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Articolo 345 Codice di procedura civile — Domande ed eccezioni nuove

Articolo 345 Codice di procedura civile — Domande ed eccezioni nuove

Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio . Possono tuttavia domandarsi gli interessi [ 1282 ss. c.c. ], i frutti [ 820 c.c. ] e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.

Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.

Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo [ che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero ] che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 26741/2017

Nel giudizio di reintegrazione della quota di riserva, non costituiscono domande nuove e sono conseguentemente ammissibili anche se formulate per la prima volta in appello, le richieste volte all’esatta ricostruzione sia del “relictum” che del “donatum”, mediante l’inserimento di beni, liberalità o l’indicazione di pesi o debiti del “de cuius”, trattandosi di operazioni connaturali al giudizio medesimo cui il giudice è tenuto d’ufficio ed alle quali può darsi corso, nei limiti in cui gli elementi acquisiti le consentono, indipendentemente dalla formale proposizione di domande riconvenzionali in tal senso da parte del convenuto.

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Cass. civ. n. 24164/2017

Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice di merito, che aveva ritenuto che l’omessa produzione dei documenti giustificativi del credito nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall., allo stato passivo di un fallimento, e la mancata deduzione dell’impossibilità di depositarli, fossero circostanze sufficienti a dimostrarne la non indispensabilità, in tal modo non effettuando il relativo giudizio).

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Cass. civ. n. 22983/2017

La deroga al divieto di “nova” in appello, consentita dall’art. 1453, comma 2, c.c., si estende anche alle domande, quale quella restitutoria, consequenziali alla domanda di risoluzione proposta per la prima volta in sede di gravame, purché, tuttavia, quest’ultima sia accolta giacché, in caso contrario, tali domande risultano travolte dal rigetto della domanda risolutoria da cui dipendono.

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Cass. civ. n. 22669/2017

Proposta in primo grado domanda di risoluzione di diritto di un contratto, ex art. 1456 c.c., non soggiace al divieto di “nova” in appello, ai sensi dell’art. 345, commi 1 e 2, c.p.c., il motivo di gravame con il quale l’appellante, originariamente difesosi invocando il rigetto della domanda sulla base della scarsa importanza del proprio inadempimento, deduca l’inefficacia, per la loro genericità, delle clausole risolutive espresse azionate in prime cure, in quanto tale deduzione, equivalendo alla contestazione della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie giuridica oggetto della causa (avvenuta o meno risoluzione “di diritto” del contratto), rientra fra le mere difese, non soggette al suddetto divieto.

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Cass. civ. n. 20347/2017

La consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello.

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Cass. civ. n. 15945/2017

Il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345, comma 3, c.p.c., che deriva dal carattere tendenzialmente chiuso delle fasi di impugnazione, non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di disporre o rinnovare le indagini tecniche attraverso l’affidamento di una consulenza tecnica d’ufficio.

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Cass. civ. n. 10790/2017

Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado

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Cass. civ. n. 10728/2017

L’intervenuta cessazione della materia del contendere (nella specie, per transazione intervenuta nel corso del giudizio di primo grado) non forma oggetto di un’eccezione in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata dal giudice d’ufficio, anche in appello, non essendo il relativo rilievo subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, purché i fatti risultino documentati “ex actis”.

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Cass. civ. n. 7743/2017

In tema di appello, non costituisce domanda nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la prospettazione di una qualificazione giuridica della proprietà in termini di condominio edilizio anziché di comunione ordinaria, ove la ricostruzione si fondi sui medesimi fatti.

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Cass. civ. n. 7294/2017

Il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia – trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c..

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Cass. civ. n. 6854/2017

Il divieto di proporre domande nuove in appello implica che è preclusa la facoltà di avanzare pretese che involgano la trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado, ma non quella di prospettare rilievi che importino una diversa qualificazione giuridica del rapporto e l’applicazione di una norma di diritto non invocata in primo grado, tanto più quando la nuova ragione giuridica dedotta in sede di gravame derivi da una norma di legge che il giudice è tenuto ad applicare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la deduzione in appello, ai fini dell’applicazione dell’art. 879 c.c., della violazione del regolamento edilizio di un comune, non costituisse domanda nuova rispetto a quella con la quale, in primo grado, era stata chiesta la rimozione di alcune opere costruite in violazione delle norme sulle distanze perché, in relazione ai fatti prospettati, doveva applicarsi, anche “ex officio”, la disposizione indicata in appello, senza che ciò incidesse in alcun modo sull’identità della domanda stessa).

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Cass. civ. n. 6590/2017

La modifica, in senso restrittivo rispetto alla produzione documentale in appello, dell’art. 345, comma 3, c.p.c., operata dal d.l. n. 83 del 2012, trova applicazione, mancando una disciplina transitoria e dovendosi ricorrere al principio “tempus regit actum”, solo se la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della l. n. 134 del 2012, di conv. del d.l. n. 83 cit. e, cioè, dal giorno 11 settembre 2012.

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Cass. civ. n. 3654/2017

L’indispensabilità dei nuovi mezzi di prova in appello, agli effetti dell’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo applicabile “ratione temporis”), deve apprezzarsi in relazione alla decisione di primo grado ed al modo in cui essa si è formata, sicché, solo ciò che la decisione afferma a commento delle risultanze istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario. Ne deriva che, se la formazione della decisione è avvenuta in una situazione nella quale lo sviluppo del contraddittorio e delle deduzioni istruttorie avrebbero consentito alla parte di avvalersi del mezzo di prova perché funzionale alle sue ragioni, deve escludersi che lo stesso sia indispensabile, se la decisione si è formata prescindendone, essendo imputabile alla negligenza della parte di non aver introdotto tale prova. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione che aveva ritenuto inammissibile in appello la produzione di un testamento poiché la stessa era correlata alla questione afferente l’esistenza di un valido titolo successorio in favore di una parte intervenuta che aveva costituito oggetto specifico del giudizio di primo grado).

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Cass. civ. n. 3709/2014

L’indispensabilità della nuova produzione documentale in appello, agli effetti dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo applicabile “ratione temporis”), non va apprezzata limitatamente al momento della formazione delle preclusioni istruttorie di primo grado, ma deve essere valutata in relazione allo sviluppo assunto dall’intero processo, comprensivo della sentenza di primo grado e di ciò che essa afferma a commento delle risultanze istruttorie.

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Cass. civ. n. 533/2014

L’eccezione di “compensatio lucri cum damno” è un’ eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio e proponibile per la prima volta in appello.

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Cass. civ. n. 23949/2013

In tema di domanda di risarcimento danni derivanti da attività di dequalificazione e mobbing del datore di lavoro (nella specie, una pubblica amministrazione), deve ritenersi domanda nuova – e come tale preclusa in appello – quella volta ad accertare comportamenti posti in essere dal datore di lavoro dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio in primo grado, in quanto la domanda giudiziale si basa su uno specifico accadimento, produttivo di danni, determinato nel tempo e nello spazio. Ne consegue che, in relazione ai fatti verificatisi dopo il deposito del ricorso in primo grado, non può essere ammessa alcuna attività istruttoria poiché il disposto dell’art. 420, comma quinto, cod. proc. civ. si riferisce ai mezzi di prova relativi a fatti comunque anteriori al deposito del ricorso.

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Cass. civ. n. 19608/2013

In tema di nuova produzione documentale in appello, la valutazione di non indispensabilità, che ne provoca la mancata ammissione, deve essere espressamente motivata dal giudice del gravame, quanto alla ritenuta mancanza di attitudine dei nuovi documenti a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull’esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata.

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Cass. civ. n. 19340/2013

In materia di contributi alle imprese danneggiate a seguito degli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, tanto l’art. 22 della legge statale 14 maggio 1981, n. 219, (sostanzialmente trasfuso nell’art. 28 del D.Lgs. 30 marzo 1990, n. 76), quanto l’art. 2 della legge della Regione Campania 3 giugno 1983, n.21, in ipotesi di riallocazione dell’azienda, correlano il contributo al danno ed alla spesa per il ripristino conseguenti alla distruzione del 23 novembre 1980, e non ai costi di un investimento equivalente per qualità aziendale. (Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio confermando la sentenza di merito, che aveva condiviso l’erogazione di un contributo ragguagliato all’ammontare dei soli danni effettivamente patiti dall’azienda).

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Cass. civ. n. 17612/2013

La previsione di cui all’art. 345, terzo comma, c.p.c., nel testo modificato dall’art. 46, comma 18, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che vieta – di regola – la produzione in appello di nuovi documenti, allude non solo a quelli tipici (scritture private, atti pubblici, etc.), che hanno un’efficacia probatoria determinata dalla legge, ma anche a documenti, come le scritture provenienti da un terzo, che possono avere efficacia di prova atipica.

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Cass. civ. n. 17257/2013

Proposte eccezioni di nullità del contratto nel primo grado (nella specie, di abusivo riempimento dei moduli da parte della banca nelle parti riguardanti le dichiarazioni di aumento della fideiussione), è ammissibile in appello, alla stregua del disposto dell’art. 345 c.p.c., la proposizione di altre eccezioni che deducano ulteriori profili di nullità ed il loro rilievo d’ufficio, dal momento che, posta all’attenzione del giudice la questione della nullità di un testo negoziale, quale elemento costitutivo della domanda, tutti i profili di nullità non soggetta a regime speciale possono essere rilevati sulla base dei fatti allegati e provati od emergenti “ex actis”, fermo l’obbligo per il giudice di merito di sollecitare al riguardo l’attivazione del contraddittorio.

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Cass. civ. n. 15658/2013

Anche in materia di mediazione la non contestazione del convenuto costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente. Ne consegue che l’eccezione concernente la mancata iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale, qualora sia proposta dal convenuto – al fine di far valere la nullità del contratto e paralizzare la pretesa del mediatore al pagamento della provvigione, ex art. 6 della legge 2 febbraio 1989, n. 39 – soltanto nella comparsa conclusionale d’appello, esonera il giudice da qualsiasi verifica probatoria in ordine alla sua fondatezza.

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Cass. civ. n. 13902/2013

In una controversia risarcitoria in cui si discuta circa l’effettiva quantificazione dei pretesi danni, non configura come domanda nuova, inammissibile in appello, la prospettazione di un concorso di colpa del danneggiato, trattandosi soltanto di argomentazione difensiva utile al fine di dimostrare l’eccessività del risarcimento dedotta “ab origine”.
La consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ., è ammissibile anche in appello.

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Cass. civ. n. 10531/2013

Il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto.
L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario integra una eccezione in senso lato, in quanto il legislatore non ne ha espressamente escluso la rilevabilità d’ufficio e tale condizione non corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo, ma rileva quale fatto da solo sufficiente ad impedire la confusione del patrimonio dell’erede con quello del defunto. Ne consegue che, ove tale fatto sia già documentato in atti, il beneficio è liberamente invocabile dalla parte – anche in assenza di specifica allegazione e con forme diverse da quelle previste dall’art. 484 cod. civ. – pure nel giudizio d’appello ed è rilevabile d’ufficio dal giudice a favore degli altri chiamati all’eredità, senza che rilevi l’eventuale contumacia degli stessi, operando l’effetto espansivo previsto dall’art. 510 cod. civ. fino a quando essi non abbiano manifestato una accettazione pura e semplice ovvero siano decaduti dal beneficio, salva la facoltà di accettare avvalendosi espressamente del beneficio, ovvero di rinunciare all’eredità.

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Cass. civ. n. 9486/2013

La natura sussidiaria dell’azione di arricchimento senza causa costituisce un presupposto della domanda, richiesto dalla legge, pertanto, tale condizione, non integrando un’eccezione in senso stretto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice, nei limiti in cui la circostanza risulti da elementi di fatto già acquisiti nel giudizio, ed è proponibile per la prima volta anche nel giudizio di appello, non operando il divieto di “ius novorum” posto dall’art. 345 cod. proc. civ., inapplicabile per le eccezioni rilevabili d’ufficio.

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Cass. civ. n. 9239/2013

Non costituisce domanda nuova, ai fini di cui all’art. 345 cod. proc. civ., la proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 2045 cod. civ., quando l’appellante abbia proposto in primo grado domanda di risarcimento del danno, dovendo la prima ritenersi implicita nella seconda, tanto che il giudice può provvedere su di essa persino “ex officio”.

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Cass. civ. n. 6391/2013

Il divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la legge 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 c.p.c., e successivamente esteso al giudizio tributario dall’art. 57 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo. Detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, esame e valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò fatti, allegazioni probatorie e argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto non costituire domanda nuova la censura proposta in appello dall’Agenzia delle Entrate che aveva prospettato la necessità di fare corretta applicazione del trattamento tributario applicabile “alla previdenza integrativa erogata in forma di capitale”, contestando l’assimilazione delle somme, dovute dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di conversione del trattamento integrativo aziendale, al prelievo previsto dall’art. 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482, applicabile “ratione temporis”).

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Cass. civ. n. 3033/2013

Nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (“novum judicium”), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (“revisio prioris instantiae”). Ne consegue che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello, e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame. (Nell’enunciare il suddetto principio, la S.C. ha altresì precisato che, nei casi in cui una norma processuale si presti a due possibili alternative interpretazioni, ciascuna compatibile con la lettera della legge, ragioni di continuità dell’applicazione giurisprudenziale e di affidabilità della funzione nomofilattica devono indurre a privilegiare quella consolidatasi nel tempo, a meno che il mutamento del contesto processuale o l’emersione di valori prima trascurati non ne giustifichino l’abbandono, consentendo la conseguente adozione delle diversa opzione ermeneutica; condizioni che la Corte ha ritenuto di non ravvisare riguardo alla tematica di discussione).

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Cass. civ. n. 1370/2013

L’orientamento giurisprudenziale, consolidatosi dopo la sentenza delle Sezioni Unite della S.C. n. 8203 del 2005, secondo cui, nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, il terzo comma dell’art. 345 cod.proc.civ. va interpretato nel senso che esso fissa il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi (cioè non richiesti in precedenza) e, quindi, anche delle produzioni documentali – indicando, nello stesso tempo, i limiti di detto principio ed i requisiti che tali documenti devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame -, non ha dato luogo ad una fattispecie di “overruling”, in quanto preceduto da decisioni dello stesso segno, con conseguente inapplicabilità della regola per la quale mantiene validità l’atto processuale compiuto secondo le forme e i termini previsti dal diritto vivente al momento del suo compimento, in caso di successivo mutamento giurisprudenziale relativo a quelle forme ed a quei termini.

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Cass. civ. n. 414/2013

Chi, replicando ad un’eccezione di decadenza, assuma di avere tempestivamente compiuto l’atto necessario ad evitarla, non solleva una eccezione in senso stretto, ma svolge una mera difesa, come tale proponibile per la prima volta anche in appello, fermo restando che l’onere della relativa prova deve essere assolto nel rispetto delle preclusioni processuali.

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Cass. civ. n. 20217/2012

La domanda di liquidazione dei compensi per una prestazione di lavoro autonomo, secondo i criteri sussidiari previsti dall’art. 2233 c.c., non modifica i presupposti di fatto e l’oggetto della domanda di liquidazione del compenso originariamente proposta per la medesima prestazione con esclusivo riferimento alla tariffa professionale, ma solo il profilo giuridico o, più propriamente, il quadro normativo di riferimento della domanda e, pertanto, può essere proposta anche in appello.

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Cass. civ. n. 17227/2012

Nel giudizio in appello, la richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non configura una domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata. Ne consegue che la domanda oltre a non implicare la violazione del divieto di domande nuove, sancito dall’art. 345 c.p.c., può essere proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.

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Cass. civ. n. 9356/2012

Qualora, proposta in via principale un'”actio negatoria servitutis”, il convenuto, nel costituirsi, si limiti ad invocare il rigetto dell’avversa domanda, per la supposta esistenza di un titolo costitutivo contrattuale del controverso diritto di servitù, formulando altresì, in via subordinata, distinte domande riconvenzionali di acquisto della servitù a titolo di usucapione o di costituzione coattiva del passaggio, ai sensi dell’art. 1051 c.c., deve qualificarsi come domanda nuova, inammissibile nel giudizio d’appello ai sensi dell’art. 345, primo comma, c.p.c., l'”actio confessoria servitutis”, fondata sul titolo contrattuale, che venga proposta in sede di gravame dal convenuto soccombente.

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Cass. civ. n. 8877/2012

In tema di prove nuove in appello, la valutazione di indispensabilità dei nuovi documenti, ai sensi dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., può risultare dalla motivazione della sentenza di appello, presupponendo unicamente che i nuovi documenti siano depositati con l’atto di appello ed indicati nell’elenco a corredo, senza che occorra una richiesta espressamente rivolta al giudice affinché ne autorizzi la produzione.

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Cass. civ. n. 8564/2012

Costituisce mutamento inammissibile della domanda invocare in primo grado l’esistenza d’un contratto preliminare e chiederne l’esecuzione in forma specifica, e qualificare, invece, in appello quel contratto non come preliminare, ma come patto di opzione e invocare l’accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene per effetto dell’esercizio del relativo diritto.

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Cass. civ. n. 2201/2012

Si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza appellata, la quale aveva ritenuto nuova la domanda, proposta dallo IACP per la prima volta in appello, di riconoscimento dell’agevolazione ICI prevista dall’art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, sul presupposto che l’agevolazione medesima spettasse in forza di una decisione delle S.U. pubblicata dopo la sentenza di primo grado).

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Cass. civ. n. 27906/2011

L’eccezione di giudicato può legittimamente essere allegata dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni (nella specie in sede di appello), se soltanto dopo tale momento esso si è formato. Ricorrendo tale ipotesi, il giudice non può ritenere tardiva l’eccezione ma deve rimettere la causa sul ruolo per consentire a chi l’ha sollevata il deposito della sentenza passata in giudicato ed all’altra parte di contraddire.

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Cass. civ. n. 26020/2011

L’art. 345, terzo comma, c.p.c., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perchè dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia; indispensabilità da apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa si è formata, sicchè solo ciò che la decisione afferma a commento delle risultanze istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario. Tale facoltà deve esercitata in modo non arbitrario, in quanto il giudizio di indispensabilità, positivo o negativo, deve essere comunque espresso in un provvedimento motivato.

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Cass. civ. n. 24847/2011

L’interpretazione dell’atto di appello non è censurabile per violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., non essendo questi ultimi applicabili all’interpretazione della domanda giudiziale, rispetto alla quale non si pone il problema dell’individuazione di una comune intenzione delle parti, e la stessa soggettiva intenzione dell’appellante rileva solo nei limiti in cui sia stata esplicitata in modo tale da consentire all’appellato di cogliere l’effettivo contenuto dell’impugnazione e di poter svolgere un’adeguata difesa.

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Cass. civ. n. 18962/2011

In tema di ammissibilità di nuovi mezzi di prova in grado d’appello, deve escludersi che dal vigente regime processuale possa ricavarsi un onere della parte, sancito a pena di decadenza, di produrre nel giudizio di primo grado gli eventuali documenti probatori che si siano formati dopo lo spirare del termine assegnato dal giudice per la deduzione dei mezzi istruttori ma prima del passaggio della causa in decisione; ne consegue che i documenti formatisi dopo il maturare delle preclusioni istruttorie vanno annoverati fra i nuovi mezzi di prova, ammissibili in grado d’appello, ai sensi dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., ancorché la parte abbia avuto la possibilità di acquisirli in data anteriore alla spedizione della causa di primo grado a sentenza, fatta soltanto salva, in tale ipotesi, la possibilità per il giudice del gravame, di applicare il disposto dell’art. 92 c.p.c..

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Cass. civ. n. 15832/2011

In tema di impugnazioni, la deduzione, ad opera dell’appellato, del proprio difetto di titolarità passiva del rapporto fatto valere in giudizio dall’attore, risolvendosi nella contestazione dei requisiti di fondatezza della domanda, non rientra tra le eccezioni riservate alla parte, ma, integrando una mera difesa, può essere sollevata per la prima volta anche in appello, senza incorrere nel divieto dei “nova” nel giudizio di gravame, previsto dall’art. 345 c.p.c..

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Cass. civ. n. 7441/2011

Nel giudizio di appello l’indispensabilità delle nuove prove deve apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa si è formata, sicchè solo ciò che la decisione afferma a commento delle risultanze istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario. Ne consegue che, se la formazione della decisione è avvenuta in una situazione nella quale lo sviluppo del contraddittorio e delle deduzioni istruttorie avrebbero consentito alla parte di valersi del mezzo di prova perché funzionale alle sue ragioni, deve escludersi che la prova sia indispensabile, se la decisione si è formata prescindendone, essendo imputabile alla negligenza della parte il non aver introdotto tale prova.

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Cass. civ. n. 99/2011

La rinuncia tacita a far valere la prescrizione presuppone un comportamento processuale in cui sia necessariamente insita la univoca volontà di non sollevare la relativa eccezione; pertanto, se la parte si difende nel giudizio di primo grado sul merito della causa senza eccepire preliminarmente la prescrizione, non per questo tale condotta assume la valenza di un comportamento univoco, incompatibile con la volontà di sollevare tale eccezione, la quale, oltretutto, nella vigenza del testo originario dell’art. 345 c.p.c. – applicabile alla fattispecie “ratione temporis” – poteva essere dedotta per la prima volta anche in appello.

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Cass. civ. n. 25569/2010

Il giudice d’appello, sia pure con l’obbligo di motivare adeguatamente, secondo un tipico apprezzamento di fatto, il suo disaccordo dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio del primo grado, non è tenuto a disporre una nuova consulenza, se non condivide le conclusioni del detto ausiliare; deve, tuttavia, prendere in considerazione i rilievi tecnico-valutativi mossi dall’appellante alle valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata. La decisione, anche implicita, di non disporre una nuova indagine non è sindacabile in sede di legittimità qualora gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione della consulenza formulata da una delle parti siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice con valutazione immune da vizi logici e giuridici.

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Cass. civ. n. 23195/2010

La domanda di corresponsione degli interessi compensativi sul residuo prezzo dovuto per una vendita di immobile, se proposta per la prima volta nel giudizio di appello, è da considerare nuova, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., potendo tali interessi, in quanto dotati di un fondamento autonomo rispetto a quello dell’obbligazione pecuniaria, essere attribuiti soltanto su espressa domanda che ne indichi la fonte e la misura.

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Cass. civ. n. 21791/2010

Non costituisce domanda nuova, nel giudizio di divisione avente ad oggetto un bene immobile, quella con cui si introduca per la prima volta in grado di appello un tema d’indagine riguardante la stima del bene, atteso che essa non modifica né l’oggetto né la “causa petendi” del giudizio, costituendo la stima del bene momento necessario per procedere alla divisione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto domanda nuova quella con la quale – in sede di stima di uno degli immobili oggetto di divisione – uno dei condividenti aveva eccepito un mutamento di destinazione d’uso del bene, da abitazione a studio professionale).

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Cass. civ. n. 20178/2010

La proposizione di domande nuove in appello è inammissibile, anche se la stessa questione sia stata sollevata in primo grado con eccezione riconvenzionale, perché questa, pur ampliando il tema della controversia, tendendo a paralizzare il diritto della controparte, rimane nell’ambito della difesa e del “petitum”, a differenza della domanda riconvenzionale che è diretta a chiedere l’accertamento di un diritto con autonomo provvedimento avente forza di giudicato. (Nella fattispecie, la parte aveva eccepito in riconvenzionale l’intervenuta usucapione, mentre solo in appello aveva proposto inammissibile domanda riconvenzionale volta ad ottenere pronuncia dichiarativa del diritto di proprietà per intervenuto acquisto a titolo originario).

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Cass. civ. n. 10193/2010

In tema di risarcimento del danno, dovendo la liquidazione essere effettuata in valori monetari attuali, non è necessaria l’espressa richiesta da parte dell’interessato degli interessi legali sulle somme rivalutate, la quale deve ritenersi compresa nella domanda di integrale risarcimento inizialmente proposta e se avanzata per la prima volta in appello non comporta una violazione dell’art. 345 c.p.c., atteso che nei debiti di valore il riconoscimento degli interessi c.d. compensativi costituisce una modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso con il limite dell’impossibilità di calcolarli sulle somme integralmente rivalutate alla data dell’illecito, e che l’esplicita richiesta deve intendersi esclusivamente riferita al valore monetario attuale ed all’indennizzo del lucro cessante per la ritardata percezione dell’equivalente in denaro del danno patito.

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Cass. civ. n. 9042/2010

La domanda di arricchimento senza causa può essere proposta anche per la prima volta in appello, purchè prospettata sulla base delle medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado. (Nella specie, sulla base dei medesimi fatti, l’attore aveva fondato la domanda contrattuale nei confronti del Comune, chiedendo la restituzione delle somme eccedenti gli importi dallo stesso già versati, a prescindere da qualsiasi rapporto contrattuale con l’Ente locale).

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Cass. civ. n. 7951/2010

Il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello non è configurabile in relazione ad una domanda nuova (nella specie, domanda riconvenzionale proposta, solo in appello, da parte del Comune convenuto nel giudizio di opposizione a ingiunzione fiscale), giacché la proposizione di una domanda inammissibile non determina l’insorgere di alcun potere-dovere del giudice adito di pronunciarsi su di essa.

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Cass. civ. n. 6350/2010

Poiché il giudice è tenuto ad accertare l’avvenuta estinzione del debito, ove sia provata, anche in assenza di una richiesta da parte del debitore, l’eccezione di pagamento non rientra tra quelle non rilevabili d’ufficio e, pertanto, può essere sollevata per la prima volta anche in appello.

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Cass. civ. n. 5067/2010

La domanda di risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza è ammissibile in grado d’appello solo se nel giudizio di primo grado sia stata proposta un’azione di danni e gli ulteriori danni richiesti in appello trovino la loro fonte nella stessa causa e siano della stessa natura di quelli già accertati in primo grado. La nuova pretesa, se priva di tali essenziali e restrittivi requisiti, implicando nuove indagini in ordine alle ragioni poste a base della domanda iniziale e ampliamento del relativo “petitum”, costituisce inammissibile domanda nuova.

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Cass. civ. n. 25213/2009

L’interruzione della prescrizione può essere dedotta per la prima volta in sede di appello e il giudice del gravame, chiamato a decidere sulla questione di prescrizione ritualmente introdotta dal convenuto, può tener conto del fatto interruttivo, ancorché non dedotto formalmente dall’attore come controeccezione purché la relativa prova sia stata ritualmente introdotta in giudizio, dovendosi ritenere che, in detta ipotesi, rientri nei poteri del giudice di merito esaminare ogni profilo in ordine alla validità dell’atto interruttivo anche se non espressamente preso in considerazione nella precedente fase processuale, trattandosi di circostanze ormai validamente acquisite all’accertamento devoluto al giudice.

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Cass. civ. n. 24414/2009

Nel giudizio di appello l’istanza di esibizione di documenti, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., è sottoposta agli stessi limiti di ammissibilità previsti dall’art. 345, terzo comma, c.p.c., con riferimento alla produzione documentale, con la conseguenza che essa non è ammissibile in relazione a documenti la cui esibizione non sia stata richiesta nel giudizio di primo grado.

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Cass. civ. n. 21980/2009

In tema di giudizio di appello, l’art. 345, terzo comma, c.p.c., come modificato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perchè dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia; tale facoltà va peraltro esercitata in modo non arbitrario, in quanto il giudizio di indispensabilità, positivo o negativo, deve comunque essere espresso in un provvedimento motivato. (Fattispecie relativa alla richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa per l’iscrizione nel registro delle imprese, in cui, ai fini della prova dell’avvenuta interruzione del termine triennale di decadenza previsto dall’art. 13 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, il contribuente aveva prodotto in appello le istanze di rimborso).

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Cass. civ. n. 14338/2009

Il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle forme previste dall’art. 87 disp. att. c.p.c.; tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all’atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata.

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Cass. civ. n. 14098/2009

Il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello – previsto dall’art. 345, terzo comma, c.p.c. con riferimento al rito di cognizione ordinaria e dall’art. 437, secondo comma, in relazione al processo del lavoro – non attiene al merito della decisione, ma al rito, in quanto la relativa questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte: ne consegue che, nel caso in cui venga dedotta in sede di legittimità l’erronea ammissione di una prova documentale non indispensabile da parte del giudice di appello, la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo”, è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a stabilire essa stessa se si trattasse di prova indispensabile.

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Cass. civ. n. 2562/2009

In materia contrattuale, pur essendo l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta un effetto naturale della risoluzione del contratto, non di meno sul piano processuale è necessario che la parte proponga specifica domanda ai fini di detti effetti restitutori; ne consegue che, ove sia stata proposta in primo grado la domanda di risoluzione del contratto con richiesta di risarcimento danni, al giudice d’appello è preclusa, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., la possibilità di prendere in esame la domanda restitutoria avanzata per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova.

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Cass. civ. n. 553/2009

In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative.

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Cass. civ. n. 26905/2008

A norma dell’art. 345 c.p.c. si ha domanda nuova, inammissibile in appello, quando la modifica della domanda originale si risolva in una pretesa sostanzialmente e formalmente diversa da quella fatta valere in primo grado, mentre si è in presenza di una mera e consentita emendatio allorché la modifica della domanda venga ad incidere sul petitum solo nel senso di adeguarlo in una direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale oggetto dell’originaria domanda. (Nella specie la S.C. ha ritenuto ricorrere una emendatio libelli nell’ipotesi di deduzione in appello dell’inesistenza di un contratto di apertura di credito e non più soltanto genericamente di una convenzione di fido, non essendovi mutamento della domanda originaria volta all’accertamento dell’inesistenza del contratto di finanziamento).

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Cass. civ. n. 24055/2008

Non costituisce domanda nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la specificazione della domanda effettuata dalla parte con l’attribuzione, in appello, di un diverso nomen iuris basato sui medesimi fatti dedotti in primo grado, essendo rimesso al giudice di merito, anche in appello se investito dal gravame, il potere-dovere di qualificazione delle domande delle parti con l’unico limite che resti invariato il bene della vita domandato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di secondo grado che, in relazione ad un giudizio promosso per l’evizione parziale ai sensi dell’art. 1484 c.c., aveva ritenuto inammissibile — considerandola domanda nuova — la domanda subordinata avanzata ai sensi dell’art. 1489 c.c., senza procedere ad una diversa qualificazione dei fatti esposti dall’appellante).

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Cass. civ. n. 21382/2008

Lo ius superveniens è applicabile d’ufficio in ogni stato e grado, salvo che sulla questione controversa non si sia formato il giudicato interno; ne consegue che qualora, nelle more del giudizio in appello, venga introdotta una nuova norma che modifichi la materia sub iudice e di essa il giudice dell’appello non tenga conto, è necessario che la parte, per evitare che si produca una preclusione, alleghi specificamente, con i motivi di ricorso in cassazione, l’applicabilità della nuova normativa. (Nella specie, relativa all’assoggettamento all’obbligo contributivo delle prestazioni rese negli studi di incisione da parte di lavoratori dello spettacolo, in assenza di pubblico, per la realizzazione di registrazioni fonografiche, introdotto dall’art. 43 della legge n. 289 del 2002 nelle more del giudizio di appello, la S.C., nell’accogliere il ricorso, ha rilevato che l’ENPALS avrebbe potuto dedurre la questione, nel corso del giudizio di merito, solo come sollecitazione dei poteri d’ufficio del giudice ma non anche come specifico motivo, per cui non si era verificata alcuna preclusione; correttamente, pertanto, l’applicabilità della norma era stata dedotta quale motivo di ricorso davanti alla corte di cassazione, così da evitare il formarsi del giudicato interno).

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Cass. civ. n. 19678/2008

L’eccezione relativa a sopravvenienze che operano come fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa fatta valere in primo grado può essere formulata per la prima volta in appello, giacché quei fatti non sono elementi negativi della fattispecie, analogamente a quelli che l’art. 112 c.p.c. considera come normalmente rilevabili; il divieto di allegazione in appello, infatti, non riguarda le argomentazioni e i fatti posti dalla parte a fondamento della domanda o dell’eccezione e che costituiscono oggetto di accertamento e di valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve pronunciarsi sulla domanda o sull’eccezione proposte davanti al primo giudice, riesaminando i fatti, le allegazioni probatorie e le argomentazioni giuridiche che rilevano per la decisione. Qualora, invece, trattasi di eccezioni che soddisfano solo esigenze individuali e che possono essere fatte valere se tempestivamente indicate nel giudizio, il giudice può provvedere sulle stesse soltanto se proposte dalle parte e non oltre i limiti di esse né può esaminare le ragioni estintive, modificative o impeditive che per legge debbono essere proposte dalla parte interessata.

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Cass. civ. n. 19029/2008

Le domande di nullità della donazione in quanto stipulata tra coniugi contro il divieto di cui all’art. 781 c.c. poi dichiarato costituzionalmente illegittimo e di nullità della donazione obnuziale per effetto del successivo annullamento del matrimonio (art. 785, secondo comma, c.c. ), sono diverse per il titolo, in quanto la seconda si fonda sul carattere obnuziale della liberalità ; ne consegue che, ove quest’ultimo elemento non sia stato tempestivamente dedotto, la domanda di nullità della donazione obnuziale deve ritenersi domanda nuova, non proponibile per la prima volta in grado di appello.

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Cass. civ. n. 4603/2008

In tema di risarcimento da diffamazione a mezzo stampa, l’allegazione, per la prima volta in grado di appello, di fatti lesivi derivanti dalla illegittima pubblicazione di atti coperti dal segreto istruttorio, ai sensi degli artt. 114 e 335, comma 3, del codice di procedura penale, integra una inammissibile mutatio libelli qualora la domanda risarcitoria, nel giudizio di primo grado, sia fondata esclusivamente sulla natura offensiva dello scritto.

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Cass. civ. n. 4591/2008

La domanda di affermazione della responsabilità per cosa in custodia (in virtù dell’art. 2051 c.c.) deve essere considerata, dal giudice d’appello, diversa e nuova e, dunque, inammissibile, rispetto a quella che in primo grado aveva avuto ad oggetto la normale responsabilità per fatto illecito (ai sensi dell’art. 2043 c.c.) solo nel caso in cui essa implichi l’accertamento di fatti in tutto o in parte diversi da quelli allegati e provati nel primo giudizio. Pertanto, allorquando, invece, sin dall’atto introduttivo della causa l’attore abbia riferito il danno all’azione causale svolta direttamente dalla cosa (nella specie, dai ponteggi che avevano consentito l’accesso dei ladri all’immobile della ricorrente danneggiata), l’invocazione della speciale responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. si risolve nella richiesta di una diversa qualificazione giuridica del fatto, consentita al giudice d’appello.

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Cass. civ. n. 24458/2007

La riduzione della penale pattuita ex contractu ove invocata dalla parte interessata non in via di azione ma in via di eccezione, può essere proposta per la prima volta anche nel giudizio di appello; peraltro il relativo potere del giudice, essendo posto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato anche d’ufficio pur se le parti abbiano contrattualmente convenuto l’irriducibilità della penale.

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Cass. civ. n. 24446/2007

In tema di nuove eccezioni in appello, ai sensi dell’articolo 345, secondo comma, c.p.c., non è legittimo il richiamo alla categoria dei diritti autodeterminati (la proprietà e gli altri diritti reali di godimento), in virtù della quale essi, non essendo condizionati dal titolo, si identificano con la stessa causa petendi per sostenere, nella controversia riguardante, come nella specie, l’incorporazione di un muro dello stabile condominiale, il mutamento in appello delle proprie difese, assumendosi la proprietà esclusiva di detto muro allorquando nel primo grado si era eccepito che la sua utilizzazione per costruire un nuovo vano non aveva ecceduto i limiti fissati dagli articoli 1102 e 1120 c.c. Infatti, tale mutamento interessa non già o non solo il titolo, quanto direttamente il contenuto del diritto fatto valere, giacché la comunione di beni (articolo 1102 c.c.,) consiste nella contitolarità del diritto reale, caratterizzata proprio dalla non illimitatezza delle facoltà spettanti a ciascun comunista, il cui esercizio incontra un limite nel diritto dell’altro, situazione affatto diversa da quella che si riscontra nella proprietà esclusiva (articolo 832 c.c.), derivandone una diversità sostanziale tra le due situazioni giuridiche soggettive, che non può non proiettarsi sul contenuto dei rispettivi diritti (principio enunciato in relazione a procedimento instaurato in primo grado con atto del 1 febbraio 1997).

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Cass. civ. n. 22494/2007

È nuova, come tale inammissibile in appello, la domanda — nella specie in tale grado proposta con la formula «anche o alternativamente» — di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto preliminare di compravendita di un immobile (art. 2932 c.c.), a fronte delle conclusioni avanzate in primo grado di accertamento dell’avvenuto trasferimento dell’immobile per effetto dell’esercizio del diritto convenzionale di riscatto, essendo le due domande difformi nel petitum e nella causa petendi.

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Cass. civ. n. 21291/2007

La richiesta in sede di gravame di una somma ulteriore, basata su distinte fatture rispetto a quella che aveva costituito l’oggetto di primo grado, configura domanda nuova comportando un tema d’indagine diverso da quello prospettato in precedenza; ne consegue la sua inammissibilità in grado di appello, in relazione al mutamento della causa petendi trattandosi non di semplice specificazione della domanda medesima della quale rimangono fermi i fatti costitutivi ovvero di un mero superamento dei suoi limiti quantitativi.

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Cass. civ. n. 11774/2007

Le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345, comma secondo, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero «non rilevabili d’ufficio» e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni «in senso lato» o «improprie». (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato l’impugnata sentenza che aveva ravvisato una mera argomentazione difensiva volta a contrastare la formulata eccezione di prescrizione nell’allegazione addotta in appello circa l’individuazione della diversa data di decorrenza del termine di prescrizione rispetto a quella indicata in primo grado).

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Cass. civ. n. 11261/2007

In tema di domande nuove in appello, gli interessi anatocistici — considerati i limiti entro i quali la legge ne ammette la corresponsione (articolo 1283 c.c.) — non si possono automaticamente includere tra gli effetti accessori della condanna al pagamento, analoghi a quelli di cui all’articolo 345 c.p.c., sicché la relativa domanda non può essere proposta per la prima volta in appello.

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Cass. civ. n. 9514/2007

La richiesta nell’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di appello di adottare, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale, il più alto parametro, costituito dal reddito di un perito chimico, rispetto al parametro del triplo della pensione sociale già adottato dalla sentenza di primo grado, prima ancora di costituire una mutatio libelli (introducendo nel giudizio un elemento di fatto che, pur esistendo al momento della domanda, non era stato introdotto nel giudizio di primo grado, con conseguente violazione dell’articolo 345 c.p.c., anche nella vecchia formulazione), costituisce una violazione del principio devolutivo nel giudizio di appello e delle modalità con cui esso si attua in merito alle statuizioni del giudice di primo grado.

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Cass. civ. n. 8056/2007

Affinché vi sia una mutatio libelli vietata in grado di appello, occorre che sussista una radicale immutazione del fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato, essendo stati posti a fondamento della pretesa fatti nuovi e diversi mai dedotti in primo grado. (Alla stregua di tale principio, la S.C. ha ritenuto costituire domanda nuova quella avanzata, a titolo di risarcimento danni per l’attività di broker di assicurazione, in primo grado invocando a fondamento la mancata percezione delle provvigioni a seguito della mancata partecipazione alla stipula dei contratti, mentre in appello la pretesa risarcitoria era stata avanzata per il mancato svolgimento della medesima attività in occasione dei successivi rinnovi dei contratti medesimi).

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Cass. civ. n. 4034/2007

A norma dell’art. 345 c.p.c., può configurarsi un mutamento della domanda non consentito, riguardo al petitum solo quando risulti innovato l’oggetto della pretesa, inteso non come petitum immediato (ossia come provvedimento richiesto), bensì come petitum mediato (cioè come richiesta di attribuzione di un bene determinato). Ne consegue che non ricorre mutatio ma semplice emendatio libelli allorché la modifica della domanda in appello rispetto alla domanda iniziale venga ad incidere sul petitum nel senso di adeguarlo, anche in ragione dei mutamenti di fatto verificatisi nel corso del giudizio, in una direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene richiesto. (Nella specie, la S.C., confermando la sentenza di merito, ha escluso che potesse considerarsi nuova la domanda con cui la parte, dopo avere chiesto in primo grado, ai sensi dell’art. 890 c.c., l’arretramento di una manufatto del vicino adibito a ricovero di animali ad una distanza dal confine tale da preservare la salubrità del proprio fondo, aveva chiesto in grado di appello, dopo che il manufatto era stato sgomberato e l’ambiente circostante sanificato, che fosse ordinato alla controparte di non adibire lo stesso a ricovero di animali).

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Cass. civ. n. 2095/2007

Il principio di unità ed infrazionabilità della prova non preclude l’escussione in appello di testimoni ritualmente indicati in primo grado ed esclusi dal primo giudice con la riduzione della lista sovrabbondante, purché la parte interessata abbia richiesto, in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, l’escussione dei testi esclusi.

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Cass. civ. n. 20328/2006

Il danneggiato da un incidente stradale che, nei gradi di merito, abbia dedotto la responsabilità dell’ente proprietario della strada sotto il profilo della mancata eliminazione di una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto), non può dedurre per la prima volta in sede di legittimità la questione della responsabilità dello stesso ente a norma dell’art. 2051 c.c., trattandosi di norma che implica, sul piano eziologico e probatorio, nuovi e diversi accertamenti, inammissibili in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 19067/2006

Nel vigore dell’art. 345 nuovo testo c.p.c., non è possibile proporre istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. per la prima volta in appello con riferimento ad una scrittura privata prodotta in primo grado e in quella sede disconosciuta ai sensi dell’art. 214 stesso codice, atteso che verrebbe altrimenti stravolto il disegno generale della scansione dei tempi processuali, quale costruito dal legislatore con la novella di cui alla legge n. 353 del 1990.

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Cass. civ. n. 17439/2006

La richiesta di ammissione di nuove prove in appello, ex art. 345 c.p.c., è sottoposta al vaglio del giudice di merito, che le ammetterà solo ove indispensabili ai fini del decidere; il potere di apprezzamento di tale necessario presupposto di ammissibilità della prova non è però del tutto discrezionale ma deve essere esercitato secondo criteri logici che il giudice ha il dovere di indicare e che possono essere oggetto di censura in sede di legittimità nei limiti della rivelabilità del vizio di omessa, irrazionale o contraddittoria motivazione. (Nella specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto non provato nel suo esatto ammontare il danno patrimoniale subito per la riparazione di una autovettura danneggiata in uno scontro stradale senza pronunciarsi sulla richiesta di prova testimoniale formulata nell’atto di appello, con articolati specifici relativi alla consistenza dei danni riportati dal veicolo).

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Cass. civ. n. 17089/2006

In tema di proposizione di domande nuove nel giudizio di appello, la sopravvenienza della possibilità e dell’esigenza di proporre tali domande non comporta deroghe alla disposizione dell’articolo 345 c.p.c., derivando il carattere assoluto del divieto di proporre domande nuove dall’esigenza fondamentale di garantire il rispetto del principio del contraddittorio ed il doppio grado di giurisdizione.

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Cass. civ. n. 6431/2006

Si configura domanda nuova — e, come tale, inammissibile in appello (con rilevabilità dell’inerente violazione del divieto anche d’ufficio in funzione dell’attuazione rigorosa del principio del doppio grado di giurisdizione) — quando gli elementi dedotti in secondo grado comportano il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, integrando una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e ciò anche se questi fatti erano già stati esposti nell’atto introduttivo del giudizio al mero scopo di descrivere ed inquadrare altre circostanze, mentre soltanto nel giudizio di appello, per la prima volta, siano stati dedotti con una differente portata, a sostegno di una nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione. (Nella fattispecie, relativa ad una controversia di lavoro, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha accolto il ricorso proposto e cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale la Corte di appello, a fronte di una domanda originariamente formulata in primo grado diretta ad ottenere l’accertamento del diritto ad essere assunto da parte del ricorrente, per effetto dell’approvazione della graduatoria concorsuale, con la correlata condanna dell’ente resistente di procedere all’assunzione, aveva accolto l’appello in ordine alla diversa — ed, invero, nuova — domanda avanzata in secondo grado, alla stregua della quale era stata richiesta la declaratoria di un rapporto di impiego già costituito con la condanna dell’appellato alla rifusione delle retribuzioni arretrate e al ristoro dei danni).

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Cass. civ. n. 6003/2006

È improponibile in appello la domanda di risarcimento danni, che, a seguito della dichiarata nullità, da parte del giudice di primo grado, del contratto di cessione volontaria, in relazione al quale si fondava la pretesa di pagamento del residuo prezzo, la stessa parte proponga in relazione all’affermata illegittimità della procedura espropriativa, prospettando in tal modo una situazione giuridica fondata su un mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e introducendo un nuovo tema di indagine e di decisione difforme dall’oggetto sostanziale dell’azione esercitata.

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Cass. civ. n. 5678/2006

In tema di eccezioni al divieto dello ius novorum in appello, l’art. 345, c.p.c., disponendo che è ammissibile la domanda di risarcimento dei «danni sofferti dopo la sentenza» di primo grado, comporta che nel corso del giudizio di appello, e sino alla precisazione delle conclusioni, possono essere chiesti i danni riconducibili alla causa già dedotta in primo grado, atteso che la ratio della norma è quella di evitare il frazionamento dei giudizi. (Nella specie, relativa a danni cagionati durante lavori di scavo per l’installazione di cavi telefonici, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, con motivazione apodittica, aveva ritenuto inammissibile la domanda con la quale si chiedeva il risarcimento di danni manifestatisi successivamente all’inizio della controversia, attribuendoli a carenze delle opere di risistemazione).

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Cass. civ. n. 4804/2006

A norma dell’art. 345 c.p.c. non è configurabile come domanda nuova in appello quella con cui non vengano mutati il bene della vita richiesto, ossia il petitum né i fatti posti a base della domanda, ossia la causa petendi ma solo la qualificazione giuridica di questi ultimi. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il relativo motivo di ricorso con il quale era stata addotta la supposta violazione dell’art. 345 c.p.c. sul rilievo che era stata prospettata, per la prima volta in appello, la deduzione che, anziché ritenere un assegno come consegnato quale prestazione di garanzia fideiussoria, si sarebbe dovuto ritenere che il titolo configurasse una promessa di pagamento implicante un riconoscimento di debito da parte del soggetto che lo aveva sottoscritto).

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Cass. civ. n. 17567/2005

Il principio della infrazionabilità e contestualità della prova testimoniale tra i vari gradi del giudizio, derivante dall’art. 244 c.p.c., coordinato con il successivo art. 345, secondo comma, nel testo previgente alla riforma del processo del 1990, è finalizzato a garantire l’immediatezza e genuinità della prova e comporta l’inammissibilità in secondo grado della prova per testi vertente su circostanze già oggetto di quella svoltasi in primo grado, ovvero diretta ad integrarle.

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Cass. civ. n. 8203/2005

Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, terzo comma, c.p.c. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova «nuovi» — la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza — e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Peraltro, nel rito ordinario, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti.

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Cass. civ. n. 19812/2004

Non costituisce domanda nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la specificazione della domanda effettuata dalla parte con l’attribuzione, in appello, di un diverso nomen iuris, basata sui medesimi fatti dedotti in primo grado, essendo rimesso al giudice di merito, anche in appello se investito dal gravame, il potere-dovere di qualificazione della richiesta delle parti con l’unico limite che resti invariato il bene della vita domandato. (Principio espresso in fattispecie di domanda di risoluzione di contratto preliminare di compravendita, ricollegata dall’attore in appello anche all’art. 1489 c.c., laddove nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado vi era stato il riferimento, come causa di risoluzione del contratto, al vincolo paesaggistico imposto sul bene compromesso in vendita in epoca anteriore alla stipulazione del preliminare; enunciando tale principio, la S.C. ha ritenuto che, pur non essendo stato espressamente richiamato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado l’art. 1489 c.c., ben poteva il giudice d’appello ritenere compresa anche la garanzia per oneri reali, senza che operasse il divieto di cui all’art. 345 c.p.c.)

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Cass. civ. n. 18915/2004

Anche nel nuovo testo dell’art. 345 c.p.c., il quale (al secondo comma) non ammette in appello la proposizione di nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio, è ammissibile la doglianza con la quale l’appellante faccia valere per la prima volta la questione, non sollevata in primo grado, dell’improponibilità della domanda, ex adverso azionata, per il contrasto con il diritto comunitario (e in particolare con l’art. 87 del Trattato CE in tema di aiuti di Stato) derivante dall’applicazione dell’azione revocatoria fallimentare in caso di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dalla legge 3 aprile 1979, n. 95 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 30 gennaio 1979, n. 26), atteso che la verifica della compatibilità del diritto interno con quello comunitario non è condizionata alla deduzione di uno specifico motivo e, come nei casi dello ius superveniens e della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, la relativa questione può essere conosciuta anche d’ufficio.

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Cass. civ. n. 12417/2004

Le nuove eccezioni, al pari delle nuove domande, non possono trovare ingresso in appello (art. 345 c.p.c. novellato); se prospettate, la relativa preclusione è rilevabile d’ufficio, anche per la prima volta in sede di legittimità, in considerazione della natura pubblicistica del divieto, a meno che non si sia formato il giudicato sul punto.

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Cass. civ. n. 12147/2004

Dato il rilievo di ordine pubblico che ha il divieto di ius novorum in appello, vanno dichiarati inammissibili in secondo grado (anche rilevando tale inammissibilità in sede di giudizio di legittimità, ove il giudice di appello abbia omesso di farlo) le questioni che, non essendo rilevabili d’ufficio, siano state avanzate dalle parti solo nelle memorie successive e non anche nell’atto di appello e abbiano formato oggetto di esame da parte del giudice di secondo grado (nella specie: questioni relative all’esistenza di limiti temporali, per l’ufficio fiscale che intenda procedere alla rettifica del valore di un cespite, ed alla eventuale decadenza di esso dal potere di accertamento tributario ex art. 76, secondo comma, D.P.R. n. 131 del 1986).

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Cass. civ. n. 11483/2004

Qualora una questione di nullità (nel caso di specie, di un contratto di assicurazione) venga sollevata per la prima volta in appello non come domanda ma solo come eccezione riconvenzionale rispetto all’altrui domanda di pagamento, in quanto con essa vengono avanzate richieste che, pur ampliando i termini della controversia, rimangono nell’ambito della difesa, senza tendere ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda, non va incontro ai limiti di inammissibilità delle domande nuove in appello fissati dall’art. 345 c.p.c., ma è ammissibile, in quanto sotto questo più limitato aspetto può essere rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ex art. 1421 c.c.

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Cass. civ. n. 11470/2004

Il principio generale dell’esclusione dello ius novorum nel giudizio di appello comporta la preclusione del mutamento in secondo grado degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa e non della diversa qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio in relazione a quelli già acquisiti al processo. (Nella specie la S.C ha confermato la sentenza d’appello che aveva ritenuto ammissibile il motivo d’appello con cui si affermava che un articolo giornalistico costituiva esercizio del diritto di critica a fronte della precedente impostazione difensiva riferita al diritto di cronaca).

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Cass. civ. n. 10487/2004

In relazione all’ammissibilità di nuove prove in appello, ex art. 345 c.p.c., qualora la parte dimostri di non aver potuto proporre la prova in primo grado per causa non imputabile, potrà ottenerne l’ammissione a prescindere dal requisito dell’indispensabilità, mentre l’eventuale valutazione di indispensabilità della prova non potrà servire a superare la preclusione nella quale sia incorsa la parte in primo grado in quanto il potere del collegio di ammettere nuove prove in appello non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado.

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Cass. civ. n. 10168/2004

La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova, come tale inammissibile nel giudizio di appello a norma dell’art. 345 c.p.c., in quanto dette domande non sono intercambiabili e non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, riguardando entrambe diritti cosiddetti «eterodeterminati» (per la individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente tra loro ed identificano due distinte entità), e l’attore, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene giuridico diverso (indennizzo, anziché il corrispettivo pattuito), così mutando l’originario petitum ma, soprattutto, introduce nel processo gli elementi costitutivi della nuova situazione giuridica (proprio impoverimento ed altrui locupletazione e, in caso di domanda di arricchimento proposta contro la P.A., anche il riconoscimento della utilitas della prestazione), che erano privi di rilievo, invece, nel rapporto contrattuale.

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Cass. civ. n. 10036/2004

In materia di responsabilità civile, la domanda dell’assicurato di essere tenuto indenne anche oltre il limite massimale di polizza, per mala gestio dell’assicuratore, deve essere espressamente formulata, non potendo ritenersi implicita nella chiamata in causa dell’assicuratore da parte dell’assicurato nel corso del giudizio introdotto dal terzo danneggiato. Ciò comporta che la domanda per cosiddetta mala gestio se proposta per la prima volta in appello, va dichiarata inammissibile.

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Cass. civ. n. 5090/2004

Il requisito di novità della prova, che la rende ammissibile in appello, sussiste quando venga dedotto un mezzo di prova diverso da quello espletato in prime cure, ovvero allorché, pur trattandosi dello stesso mezzo di prova già assunto in primo grado, esso verta, però, su fatti diversi, essendo necessario che la prova abbia ad oggetto circostanze non aventi alcuna connessione con quelle già dedotte. Pertanto, manca tale requisito quando la prova testimoniale richiesta in appello, pur vertendo su circostanze non comprese nei capitoli della prova espletata in primo grado, abbia ad oggetto fatti che hanno formato oggetto delle deposizioni testimoniali ivi rese (come nella fattispecie, relativa ad un giudizio di separazione personale, in cui la ricorrente aveva riproposto fatti e accadimenti che avrebbero dovuto escludere l’addebito a lei attribuito dai primi giudici, ovvero dimostrare le responsabilità del marito: fatti e accadimenti che, dunque, dovevano essere dedotti in occasione dell’ammissione del mezzo istruttorio chiesto a quei giudici).

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Cass. civ. n. 5006/2004

A norma dell’art. 345 c.p.c., può configurarsi un mutamento di domanda non consentito, riguardo al petitum, solo quando risulti innovato l’oggetto della pretesa, inteso non come petitum immediato (ossia come provvedimento richiesto), bensì come petitum mediato (cioé come richiesta di attribuzione di un determinato bene). Ne consegue che è da escludere la mutatio libelli vietata, dovendosi invece ritenere ricorrente una consentita emendatio, allorché cambi solo la qualificazione giuridica della pretesa, rimanendo inalterato il thema decidendum.

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Cass. civ. n. 4185/2004

Il principio del divieto di domande nuove in appello, essendo di ordine pubblico, non può essere sanato dall’accettazione del contraddittorio da parte dell’avversario, valendo tale accettazione solo nell’ipotesi di novità di domande proposte in primo grado, dove il relativo divieto risponde alla diversa esigenza di tutela della regolarità del contraddittorio. Ne consegue che è improponibile in appello perché integra domanda nuova la deduzione di una diversa causa petendi che, essendo fondata sulla prospettazione di nuove circostanze di fatto, determini il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione.

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Cass. civ. n. 3803/2004

Nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità del danno da fatto illecito imputabile a più persone (nel caso di specie, incidente stradale), il giudice di merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso verso gli altri, o se comunque abbia chiesto l’accertamento di tale ripartizione interna in vista del regresso; ne consegue che, qualora il presunto autore dell’illecito si limiti a negare la propria responsabilità senza chiedere espressamente, seppure in via graduata, l’accertamento della percentuale di responsabilità propria e altrui in ordine al verificarsi del fatto dannoso, non propone alcuna domanda nei confronti degli altri convenuti, e tale domanda, ove proposta per la prima volta in appello, deve ritenersi domanda nuova, come tale inammissibile.

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Cass. civ. n. 3310/2004

In tema di giudizio di appello davanti al giudice ordinario, il potere istruttorio attribuito al giudice di appello dal comma terzo dell’arte. 345 c.p.c., benchè abbia carattere ampiamente discrezionale, non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado (essendo tale limite superabile — secondo la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. — nella sola ipotesi in cui la parte dimostri di non avere potuto proporre il mezzo istruttorio nel giudizio di primo grado «per causa ad essa non imputabile»).

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Cass. civ. n. 511/2004

La produzione di documenti nel primo grado del giudizio non ne comporta la definitiva acquisizione al processo, restando la parte interessata, che abbia sottoposto tali documenti all’esame del giudice di prime cure, libera di non avvalersene nel grado successivo del giudizio, con la conseguenza che, ove detti documenti forniscano la prova dei fatti costitutivi della domanda, e tali fatti siano controversi, il giudice di appello non può che trarne le necessarie conclusioni in ordine al fondamento della domanda.

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Cass. civ. n. 19727/2003

Nel giudizio di appello la parte può chiedere l’ammissione di prove nuove, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., ma non anche riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado, senza espressamente censurare — con motivo di gravame — le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta, ovvero dolersi della omessa pronuncia al riguardo.

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Cass. civ. n. 17525/2003

La mancata proposizione, per il tramite di appello incidentale ovvero nella comparsa di costituzione e risposta, dell’eccezione relativa al difetto di rappresentanza della persona giuridica appellante, non determina alcuna tardività, atteso che l’accertamento della legittimazione processuale può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio, col solo limite della formazione sul punto della cosa giudicata. (Nella specie l’eccezione venne sollevata dall’appellato nella seconda udienza innanzi alla corte d’appello, avendo egli in tale occasione avuto certezza della carenza di prove in ordine alla qualità di rappresentante allegata dal suo contraddittore).

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Cass. civ. n. 15408/2003

Si ha domanda nuova — inammissibile in appello — per modificazione della causa petendi quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contradditorio. Pertanto, in fattispecie concernente la cessione a riscatto di un alloggio dell’ex Governo alleato di Trieste, non si ha domanda nuova allorché — fermi tra il primo ed il secondo grado del processo i fatti costitutivi della pretesa azionata e le ragioni giuridiche ad essi ancorate (posizione giuridica del precedente assegnatario, decesso di quest’ultimo, qualità ereditaria dell’attore, diritto al trasferimento) — l’attore si sia limitato, in appello, a dedurre di non voler far valere un diritto ereditario (subentro al de cuius nella proprietà dell’immobile già riscattato), ma di esercitare il riscatto come diritto proprio, atteso che tale circostanza non introduce un nuovo tema d’indagine rispetto a quelli già allegati in primo grado, ma involge una questione di qualificazione.

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Cass. civ. n. 12118/2003

In tema di prova nel giudizio di appello, “l’indispensabilità” richiesta dall’art. 345, comma terzo, c.p.c. nuovo testo, non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti (condizione di ammissibilità di ogni mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale, sicché il potere istruttorio attribuito al giudice di appello dalla norma in parola (benché abbia carattere ampiamente discrezionale) non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado, atteso che la prova richiesta, in tal caso, non può neppure considerarsi “prova nuova”, per essere invece prova dalla quale la parte è decaduta.

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Cass. civ. n. 7829/2003

Nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie, preliminare di compravendita di immobile), la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’art. 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta, indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento; tuttavia, in assenza di una espressa domanda della parte, il giudice non può emanare i provvedimenti restitutori conseguenti alla risoluzione del contratto e siffatta domanda non può essere proposta per la prima volta in appello a pena di inammissibilità rilevabile anche di ufficio (art. 345, c.p.c.), trattandosi di domanda nuova rispetto a quella di risoluzione del contratto.

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Cass. civ. n. 7631/2003

In tema di eccezioni al divieto dello ius novorum in appello, la disposizione dell’art. 345 secondo comma c.p.c. ammette il ristoro del pregiudizio patrimoniale correlato ai danni sofferti dopo la sentenza impugnata. Con riferimento all’aggravamento dei postumi permanenti, e quindi dei danni già chiesti nel giudizio di primo grado, occorre che esso si sia verificato successivamente alla sentenza di primo grado o almeno al momento in cui esso aggravamento poteva essere dedotto dal danneggiato nelle domande proposte al primo giudice.

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Cass. civ. n. 3602/2003

Proposta in primo grado domanda di restituzione di un terreno e, in via graduata, il risarcimento del danno sul presupposto della invalidità del decreto di espropriazione e della conseguente sua inidoneità ad attribuire la proprietà del bene alla P.A. espropriante, costituisce domanda nuova, come tale improponibile in appello, quella diretta ad ottenere la retrocessione totale del terreno ai sensi dell’art. 63 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, giacché quest’ultima presuppone che l’espropriazione sia stata validamente eseguita, che la proprietà del bene sia quindi passata all’espropriazione e che il bene possa ritornare all’originario proprietario in presenza delle condizioni indicate nel citato art. 63.

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Cass. civ. n. 2869/2003

In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, comprende necessariamente anche la richiesta volta al risarcimento del danno biologico anche se non dovesse contenere alcuna precisazione in tal senso, in quanto la domanda, per la sua onnicomprensività, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno. Ne consegue che solo nel caso in cui nell’atto di citazione siano indicate specifiche voci di danno, e tra esse non sia indicata quella relativa al danno biologico, l’eventuale domanda proposta in appello costituisce domanda nuova, e come tale inammissibile.

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Cass. civ. n. 1952/2003

Nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che abbia agito per la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, in secondo grado, in sostituzione di dette pretese, può chiedere il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra (art. 1385, secondo comma, c.c.), in quanto dette domande hanno minore ampiezza rispetto a quelle originariamente proposte, ed inoltre esse possono essere proposte anche nel caso in cui si sia già verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455, 1457, c.c.), dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di recesso e di ritenzione della caparra proposta in secondo grado, sul rilievo che il contratto si era già risolto di diritto, omettendo di accertare se la parte avesse o meno rinunciato, in forma espressa o tacita, agli effetti della risoluzione del contratto).

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Cass. civ. n. 198/2003

In materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, l’assicurato può proporre verso l’assicuratore due distinte domande: la domanda di garanzia, che si fonda sul rapporto assicurativo, e la domanda volta a far valere la responsabilità dell’assicuratore per mala gestio, ovvero per l’ingiustificato ritardo o la colpevole inerzia dell’assicuratore nell’adempimento della propria prestazione nei confronti del danneggiato. La domanda volta a far valere la mala gestio non può di regola ritenersi compresa nella domanda di garanzia (a meno che quest’ultima non contenga almeno la deduzione degli elementi di fatto inerenti all’altra domanda); ne consegue che, proposta nel giudizio di primo grado la sola domanda di garanzia, la domanda di mala gestio, proposta per la prima volta in appello, deve essere, anche d’ufficio, dichiarata inammissibile.

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Cass. civ. n. 13820/2002

In tema di jus novorum in appello, la norma di cui all’art. 345 c.p.c. pone un’indubitabile alternativa allo svolgimento di un giudizio chiuso alle nuove prove, prevedendo non già il divieto tout court della loro acquisizione, ma lasciando al prudente apprezzamento del collegio la valutazione in ordine al requisito della loro indispensabilità rispetto alla decisione della controversia, atteso che, nella sua formulazione novellata, la norma de qua, non diversamente da quanto sancito dal successivo art. 347 (dettato in tema di controversie di lavoro), introduce l’anzidetta deroga alla preclusione processuale posta a presidio dell’infrazionabilità della prova rimettendo, appunto, alla discrezionalità dell’organo giudicante la verifica della decisività o meno delle nuove, costituende prove.

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Cass. civ. n. 13746/2002

È inammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, applicabile ai giudizi iniziati successivamente al 30 aprile 1995, la proposizione per la prima volta in appello dell’eccezione d’inadempimento, che rientra fra quelle non rilevabili d’ufficio.

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Cass. civ. n. 10751/2002

La domanda di risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza di primo grado è ammissibile in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., in deroga al divieto generale di domande nuove, trattandosi di domanda che dipende strettamente da quella iniziale.

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Cass. civ. n. 10685/2002

Costituisce eccezione nuova e come tale inammissibile in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., nel testo novellato dalla legge n. 353/1990, l’eccezione di usucapione che, essendo riconducibile al tema della prescrizione del diritto, non è fra quelle rilevabili d’ufficio.

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Cass. civ. n. 1287/2002

Proposta opposizione a decreto ingiuntivo emanato su istanza di un istituto di credito contestando la misura degli interessi richiesti dalla banca, non costituisce eccezione nuova preclusa in grado d’appello la contestazione del criterio di computo degli interessi per il periodo successivo alla chiusura del conto; trattasi, infatti, di un difesa già proposta in primo grado, la cui specificazione non dà luogo a inammissibilità del ricorso, perché inerente alla domanda di ingiunzione, che, quanto agli interessi, era stata contestata in modo globale e quindi sia per quelli maturati durante che per quelli calcolati dopo la chiusura del rapporto.

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Cass. civ. n. 464/2002

Il mutamento della causa petendi determina mutamento della domanda, tale da renderla improponibile come domanda nuova in appello, nei soli casi in cui vengano alterati l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia mediante la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche che, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, pongano in essere una pretesa nuova e diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado (si è, pertanto, escluso, da parte del S.C., che, in tema di procedimento tributario, tale mutamento fosse legittimamente ravvisabile nell’ipotesi in cui, a fondamento del petitum della domanda, sia originariamente dedotta, da parte dell’amministrazione finanziaria, l’omessa autofatturazione di operazioni imponibili, e, successivamente, la tardiva autofatturazione delle medesime operazioni).

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Cass. civ. n. 12136/2001

Alla stregua del principio di concentrazione e unicità della prova, deve ritenersi tardiva, e perciò inammissibile, la prova contraria dedotta in appello per confutare la prova diretta che, già dedotta in primo grado e non ammessa, sia stata poi ammessa dal giudice del gravame.

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Cass. civ. n. 8663/2001

L’eccezione di compensazione, costituendo un’eccezione in senso proprio, è proponibile per la prima volta anche in appello, con lo stesso atto di impugnazione che segna i limiti del giudizio di secondo grado pur se amplia l’oggetto della controversia, perché essa tende esclusivamente a paralizzare in tutto o in parte la domanda avversaria.

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Cass. civ. n. 5703/2001

Il divieto posto dall’art. 345 c.p.c., nel testo novellato dall’art. 52 legge 1990/353, non opera nel caso di nuova eccezione basata su fatto sopravvenuto dopo lo scadere del termine per la sua deducibilità in primo grado; l’insussistenza, nel precedente grado di giudizio, del fatto storico, che ha reso impossibile la deducibilità dell’eccezione, non viola, infatti, l’esigenza di assicurare il doppio grado di giudizio. (Nella specie la S.C. ha ritenuto ammissibile l’eccezione di giudicato esterno sul presupposto che esso si era formato su sentenza resa successivamente alla conclusione del giudizio di primo grado).

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Cass. civ. n. 3460/2001

In sede di gravame possono trovare ingresso (per ragioni di economia processuale, pur in mancanza di una espressa disposizione a riguardo) le pretese restitutorie conseguenti all’auspicata riforma della sentenza di primo grado, al fine di precostituire il titolo esecutivo per le restituzioni. In tal caso, la data di proposizione della domanda restitutoria non assume significato agli effetti della determinazione della decorrenza degli interessi, posto che non si pone l’alternativa tra la decorrenza dal pagamento nei confronti dell’accipiens in mala fede e la decorrenza della domanda nei confronti dell’accipiens in buona fede (art. 2033 c.c.), non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni effettuate e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti e dovendosi, quindi, in vista della specifica esigenza ripristinatoria della situazione anteriore alla decisione riformata, riconoscere il diritto agli interessi dal giorno del pagamento e non da quello della domanda.

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Cass. civ. n. 2080/2001

È domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introducendo un petitum diverso e più ampio, oppure una diversa causa petendi, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in particolare su di un fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato, radicalmente diverso, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema di indagine. Ne consegue che la domanda di risarcimento di danni per responsabilità contrattuale — essendo diversa da quella di risarcimento per responsabilità extracontrattuale in quanto dipendente da elementi di fatto diversi non solo per quanto attiene all’accertamento della responsabilità, ma anche per quanto riguarda la determinazione dei danni — non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello per ampliare l’originaria domanda di risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale.

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Cass. civ. n. 1719/2001

Il requisito della novità a cui è condizionata, a norma dell’art. 345, comma secondo, c.p.c. (nel testo anteriore alla legge 26 novembre 1990, n. 353), l’ammissione dei mezzi di prova in appello, non osta a che la prova testimoniale, dichiarata inammissibile per genericità nel giudizio di primo grado, possa essere riproposta in secondo grado mediante la deduzione di capitoli dettagliatamente articolati, dal momento che il potere conferito al giudice di consentire in primo grado l’integrazione della prova testimoniale dedotta in modo incompleto comporta, a fortiori, la possibilità per la stessa parte, non incorsa in alcuna decadenza, di farlo spontaneamente in appello.

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Cass. civ. n. 14930/2000

Il divieto di proporre domande nuove in appello, operante sia nel rito ordinario sia nel rito del lavoro (v. artt. 345 e 437 c.p.c.) è rivolto ad assicurare il principio del doppio grado di giurisdizione ed, al contempo, a garantire che il contraddittorio non venga alterato in danno della parte nei cui confronti una o più domande nuove vengano proposte per effetto dell’ampliamento dell’oggetto del contendere. Ne consegue che l’introduzione per la prima volta in appello della domanda volta a far valere la responsabilità dell’assicuratore per mala gestio in un giudizio avente ad oggetto la semplice domanda di garanzia dell’assicurato verso l’assicuratore incorre nel suddetto divieto, richiedendo la domanda stessa l’indagine su nuove situazioni di fatto al fine di verificare se l’assicuratore abbia posto in essere un comportamento incurante degli interessi dell’assicurato, ovvero abbia ingiustificatamente ritardato di porre a disposizione del danneggiato l’importo del massimale di assicurazione. (Fattispecie relativa alla chiamata in causa della compagnia assicuratrice per la responsabilità civile del datore di lavoro in un giudizio instaurato da una lavoratrice per ottenere il risarcimento del danno derivatole da un infortunio lavorativo non compreso nella copertura dell’assicurazione Inail).

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Cass. civ. n. 14598/2000

Il requisito di novità della prova per la sua ammissione in appello (art. 345 c.p.c., testo previgente) sussiste quando venga dedotto un mezzo di prova diverso da quello assunto in prime cure o allorché, pur trattandosi dello stesso mezzo di prova, già assunto in primo grado, essa verta però su fatti diversi.

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Cass. civ. n. 11760/2000

Nell’ipotesi di versamento di una somma di danaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che abbia agito per l’esecuzione o risoluzione del contratto e per la condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1453 c.c., può, in sostituzione di dette pretese, chiedere anche in appello il recesso dal contratto a norma dell’art. 1385, secondo comma, c.c., non costituendo tale richiesta una domanda nuova, bensì configurando, rispetto alla domanda di adempimento, l’esercizio di una perdurante facoltà solo un’istanza ridotta con riguardo alla proposta risoluzione, nello stesso ambito risarcitorio, in relazione all’inadempimento dell’altra parte.

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