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Art. 1223 — Risarcimento del danno

Art. 1223 — Risarcimento del danno

Il risarcimento del danno per l’inadempimento [ 2057 ] o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno [ 2056 2 ], in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta [ 1225, 1382, 1479 2, 1515, 1516, 1518, 1589, 1591, 1696, 1905, 2056 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 12567/2018

Dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall’illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto.

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Cass. civ. n. 12566/2018

L’importo della rendita per l’inabilità permanente, corrisposta dall’INAIL per l’infortunio “in itinere” occorso al lavoratore, va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito, in quanto essa soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo al quale sia addebitabile l’infortunio, salvo il diritto del lavoratore di agire nei confronti del danneggiante per ottenere l’eventuale differenza tra il danno subìto e quello indennizzato.

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Cass. civ. n. 12564/2018

Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall’Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo.

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Cass. civ. n. 11750/2018

Il danno da riduzione della capacità di guadagno subito da un minore in età scolare, in conseguenza della lesione dell’integrità psico-fisica, può essere valutato attraverso il ricorso alla prova presuntiva allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’evento lesivo, tenendo conto delle condizioni economico-sociali del danneggiato e della sua famiglia e di ogni altra circostanza del caso concreto. Ne consegue che ove l’elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno ad essa conseguente, il giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa, pur in assenza di concreti riscontri dai quali desumere i suddetti elementi. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto insussistente la prova del danno alla capacità di produrre reddito di un minore in età scolare che aveva subìto gravissime lesioni alla nascita dalle quali gli era derivata un’invalidità permanente pari al 52%).

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Cass. civ. n. 11165/2018

L’espletamento di una procedura concorsuale illegittima non comporta di per sé il diritto al risarcimento del danno da perdita di “chance”, occorrendo che il dipendente provi il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale ed il suddetto danno in termini prossimi alla certezza, essendo insufficiente il mero criterio di probabilità quantitativa dell’esito favorevole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che non aveva ritenuto sufficiente ai fini della prova di tale danno il mero superamento della soglia del 50% nel rapporto tra posti disponibili e partecipanti al concorso).

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Cass. civ. n. 11012/2018

Il danno da risarcire al promittente compratore, ove sia accolta la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita dallo stesso proposta per inadempimento del promittente venditore, non può comprendere i frutti della cosa promessa in vendita successivi alla domanda di risoluzione perché questa, comportando la rinuncia definitiva alla prestazione del promittente venditore (art. 1453, comma 3, c.c.), preclude anche al promittente compratore di lucrare i frutti che dalla cosa avrebbe tratto dopo la rinuncia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui, dichiarata la risoluzione del contratto preliminare, ha negato il diritto al risarcimento del danno correlato alla mancata percezione dei canoni che sarebbero stati riscossi, ove fosse stato concluso il contratto definitivo, per la locazione estiva dell’immobile promesso in vendita, sito in località marina).

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Cass. civ. n. 10321/2018

Il danno patrimoniale derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all’attività lavorativa della vittima assume natura di danno emergente con riguardo al periodo intercorrente tra la data del decesso e quella della liquidazione giudiziale mentre si configura come danno futuro e, dunque, come lucro cessante, con riguardo al periodo successivo alla liquidazione medesima; ne consegue che, ai fini della liquidazione, il giudice del merito può utilizzare il criterio di capitalizzazione di cui al r.d. n. 1403 del 1922 soltanto in ordine al danno successivo alla decisione, avuto riguardo al presumibile periodo di protrazione della capacità della vittima di produrre il reddito di cui trattasi, mentre, con riguardo al pregiudizio verificatosi sino al momento della decisione, deve operarsi il cumulo di rivalutazione ed interessi compensativi.

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Cass. civ. n. 9048/2018

Il danno derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno deve essere liquidato sommando e rivalutando i redditi già perduti dalla vittima tra il momento del fatto illecito e quello della liquidazione, nonché attraverso il metodo della capitalizzazione e, cioè, moltiplicando i redditi futuri perduti per un adeguato coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al tempo della liquidazione. Se il danno è patito da persona che al momento del fatto non era in età da lavoro, la liquidazione deve avvenire sommando e rivalutando i redditi figurativi perduti dalla vittima tra il momento in cui ha raggiunto l’età lavorativa e quello della liquidazione e capitalizzando i redditi futuri in base al predetto coefficiente di capitalizzazione. Qualora la liquidazione avvenga prima del raggiungimento dell’età lavorativa, la capitalizzazione deve essere operata in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento del presumibile ingresso nel mondo del lavoro oppure in base ad un coefficiente corrispondente all’età del danneggiato al tempo della liquidazione, ma in questo caso previo abbattimento del risultato applicando il coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione.

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Cass. civ. n. 8766/2018

In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento occorre che si consideri, oltre alla svalutazione monetaria(che costituisce un danno emergente), anche il nocumento finanziario subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (quale lucro cessante). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza sempre dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso.

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Cass. civ. n. 7267/2018

In tema di danno da ritardo nel pagamento di debito di valore, il riconoscimento di interessi compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria alla quale il giudice può far ricorso col limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito. Non gli è invece inibito, purché esibisca una motivazione sufficiente a dar conto del metodo utilizzato, di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell’entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale; ovvero, di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato.

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Cass. civ. n. 6619/2018

La liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta per la moglie moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie corrispondente all’età del più giovane tra i due; per il figlio in base a un coefficiente di capitalizzazione di una rendita temporanea corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell’uno e nell’altro caso il reddito da porre a base del calcolo deve comunque essere equitativamente aumentato per tenere conto dei presumibili incrementi reddituali che il lavoratore avrebbe ottenuto se fosse rimasto in vita e contemporaneamente ridotto dell’importo pari alla quota di reddito che la vittima avrebbe presumibilmente destinato a sé, al carico fiscale e alle spese per la produzione del reddito.

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Cass. civ. n. 5641/2018

In materia perdita di “chance”, l’attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell’evento di danno e deve altresì adeguatamente valutare il grado di incertezza dell’una e dell’altra, muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento, secondo il criterio civilistico del “più probabile che non”, e procedendo, poi, all’identificazione dell’evento di danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato, e non già il mancato risultato stesso, in presenza del quale non è lecito discorrere di una chance perduta, ma di un altro e diverso danno; ne consegue che, provato il nesso causale rispetto ad un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze dannose risarcibili, il risarcimento di quel danno sarà dovuto integralmente. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni parentali conseguenti al decesso di un congiunto, avvenuto a causa di errori diagnostici che ritardarono di oltre due anni la diagnosi di un tumore polmonare, in quanto la Corte territoriale aveva escluso che l’inadempimento dei sanitari avesse ridotto la “chance” di guarigione del paziente, sul rilievo che la morte si sarebbe comunque verificata, omettendo così di identificare correttamente l’evento di danno nella perdita anticipata della vita e nella peggiore qualità della stessa). In caso di perdita di una “chance” a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al “risultato perduto” (nella specie, maggiori “chance” di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale “possibilità”, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto. Il c.d. “modello patrimonialistico”, che storicamente ha costituito il riferimento teorico della evoluzione giurisprudenziale in tema di perdita di “chance”, mal si concilia con la perdita della possibilità di conseguire un risultato migliore sul piano non patrimoniale; la “chance” patrimoniale, infatti, presenta i connotati dell’interesse pretensivo (mutuando tale figura dalla dottrina amministrativa), e cioè postula la preesistenza di un “quid” su cui sia andata ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa, mentre la chance “non pretensiva”, pur essendo anch’essa rappresentata, sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente (segnatamente nel sistema della responsabilità sanitaria), è morfologicamente diversa dalla prima, in quanto si innesta su una preesistente situazione sfavorevole (cioè patologica), rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un “quid” inteso come preesistenza positiva. Ne consegue che, in sede risarcitoria, il giudice di merito deve inevitabilmente tener conto di tale diversità, sia pure sul piano strettamente equitativo, ai fini della liquidazione del danno.

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Cass. civ. n. 3691/2018

In tema di danno alla persona, la perdita di “chance”, ovvero di una concreta possibilità di conseguire un determinato bene della vita, integrante la lesione di un’entità patrimoniale attuale suscettibile di autonoma valutazione economica, non può coesistere con il danno alla salute (e con il correlato danno morale), il quale presuppone l’accertamento che l’illecito si sia concretizzato in una menomazione dell’integrità psicofisica, e che, di conseguenza, l’inadempimento del sanitario abbia non soltanto privato il paziente di una possibilità di cura ma concretamente inciso sullo stato di salute.

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Cass. civ. n. 2675/2018

In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli. (Nella specie, era stato eseguito in maniera erronea un intervento di raschiamento uterino in seguito ad una non corretta diagnosi di aborto interno, accertata dopo la ventunesima settimana e, quindi, oltre il termine previsto dalla l. n. 194 del 22 maggio 1978, con la conseguenza che la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita indesiderata di una bambina).

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Cass. civ. n. 26822/2017

La perdita di “chance”, pur potendo essere costituita dalla perdita di una mera possibilità presente nella sfera giuridica del danneggiato, deve tuttavia essere concreta ed effettiva, non meramente teorica ed ipotetica, e la sua compromissione, ove dedotta, deve essere provata dall’attore, identificandosi con la prova stessa del danno. (Nella specie, in tema di risarcimento del danno da perdita della “possibilità di una vita anche solo di poco più lunga o migliore” che si assumeva conseguente al ritardo nella consegna di un esame diagnostico, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva respinto la domanda in quanto, in base all’accertamento tecnico, il ritardo era stato assolutamente ininfluente sull’evoluzione della patologia tumorale, particolarmente rara ed aggressiva, sicché non vi era stata alcuna menomazione della possibilità di cura, con ciò risultando accertata l’insussistenza sia della “chance” che si assumeva menomata, sia, conseguentemente, del danno denunciato).

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Cass. civ. n. 13819/2017

In tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita INAIL, anche se l’istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all’indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la sola liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l’eccedenza, né all’INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell’indennizzo potrebbe essere dovuta all’inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l’infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l’azione.

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Cass. civ. n. 13792/2017

In tema di preliminare di vendita immobiliare, al promittente venditore che agisca per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, per il caso di inadempimento del promissario acquirente, deve essere liquidato il pregiudizio per la sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, la cui sussistenza è “in re ipsa” e non necessita di prova, mentre, laddove le domande risolutoria e risarcitoria siano proposte dal promissario acquirente, a causa dell’inadempimento del promittente venditore, il risarcimento spetta solo se i danni lamentati siano conseguenza immediata e diretta del dedotto inadempimento e sempre che il danneggiato, anche se invochi l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c., fornisca la prova della loro effettiva esistenza.

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Cass. civ. n. 10499/2017

Il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, in applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’artt. 1223 c.c., deve essere liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione impugnata, che aveva determinato la quota di reddito perduto da un avvocato, esercente da pochi mesi la professione, sulla base dell’imponibile fiscale dichiarato dal danneggiato nell’anno del sinistro, senza considerare il prevedibile progressivo incremento reddituale che, notoriamente, caratterizza tale attività, moltiplicandola, poi, per il coefficiente di capitalizzazione tratto dalla tabella allegata al r.d. n. 1403 del 1922, sebbene ancorata a dati non più attuali)

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Cass. civ. n. 9950/2017

La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un’obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito; b) detraendo l’acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva.

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Cass. civ. n. 9548/2017

In caso di sinistro stradale, ove il danneggiato abbia dato incarico ad uno studio di assistenza infortunistica di svolgere di attività stragiudiziale volta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto, la corrispondente spesa sostenuta non è configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante o sulla sua compagnia di assicurazione quando sia stata superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità.

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Cass. civ. n. 7940/2017

I danni derivati al compratore di un immobile per l’inadempimento del venditore all’obbligo di consegnarglielo, dopo l’ottenimento del trasferimento coattivo della proprietà di esso (art. 2932 c.c.), decorrono dalla data stabilita per la stipula del definitivo, sostituito “inter partes”, con identico contenuto, dalla sentenza costitutiva, e non dalla data di questa, né dalla trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concluderlo (art. 2652, n. 2 c.c.), determinante per gli effetti della sentenza rispetto ai terzi.

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Cass. civ. n. 7794/2017

In tema di “aliunde perceptum”, le somme percepite dal lavoratore a titolo d’indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto come risarcimento del danno per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente a seguito di dichiarazione di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa, atteso che detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivano al lavoratore dall’essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge.

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Cass. civ. n. 6422/2017

In caso di sinistro automobilistico, nel giudizio instaurato per il risarcimento del danno le spese precedentemente sostenute dal danneggiato per l’attività stragiudiziale prestata da una società di infortunistica stradale hanno natura di danno emergente e la loro utilità, in funzione della possibilità di porle a carico del danneggiante, deve essere valutata “ex ante”, avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito del futuro giudizio, e sulla base delle prove dedotte dal danneggiato, cui compete l’onere di dimostrare di avere effettivamente sopportato il relativo esborso.

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Cass. civ. n. 4028/2017

Gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest’ultimo e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella domanda di risarcimento e possono essere liquidati d’ufficio. Pertanto, l’impugnazione della decisione di primo grado si estende necessariamente anche al computo di quegli interessi, pur se non sia stato specificamente censurato il criterio adottato sul punto, con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di un puntuale rilievo sulla loro modalità di liquidazione prescelta dal giudice precedente, può procedere ad una nuova quantificazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore.

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Cass. civ. n. 25327/2016

Il credito risarcitorio residuo spettante a chi, avendo patito una lesione della salute, abbia ottenuto dall’Inail un indennizzo del danno biologico ai sensi del d.l.vo n. 38 del 2000, va liquidato non già sottraendo dal grado percentuale di invalidità permanente, individuato sulla base dei criteri civilistici, quello determinato dall’Inail coi criteri dell’assicurazione sociale, bensì, dapprima, monetizzando l’uno e l’altro grado di invalidità, e successivamente sottraendo il valore capitale dell’indennizzo Inail dal credito risarcitorio aquiliano.

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Cass. civ. n. 19604/2016

La perdita di “chance” costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la mera appartenenza di un appaltatore al settore degli appalti pubblici fosse tale da concretare una presunzione di perdita altamente probabile della “chance” di aggiudicarsi altre gare, non potendo ciò desumersi dalla sola qualità soggettiva dell’impresa, senza l’allegazione concreta di domande di partecipazione, nonché di elementi di valutazione circa il possesso di particolari requisiti tecnici e finanziari per partecipare ed aggiudicarsi, con rilevante probabilità, le gare tenutesi nell’arco temporale in discussione).

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Cass. civ. n. 18832/2016

In tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato, sicché, ai fini dell’accertamento dell’estensione della responsabilità, acquisisce rilievo, quale eventuale fattore sopravvenuto, anche il successivo comportamento del contraente adempiente.

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Cass. civ. n. 12410/2016

Le spese per l’iscrizione della ipoteca giudiziaria non possono essere legittimamente liquidate nel precetto, non costituendo credito accessorio a quello principale, né accessorio di legge alle spese processuali da porsi comunque a carico del debitore, ma devono invece liquidarsi all’esito della esecuzione utilmente promossa sui beni ipotecati, fruendo in questo caso il relativo credito del beneficio ipotecario previsto dall’art. 2855 c.c.

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Cass. civ. n. 12288/2016

Il risarcimento del danno da illecito aquiliano integra un debito di valore sicché, ove il giudice di merito abbia riconosciuto sulla somma capitale dovuta al danneggiato e liquidata nella sentenza di primo grado gli interessi compensativi al tasso legale, gli interessi per l’ulteriore danno da mancata tempestiva disponibilità dell’equivalente monetario del pregiudizio patito decorrono non dalla pubblicazione della decisione, ma dai singoli momenti nei quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio.

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Cass. civ. n. 12140/2016

Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall’art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente; ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento degli interessi compensativi, che il giudice di merito, anche in sede di giudizio di rinvio, deve attribuire, senza per ciò solo incorrere nel vizio di ultrapetizione.

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Cass. civ. n. 11899/2016

Ai fini dell’integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito.

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Cass. civ. n. 9039/2016

In materia di inadempimento contrattuale, l’obbligazione di risarcimento del danno configura un debito di valore, sicché, qualora si provveda all’integrale rivalutazione del credito relativo al maggior danno fino alla data della liquidazione, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, gli interessi legali sulla somma rivalutata dovranno essere calcolati dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione.

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Cass. civ. n. 8896/2016

La liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale. Il ricorso a tale ultimo criterio, ai sensi dell’art. 137, cod. ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell’infortunio godeva sì un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato.

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Cass. civ. n. 7774/2016

Nella liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese che la vittima di lesioni personali deve sostenere per l’assistenza domiciliare, il giudice deve detrarre dal credito risarcitorio sia i benefici spettanti alla vittima a titolo di indennità di accompagnamento (ex art. 5 della l. n. 222 del 1984), sia quelli previsti dalla legislazione regionale in tema di assistenza domiciliare, posto che dell’insieme di tali disposizioni il giudice – in virtù del principio “iura novit curia” – dovrà fare applicazione d’ufficio se i presupposti di tale applicabilità risultino comunque dagli atti.

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Cass. civ. n. 6545/2016

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, è applicabile solo in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell’art. 1219, comma 2, c.c., il debitore del risarcimento del danno è in mora (“mora ex re”) dal giorno della consumazione dell’illecito, mentre, se l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l’atto idoneo a porre in mora il debitore, siccome la sentenza costitutiva, che pronuncia la risoluzione, produce i suoi effetti retroattivamente dal momento della proposizione della detta domanda.

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Cass. civ. n. 4713/2016

Al promittente venditore è dovuto il risarcimento del danno causatogli dall’inadempimento del promissario acquirente, ingiustificatamente sottrattosi alla stipulazione, anche se non dimostri di aver perduto, nelle more, possibilità concrete di vendere l’immobile compromesso, poiché la sostanziale incommerciabilità del bene, nella vigenza del preliminare fino alla proposizione della domanda di risoluzione, integra gli estremi del danno, la cui sussistenza è “in re ipsa” e, quindi, non necessita di prova.

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Cass. civ. n. 3940/2016

In tema di inadempimento contrattuale, il risarcimento riveste natura e svolge funzione sostitutiva della prestazione mancata e gli effetti della situazione pregiudizievole permangono sino a quando il danno sia risarcito, ossia fino alla data della sentenza se la riparazione sia stata richiesta al giudice, sicché il pregiudizio derivante dalla mancata acquisizione di un bene deve essere risarcito con la prestazione del suo equivalente in danaro, determinato con riferimento al momento in cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si realizza la violazione contrattuale.

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Cass. civ. n. 6347/2014

Qualora, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso un’operazione che consiste, preliminarmente, nel rendere omogenei entrambi (devalutandoli, alla data dell’illecito ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione), per poi detrarre l’acconto dal credito e, infine, calcolando, gli interessi compensativi – finalizzati a risarcire il danno da ritardato adempimento – sull’intero capitale, per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, solo sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto rivalutato, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva.

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Cass. civ. n. 992/2014

L’eccezione di “compensatio lucri cum damno” è finalizzata ad accertare se il danneggiato abbia conseguito un vantaggio in conseguenza dell’illecito, del quale tener conto ai fini della liquidazione del risarcimento, e non mira, invece, a verificare l’esistenza di contrapposti crediti. Ne consegue che la relativa deduzione non integra una eccezione in senso stretto e non è soggetta alle relative preclusioni.

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Cass. civ. n. 458/2014

In tema di riscossione delle imposte sui redditi, l’emissione del ruolo straordinario con obbligo di pagamento immediato delle imposte iscritte, ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è legittima quando sussiste fondato pericolo per la riscossione (nella specie rappresentato dall’esistenza, alla data della formazione del ruolo, di provvedimento, valido ed efficace, di iscrizione di ipoteca legale sui beni di società assoggettata ad IRPEG, IRAP ed IVA in liquidazione), senza che rilevi l’eventuale emissione di un avviso di accertamento di cui sia pendente il relativo giudizio di impugnazione.

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Cass. civ. n. 17092/2012

In tema di sicurezza sul lavoro, le prestazioni del Fondo vittime dell’amianto di cui all’art. 1, comma 241 e seguenti, della legge n. 244 del 2007, ai sensi del comma 242, non escludono e si cumulano alle prestazioni diverse dovute in favore dei lavoratori secondo disposizioni generali o speciali, quali la rendita diretta o in favore dei superstiti dovuta dall’INAIL o il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato sul punto la sentenza della corte territoriale che aveva ritenuto che le prestazioni dispensate dal Fondo non potevano escludere alcuno degli altri diritti stabiliti dall’ordinamento per i medesimi soggetti e che”non si poteva quindi opporre alcuna compensazione né calcolo differenziale tra le prestazioni erogate dal Fondo e il diritto al risarcimento dei danni spettanti alle stesse vittime).

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Cass. civ. n. 7927/2012

In tema di concorrenza sleale, la perdita di chance configura un comportamento lesivo, trattandosi di una interfenza illecita sulla serie causale, che avrebbe condotto al conseguimento di un profitto di mercato; ne discende che il danno relativo non può che essere valutato sulla base della considerazione di una potenzialità, poi venuta meno.

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Cass. civ. n. 4252/2012

Il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno non può essere liquidato semplicemente moltiplicando il reddito mensile perduto per il numero di mesi per i quali la vittima avrebbe presumibilmente svolto attività lavorativa, perché tale criterio è matematicamente – prima ancora che giuridicamente – scorretto. Il danno in esame va, invece, correttamente liquidato attraverso il metodo della capitalizzazione, e cioè moltiplicando il reddito perduto (espresso in moneta rivalutata al momento della liquidazione) per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, perché soltanto tale metodo consente di tenere debito conto del c.d. “montante di anticipazione”, e cioè del vantaggio realizzato dal creditore nel percepire oggi una somma che egli avrebbe concretamente perduto solo in futuro.

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Cass. civ. n. 15385/2011

L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance” esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Pertanto, nel caso di richiesta risarcitoria per morte da fatto illecito avanzata dal coniuge superstite, quest’ultimo, pur non essendo obbligato a fornire la prova rigorosa dello stabile contributo economico ricevuto dal consorte defunto, non è tuttavia esonerato dall’indicare al giudice gli elementi da cui possa dedursi la perdita di prestazioni o vantaggi connessi all’esistenza in vita della vittima.

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Cass. civ. n. 8507/2011

Con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un’obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l’ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall’eventuale ritardo nell’esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta.

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Cass. civ. n. 26042/2010

In tema di nesso causale, esistono due momenti diversi del giudizio civile, costituito il primo dalla ricostruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, per il quale la problematica causale, detta della causalità materiale o di fatto, è analoga a quella penale di cui agli art. 40 e 41 c.p. ed il danno rileva solo come evento lesivo, ed il secondo, al quale va riferita la regola dell’art. 1223 c.c., che riguarda la determinazione dell’intero danno cagionato oggetto dell’obbligazione risarcitoria, attribuendosi rilievo, all’interno delle serie causali cosa individuate, a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento, non appaiono del tutto inverosimili, come richiesto dalla cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, fondata su un giudizio formulato in termini ipotetici. (Nella specie la S.C. ha ritenuto sussistente il nesso di causalità fra la tardiva corresponsione da parte della P.A. dell’indennità di requisizione e l’inadempimento da parte del titolare del bene requisito all’obbligo di pagamento delle rate di mutuo fondiario, cui sia seguita l’espropriazione del bene, allorché l’inadempimento sia una conseguenza probabile e verosimile del tardivo versamento dell’indennità.

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Cass. civ. n. 22826/2010

In tema di liquidazione del danno, la locuzione “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il “vinculum iuris, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.

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Cass. civ. n. 18028/2010

In tema di debiti di valore, il pregiudizio derivante dal ritardato conseguimento del risarcimento del danno deve essere liquidato mediante gli interessi legali computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero su tale somma rivalutata in base ad un indice medio.

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Cass. civ. n. 16396/2010

In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che – proiettandosi per il futuro – verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata, salvo l’ipotesi che si tratti di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell’attività lavorativa.

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Cass. civ. n. 15726/2010

In tema di liquidazione del “quantum” risarcibile, la misura del danno non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene danneggiato ma deve avere per oggetto l’intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa “restitutio in integrum” – per equivalente o in forma specifica, quest’ultima esperibile anche in materia contrattuale – del patrimonio leso. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva condannato, ex art. 2058 c.c., la venditrice ed il notaio rogante, in solido tra loro, a provvedere a propria cura e spese alla cancellazione di due iscrizioni ipotecarie sull’immobile venduto, non rilevate in sede di stipula di un contratto di compravendita, dell’importo complessivo di lire 56.126.931, ritenendo congrua la somma posta a carico dei predetti in relazione all’entità del danno cagionato ed al pericolo di evizione del bene, venduto per il prezzo effettivo di lire 50.000.000).

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Cass. civ. n. 11967/2010

Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale derivante da responsabilità contrattuale viene in essere al momento in cui l’inadempimento dell’obbligato incide la sfera giuridica altrui provocando, per il soggetto leso, la diminuzione del suo patrimonio, che deve essere reintegrato in modo da ricostruirne la consistenza che avrebbe avuto se il fatto lesivo non si fosse verificato, eliminando le conseguenze pregiudizievoli che sono state cagionate da quel comportamento, nel senso, come indica l’art. 1223 c.c., sia di annullare la perdita subita (danno emergente), sia di fare entrare il mancato guadagno (lucro cessante): ne deriva, pertanto, che le vicende anteriori o posteriori al momento in cui il pregiudizio si è verificato non rilevano a quel fine. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda di risarcimento proposta dal locatore di un immobile per i danni allo stesso arrecati dal conduttore, sul presupposto che, a seguito del rilascio, il locatore aveva potuto comunque vendere l’immobile, nonostante le condizioni di deterioramento del medesimo).

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Cass. civ. n. 10193/2010

In tema di risarcimento del danno, dovendo la liquidazione essere effettuata in valori monetari attuali, non è necessaria l’espressa richiesta da parte dell’interessato degli interessi legali sulle somme rivalutate, la quale deve ritenersi compresa nella domanda di integrale risarcimento inizialmente proposta e se avanzata per la prima volta in appello non comporta una violazione dell’art. 345 c.p.c., atteso che nei debiti di valore il riconoscimento degli interessi c.d. compensativi costituisce una modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso con il limite dell’impossibilità di calcolarli sulle somme integralmente rivalutate alla data dell’illecito, e che l’esplicita richiesta deve intendersi esclusivamente riferita al valore monetario attuale ed all’indennizzo del lucro cessante per la ritardata percezione dell’equivalente in denaro del danno patito.

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Cass. civ. n. 10072/2010

Il risarcimento del danno futuro, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio, e deve avvenire secondo un criterio di rilevante probabilità; a tal fine, il rischio concreto di pregiudizio è configurabile come danno futuro ogni volta che l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del notaio, pur avendone riconosciuto la negligenza, in relazione alla compravendita di un immobile gravato da ipoteca per il quale l’istituto di credito aveva richiesto all’acquirente il pagamento della frazione di mutuo rimasta insoluta).

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Cass. civ. n. 5119/2010

In tema di procedure concorsuali di selezione del personale, il potere discrezionale del datore di lavoro incontra il limite della necessità che lo stesso fornisca, in conformità ai criteri precostituiti nel bando e, comunque, alla buona fede e correttezza, adeguata ed effettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione effettuata e, in difetto di tali elementi, il danno che al lavoratore può derivare per perdita di “chance” va risarcito sulla base del tasso di probabilità che egli aveva di risultare vincitore, qualora la selezione tra i concorrenti si fosse svolta in modo corretto e trasparente. Spetta al giudice il concreto apprezzamento di ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo che, per inerire alla necessità e correttezza della valutazione comparativa dei titoli del lavoratore escluso e di quelli utilmente selezionati, appaia a tale fine funzionale e coerente. (Nella specie, la Corte ha ritenuto inadeguato il criterio meramente statistico della proporzione tra il numero dei posti messi a concorso e il numero dei concorrenti che precedevano il ricorrente in graduatoria, adottato dalla corte territoriale per determinare il danno da perdita di “chance”, in assenza di ogni riferimento alla valutazione comparativa dei titoli dei candidati).

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Cass. civ. n. 3931/2010

Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata con riferimento ai valori monetari esistenti alla data della liquidazione, non occorre tener conto della svalutazione verificatasi a partire dal giorno dell’insorgere del danno, essendo dovuto al danneggiato soltanto il risarcimento del mancato guadagno (o lucro cessante) provocato dal ritardo nella liquidazione. Tale risarcimento può avvenire attraverso la liquidazione di interessi ad un tasso stabilito dal giudice del merito valutando tutte le circostanze del caso, ma gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma rivalutata, perché la somma dovuta – il cui mancato godimento va risarcito – va aumentata gradualmente nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione. Inoltre, sull’importo liquidato all’attualità della data della pronuncia possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito (coincidente con quella dell’evento dannoso), ovvero mediante l’attribuzione di interessi sulla somma liquidata all’attualità ma ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo da considerare, ovvero attraverso il riconoscimento degli interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ossia computando gli interessi sull’importo progressivamente rivalutato anno per anno dalla data dell’illecito.

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Cass. civ. n. 997/2010

In caso di sinistro stradale, qualora il danneggiato abbia fatto ricorso all’assistenza di uno studio di consulenza infortunistica stradale ai fini dell’attività stragiudiziale diretta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto al responsabile ed al suo assicuratore, nel successivo giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento del danno, la configurabilità della spesa sostenuta per avvalersi di detta assistenza come danno emergente non può essere esclusa per il fatto che l’intervento del suddetto studio non abbia fatto recedere l’assicuratore dalla posizione assunta in ordine all’aspetto della vicenda che era stata oggetto di discussione e di assistenza in sede stragiudiziale, ma va valutata considerando, in relazione all’esito della lite su tale aspetto, se la spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento.

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Cass. civ. n. 6658/2009

La sussistenza di un danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno, in conseguenza di lesioni personali, non può essere esclusa per il solo fatto che i redditi del danneggiato dopo il sinistro non si siano ridotti, in quanto il giudice deve altresì accertare se le residue energie lavorative della vittima, pur consentendole di conservare al momento il reddito pregresso, comportino però una maggiore usura, e di conseguenza rendano verosimile un’anticipata cessazione dell’attività lavorativa, ovvero precludano alla vittima la possibilità di svolgere attività più remunerative.

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Cass. civ. n. 4052/2009

L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance” esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. (Nella specie, un’amministrazione comunale aveva occupato ed illegittimamente trasformato parte di un fondo; il giudice di merito, nel liquidare il danno da occupazione usurpativa, aveva escluso la sussistenza di un danno da lucro cessante per l’impossibilità di costruire sulla porzione residua, in considerazione del fatto che già prima dell’occupazione le norme dello strumento urbanistico non consentivano l’edificabilità di quel fondo, in ragione delle sue ridotte dimensioni. La S.C., applicando il principio di cui alla massima, ha ritenuto corretta tale decisione).

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Cass. civ. n. 1335/2009

Il debito avente ad oggetto il risarcimento del danno da inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie ha natura di debito di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe percepito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, con la conseguenza che in tali casi il giudice è tenuto d’ufficio a tenere conto della svalutazione monetaria intercorsa prima della liquidazione, senza che il creditore abbia l’onere di allegare e dimostrare il maggior danno di cui all’art. 1224, comma secondo, cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C., in accoglimento del ricorso, ha qualificato come credito di valore quello vantato da una banca nei confronti di un notaio che, per colpa professionale, aveva indotto l’istituto di credito ad erogare un finanziamento garantito da ipoteca iscritta su un cespite incapiente rispetto all’importo garantito, così determinando la perdita del credito della banca in conseguenza del fallimento del debitore).

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Cass. civ. n. 28056/2008

Il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore» – deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR al pagamento, in favore di un proprio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accantonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, effettuati tardivamente rispetto alle scadenze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR). L’effetto della compensatio lucri cum damno che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso che il danno patito da un dipendente del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR per il ritardato investimento in buoni postali fruttiferi di alcune delle quote annualmente accantonate del trattamento di fine rapporto potesse compensarsi con il guadagno ottenuto dal medesimo dipendente in ragione dell’anticipato investimento di analoghe quote relative ad altre annualità).

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Cass. civ. n. 19445/2008

In tema di risarcimento del danno alla persona, posto che le lesioni non irrilevanti della integrità personale di un minore di età, non svolgente attività lavorativa, sono presumibilmente destinate a produrre un danno patrimoniale futuro, in termini di riduzione della sua futura capacità di guadagno, al fine di determinare il relativo danno il giudice deve tener conto non soltanto della rilevanza quantitativa delle lesioni, in termini di percentuale di invalidità medicalmente accertata, ma anche della loro natura e qualità – rispetto alle presumibili opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato, avuto riguardo alle sue peculiari tendenze ed attitudini -, dell’orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, dell’educazione dallo stesso ricevuta dalla famiglia e della posizione sociale ed economica di quest’ultima, nonché della situazione del mercato del lavoro e, infine, di ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante, ferma restando la possibilità per colui che è chiamato a rispondere di dette lesioni di dimostrare, in forza degli stessi anzidetti criteri, che il minore non risentirà alcun danno dal quel particolare tipo di invalidità.

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Cass. civ. n. 16877/2008

In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere; oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta. (Nella specie, la S.C., enunciando l’anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto, in quanto priva di adeguato sostegno probatorio, la domanda risarcitoria proposta da un disoccupato nei confronti dell’INPS per illegittima reiezione della istanza di riconoscimento dell’indennità di disoccupazione speciale, il cui dovuto accoglimento gli avrebbe consentito l’iscrizione nelle liste di mobilità di cui alla legge n. 223 del 1991, con tutti i benefici connessi e, segnatamente, quelli conseguenti al diritto di precedenza nelle assunzioni).

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Cass. civ. n. 10111/2008

Il danno patrimoniale da perdita di chance è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. L’accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati. (Nella specie la S.C. ha confermato, correggendone parzialmente la motivazione, la sentenza del giudice di merito che aveva liquidato un importo pari ad una annualità di stipendio in favore della vedova di una vittima della criminalità organizzata, la quale si era vista riconoscere con un anno di ritardo il beneficio dell’assunzione in una P.A., riconosciutole dalla legge 20 ottobre 1990 n. 302).

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Cass. civ. n. 3268/2008

Nell’assicurazione contro gli infortuni, il debito indennitario, quando è previsto un procedimento di liquidazione convenzionale per il tramite di una perizia contrattuale, si connota come debito di valore dal momento del sinistro al verificarsi della liquidazione e solo successivamente a tale momento diventa obbligazione di valuta. Ne consegue che la somma riconosciuta a titolo di indennizzo deve essere rivalutata al momento della liquidazione e che, qualora il danneggiato assicurato alleghi e dimostri che il conseguimento della somma al netto della rivalutazione al momento del sinistro gli avrebbe consentito, tramite il reimpiego immediato, una redditività maggiore rispetto al valore della rivalutazione monetaria, può essere riconosciuto il danno da lucro cessante per il mancato conseguimento della differenza mediante i cosiddetti interessi compensativi, senza che
rilevino la mancanza di liquidità della somma fino all’esito della perizia contrattuale (a meno che la polizza non preveda che il pagamento dell’indennizzo, salva la rivalutazione, sia dilazionato all’esito delle perizia contrattuale, nel qual caso non è configurabile un danno da lucro cessante, perché il rischio assicurato non lo comprende), l’inadempimento dell’assicuratore al dovere di collaborare all’espletamento della perizia e, infine, la mancata costituzione in mora dell’assicuratore medesimo.

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Cass. civ. n. 1690/2008

Il danno patrimoniale futuro, nel caso di fatto illecito lesivo della persona, è da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità (cosiddette «micropermanenti» le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura — non necessariamente in modo proporzionale — qualora la vittima già svolga un’attività o presumibilmente la svolgerà. In quanto prova presuntiva essa potrà essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e che, quindi, non è venuto a configurarsi in concreto alcun danno patrimoniale. (Nella specie è stata cassata con rinvio la sentenza della corte di merito che aveva escluso il danno patrimoniale per ridotta capacità lavorativa di un medico-chirurgo, cui il sinistro stradale aveva causato la riduzione di funzionalità della mano destra, sull’assunto che, pur sollevato dall’attività in sala operatoria, continuasse a prestare servizio presso la corsia e l’ambulatorio del reparto chirurgico).

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Cass. civ. n. 24140/2007

Ai fini del risarcimento del danno patrimoniale da inadempimento, deve essere in concreto fornita la dimostrazione dell’esistenza del pregiudizio lamentato e il diretto nesso causale con la condotta illecita. Deve, pertanto, escludersi che il giudice possa fare ricorso alle presunzioni in mancanza dell’allegazione e della prova di circostanze di fatto gravi, univoche concordanti dalle quali desumere il danno nella sua effettività e in ordine al quantum limitarsi ad affidarne la determinazione al consulente tecnico d’ufficio senza la preventiva identificazione delle singole voci da valutare. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto del tutto carente la prova del danno patrimoniale, fondata, nel giudizio di merito, solo sul generico riferimento al fatto che l’impresa danneggiata avesse caratterizzato i propri investimenti e la produzione sulle commesse della danneggiante e conseguentemente avesse subito un danno dall’interruzione dei rapporti, rimessi alla quantificazione del consulente tecnico d’ufficio senza alcuna specifica indicazione).

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Cass. civ. n. 22370/2007

La liquidazione del danno da perdita di chances subito da un’impresa che abbia partecipato ad una gara per l’esecuzione di un’opera pubblica illegittimamente aggiudicata a terzi dalla stazione appaltante, non può limitarsi ai soli costi di partecipazione alla gara, in quanto anche l’opportunità di guadagno che sarebbe stato effetto di una gara svolta regolarmente costituisce una perdita attuale per il patrimonio, dimostrabile, per presunzioni e la cui valutazione compete al giudice del merito, che può essere liquidata in base al presunto guadagno che l’impresa avrebbe ottenuto con l’esecuzione dell’appalto, determinabile in una percentuale della sua offerta corrispondente ai guadagni medi degli appalti analoghi e che, di regola, per quelli ad evidenza pubblica, si determina in base a norme di legge che detta percentuale indicano (cfr. ad. es. art. 345 della legge 20 marzo 1865 all. F, riprodotto dall’art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 e art. 37 septies, comma 1, lett. c), della legge 11 febbraio 1994 n. 109). La somma così individuata va reintegrata in misura totale se, in base alla valutazione di merito degli atti di gara, si ritenga in fatto non giustificabile il ribasso dell’offerta dell’aggiudicatario per una corretta esecuzione dei lavori e quindi necessaria l’aggiudicazione all’impresa che chiede il risarcimento ovvero va ridotta proporzionalmente, con un calcolo di probabilità fondato su presunzioni e da rapportare al numero dei partecipanti alla gara che avevano con l’impresa stessa analoghe possibilità di aggiudicazione.

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Cass. civ. n. 22347/2007

Nei debiti di valore i cosiddetti interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno causato dal ritardato pagamento dell’equivalente monetario attuale della somma dovuta all’epoca dell’evento lesivo. Tale danno sussiste solo quando, dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe se (in ipotesi tempestivamente soddisfatto) avesse potuto utilizzare l’importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza ovvero in impieghi più remunerativi, la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima, solo in tal caso potendosi ravvisare un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche mediante il meccanismo degli interessi, mentre in ogni altro caso il danno va escluso. Il giudice del merito è tenuto a motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi solo quando sia stato espressamente sollecitato mediante l’allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo secondo il criterio sopra precisato.

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Cass. civ. n. 17179/2007

In materia di risarcimento dei danni a seguito di incidente stradale, una volta ritenuta provata l’attività lavorativa svolta dal danneggiato e la compromissione della medesima (quindi l’
an debeatur), in mancanza di una prova specifica del di lui reddito, si può correttamente fare ricorso ai criteri di quantificazione del danno indicati dall’art. 4 della legge 26 febbraio 1977 n. 39. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che, ritenendo provata l’attività di coltivatore diretto svolta dal danneggiato, ma non conoscendone il reddito effettivo, ha supplito a tale carenza riferendosi a nozioni di comune esperienza ed utilizzando il criterio del reddito presunto).

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Cass. civ. n. 13242/2007

In tema di risarcimento del danno subito dal proprietario per la mancata o ridotta utilizzazione di un bene immobile, il pregiudizio va determinato verificando l’effettivo valore locativo del bene, in modo da accertare il mancato reddito ritraibile nell’arco temporale considerato, tenendo conto dell’andamento del mercato immobiliare, che comporta che gli immobili si rivalutano con un ritmo più elevato, o comunque diverso, rispetto a quello di svalutazione della moneta secondo gli indici calcolati dall’ISTAT; resta poi salva, trattandosi di debito di valore, l’applicazione dell’aggiornamento istat per la rivalutazione all’attualità delle somme liquidate per ciascuno dei vari anni considerati. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva determinato il valore locativo del bene con riferimento al primo anno oggetto della domanda, procedendo per gli anni successivi alla rivalutazione istat con indice ridotto al 75%).

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Cass. civ. n. 8520/2007

Il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria. Ne consegue che, impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore (riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditività media del denaro nel periodo considerato), restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi.

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Cass. civ. n. 4791/2007

Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata «per equivalente» ovvero con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, il criterio più idoneo allo scopo per l’adeguamento dell’importo dovuto a titolo risarcitorio è quello dell’attribuzione degli interessi legali dalla data del fatto sul capitale mediamente rivalutato, che si persegue dividendo la sorte capitale attualizzata per il coefficiente di rivalutazione ISTAT relativo all’anno dell’evento dannoso e aggiungendo al capitale non attualizzato la metà della rivalutazione maturata. (Nella specie, la S.C., richiamandosi all’enunciato criterio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale, «in subiecta materia» era stato applicato il criterio di calcolo costituito dalla rendita assicurata dai certificati del tesoro, caratterizzato, in negativo, da una considerevole instabilità conseguente alle molteplici variabili incidenti su detti titoli).

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Cass. civ. n. 1087/2007

Soltanto gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento da atto illecito, costituendo una componente del risarcimento del danno, possono essere attribuiti anche in assenza di espressa domanda della parte creditrice, mentre, in tutti gli altri casi, gli interessi, avendo un fondamento autonomo e integrando obbligazioni distinte rispetto a quelle principali, attinenti alle somme alle quali si aggiungono, possono essere riconosciuti solo su espressa domanda degli aventi diritto. (Principio affermato dalla S.C. in relazione a procedimento avente ad oggetto la domanda, nei confronti di un altro proprietario, di rimborso pro quota delle spese di appalto cui il comproprietario dell’immobile era stato condannato in precedente giudizio).

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Cass. civ. n. 844/2007

L’obbligo di risarcimento del danno da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale ha per oggetto l’integrale reintegrazione del patrimonio del danneggiato; pertanto, nella domanda di risarcimento del danno deve ritenersi implicitamente inclusa la richiesta di compenso per il pregiudizio subito dal creditore a causa del ritardato conseguimento dell’equivalente monetario del danno, mentre occorre specifica richiesta allorché il creditore elenchi analiticamente le singole voci di danno.

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Cass. civ. n. 9374/2006

Il risarcimento per l’inadempimento dell’obbligazione esige un rapporto causale immediato e diretto fra inadempimento e danno. Questa limitazione — normativamente prevista nell’art. 1223 c.c. — è fondata sulla necessità di limitare l’estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata, perciò, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell’inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata. È compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza del rapporto che abbia i suddetti caratteri normativamente richiesti. (Nella specie, la S.C. ha rilevato l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, perciò cassata con rinvio, riguardante gli elementi attinenti al rapporto causale tra l’omessa integrazione di un funzionario e l’impossibilità dello stesso di godere del diritto riconosciuto dall’art. 38, primo comma, della legge della Regione Sicilia n. 35 del 1990).

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Cass. civ. n. 8657/2006

Qualora il giudice di primo grado nel liquidare un debito di valore (nella specie l’indennità dovuta ex art. 936 c.c. al costruttore) non abbia provveduto a riconoscere sulla relativa somma gli interessi compensativi richiesti dall’occupante, costituisce onere del creditore — al fine di evitare la formazione del giudicato interno — gravare con impugnazione incidentale tale mancata attribuzione, ancorché non motivata, a nulla rilevando che la controparte abbia a sua volta rimesso in discussione, con l’appello principale, la qualificazione e la misura dell’indennità medesima, atteso che i negati interessi, pur costituendo una componente del credito azionato, sono tuttavia suscettibili di una propria precisa individualità, concettuale e contabile, nell’ambito della globale valutazione rimessa al giudice, sia nell’ipotesi di cui all’art. 1150 che in quella di cui all’art. 936 c.c.

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Cass. civ. n. 3436/2006

L’art. 4 del D.L. n. 857/1976, come modificato dalla legge n. 39/1977 — secondo il quale, nel caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento debba considerarsi l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente sul reddito di lavoro, tale reddito non può essere inferiore al triplo dell’ammontare annuo della pensione sociale — si applica quando si tratta di liquidare il danno in favore della persona che lo ha subito in occasione dell’incidente stradale, mentre si deve escludere che la norma possa essere estesa analogicamente alla liquidazione del danno consistente nella morte della persona che è rimasta coinvolta nell’incidente ostandovi la natura eccezionale di essa (vedi Corte Cost. 24/10/1995 n. 445). Peraltro, l’inapplicabilità della norma in quanto tale non implica che il giudice non possa far riferimento al criterio stabilito dalla norma medesima nella liquidazione equitativa del danno ex articoli 2055 e 1226 c.c.

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Cass. civ. n. 1215/2006

In caso di lesioni personali con postumi invalidanti permanenti, ove il danno patrimoniale futuro (costituisca esso danno emergente, come per le spese mediche non ancora sostenute, ovvero lucro cessante da perdita o riduzione della capacità lavorativa) sia liquidato nella forma della capitalizzazione anticipata, dalla somma capitalizzata e liquidata in relazione ai valori monetari della data della pronuncia va effettuata la detrazione del montante di anticipazione (calcolato sulla base degli interessi a scalare); sull’importo risultante possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito (data del fatto lesivo), ovvero mediante l’attribuzione di interessi sulla somma liquidata all’attualità ma ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo che viene in considerazione, ovvero mediante il riconoscimento di interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ovvero computando gli interessi sulla somma progressivamente rivalutata anno per anno dalla data dell’illecito.

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Cass. civ. n. 23225/2005

In materia di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, il danno, se non risarcito immediatamente, va determinato secondo il valore attuale al momento della pronunzia, la durata del processo non potendo riverberare a danno dell’attore vittorioso. Al riguardo, ai fini di tale attualizzazione del valore del danno, il giudice può fare ricorso anche al riconoscimento degli interessi compensativi, da calcolarsi non già sulla somma integralmente rivalutata e con decorrenza dalla data dell’illecito, bensì al tasso legale e su somme progressivamente rivalutate, ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell’entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale, salva, ancora, la facoltà di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, dando conto del metodo in concreto utilizzato.

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Cass. civ. n. 17562/2005

In ipotesi di inadempimento contrattuale, la parte non inadempiente ha diritto al ristoro di tutti i pregiudizi subiti a causa della condotta della controparte inadempiente, compreso il rimborso delle spese affrontate in vista del proprio adempimento e, specificamente, ove il contratto in questione sia costituito da un preliminare avente ad oggetto il trasferimento di una cosa determinata, gli esborsi sostenuti per la realizzazione di quest’ultima o, comunque, finalizzati a renderla conforme all’oggetto delle pattuizioni contrattuali.

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Cass. civ. n. 15823/2005

Nell’obbligazione risarcitoria (che costituisce debito di valore in quanto diretta alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto) il principale mezzo di commisurazione attuale del valore perduto dal creditore è fornito dalla rivalutazione monetaria, mentre il riconoscimento degli interessi rappresenta una modalità di liquidazione del possibile danno ulteriore da lucro cessante, cui è consentito fare ricorso solo nei casi in cui la rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore. Pertanto, il mero ritardo nella percezione dell’equivalente monetario non dà automaticamente diritto alla corresponsione degli interessi, occorrendo a tal fine l’allegazione e la prova del danno ulteriore subito dal creditore, che si realizza solo se ed in quanto la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) risulti inferiore a quella di cui il danneggiato avrebbe disposto, alla data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. L’accertamento di tale danno può aver luogo anche in base a criteri presuntivi collegati al rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non sarà normalmente configurabile.

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Cass. civ. n. 15822/2005

In tema di liquidazione del danno alla persona, qualora la vittima dell’illecito, a causa dell’invalidità dallo stesso derivata, abbia perduto in tutto o in parte il proprio reddito da lavoro e la prospettiva di futuri guadagni, ma abbia ugualmente lucrato vantaggi patrimoniali con altri mezzi o per effetto di un rapporto giuridico indipendente dal fatto illecito, tali vantaggi, in quanto meramente occasionati dal fatto illecito e dall’evento dannoso, e non causalmente ricollegabili ad esso, non riducono né elidono il pregiudizio legato alla perdita del reddito da lavoro. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che il lavoratore costretto al pensionamento anticipato a causa dell’invalidità provocata dall’altrui illecito extracontrattuale ha diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita dei proventi della sua attività lavorativa fino al compimento dell’età pensionabile, escludendo l’operatività della compensatio lucri cum damno con il reddito derivante dalla pensione eventualmente percepita).

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Cass. civ. n. 15676/2005

In tema di risarcimento del danno, quale conseguenza del fatto illecito altrui, è necessaria la dimostrazione, da parte del danneggiato, non solo della potenziale lesività del fatto altrui, ma che tale fatto è stato causa di un danno concreto. Pertanto, per la risarcibilità del danno futuro è necessario un elevato grado di probabilità che esso si verifichi in base ad un criterio di regolarità (
id quod plerumque accidit); ne consegue che per ottenere il riconoscimento del diritto risarcitorio corrispondente al lucro cessante futuro, non è sufficiente la prova dei postumi permanenti derivati dalle lesioni subite dal danneggiato, ma occorre che egli provi che dalle stesse è derivata la riduzione della capacità lavorativa specifica, non originandosi dall’invalidità personale permanente automaticamente la presunzione di danno da lucro cessante futuro.

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Cass. civ. n. 2654/2005

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro liquidate a titolo risarcitorio decorrono dalla data in cui il danno si è verificato è sì applicabile soltanto in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito (in quanto il danneggiante-debitore è costituito in mora ex re fin dal giorno della consumazione dell’illecito, mentre nel caso di obbligazione risarcitoria derivante da inadempimento contrattuale gli interessi decorrono dalla data della domanda giudiziale, atto idoneo a costituire in mora il debitore), ma non può essere inteso nel senso che, ove l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, sia autorizzata la considerazione di date diverse ai fini della rivalutazione monetaria dell’importo corrispondente al danno originario e della decorrenza degli interessi (cosiddetti) compensativi (nel caso sussista un danno da ritardo) sulle somme progressivamente rivalutate, non essendo concettualmente conciliabile l’accertamento dell’inadempimento con effetti risarcitori ad una certa data con la decorrenza da una data successiva degli interessi compensativi da ritardo nell’adempimento del debito risarcitorio. Ne consegue che, se l’equivalente monetario attuale del danno (da inadempimento o da illecito) non è sufficiente a tenere indenne il creditore da tutte le conseguenze pregiudizievoli del fatto dannoso a causa del ritardo col quale la somma gli è stata erogata, allora il giudice può liquidare tale danno anche sotto forma di interessi, a condizione che tale danno sia ritenuto esistente prima del riconoscimento di detti interessi (che ne costituiscono una mera modalità liquidatoria).

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Cass. civ. n. 564/2005

… nell’ipotesi di illecito determinante l’invalidità permanente di soggetto privo di reddito, in quanto non svolga attività lavorativa e frequenti un corso di studi, il danno da risarcire consiste nel minor guadagno che l’interessato realizzerà in futuro a causa della menomazione rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata; la relativa liquidazione può essere compiuta per mezzo di presunzioni, considerando il tipo di attività che il soggetto svolgerà in futuro secondo un criterio probabilistico, tenuto conto delle possibili scelte ed occasioni che, secondo l’
id quod plerumque accidit, si offrono in relazione al livello di studi conseguito e all’ambiente familiare e sociale di riferimento.

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Cass. civ. n. 14667/2004

Compete al giudice del merito, avvalendosi al riguardo dei suoi poteri di libero apprezzamento delle prove, determinare, sulla base dei criteri dettati dagli artt. 1223 e ss. c.c., la effettiva consistenza del lucro cessante al netto dei costi non sopportati dal danneggiato e che sarebbero stati necessari a produrlo. La relativa eccezione della parte costituisce pertanto una mera difesa, e, quindi, una eccezione c.d. impropria, in quanto tale rilevabile in ogni stato e grado del giudizio di merito senza i limiti di preclusione del giudicato interno. Ne consegue che costituisce omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, denunciabile in cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., il mancato esame di tale eccezione.

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Cass. civ. n. 14488/2004

Nel caso di responsabilità del sanitario per il mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, il danno risarcibile è rappresentato non solo da quello dipendente dal pregiudizio della salute fisio-psichica della donna specificamente tutelata dalla predetta legge, ma anche da quello più genericamente dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell’inadempimento del sanitario nonché del danno biologico in tutte le sue forme.

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Cass. civ. n. 13634/2004

In tema di risarcimento del danno alla persona subito da un minore (nel caso di specie, trattavasi di danno verificatosi al momento del parto), la determinazione dell’ammontare del danno da lucro cessante va effettuata mediante una previsione di futuro guadagno per l’intero preventivabile arco della vita lavorativa, tenendo conto della prevedibile riduzione delle possibili attività lavorative esercitabili e dei guadagni ipotizzabili; nel compiere tale previsione non è corretto equiparare le prospettive lavorative future dei figli all’attività svolta dai genitori, in quanto ogni individuo può aspirare alla realizzazione di obiettivi socialmente ed economicamente più favorevoli rispetto a quelli raggiunti dalle generazioni precedenti.

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Cass. civ. n. 9091/2004

La parte adempiente che chiede la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promittente venditore ha diritto sia alla restituzione della somma pagata in conto prezzo, in virtù dell’efficacia retroattiva della risoluzione, sia al risarcimento del danno, comprensivo anche del pregiudizio costituito dal deprezzamento della somma pagata, con la conseguenza che tale somma, pur essendo oggetto di una obbligazione pecuniaria, avendo per oggetto il prezzo corrisposto alla parte adempiente, deve essere restituita con la rivalutazione monetaria perché solo in tal modo quest’ultima parte è reintegrata nella posizione in cui era al momento della conclusione del contratto.

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Cass. civ. n. 4983/2004

In tema di responsabilità contrattuale da inadempimento per effetto della liquidazione il debito di valore inerente al danno da svalutazione monetaria, conseguente all’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria, si converte in debito di valuta il cui importo si somma a quello dell’obbligazione rimasta inadempiuta ed, al pari di quest’ultima, è produttivo di interessi legali corrispettivi con decorrenza dalla data della domanda giudiziale ovvero della liquidazione.

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Cass. civ. n. 4400/2004

In tema di responsabilità del professionista esercente la professione sanitaria, la diagnosi errata o inadeguata integra di per sé un inadempimento della prestazione sanitaria e, in presenza di fattori di rischio legati alla gravità della patologia o alle precarie condizioni di salute del paziente, aggrava la possibilità che l’evento negativo si produca, producendo in capo al paziente la perdita delle chances di conseguire un risultato utile; tale perdita di chances configura una autonoma voce di danno emergente, che va commisurato alla perdita della possibilità di conseguire un risultato positivo, e non alla mera perdita del risultato stesso, e la relativa domanda è domanda diversa rispetto a quella di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato.

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Cass. civ. n. 17940/2003

Il danno lamentato da un soggetto per la mancata partecipazione ad alcune pubbliche gare per il conferimento del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulle pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, a causa della illegittima cancellazione dall’Albo Nazionale dei concessionari per la riscossione delle imposte sulla pubblicità, la iscrizione nel quale costituiva indispensabile requisito, va qualificato come danno per perdita di chanches e costituisce una ipotesi di danno patrimoniale futuro il cui ammontare può essere stabilito soltanto per presunzione, e liquidato in via equitativa, oppure attraverso il calcolo di probabilità, richiedente necessariamente l’ausilio di un esperto. La prova dell’esperimento di gare, nel periodo in cui sono perdurati gli effetti della cancellazione dall’Albo, basta a far presumere l’esistenza del danno, tradottosi nell’impossibilità di partecipare alle gare o di parteciparvi in condizioni di parità con gli altri concorrenti e, dunque, nella perdita della possibilità di realizzare probabili futuri guadagni, senza che occorra documentare gli inviti di partecipazione a tali gare, in quanto l’interessato avrebbe potuto esservi ammesso semplicemente su sua domanda.

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Cass. civ. n. 14678/2003

Il danno patrimoniale da lucro cessante, per un soggetto privo di reddito e a cui siano residuati postumi permanenti in conseguenza di un fatto illecito altrui, configura un danno futuro, da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva, e con equo apprezzamento del caso concreto. Pertanto se occorre valutare il lucro cessante di un minore menomato permanentemente e non sia possibile prevedere la sua futura attività lavorativa in base agli studi compiuti o alle sue inclinazioni, rapportati alla posizione economico-sociale della famiglia, non sussiste nessun vizio logico-giuridico della motivazione del giudice di merito che per valutare il reddito futuro di detto minore adotti come parametro di riferimento quello di uno dei genitori, presumendo che il figlio eserciterà la medesima professione del genitore.

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Cass. civ. n. 13666/2003

La liquidazione del danno da parte del giudice trasforma l’obbligazione risarcitoria da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, con la conseguenza che il giudice non può riconoscere gli interessi per il periodo successivo alla decisione fino al saldo, in mancanza di specifica domanda della parte in tal senso.

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Cass. civ. n. 12452/2003

Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuati, non valgono a reintegrare pienamente il creditore, che va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo. In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Il che può dipendere, prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile. Da ciò ha ad emergere come, per un verso, gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso, non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi: sia perché il danno da ritardo che con quella modalità liquidatoria si indennizza non necessariamente esiste, sia perché, di per sé, esso può essere comunque già ricompresso nella somma liquidata in termini monetari attuali.

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Cass. civ. n. 12121/2003

In tema di liquidazione del danno patrimoniale, il risarcimento per il danno costituito dalla perdita del guadagno subito deve comprendere il periodo di invalidità temporanea in cui nessuna attività lavorativa ha potuto svolgersi dal danneggiato ed il successivo periodo di invalidità permanente. Ne consegue che l’inizio del calcolo del danno da invalidità permanente, che segue alla diminuzione della capacità di lavoro impiegata in un’attività di lavoro determinata, va individuato con riferimento al momento della cessazione dell’invalidità temporanea, che deve viceversa essere liquidata autonomamente, in modo tale da condurre ad un risarcimento che possa essere considerato comprensivo di ambedue le voci.

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Cass. civ. n. 11007/2003

In una causa di risarcimento danni da incidente stradale, le dichiarazioni dei redditi hanno efficacia probatoria privilegiata, ai sensi dell’art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, soltanto quando ricorrano due condizioni: a) oggetto del giudizio sia l’azione diretta promossa dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della r.c.a. del responsabile, ex art. 18 della legge n. 990 del 1969; b) il danno che si intende provare con la dichiarazione dei redditi sia costituito da una contrazione del reddito conseguente ad invalidità permanente. Nel caso in cui — come nella fattispecie in esame — il danno di cui si chieda il risarcimento sia costituito dalla riduzione delle entrate conseguita alla morte di un congiunto, le risultanze delle dichiarazioni dei redditi sono liberamente valutabili dal giudice, la cui pronuncia sul punto non è sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata.

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Cass. civ. n. 7631/2003

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, una volta ritenuta provata dal giudice del merito la sussistenza del mancato guadagno che al danneggiato è stato provocato dal ritardato pagamento della somma liquidatagli a titolo risarcitorio, il lucro cessante va commisurato all’ammontare progressivo al quale la stessa somma perviene in applicazione del criterio di rivalutazione della stessa somma prescelto dal giudice del merito.

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Cass. civ. n. 3994/2003

L’obbligo di risarcire il danno aquiliano costituisce una tipica obbligazione di valore, con la conseguenza che, in caso di ritardo nell’adempimento, spetta al creditore il risarcimento del danno ulteriore rappresentato dalla perdita delle utilità che il godimento tempestivo della somma di denaro gli avrebbe consentito. La liquidazione di questo tipo di danno può avvenire nella forma degli interessi compensativi, ma solo se non già ricompresi nella somma rivalutata, ovvero liquidata in termini monetari attuali, come si verifica allorché la remuneratività media del danaro nel periodo in considerazione sia inferiore al tasso di svalutazione, perché in tale ipotesi non è nemmeno configurabile un danno da ritardo. L’onere di provare che la somma rivalutata, ovvero liquidata in moneta attuale, sia inferiore a quella di cui il creditore avrebbe disposto alla data della sentenza se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo, è posto a carico del creditore stesso, che può adempiervi anche a mezzo di presunzioni.

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Cass. civ. n. 9740/2002

In tema di responsabilità extracontrattuale, il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l’accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale del danneggiato ma anche l’incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità (suscettibili secondo una valutazione tipica, che si riflette sul quantum risarcitorio, di commisurazione in denaro) di cui il medesimo può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini in considerazione, quell’insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale. Ne consegue che il carattere della patrimonialità, che attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso, non implica sempre e necessariamente un esborso monetario né una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato. (Nel caso, nel fare applicazione del suindicato principio, la S.C. ha affermato costituire danno patrimoniale risarcibile la diminuzione del valore della funzione masticatoria subita da persona in conseguenza di errato intervento dentistico, a prescindere dall’avere o meno il danneggiato sostenuto la spesa necessaria per il ripristino di tale funzione, in quanto il danno patrimoniale si verifica prima e a prescindere da detta spesa, che in effetti può anche non essere mai effettuata là dove la vittima preferisca non sostenerla e tenersi il danno).

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Cass. civ. n. 883/2002

In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento deve essere considerato, in sede di liquidazione, oltre alla svalutazione (che ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell’illecito: c.d. danno emergente), anche il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa della mancata, tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo, appunto, di risarcimento (somma che, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per lucrarne un vantaggio finanziario). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza (a differenza che nell’ipotesi di responsabilità contrattuale) dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso.

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Cass. civ. n. 64/2002

La pensione previlegiata cosiddetta «tabellare» liquidata in favore del militare di leva che riporti infermità o lesioni per fatti di servizio, da calcolarsi in base ad indici prefissati in rapporto alla entità ed alla efficacia invalidante della menomazione, ha carattere risarcitorio e non già previdenziale, prescindendo dalla durata del servizio e dall’ammontare dei contributi versati; con la conseguenza che, sussistendo identità di titolo tra detta pensione ed il danno liquidabile per il medesimo evento secondo le norme del codice civile — data la unicità sia del fatto antigiuridico da cui derivi il pregiudizio sia del bene giuridico protetto consistente nella integrità della persona —, quanto erogato dallo Stato per la indicata pensione è detraibile dall’importo dell’integrale risarcimento.

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Cass. civ. n. 10300/2001

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, liquidato per equivalente e rivalutato fino alla data della decisione definitiva, è dovuto altresì il danno da ritardo, che può essere liquidato con criteri presuntivi ed equitativi e sulla base di un indice medio, anche attraverso l’attribuzione degli interessi ad un tasso decurtato rispetto alla misura legale. Tale decurtazione non è, invece, ammissibile in riferimento agli interessi riconosciuti a decorrere dalla sentenza e fino al soddisfo, in quanto detta sentenza trasforma un debito di valore in debito di valuta.

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Cass. civ. n. 8062/2001

Nella concreta determinazione del danno risarcibile, è consentito al giudice di tener conto degli aspetti positivi derivanti come conseguenza immediata dalla disposta reintegrazione del diritto offeso, ove questa vada oltre il risarcimento della situazione anteriore e produca un vantaggio economico al danneggiato.

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Cass. civ. n. 7692/2001

Nella liquidazione del credito di valore — nella specie, risarcimento del danno derivato dall’occupazione sine titulo di un bene immobile, oggetto di un contratto preliminare di compravendita dichiarato nullo — sulla somma riconosciuta possono calcolarsi sia la svalutazione, sia gli interessi con la medesima decorrenza, perché la prima ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell’illecito; i secondi, invece, hanno una funzione compensativa, con la conseguenza che questi ultimi sono compatibili con la rivalutazione e vanno corrisposti e calcolati anno per anno sulla somma via via rivalutata con decorrenza dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso.

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Cass. civ. n. 7507/2001

La liquidazione del risarcimento di danni futuri comporta la detrazione, sulla somma assegnata al danneggiato, di interessi a scalare per il periodo di pagamento anticipato del capitale, detrazione da calcolarsi con riferimento al momento dell’effettiva corresponsione della somma (o, in mancanza, al momento della liquidazione della stessa), e non anche con riguardo alla data del fatto illecito.

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Cass. civ. n. 5161/2001

In caso di obbligazione risarcitoria e quindi di debito di valore, al fine di porre il creditore nella stessa situazione nella quale si sarebbe trovato se il pagamento dell’equivalente monetario del bene perduto fosse stato tempestivo, il giudice, quando deve determinare l’equivalente monetario attuale del danno, non può prescindere dalla quantificazione (pur solo probabilistica) della somma di cui il creditore in quello stesso momento avrebbe potuto disporre se fosse stato immediatamente risarcito. Pertanto, se tale somma risultasse inferiore a quella liquidata come equivalente monetario del danno, difettando il presupposto stesso per riconoscere un danno da ritardo, non vanno riconosciuti gli interessi.

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Cass. civ. n. 4508/2001

Nella liquidazione del danno patrimoniale da invalidità permanente di lavoratori dipendenti, occorre prendere in considerazione il reddito percepito in concreto e corrispondente alle competenze effettive al netto delle ritenute e degli emolumenti straordinari. Qualora per la liquidazione si adotti il sistema della capitalizzazione anticipata, che fa conseguire il risarcimento in anticipo sulla data in cui si verificherebbe il danno reale (nella specie dei congiunti della vittima), gli interessi devono decorrere dal momento della liquidazione e non dall’illecito.

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Cass. civ. n. 2335/2001

In materia di risarcimento del danno causato da fatto illecito ad un minore che non svolga attività lavorativa, il giudice deve procedere alla liquidazione del danno da lucro cessante facendo ricorso alla presunzione, in base al tipo di attività lavorativa che presumibilmente il minore effettuerà o avrebbe effettuato in futuro – da accertarsi in relazione, ad esempio, agli studi compiuti, alle inclinazioni manifestate, all’attività lavorativa e alla posizione economico-sociale della famiglia -; in mancanza di tali elementi, il giudice può far riferimento a un reddito presuntivo, quale quello di cui all’articolo 4 della legge n. 39 del 1977, o al reddito medio di un lavoratore dipendente, motivando, in quest’ultimo caso, in ordine agli elementi tenuti presenti nella fissazione di tale reddito.

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Cass. civ. n. 15368/2000

In tema di debiti di valore, l’entrata in vigore dell’art. 1 della legge n. 353 del 1990, il quale, modificando l’art. 1282 (
Recte: 1284 N.d.R.) c.c., ha innalzato al 10 per cento il saggio legale di interesse, non ha inciso sul piano della distinzione da trarre fra la rivalutazione intesa come strumento rivolto ad assicurare il risarcimento del danno emergente ripristinando la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno medesimo, e gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma dovuta a titolo di risarcimento. Quanto peraltro all’entità degli interessi e alla loro decorrenza, essi vanno corrisposti sulla somma determinata con riferimento al tempo dell’illecito, progressivamente adeguata, anno per anno, all’aumento del costo della vita con l’applicazione di indici medi di rivalutazione e ad un tasso che può perciò anche essere inferiore, eventualmente, a quello legale.

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Cass. civ. n. 12103/2000

In tema di nesso di causalità ex art. 1223 c.c., tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un evento dannoso non si sarebbe verificato debbono considerarsi sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota, salvo il temperamento di cui all’art. 41, secondo comma, c.p., secondo cui la causa prossima sufficiente da sola a produrre l’evento esclude il nesso eziologico fra questo e le altre cause antecedenti, facendole scadere al rango di mere occasioni; di guisa che, per escludere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un danno, non basta affermare che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel fatto, ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell’antecedente.

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Cass. civ. n. 5913/2000

In tema di risarcibilità dei danni conseguiti da fatto illecito (o da inadempimento, nell’ipotesi di responsabilità contrattuale) il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l’evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiono del tutto inverosimili (combinazione della teoria della condicio sine qua non con la teoria della «causalità adeguata»).

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Cass. civ. n. 1622/2000

Salvo patto contrario, gli interessi compensativi devono essere quantificati nella misura del tasso legale.

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Cass. civ. n. 491/2000

Sulle somme di danaro liquidate a titolo di risarcimento danni decorrono gli interessi di pieno diritto fino al saldo e pertanto il giudice non può limitarne l’attribuzione al giorno della sentenza.

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Cass. civ. n. 11629/1999

In tema di risarcimento del danno, il rapporto tra comportamento ed evento e tra questo e il danno muta a seconda che il danno sia un elemento della fattispecie o un suo effetto e deve conseguentemente distinguersi il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento affinché possa configurarsi a monte una responsabilità — come avviene in materia di illecito extracontrattuale — e il nesso che, collegando l’evento al danno, consente l’imputazione delle singole conseguenze dannose ed ha la funzione di delimitare a valle i confini della responsabilità — come avviene in tema di responsabilità contrattuale, ove il soggetto responsabile è di norma il contraente inadempiente e la sua individuazione non pone un problema di nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso —; così, mentre l’accertamento della responsabilità è improntato alla ricerca del nesso di causalità, quello dell’estensione della responsabilità si fonda su un giudizio in termini ipotetici, coincidendo il danno risarcibile con la perdita e il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione quale sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato (sulla base di tali principi la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, pur accertata la sussistenza di un inadempimento colpevole del debitore, aveva negato il risarcimento sull’inesistenza del nesso eziologico tra comportamento antigiuridico del debitore — nella specie tardiva esecuzione di bonifico bancario su banca USA — e ripercussioni patrimoniali negative — abbandono e perdita di un master e rientro in Italia del beneficiario del bonifico).

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Cass. civ. n. 11021/1999

L’obbligazione di risarcimento del danno, ancorché derivante da inadempimento contrattuale, configura un debito di valore, in quanto diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, sicché resta sottratta al principio nominalistico, e deve, pertanto, essere quantificata dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione. Ne consegue che, qualora in relazione alla domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno, si provveda alla integrale rivalutazione del credito, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, fino alla data della liquidazione, non possono essere accordati gli interessi legali sulla somma rivalutata dal giorno della mora, dovendosi questi essere calcolati solo dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione.

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Cass. civ. n. 8278/1999

Anche in ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento, i criteri da applicare per la determinazione del danno sono quelli di cui all’art. 1223 c.c.; pertanto, sono risarcibili i danni conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento e il danno può essere liquidato se la parte che si assume danneggiata fornisce la prova della sua effettiva esistenza.

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Cass. civ. n. 7345/1999

Qualora un intervento chirurgico abbia esito negativo, rendendo immediata anziché allontanare nel tempo o evitare una menomazione, e tale esito sia imputabile alla responsabilità del medico (nella specie per non avere correttamente informato l’interessato circa i rischi dell’intervento stesso), la compromissione arrecata alla salute del paziente va identificata, ai fini della liquidazione dei danni, tenendo presente il momento in cui la stessa si sarebbe prodotta naturalmente.

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Cass. civ. n. 6247/1999

L’accertamento di postumi permanenti non comporta l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il danno patrimoniale in conseguenza della riduzione della capacità di guadagno con riferimento all’art. 4 della legge 39/1977 che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto di una sicura prova da fornirsi da parte del danneggiato anche in via presuntiva, dell’effettiva incidenza dell’invalidità sulla sua vita lavorativa e conseguente riduzione della capacità di guadagno.

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Cass. civ. n. 4801/1999

In tema di risarcimento del danno derivante dalla circolazione stradale, la norma di cui all’art. 4 del D.L. 23 dicembre 1976 n. 857 — secondo la quale il reddito che occorre considerare agli effetti del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale — si applica soltanto all’ipotesi dell’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, e non anche nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, che è indipendente dal contratto assicurativo. Conseguentemente nel rapporto tra il responsabile e il danneggiato il danno futuro va collegato all’invalidità permanente va liquidato in via equitativa, a norma degli artt. 2056 e 1226, essendo fondato su situazioni future ed ipotetiche, conoscibili soltanto come probabili o possibili. Peraltro, anche nell’ambito di tale valutazione equitativa, il giudice può assumere come criterio di orientamento quello del triplo della pensione sociale di cui alla disposizione indicata.

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Cass. civ. n. 490/1999

Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, in cui il danaro non costituisce oggetto della prestazione, ma solo metro di commisurazione del valore perduto dal creditore, gli interessi, non già moratori, ma compensativi, costituiscono solo una delle possibili modalità liquidatorie dell’eventuale danno da lucro cessante conseguito alla ritardata corresponsione dell’equivalente monetario del danno. Ove il giudice adotti, come criterio del risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, questi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per il capitale, ma con riferimento ai singoli momenti – da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso – con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio. (In applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto insindacabile la valutazione compiuta nella specie dalla corte di merito, che aveva liquidato gli interessi sugli importi non al saggio legale, vigente all’epoca, del 10 per cento in ragione di anno, ma al 5 per cento, così determinato il tasso con apprezzamento degli atti processuali e storici acquisiti).

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Cass. civ. n. 489/1999

Quando la persona danneggiata muoia nel corso del giudizio di liquidazione del danno per causa sopravvenuta ed indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico e patrimoniale in senso stretto che gli eredi del defunto richiedano iure successionis e non iure proprio va effettuata non più con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla sua durata effettiva. Ciò, peraltro, non comporta che sia ricorribile per cassazione la sentenza pronunciata sulla base del criterio probabilistico per tale specifico motivo, allorché la morte del danneggiato, intervenuta in epoca successiva alla precisazione delle conclusioni, sia stata ignota al giudice, non ricorrendo, in tale ipotesi, né un errore in iudicando, né un errore in procedendo, e non essendo, pertanto, configurabile un vizio della sentenza per alcuno dei motivi tassativamente indicati dall’art. 360 c.p.c.

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Cass. civ. n. 256/1999

La presunzione di danno da lucro cessante per ritardato pagamento nei debiti di valore non è in alcun modo correlata all’attività lavorativa esercitata dal creditore, ma esclusivamente all’impiego mediamente remunerativo del denaro, in ipotesi suscettibile di offrire un’
utilitas superiore, in termini percentuali, al tasso di rivalutazione. Il riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi una mera modalità liquidatoria, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato. Il relativo apprezzamento è di mero fatto e si sottrae al sindacato di legittimità se adeguatamente motivato.

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Cass. civ. n. 12686/1998

Il criterio legislativo del triplo della pensione sociale di cui all’art. 4 del D.L. n. 587 del 1976 conv. in L. n. 39 del 1977, deve ritenersi applicabile, in mancanza di prova di un reddito superiore, anche in tema di risarcimento del danno futuro sofferto dai familiari per la morte di un congiunto e, quindi, tra l’altro, nei casi di privazione della legittima aspettativa di un coniuge o di un genitore ad un contributo da parte, rispettivamente, dell’altro coniuge o del figlio prematuramente scomparso.

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Cass. civ. n. 10088/1998

Nella liquidazione del danno alla persona per responsabilità civile derivante dalla guida di autoveicoli a motore e dei natanti, allorquando la componente del reddito dev’essere tenuta presente nella liquidazione del danno da lucro cessante, il reddito si determina con i criteri stabiliti dall’art. 4, primo comma del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, conv. nella L. 26 febbraio 1977, n. 39, e le possibili correzioni della liquidazione attraverso il criterio equitativo debbono essere convenientemente motivate.

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