sono ammissibili né l'imposizione «aggiuntiva» di ulteriori prescrizioni non previste dalle singole disposizioni regolanti le singole misure, né l'applicazione «congiunta» di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili).
Cass. pen. n. 32944/2005
Deve ritenersi vietata, salvo che la legge espressamente disponga altrimenti (come nel caso di cui all'art. 307, comma 1 bis c.p.p.), l'applicazione congiunta di più misure cautelari personali di natura coercitiva, ancorché tra loro astrattamente compatibili (nella specie trattavasi di obbligo di dimora e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 37673/2004
Nel caso di ripristino della custodia cautelare ai sensi dell'art. 307, comma 2, lett. a), c.p.p. (accertata, dolosa trasgressione delle prescrizioni inerenti a misura cautelare disposta ai sensi del primo comma dello stesso articolo), non vi è necessità di dar luogo all'interrogatorio di garanzia di cui all'art. 294 c.p.p., fermo restando il diritto, da parte dell'imputato, di chiedere di essere sentito dal giudice procedente, ove ritenga di dover rappresentare alcunché a propria difesa.
Cass. pen. n. 2601/2003
In caso di ripristino della custodia cautelare ai sensi dell'art. 307, comma 2, lett. b), c.p.p., non è richiesto l'espletamento dell'interrogatorio di garanzia di cui all'art. 294 stesso codice; il che non comporta alcuna indebita violazione del diritto di difesa, atteso che il provvedimento viene adottato dal giudice del dibattimento con ogni possibile garanzia di contraddittorio.
Cass. pen. n. 33125/2002
Ai fini del ripristino della custodia cautelare di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, nei cui confronti è intervenuta nel frattempo sentenza di condanna, la valutazione circa la sussistenza del pericolo di fuga, cui si riferisce l'art. 307 comma 2 lett. b) c.p.p., non può ricollegarsi solo alla gravità della pena inflitta, ma deve fondarsi su una prognosi condotta in concreto, con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, tra cui la personalità, la tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, il pregresso comportamento, le abitudini di vita, le frequentazioni, la natura delle imputazioni, tutti parametri idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che l'imputato faccia perdere le sue tracce; tuttavia, deve escludersi che i diversi elementi e circostanze debbano essere contemporaneamente sussistenti, essendo sufficiente che il giudice di merito dia rilevanza, con adeguata motivazione, a quelli ritenuti più significativi.
Cass. pen. n. 20897/2002
Il disposto di cui al comma 1 bis dell'art. 307 c.p.p., inserito dall'art. 2, comma 6, del D.L. 24 novembre 2000 n. 341, conv. con modif. in legge 19 gennaio 2001 n. 4 (secondo il quale, quando si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lett. A, il giudice dispone le misure cautelari indicate negli artt. 281, 282 e 283 anche cumulativamente), non può che essere interpretato nel senso che con esso si sia inteso introdurre una presunzione di pericolosità (salva prova contraria), dalla quale far discendere automaticamente l'applicazione delle misure cautelari sostitutive in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini.
L'applicazione, ai sensi dell'art. 307, comma 1, c.p.p., di misure cautelari diverse dalla custodia nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini può essere disposta anche con ordinanza emessa successivamente alla scarcerazione, indipendentemente dalla circostanza che il provvedimento si basi sulla ritenuta persistenza delle originarie esigenze cautelari ovvero sulla loro ritenuta sopravvenienza.
Cass. pen. n. 19365/2002
In tema di procedimenti che proseguono con l'applicazione delle norme vigenti anteriormente all'entrata in vigore del codice di procedura penale, nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini e poi condannato il provvedimento di ripristino della custodia cautelare, a norma dell'art. 272, ultimo comma, c.p.p. del 1930, può essere emesso contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna.
Cass. pen. n. 5276/2002
La richiesta del pubblico ministero volta ad ottenere il ripristino della custodia cautelare in carcere ex art. 307, comma 2, c.p.p., può limitarsi a fare riferimento alla sentenza di condanna — che ne costituisce il presupposto indefettibile — ed a prospettare il pericolo di fuga senza che sia necessario corredarla di ulteriori elementi posto che essa è diretta al giudice che già dispone di tutti gli atti.
Cass. pen. n. 34537/2001
Ai fini del ripristino, determinato da soppravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta né sulla base della presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall'art. 275, comma 3, c.p.p., né per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta), senza che sia necessaria l'attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga.
Cass. pen. n. 27425/2001
Non ricorrono i presupposti del ripristino della custodia cautelare per ritenuta sussistenza del pericolo di fuga, ex art. 307, comma 2, lett. b), c.p.p., nei confronti dell'imputato che, scarcerato per decorrenza dei termini ed assolto successivamente in primo grado, sia stato poi condannato all'esito del giudizio di appello, in quanto il disposto del predetto art. 307, comma 2, lett. b) richiede che la perdita di efficacia della misura sia dovuta esclusivamente alla decorrenza dei termini; qualora, per contro, essa consegua ad una sopravvenuta sentenza di assoluzione in primo grado, la nuova applicazione della misura deve essere disposta ai sensi dell'art. 300, comma 5, c.p.p. il quale prevedendo l'ipotesi di una sentenza di condanna che faccia seguito ad una sentenza di proscioglimento, stabilisce che possa essere adottata una nuova misura coercitiva limitatamente ai pericula libertatis di cui all'art. 274, comma 1, lett. b) e c).
Cass. pen. n. 460/1999
A fronte di una generica richiesta di applicazione di custodia cautelare, avanzata dal pubblico ministero nel corso del giudizio di primo grado nei confronti di soggetto già detenuto, in vista di una sua eventuale scarcerazione, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, può disporre l'applicazione della suddetta misura ai sensi dell'art. 307, comma 2, lett. b), c.p.p., senza con ciò violare il principio secondo cui le misure cautelari non possono essere disposte se non su richiesta dell'organo di accusa.
L'adozione dei provvedimenti in materia di libertà previsti dall'art. 307 c.p.p. non postula l'avvenuta materiale scarcerazione dell'imputato, dovendosi ritenere che detta norma, nel riferirsi all'«imputato scarcerato» abbia soltanto inteso designare lo status del soggetto del quale sia comunque già stata ordinata la scarcerazione, nulla rilevando che il medesimo, per motivi burocratici o di altra natura, non sia stato ancora materialmente dimesso dal carcere.
Cass. pen. n. 2679/1998
Poiché l'art. 307, comma secondo, c.p.p. non è compreso tra le norme che l'art. 245 delle disposizioni di attuazione prevede si applichino ai procedimenti che proseguono con l'applicazione delle disposizioni anteriormente vigenti, non è consentito il ripristino della custodia cautelare nei confronti di un imputato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare in un procedimento proseguente con l'applicazione del codice di procedura abrogato. (Fattispecie nella quale il giudice di appello, all'esito di condanna alla pena di 21 anni di reclusione per omicidio volontario, aveva contestualmente emesso, a richiesta del P.M. e sulla base dell'art. 307 c.p.p., un mandato di cattura nei confronti dell'imputato già scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. La S.C. ha ritenuto illegittima tale pronuncia, trattandosi di processo di c.d. vecchio rito, e ha affermato altresì che sarebbe inammissibile un'interpretazione estensiva dell'art. 251 att. c.p.p. nel senso di comprendervi anche la disciplina dettata dal legislatore del 1988 in tema di provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini, che si risolvono in malam partem nei confronti dell'imputato, poiché tale interpretazione dilaterebbe oltre il significato logico delle espressioni usate il dettato della disposizione transitoria e andrebbe contro il principio di prevalenza della disposizione più favorevole all'indagato-imputato).
Cass. pen. n. 6989/1998
Nella valutazione del pericolo di fuga dell'imputato che legittima il ripristino della custodia cautelare in presenza di una sentenza di condanna, anche se risulti scaduto il termine massimo di fase, il giudice non può prescindere dall'entità della pena inflitta con la sentenza stessa che, se di per sé, non costituisce prova della predetta esigenza, fornisce indubbiamente un indicatore significativo della spinta che può rendere pressanti i propositi di fuga: in tale ottica, ai fini dell'accertamento della concretezza di tale pericolo, il giudice deve tener conto della misura della pena irrogata, congiuntamente ad altri elementi obiettivi da cui possa desumersi la ragionevole probabilità - e quindi non la mera possibilità basata su dati meramente congetturali - che l'imputato, se conservasse lo stato di libertà, potrebbe darsi alla fuga.
Cass. pen. n. 4484/1997
La possibilità di ripristinare la custodia cautelare contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna, prevista dall'art. 307, comma secondo, lett. b), c.p.p. è realizzabile solo quando si accerti che la scarcerazione per decorrenza dei termini è avvenuta (o sarebbe dovuta avvenire) prima, e non dopo la pronuncia della sentenza di condanna, dovendo trovare applicazione in questa seconda ipotesi la norma del primo comma dello stesso art. 307, il quale indica i provvedimenti che devono essere adottati — permanendo ragioni di cautela (ivi compreso il concreto pericolo di fuga dell'imputato) — a seguito della caducazione della misura per lo scadere del termine massimo della sua durata. Ed invero, la norma dell'art. 307, comma secondo, lett. b), c.p.p. è una norma eccezionale rispetto alla regola secondo la quale, una volta decorsi i termini massimi di durata della misura cautelare, è vietato disporre la stessa misura per lo stesso fatto. (Fattispecie relativa a scarcerazione dell'imputato per scadenza del termine massimo di custodia maturato dopo la sentenza di condanna di primo grado. In relazione a tale situazione, la S.C. ha ritenuto corretto l'operato del tribunale della libertà, secondo il quale, poiché la sentenza era antecedente all'ordinanza di scarcerazione per decorso dei termini di durata massima della custodia cautelare, per il ripristino di quest'ultima sarebbe stata necessaria una modificazione della situazione processuale dell'imputato sopravvenuta alla scarcerazione).
Cass. pen. n. 2022/1997
Avverso l'ordinanza con la quale viene ripristinato lo stato di custodia cautelare dopo la cessazione di questa per scadenza termini ai sensi dell'art. 307 c.p.p., è esperibile solo il mezzo di impugnazione dell'appello previsto dall'art. 310 c.p.p. e non quello del riesame e del ricorso per saltum in cassazione. Il riesame è infatti mezzo d'impugnazione riservato esclusivamente ai provvedimenti genetici della misura cautelare e tale non è quello che ne ripristina gli effetti, ricorrendo le condizioni di legge.
Cass. pen. n. 172/1997
Nel caso in cui debba essere disposta la scarcerazione dell'imputato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, il giudice non può applicare misure cautelari alternative ex art. 307, primo comma, c.p.p., in assenza della richiesta del pubblico ministero, la cui sussistenza non può ritenersi implicita nel parere del P.M. contrario all'accoglimento dell'istanza di scarcerazione e privo di richieste in ordine ad eventuali misure alternative. Ne consegue che, essendo la richiesta esplicita del pubblico ministero comunque obbligatoria, la sua omissione, concernendo la partecipazione dello stesso pubblico ministero al procedimento, determina la nullità del provvedimento applicativo ex art. 178 lett. b) c.p.p.
Cass. pen. n. 5271/1997
Ai fini del ripristino della custodia cautelare in carcere nel caso previsto dall'art. 307, comma secondo, lett. b) c.p.p., l'indebita valutazione fatta dal giudice anche delle esigenze cautelari previste dall'art. 274, lett. c) stesso codice, non incide sulla legittimità del provvedimento coercitivo, allorché siano state comunque considerate le esigenze di cui alla precedente lettera b) dello stesso articolo, con apprezzamento congruamente motivato in riferimento alla condanna inflitta e al conseguente concreto accentuarsi del pericolo di fuga. (Fattispecie relativa a condanna all'ergastolo confermata in appello e, quindi, presumibilmente, di imminente esecuzione).
Cass. pen. n. 5252/1997
In tema di provvedimenti ex art. 307 c.p.p., dopo la scarcerazione per decorrenza dei termini, la custodia cautelare — risultante necessaria a norma dell'art. 275 c.p.p. per inadeguatezza delle altre misure — può essere ripristinata tutte le volte in cui, in presenza di una condanna, il giudice procedente (di primo o secondo grado) ravvisi il pericolo di fuga.
Cass. pen. n. 3497/1996
Il pericolo di fuga che, nell'ipotesi di intervenuta condanna, consente, ai sensi dell'art. 307, secondo comma, c.p.p., il ripristino della custodia cautelare estinta per decorrenza dei termini, deve essere connotato, oltre che dalla concretezza, ex art. 274 lett. b) c.p.p., anche dalla attualità, sicché non è possibile, in alcun modo, identificarlo con quello già posto a base dell'originaria misura, e, tantomeno, ritenerlo presunto; e neppure può considerarsi sufficiente, per la sua configurabilità, la mera sopravvenienza della sentenza di condanna, che costituisce solo uno dei presupposti del ripristino della misura e che è idonea, tutt'al più, ad offrire elementi sintomatici del pericolo medesimo.
Cass. pen. n. 2136/1996
Non può essere considerata trasgressiva del divieto di dimora in un determinato luogo e dell'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia giudiziaria predeterminato, e non può, quindi, dar luogo al ripristino, ai sensi dell'art. 307, comma 2, lettera a), c.p.p., della più grave misura della custodia cautelare in carcere, la condotta di chi si sia temporaneamente allontananto dal luogo indicato come quello di propria dimora (diverso da quello per il quale era stato imposto il divieto), dandone comunicazione all'ufficio di polizia giudiziaria presso il quale doveva presentarsi ed ottemperando, quindi, all'obbligo di presentazione presso altro ufficio indicatogli dal primo.
Cass. pen. n. 4412/1996
L'art. 307, primo comma c.p.p. prevede che l'applicazione, nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini, di altre misure cautelari, di cui ricorrano i presupposti, è possibile ove permangano le ragioni, che avevano giustificato la custodia in carcere. Si impone, pertanto, l'obbligo di motivazione al giudice, il quale, ancorché non debba accertare che le esigenze cautelari già poste a base dell'ordinanza custodiale, siano rimaste immutate, deve tuttavia dare atto, in concreto, che esse sono ancora di rilevanza tale, da legittimare l'applicazione di altre e meno gravose misure. (Fattispecie: adozione dell'obbligo di soggiorno).
Cass. pen. n. 2627/1996
Il termine iniziale per l'efficacia di una misura cautelare personale diversa dalla custodia cautelare comincia a decorrere dalla sua esecuzione, indipendentemente dall'essere stata o meno tale misura preceduta da un'altra più grave.
Cass. pen. n. 2903/1996
Il provvedimento che ripristina la custodia cautelare ai sensi dell'art. 307, comma 2, lettera a), c.p.p., fa rivivere quello originario, dispositivo della misura stessa, tanto che non è richiesta alcuna indagine circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Pertanto esso è impugnabile non già mediante il riesame, proponibile solo contro l'ordinanza che dispone la misura coercitiva, bensì l'appello, impugnazione di carattere generale e residuale, che trova applicazione in tutti i casi in cui non si possa sperimentare il riesame.
Cass. pen. n. 573/1994
La permanenza delle ragioni giustificatrici della custodia cautelare, costituente condizione, ai sensi dell'art. 307, primo comma, c.p.p., per l'applicazione di altre misure nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini, non implica che le esigenze cautelari a suo tempo poste a base del provvedimento applicativo della custodia cautelare siano rimaste assolutamente immutate, dovendosi al contrario ritenere sufficiente che esse siano ancora, comunque, di rilevanza tale da legittimare, non potendosi protrarre la detta custodia, l'applicazione di diverse e meno gravose misure.
Cass. pen. n. 2229/1993
In tema di ripristino della custodia cautelare ex art. 307, secondo comma, lett. b) c.p.p., lo stato di detenzione attuale dell'imputato, anche in esecuzione di pena, non può condizionare di per sè la possibilità di riconoscere la sussistenza dell'esigenza cautelare relativa al «concreto pericolo» di fuga prevista dall'art. 274 primo comma lett. b) c.p.p., richiamato dalla suddetta norma. (Fattispecie in cui il ricorrente sosteneva che il suo stato di detenuto in espiazione di pena rendeva inattuale la prospettiva del pericolo di fuga; la Cassazione ha rigettato il ricorso sulla scorta del principio di cui in massima e sul rilievo che l'assunto del ricorrente era comunque smentito dal fatto che egli si era già reso responsabile di una evasione).
Cass. pen. n. 2034/1993
La custodia cautelare è correttamente ripristinata dopo una pesante condanna intervenuta in primo grado, tale da rendere più attuale e pressante la tendenza alla fuga già manifestata dalla pregressa latitanza e dal possesso di documenti falsi nonché dall'essere i prevenuti inseriti in una pericolosa organizzazione criminale; e ciò alla stregua dell'art. 307, secondo comma, lettera b), c.p.p., da interpretarsi, non già nel senso che una sentenza di tal genere costituisca la prova del proposito di fuga, quanto, invece, nel senso che essa può rappresentare la premessa per il sorgere di una spinta nella accennata direzione.
Cass. pen. n. 589/1993
L'art. 307, secondo comma, lettera b), c.p.p., prevede il ripristino della misura della custodia cautelare in presenza di sentenza di condanna di primo o di secondo grado, nonché dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lettera b) c.p.p. (quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che si dia alla fuga). In virtù del principio di analogia, consentito nel silenzio della norma, la rinnovazione della misura cautelare deve ritenersi estensibile al divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) ed al diniego del «nulla-osta» dell'autorità giudiziaria al rilascio del passaporto (art. 3, primo comma, lett. c, L. 21 novembre 1967, n. 1185), sempre che sussista il presupposto della modifica della situazione processuale dell'imputato, per effetto d'una sentenza di condanna di primo o di secondo grado.
Cass. pen. n. 458/1993
Il ripristino della custodia cautelare in carcere per i delitti indicati nell'art. 275 comma terzo c.p.p., una volta intervenuto un provvedimento dichiarativo della sua estinzione per decorso della sua durata massima non è consentito in virtù del solo titolo di reato, ma soltanto quando ricorrono le condizioni indicate nelle lett. a) e b) dell'art. 307 comma secondo stesso codice.
Cass. pen. n. 3633/1992
Nulla osta alla reiterazione della misura cautelare per lo stesso fatto, anche se non diversamente circostanziato o qualificato, quando il precedente provvedimento sia stato annullato. In ogni momento in cui sussistono i presupposti di legge (art. 272 ss. c.p.p.) il giudice ha il potere di emettere una misura cautelare, mentre ha l'obbligo di revocarla o sostituirla, rispettivamente, quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità e quando le esigenze risultano attenuate o essa non è più proporzionata al fatto (art. 299 c.p.p.); a meno che non sia stata disposta la scarcerazione per decorrenza dei termini, nel qual caso, la custodia cautelare può essere ripristinata nei limiti previsti dall'art. 307 c.p.p.