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Art. 1418 — Cause di nullità del contratto

Art. 1418 — Cause di nullità del contratto

Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.

Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa [ 1343 ], l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346.

Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [ 458, 778, 785, 788, 794, 1350, 1354, 1355, 1472, 1895, 1904, 1963, 1972, 2103, 2115, 2265, 2744 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 19196/2016

La violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacché l’art. 1418, comma 1, c.c., con l’inciso «salvo che la legge disponga diversamente», impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti della norma, sicché, in assenza di un divieto generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, la stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario in violazione dell’art. 216, comma 3, l.fall., che punisce la condotta di bancarotta preferenziale, non dà luogo a nullità per illiceità di causa, ai sensi del citato art. 1418, ma costituisce il presupposto per la revocazione degli atti lesivi della “par condicio creditorum”.

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Cass. civ. n. 8066/2016

In tema di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, l’area delle norme inderogabili di cui all’art. 1418, comma 1, c.c., ricomprende, oltre le norme relative al contenuto dell’atto, anche quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive e soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipula stessa del contratto ponendo la sua esistenza in contrasto con la norma imperativa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la nullità di un accordo transattivo relativo al conferimento dell’incarico di direttore generale della RAI, illecito perché stipulato in violazione dell’incompatibilità di cui all’art. 2, comma 9, della l. n. 481 del 1995).

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Cass. civ. n. 11933/2013

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato da nullità del contratto inizia a decorrere dalla data del contratto, se a domandarlo è la stessa parte che ha invocato la nullità; decorre, invece, dalla data di accertamento giudiziale della nullità, se è preteso da una parte negoziale diversa da quella che ha fatto valere quest’ultima.

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Cass. civ. n. 26724/2007

In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. «nullità virtuale»), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all’art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (c.d. «contratto quadro», il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del «contratto quadro»; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, primo comma, c.c., la nullità del cosiddetto «contratto quadro» o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso.

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Cass. civ. n. 19024/2005

In materia di contratti di compravendita di valori mobiliari, la violazione da parte della società di intermediazione mobiliare del divieto di effettuare operazioni con o per conto del cliente nel caso in cui abbia, direttamente o indirettamente, un interesse conflittuale nell’operazione, a meno che non abbia comunicato per iscritto la natura e l’estensione del suo interesse nell’operazione ed il cliente abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto all’operazione (art. 6, comma 1, lett. g), applicabile nella specie ratione temporis), non determina la nullità del contratto di compravendita successivamente stipulato, ma può dare luogo al suo annullamento ai sensi degli artt. 1394 o 1395 c.c. La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, stabilito dall’art. 1337 c.c., assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al «minor svantaggio», ovvero al «maggior aggravio economico» prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

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Cass. civ. n. 14234/2003

In tema di cause di nullità del negozio giuridico, per aversi contrarietà a norme penali ai sensi dell’art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto un comportamento materiale delle parti e, meno che mai, di una sola di esse. (Fattispecie in tema di fideiussione, di cui il fideiussore ricorrente assumeva la nullità per avere la banca garantita erogato il credito al debitore principale nonostante la richiesta di finanziamento da parte di quest’ultimo asseritamente integrasse gli estremi del reato di ricorso abusivo al credito).

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Cass. civ. n. 11256/2003

In tema di nullità del contratto prevista dall’art. 1418 c.c. la natura imperativa della norma violata deve essere individuata in base all’interesse pubblico tutelato. (La Corte, nel formulare il principio sopra richiamato, ha confermato la decisione di giudici di appello che avevano rilevato la nullità del contratto avente ad oggetto una fornitura di caffè, atteso che le relative confezioni non recavano la data di scadenza del prodotto, contrariamente alle prescrizioni dettate dagli artt. 3 e 12 del D.P.R. 322/1982 a tutela della salute del consumatore).

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Cass. civ. n. 8236/2003

La violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto giacché l’art. 1418, primo comma, c.c., con l’inciso «salvo che la legge disponga diversamente», esclude tale sanzione ove sia predisposto un meccanismo idoneo a realizzare ugualmente gli effetti voluti della norma, indipendentemente dalla sua concreta esperibilità e dal conseguimento reale degli effetti voluti. Pertanto la vendita di un fondo compiuta senza il rispetto delle norme sul diritto di prelazione di cui agli artt. 8 della legge n. 590 del 1965 e 7 della legge n. 817 del 1971, non è viziata da nullità ai sensi del citato art. 1418 (né ai sensi dell’art. 1344 c.c.) sussistendo il rimedio dell’esercizio del riscatto (da parte degli aventi diritto alla prelazione) idoneo a conseguire l’obiettivo normativo dello sviluppo della proprietà contadina, a nulla rilevando l’accidentale decadenza della possibilità di esperirlo.

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Cass. civ. n. 5372/2003

Nel sancire la nullità del contratto per contrasto con norme imperative, l’art. 1418 c.c. fa salvo il caso in cui «la legge disponga diversamente». Ne consegue che tale nullità va esclusa sia quando risulta espressamente prevista una diversa forma di invalidità (es., annullabilità) sia quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi, quali la decadenza da benefici fiscali e creditizi (es., art. 28 legge n. 590 del 1965).

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Cass. civ. n. 10119/1996

La nullità di una clausola di un contratto collettivo per contrasto con norma imperativa (art. 1418, primo comma, c.c.) sussiste anche nell’ipotesi in cui la suddetta clausola preveda, come presupposto per la propria operatività, l’abrogazione della norma imperativa suddetta, atteso che non è possibile sottoporre a condizione sospensiva un negozio nullo in radice. Deve pertanto ritenersi nulla, per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 2, terzo comma, della legge 1 febbraio 1978, n. 30 (sull’approvazione delle tabelle nazionali delle qualifiche del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto), la norma collettiva che definisce le nuove qualifiche per gli autoferrotranvieri ancorché tale norma colleghi la «eseguibilità» dei nuovi inquadramenti all’evento, ancora incerto, dell’approvazione di un disegno di legge comportante l’abrogazione della norma imperativa suddetta.

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Cass. civ. n. 1877/1995

In base ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, l’illiceità (e la conseguente invalidità) del contratto deve essere riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione e, pertanto, il negozio giuridico nullo all’epoca della sua perfezione, perché contrario a norme imperative, non può divenire valido e acquistare efficacia per effetto della semplice abrogazione di tali disposizioni, in quanto, perché questo effetto si determini, è necessario che la nuova legge operi retroattivamente, incidendo sulla qualificazione degli atti compiuti prima della sua entrata in vigore.

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Cass. civ. n. 2057/1990

In caso di nullità di una clausola contrattuale per contrarietà a norme imperative, il riconoscimento della sua liceità ad opera della parte, espresso con la preventiva accettazione dell’intero contenuto negoziale, è giuridicamente irrilevante perché l’oggetto è indisponibile e non rimane influenzato dalle opinioni che i soggetti interessati possano aver avuto o manifestato in ordine ad esso.

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Cass. civ. n. 1901/1977

L’ipotesi di nullità del contratto per contrarietà alle norme imperative si verifica, salvo che la legge disponga altrimenti, indipendentemente da una espressa comminatoria della sanzione di nullità nei singoli casi. Infatti, la norma dell’art. 1418 c.c. esprime un principio generale, rivolta a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagna una specifica previsione di nullità. In tali casi, compito del giudice, ai fini della declaratoria di nullità, è solo quello di stabilire se la norma o le norme contraddette dall’autonomia privata abbiano carattere imperativo, siano, cioè, dettate a tutela dell’interesse pubblico.

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Cass. civ. n. 2697/1972

Poiché a norma degli artt. 1418, 1419 e 1339 c.c. il contratto è nullo quando è contrario a norma imperativa, salva l’eccezione di una diversa disposizione di legge, allorquando si sia in presenza di una norma proibitiva non formalmente perfetta, cioè priva della sanzione dell’invalidità dell’atto proibito, occorre specificamente controllare la natura della disposizione violata per dedurre la invalidità o la semplice irregolarità dell’atto e tale controllo si risolve nella indagine sullo scopo della legge ed in particolare sulla natura della tutela apprestata, se cioè di interesse pubblico o privato, senza che soccorra il criterio estrinseco della forma.

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