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Articolo 442 Codice di procedura civile — Controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie

Articolo 442 Codice di procedura civile — Controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie

Nei procedimenti relativi a controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari, nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie, si osservano le disposizioni di cui al capo primo di questo titolo [ disp. att. 147-152 ].

Anche per le controversie relative alla inosservanza degli obblighi di assistenza e di previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi si osservano le disposizioni di cui al capo primo di questo titolo.

Per le controversie di cui all’articolo 7, terzo comma, numero 3-bis), non si osservano le disposizioni di questo capo, né quelle di cui al capo primo di questo titolo.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 11516/2017

Nel giudizio promosso dall’interessato per ottenere dall’INPS una prestazione previdenziale collegata allo stato di invalidità, il giudice deve sempre accertare l’esistenza dei requisiti necessari per l’erogazione della prestazione, anche nel caso in cui, in sede amministrativa, sia stato già emanato un provvedimento ricognitivo del diritto fatto valere dall’assicurato, in quanto, vertendosi in tema di prestazioni sottratte alla disponibilità delle parti, nemmeno l’acquisita esecutività di un provvedimento amministrativo ricognitivo del diritto dell’assicurato comporta, nella sede giurisdizionale adita, l’automatico riconoscimento di un corrispondente diritto nei confronti dello stesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, pur in presenza dell’avvenuto riconoscimento amministrativo del diritto alla prestazione, intervenuto in epoca successiva alla proposizione dell’appello, aveva respinto la domanda di accertamento dell’invalidità, omettendo di indicare le ragioni per cui aveva ritenuto di dover disattendere le conclusioni del primo consulente, rispetto a quelle rassegnate dall’ausiliario nel giudizio di gravame).

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Cass. civ. n. 7755/2017

La controversia relativa all’ammontare della ritenuta fiscale operata dall’istituto previdenziale sulla pensione di reversibilità attiene al trattamento pensionistico e, se derivante da rapporto di pubblico impiego, rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti, che ricomprende tutte le controversie funzionali e connesse al diritto alla pensione dei pubblici dipendenti.

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Cass. civ. n. 10667/2014

L’indennità di rischio radiologico ha natura retributiva-indennitaria, in quanto finalizzata a compensare una prestazione sanitaria resa in peculiari condizioni e ambienti lavorativi, senza che rilevino profili risarcitori derivanti dall’assorbimento delle radiazioni o dall’inadempimento di obblighi di prevenzione del datore di lavoro. Ne consegue che sulla somma corrisposta a detto titolo, qualora il relativo credito non sia maturato entro il 31 dicembre 1994, non sono cumulabili interessi e rivalutazione monetaria, in applicazione dell’art. 22, comma 36, della legge 24 dicembre 1994, n. 724.

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Cass. civ. n. 8898/2014

In tema di infortuni sul lavoro, va qualificata come domanda di garanzia propria quella proposta dal datore di lavoro, convenuto in sede di regresso dall’INAIL, per essere garantito dal proprio assicuratore o dall’impresa committente i lavori, non ricorrendo fra i titoli delle domande un rapporto puramente occasionale, ma essendo anzi unico il fatto generatore della responsabilità, sia verso l’assicuratore, in ragione del suo obbligo di garanzia per l’infortunio, sia verso il committente, in relazione alla causazione dell’infortunio per effetto della prospettata concorrente violazione da parte di questo dell’obbligo di prevenzione e sicurezza. Ne consegue che il giudice della causa principale, in funzione di giudice del lavoro, è competente a conoscere anche le anzidette cause connesse per garanzia.

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Cass. civ. n. 8364/2014

Nelle controversie instaurate con opposizione ad ordinanza ingiunzione, irrogativa di sanzione amministrativa per omissioni contributive relative ad un rapporto di lavoro subordinato del quale l’opponente contesti l’esistenza, è inammissibile la chiamata in causa del lavoratore al fine di accertare l’insussistenza del rapporto, giacché nel predetto giudizio non sono configurabili situazioni di comunanza di causa o chiamata in garanzia, per essere il “thema decidendum” limitato all’accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria dell’INPS nei confronti dell’autore dell’omissione contributiva o dell’obbligato in solido.

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Cass. civ. n. 6590/2014

In materia di invalidità civile, la revoca della prestazione comporta, per ottenerne il ripristino, per l’assistito la necessità di instaurazione di un nuovo procedimento amministrativo, ai fini della verifica dei requisiti sanitari e, ove previsti, reddituali, per il riconoscimento del diritto al beneficio assistenziale. Ne consegue che l’interessato deve proporre l’istanza amministrativa di concessione della prestazione, e, in caso di mancata presentazione di essa, il giudice deve dichiarare, in ogni stato e grado del giudizio, l’improponibilità della domanda giudiziale.

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Cass. civ. n. 4127/2014

In tema di domande nuove in fase di appello, nel rito del lavoro, l’erronea interpretazione di norme giuridiche può essere prospettata per la prima volta in fase d’impugnazione, non trattandosi di eccezione in senso proprio preclusa dall’art. 437 cod. proc. civ. Ne consegue che, nel caso in cui la domanda proposta in primo grado abbia avuto ad oggetto la condanna dell’istituto previdenziale alla corresponsione della pensione di anzianità, la richiesta, da parte dell’INPS in sede di gravame, di diversa decorrenza della prestazione pensionistica, è ammissibile, competendo al giudice, accertati i requisiti per la prestazione, determinarne la data di decorrenza, in applicazione dell’art. 59, comma 8, legge 27 dicembre 1997, n. 449.

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Cass. civ. n. 3491/2014

In materia previdenziale, l’obbligazione contributiva ha quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi nell’intero. Ne consegue che il lavoratore non è legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, residuando in suo favore, nel caso di omissione contributiva, il rimedio dell’art. 2116 cod. civ. e la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13 della legge 12 agosto del 1962, n. 1138. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto due lavoratrici legittimate all’impugnazione di un verbale di accertamento dell’INPS, elevato nei confronti del loro datore di lavoro, relativo all’annullamento della contribuzione per i periodi di lavoro da loro prestati nell’ambito dell’impresa familiare).

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Cass. civ. n. 2630/2014

Nel caso di omissione contributiva, sussiste l’interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali, avvalendosi della domanda di condanna generica, ammissibile anche nel rito del lavoro, per accertare la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare danno, salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell’evento dannoso (coincidente, in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, con il raggiungimento dell’età pensionabile), l’azione risarcitoria ex art. 2116, secondo comma, cod. civ., oppure quella diversa, in forma specifica, ex art. 13 della legge 12 agosto 1962 n. 1338.

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Cass. civ. n. 12730/2013

Nei procedimenti giurisdizionali concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, qualora la difesa del Ministero dell’economia e delle finanze, nel giudizio di primo grado, sia stata assunta da un funzionario della stessa Amministrazione ovvero, in base ad eventuale convenzione, da un avvocato dell’I.N.P.S. (come consentito dall’art. 42 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326), la notifica della sentenza, come quella della successiva impugnazione (quest’ultima con esclusione del caso in cui la difesa personale o con propri dipendenti sia limitata al giudizio di primo grado) vanno effettuate nei confronti dei funzionari o avvocati incaricati della difesa, a norma dell’art. 330 cod. proc. civ.

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Cass. civ. n. 10819/2013

In tema di responsabilità datoriale per infortunio sul lavoro, l’art. 2087 cod. civ. impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, le quali rappresentano lo “standard” minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre cautele richieste in concreto dalla specificità del rischio, sicché, ove il lavoratore proponga domanda risarcitoria sulla base delle norme indicate, non è comunque ravvisabile l’introduzione nel processo di un “petitum” diverso e più ampio, oppure di una “causa petendi” basata su situazioni giuridiche non prospettate in precedenza o su un differente fatto costitutivo, allorché si individui l’inosservanza dell’indicato “standard” minimale in circostanze comunque emerse dagli atti di causa.

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Cass. civ. n. 4571/2013

Rientrano nella competenza del giudice del lavoro anche le controversie relative a forme di previdenza previste dall’autonomia collettiva, ancorché esse coinvolgano società assicuratrici estranee al sistema pubblicistico della previdenza e assistenza sociale, e anche se la contestazione, dedotta dal lavoratore, abbia ad oggetto l’inosservanza dell’obbligo, in capo al datore di lavoro, di versare i premi alla società assicuratrice, trattandosi di obbligo che consegue direttamente dal rapporto di lavoro – che si pone quale antecedente necessario e non occasionale della pretesa, senza che assuma rilievo l’eventuale cessazione del rapporto medesimo – e si concretizza in una prestazione periodica ed integrativa del trattamento economico pensionistico.

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Cass. civ. n. 3540/2013

Nel giudizio promosso dall’interessato per ottenere dall’Inps una prestazione previdenziale collegata allo stato di invalidità, il giudice deve sempre accertare l’esistenza dei requisiti necessari per l’erogazione della prestazione, anche nel caso in cui, in sede amministrativa, sia stato già emanato un provvedimento ricognitivo del diritto fatto valere dall’assicurato, in quanto, vertendosi in tema di prestazioni sottratte alla disponibilità delle parti, nemmeno l’acquisita esecutività di un provvedimento amministrativo ricognitivo del diritto dell’assicurato comporta, nella sede giurisdizionale adita, l’automatico riconoscimento di un corrispondente diritto nei confronti del medesimo. Ne deriva che l’avvenuto riconoscimento della prestazione in sede amministrativa, successivo alla proposizione dell’impugnazione da parte dell’Inps avverso una sentenza favorevole all’istante, non fa venir meno l’interesse dell’Istituto ad ottenere, in sede giurisdizionale, l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti di legge richiesti per la concessione del beneficio.

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Cass. civ. n. 535/2013

La pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000, per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorché maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici (nella specie, lettori di lingua dell’Università degli studi), per i quali ricorrono, ancorché i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le “ragioni di contenimento della spesa pubblica” che sono alla base della disciplina differenziata secondo la “ratio decidendi” prospettata dal Giudice delle leggi.

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Cass. civ. n. 22730/2012

In tema di omissioni contributive previdenziali, la tutela giudiziaria esperibile nei confronti del provvedimento d’iscrizione di ipoteca sugli immobili, operato dall’INPS in sede di riscossione dei contributi previdenziali ex art. 77 del d.p.r. n. 602 del 1973, si realizza nelle forme dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi e, ove l’opposizione sia proposta prima dell’inizio dell’esecuzione, la competenza, per territorio e per materia, spetta – in forza del rinvio operato dall’art. 618 bis, primo comma, c.p.c. alle norme dettate per le controversie individuali di lavoro – al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, in cui ha sede l’ufficio dell’ente ex art. 44, terzo comma, c.p.c., intendendosi per tale quello preposto ad esaminare la posizione assicurativa e previdenziale dei lavoratori.

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Cass. civ. n. 17438/2012

In tema di malattia professionale, derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere ravvisata in un rilevante grado di probabilità. A tal fine il giudice, oltre a consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, è tenuto a valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa “ex officio”, diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità dell’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio, potendosi desumere, con elevato grado di probabilità, la natura professionale della malattia dalla tipologia della lavorazione, dalle caratteristiche dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione stessa, nonché dall’assenza di altri fattori causali extralavorativi alternativi o concorrenti. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse riconosciuto la rendita di invalidità a favore di un lavoratore che, in conseguenza dell’uso lavorativo protratto, per dodici anni e cinque o sei ore al giorno, di telefoni cellulari e “cordless”, aveva sviluppato una grave forma di tumore dei nervi cranici, il neurinoma del Ganglio di Gasser).

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Cass. civ. n. 14963/2012

In tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, quando con unico atto siano proposte – come è consentito – sia l’opposizione per motivi di merito della pretesa contributiva che l’opposizione per vizi di forma della cartella, vale il termine previsto per l’opposizione di merito dall’art. 24, comma 5, del D.Lgs. n. 46 del 1999 e non il termine richiamato dal successivo art. 29, comma 2, per l’opposizione agli atti esecutivi.

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Cass. civ. n. 11551/2012

Il soggetto che sia già titolare di rendita per infortunio sul lavoro o malattia professionale e che intenda, in relazione a diverso e successivo evento assicurato, ottenere la costituzione di una rendita unica, ai sensi dell’art. 80 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, ha l’onere di dedurre e allegare, a pena di inammissibilità della relativa domanda, l’esistenza dell’evento indennizzato e della rendita ad esso relativa.

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Cass. civ. n. 3704/2012

In tema di azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro responsabile dell’infortunio sul lavoro subito dal dipendente assicurato, le variazioni di ammontare del credito dell’INAIL conseguenti alle variazioni quantitative della rendita (e, in generale, delle prestazioni erogate dall’Istituto) non costituiscono domande nuove ma mere precisazioni del “petitum” originario; detto credito, come credito di valore, deve essere liquidato con riferimento alla data di liquidazione definitiva, per cui il maggior ammontare in termini monetari rispetto a quanto dedotto in primo grado, per effetto di svalutazione monetaria o di rivalutazione della rendita imposta da provvedimento sopravvenuto nelle more del giudizio, può essere richiesto senza la necessità di proposizione di appello incidentale, e, se ne ricorrono le condizioni, può essere liquidato anche di ufficio.

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Cass. civ. n. 28954/2011

Il sistema dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è ispirato all’esigenza di adeguare, per quanto possibile, la prestazione all’effettiva misura della riduzione dell’attitudine al lavoro. Ne consegue che in sede giudiziale, sia che si tratti di prima liquidazione, sia che si tratti di revisione, l’oggetto del giudizio verte sull’accertamento dell’effettivo grado di riduzione dell’idoneità lavorativa, senza che sia consentito ancorare l’adeguamento della rendita a una presunta volontà vincolativa dell’assicurato.

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Cass. civ. n. 28410/2011

In tema di pensione di reversibilità ciascuno dei soggetti indicati dalla legge è titolare “iure proprio” del diritto, sicchè ogni contitolare può agire da solo per il riconoscimento della sua pretesa, ricorrendo in materia di litisconsorzio facoltativo, con scindibilità delle cause in grado di appello.

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Cass. civ. n. 5503/2011

La mancata fruizione di pensioni dirette di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria costituisce – come previsto dall’art. 9 d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54 – requisito costitutivo del diritto al beneficio assistenziale dell’assegno mensile di invalidità e, come tale, appartiene “ab origine” al “thema decidendi”. Ne consegue che l’eccezione in grado di appello dell’istituto previdenziale relativa al possesso di altra prestazione incompatibile con il beneficio richiesto non muta i fatti costitutivi del diritto, né amplia il tema d’indagine.

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Cass. civ. n. 4995/2011

In tema di controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, il diritto ad ottenere l’assegno di inabilità ex art. 13 della legge n. 118 del 1971 presuppone, quale requisito, la residenza in Italia dell’interessato, la cui verifica, ove una tale indicazione sia stata specificamente dedotta nel ricorso, resta preclusa in caso di mancata tempestiva contestazione da parte del convenuto. Ne consegue che, ove la questione sia stata dedotta per la prima volta con i motivi di appello, l’eccezione è inammissibile.

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Cass. civ. n. 23477/2010

In tema di assegno sociale, ai sensi dell’art. 3, comma 6, della legge n. 335 del 1995 spetta all’interessato che ne abbia fatto istanza l’onere di dimostrare il possesso del requisito reddituale, determinato in base ai rigorosi criteri richiesti dalla legge speciale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva negato la spettanza dell’assegno sociale al richiedente, in quanto titolare di una attività artigiana che lasciava presumere la sussistenza di un reddito, ancorché di carattere indeterminato).

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Cass. civ. n. 18810/2010

La controversia, avente ad oggetto la ripetizione dei contributi che il sanitario assume illegittimamente versati dall’INADEL sui cosiddetti compensi fissi erogati dagli enti mutualistici, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, inerendo tali compensi non al rapporto di pubblico impiego, ma al distinto rapporto di prestazione d’opera professionale nell’interesse dei detti enti.

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Cass. civ. n. 17971/2010

La domanda di mero accertamento della natura professionale dell’infortunio, nonché, specificamente, della sussistenza del nesso di causalità tra infortunio e prestazione lavorativa (in assenza di una inabilità permanente residuata e indennizzabile) sono inammissibili, risolvendosi in richieste di accertamento di meri fatti, incompatibile con la funzione del processo che può essere utilizzato solo a tutela di diritti sostanziali e deve concludersi (salvo casi eccezionali) con il raggiungimento dell’effetto giuridico tipico, cioè con l’affermazione o la negazione del diritto dedotto in giudizio, onde i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sè e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare. Nè può ritenersi che la natura lavorativa dell’infortunio costituisca questione pregiudiziale al diritto alla rendita, come tale suscettibile, a norma dell’art. 34 c.p.c., di accertamento incidentale con efficacia di giudicato separatamente dall’esame della domanda principale, essendo invece uno degli elementi costitutivi del diritto medesimo.

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Cass. civ. n. 4065/2010

Le controversie che hanno ad oggetto prestazioni previdenziali integrative, che gli enti pubblici non economici corrispondono al proprio personale a mezzo di apposito fondo, non investono un rapporto previdenziale autonomo rispetto al rapporto di impiego, ma riguardano spettanze di natura sostanziale retributiva, che trovano titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, e sono pertanto devolute alla giurisdizione ordinaria o a quella amministrativa, a seconda che le situazioni giuridiche maturate (le quali si ricollegano alla cessazione del rapporto) siano anteriori o successive alla data del 30 giugno 1998, secondo la disciplina dell’art. 45, comma 7, del d.lgs. 165 del 2001.

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Cass. civ. n. 17848/2009

In caso di ripetizione da parte dell’INPS di somme indebitamente versate dal datore di lavoro per contributi assicurativi, gli interessi dovuti, ai sensi dell’art. 2033 c.c., decorrono dalla data dei pagamenti solo in ipotesi di malafede dell'”accipiens”, mentre in caso di sua buona fede (la quale si presume in difetto di specifiche prove contrarie) o di mancanza di prova della sua mala fede, detti interessi decorrono dalla domanda amministrativa o, in mancanza di essa, dalla domanda giudiziale. A tal fine, la buona fede non resta esclusa per la sola circostanza che il “solvens” abbia effettuato il pagamento contestando di esservi tenuto e che l'”accipiens” sia stato consapevole di tali contestazioni, atteso che la buona fede di quest’ultimo sussiste anche in presenza di dubbio circa la debenza della somma corrisposta.

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Cass. civ. n. 16484/2009

In materia di prestazioni previdenziali, la rivalutabilità dei crediti, avendo quale unico presupposto l’inadempimento colposo del debitore, costituisce una proprietà intrinseca del credito stesso, in relazione alla quale opera il principio secondo cui la rivalutazione, non avendo autonomia rispetto al relativo credito, deve essere operata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, senza necessità di una specifica domanda. Ne consegue che la pronuncia con la quale il giudice, sia pure implicitamente (liquidando i soli interessi), neghi la rivalutazione, presuppone un accertamento negativo circa la sussistenza del maggior danno, sicché, in difetto di impugnazione sul punto, si forma al riguardo il giudicato e la relativa questione resta preclusa nelle successive fasi processuali ed anche in un successivo giudizio.

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Cass. civ. n. 3678/2009

Nel caso in cui il lavoratore agisca giudizialmente per ottenere la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13, quinto comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per la quale il datore di lavoro si sia sottratto al versamento all’INPS della relativa riserva matematica e per il cui versamento lo stesso datore resta obbligato, sussiste litisconsorzio necessario nei confronti dell’anzidetto datore di lavoro e dell’INPS, ciò trovando giustificazione per il riflesso, sotto il profilo processuale, che assumono gli aspetti sostanziali rappresentati: dall’interesse, giuridicamente protetto, del lavoratore alla realizzazione dei presupposti della tutela assicurativa (con la condanna dell’INPS alla costituzione della rendita vitalizia e del datore di lavoro inadempiente al versamento della riserva matematica); dall’interesse dell’INPS a limitare il riconoscimento della rendita vitalizia ai casi di esistenza certa e non fittizia di rapporti di lavoro; dall’interesse del datore di lavoro a non trovarsi esposto, ove il giudizio si svolga in sua assenza, agli effetti pregiudizievoli di un giudicato ai suoi danni a causa del riconoscimento di un inesistente rapporto lavorativo, lontano nel tempo.

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Cass. civ. n. 499/2009

In tema di contribuzione previdenziale, gli sgravi contributivi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, pur costituendo misure distinte di riduzione dell’obbligo contributivo (la prima, legata ad un criterio di territorialità ed incidente sulla contribuzione della invalidità, vecchiaia e superstiti, nonché volta ad ottenere un aumento dell’occupazione; la seconda, operante in base ad un criterio di appartenenza a determinati settori di attività economica ed incidente prevalentemente sulla contribuzione di malattia, nonché diretta a ridurre il costo del lavoro), si configurano, sul piano concettuale e probatorio, come eccezioni (in senso riduttivo) dell’obbligo contributivo e, quindi, appartengono entrambe all’unitario rapporto previdenziale contributivo, essendo altresì unitario il criterio di accertamento della natura dell’attività espletata dall’impresa, da rinvenirsi nella più generale qualificazione presente nell’ordinamento tramite l’art. 2195 c.c. Ne consegue che l’accertamento della natura industriale dell’attività imprenditoriale effettuato in una controversia relativa al diritto agli sgravi contributivi fa stato nella successiva causa relativa alla fiscalizzazione degli oneri sociali, avendo i due giudizi ad oggetto lo stesso rapporto giuridico, nonché il medesimo punto di diritto fondamentale nella natura dell’attività esercitata dall’azienda medesima. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in forza del giudicato formatosi in precedente giudizio sulla natura industriale dell’attività esercitata da un Consorzio agrario al quale era stato riconosciuto il diritto agli sgravi contributivi, aveva respinto la domanda, avanzata dallo stesso Consorzio in successivo giudizio, per la restituzione, da parte dell’INPS, delle somme corrisposte a titolo di contributi di malattia, asseritamente non dovute in base al preteso diritto alla loro fiscalizzazione in quanto azienda manifatturiera).

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Cass. civ. n. 23880/2008

In presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità dell’ex coniuge deceduto costituisce diritto autonomo d’indole previdenziale, limitato solo quantitativamente dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite, il quale, dunque, nel giudizio volto alla ripartizione in quote dell’unica pensione di reversibilità che gli spetta in astratto, non ha interesse a dolersi della decorrenza data all’altrui diritto.

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Cass. civ. n. 13060/2007

La domanda proposta dall’Inpdap di rimborso degli interessi legali versati ad ex dipendenti per il ritardo nella corresponsione della indennità di fine rapporto, ha causa petendi nel rapporto contributivo fra il medesimo ente previdenziale e l’Amministrazione datrice di lavoro. Ne consegue che trovano applicazione gli ordinari criteri di competenza in ordine alla controversia relativa al rimborso dei predetti interessi legali per il menzionato ritardo, i quali, essendo previsti dall’art. 3, comma 5, del D.L. n. 79 del 1997 convertito nella legge n. 147 del 1997, non sono qualificabili come interessi moratori, ma hanno la stessa natura previdenziale del credito principale, sicché la controversia appartiene alla competenza del giudice del lavoro ai sensi degli artt. 442 ss. c.p.c.

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Cass. civ. n. 7399/2007

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non di quello tributario la controversia avente ad oggetto diritti ed obblighi attinenti ad un rapporto previdenziale obbligatorio anche se originata da pretesa azionata dall’ente previdenziale a mezzo di cartella esattoriale, non solo per l’intrinseca natura del rapporto, ma anche perché l’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, sul riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, nell’estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali, espressamente prevede che il contribuente in presenza di richiesta di contributi previdenziali può proporre opposizione contro l’iscrizione a ruolo avanti al giudice del lavoro.

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Cass. civ. n. 3195/2007

La domanda proposta da ex dipendenti pubblici (nella specie del Ministero della Pubblica Istruzione) nei confronti dell’Inpdap, diretta alla dichiarazione del diritto al beneficio pensionistico di cui all’art. 13, comma ottavo, della legge n. 257 del 1992, in conseguenza dell’avvenuta prestazione del servizio in ambiente esposto all’amianto, è devoluta alla giurisdizione della Corte dei onti, poiché inerisce una controversia sulla misura della pensione, che involgendo la determinazione della base di computo della contribuzione previdenziale esclusivamente sotto il profilo della quantificazione di detta misura, senza alcuna possibilità che, la decisione del giudice contabile abbia incidenza sul rapporto di lavoro e sui provvedimenti determinativi al trattamento economico, in relazione ai quali l’esame di tale giudice si esplica solamente per valutarne gli effetti ai fini della rivalutazione della pensione.

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Cass. civ. n. 9062/2006

In tema di restituzione di contributi previdenziali indebitamente corrisposti all’INPS, per l’esistenza del diritto a sgravi contributivi, il mero fatto che nell’atto di appello sia indicata espressamente soltanto la richiesta degli interessi ma non quella della rivalutazione monetaria, non può costituire un elemento sufficiente per ritenere che la rivalutazione sia stata rinunziata, sia perché l’atto deve essere valutato nel suo complesso, sia perché la rivalutazione monetaria costituisce un accessorio naturale del credito che, come tale, può essere rinunziata, eventualmente, soltanto in maniera espressa o comunque non equivoca. Né può ritenersi inammissibile il cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria atteso che l’art. 6, sesto comma, della legge n. 412 del 1991, prevede il divieto di cumulo in favore degli «enti gestori di forme di previdenza obbligatoria», ma soltanto sulle prestazioni dovute e non, come nella specie, per la restituzione di contributi indebitamente corrisposti.

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Cass. civ. n. 8533/2006

In tema di interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei pensionistici erogati successivamente al centoventunesimo giorno dalla domanda amministrativa e di prescrizione del relativo credito, il termine decennale non può rimanere sospeso in pendenza del procedimento amministrativo, per essere i casi di sospensione della prescrizione tassativamente indicati dalla legge, insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazioni estensive. Sotto il primo profilo, nessuna efficacia può riconoscersi alla previsione sospensiva dell’art. 97 del R.D.L.n. 1827 del 1935, trattandosi di disposizione – contenuta nella disciplina dei ricorsi, ivi prevista all’interno del titolo terzo (“ricorsi e controversie”) – abrogata, ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, a seguito dell’intervenuta nuova regolamentazione dell’intera materia del «contenzioso amministrativo» ad opera, dapprima, del D.P.R. n. 639 del 1970 (artt. 44-46, inseriti all’interno del titolo terzo «ricorsi e controversie in materia di prestazioni») e, poi, della legge n. 88 del 1989 (art. 46, intitolato «contenzioso in materia di prestazioni», che al comma primo ha abrogato la precedente disciplina dettata dagli artt. 44-47 del D.P.R. n. 638 del 1970 cit.); sotto il secondo profilo, non può assumere rilievo che in altri procedimenti contenziosi relativi al riconoscimento di prestazioni analoghe la legge preveda la sospensione della prescrizione (cfr. art. 111 D.P.R. n. 1124 del 1965). Peraltro, la stessa previsione di improcedibilità della domanda giudiziale prima della definizione del procedimento amministrativo e del decorso dei termini all’uopo fissati, è destinata ad operare esclusivamente in relazione alla proposizione della domanda giudiziale, non potendo incidere sulla determinazione del decorso della prescrizione in esame, atteso che il diritto agli accessori, in caso di ritardo nell’erogazione della prestazione, può essere fatto valere al centoventunesimo giorno dalla presentazione della domanda amministrativa, mentre la «procedimentalizzazione» delle varie fasi attiene alle modalità di tutela del diritto e non costituisce un impedimento al suo esercizio.

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Cass. civ. n. 4775/2006

La restituzione dei contributi assicurativi versati dal datore di lavoro in misura maggiore di quella dovuta (anche in dipendenza dal suo diritto al beneficio dello sgravio o della fiscalizzazione) costituisce l’oggetto di una obbligazione pecuniaria di fonte legale (art. 2033 c.c.) e resta assoggettata alla disciplina dettata per quelle obbligazioni e, in particolare, alla disposizione di cui all’art. 1224 c.c., in tema di interessi moratori e risarcimento del maggior danno per il ritardo nell’adempimento, restando invece inapplicabili, all’indicata obbligazione restitutoria, le norme circa il cumulo di interessi legali e rivalutazione nei crediti di previdenza sociale e di assistenza sociale obbligatoria, stante la radicale difformità rispetto agli stessi, la quale rende manifestamente infondati, al riguardo, i dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’art. 3 Cost.

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Cass. civ. n. 1112/2005

La regola per cui la rivalutazione monetaria costituisce una componente essenziale del credito assistenziale che deve essere liquidata anche d’ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del giudizio, senza necessità di specifica domanda del creditore — e per i crediti sorti anteriormente all’introduzione della disciplina di cui all’art. 16 legge n. 412 del 1991, va cumulata con gli interessi legali — va coordinata con le norme che concernono la formazione del giudicato. Ne consegue che, ove la sentenza di primo grado abbia negato, sia pure implicitamente, il diritto alla rivalutazione, è indispensabile, onde impedire che il giudicato precluda al giudice di secondo grado l’esercizio del potere ufficioso, l’impugnazione sul punto ad opera della parte soccombente, non potendosi considerare sufficiente, a tal fine, il gravame proposto dalla controparte, atteso che i poteri del giudice del gravame sono correlati esclusivamente all’ambito dell’impugnazione secondo il principio tantum devolutum quantum appellatum e stante la vigenza del divieto di reformatio in peius della sentenza in danno dell’unico impugnante.

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Cass. civ. n. 12868/2004

Poichè la indennità di fine rapporto, comunque denominata, ha natura retributiva (e solo latamente previdenziale), ad essa non è applicabile l’art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, con il quale è stata statuita la regola della non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria (nella specie, l’INADEL), mentre il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria è stato esteso ai crediti aventi natura retributiva, vantati anche nei confronti dei medesimi enti, soltanto con la disposizione contenuta nell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, inapplicabile ai rapporti di lavoro risolti anteriormente alla sua entrata in vigore.

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Cass. civ. n. 10841/2004

Ai crediti previdenziali e assistenziali maturati anteriormente al 1 gennaio 1992 non si applica la norma di cui all’art. 16, comma sesto, della legge n. 412 del 1991, secondo la quale l’importo dovuto a titolo di interessi va portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti al titolare della prestazione a titolo del maggior danno cagionatogli dalla diminuzione di valore del credito, atteso che la norma richiamata, eliminando l’indicizzazione dei crediti in questione, ha modificato un carattere peculiare dei medesimi, quale risultava per effetto delle sentenze n. 155 del 1991 e n. 196 del 1993 della Corte costituzionale, cosicché deve ritenersi che la nuova disciplina non si applichi in caso di mora relativa a ratei maturati entro la data del 31 dicembre 1991, ancorché la mora stessa si protragga oltre tale data.

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Cass. civ. n. 6333/2004

Ai sensi dell’art. 442 c.p.c., nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, applicabile ai crediti divenuti esigibili prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina prevista dall’art. 16, comma sesto, della legge 30 dicembre 1991 n. 412, il credito previdenziale relativo all’indennità premio di servizio deve essere rivalutato, con l’aggiunta degli interessi legali, a decorrere dal momento in cui si configura un ritardo, momento coincidente con la maturazione del centoventesimo giorno, dalla data del collocamento a riposo ovvero con la data, precedente, dell’eventuale provvedimento, emesso dall’Inadel, non satisfattivo del credito, fermo restando che l’obbligo di corrispondere la rivalutazione monetaria sulle somme pagate in ritardo sussiste a carico dell’ente previdenziale a prescindere dall’esistenza di un suo comportamento colpevole, atteso che ai fini l’indicizzazione del credito previdenziale estinto in ritardo rispetto alla sua data di maturazione non rileva la sussistenza di una colpa debitoria.

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Cass. civ. n. 3213/2004

La domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall’art. 2087 c.c., non ha natura previdenziale perchè non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dal secondo comma dell’art. 429 c.p.c.; ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dall’art. 16 comma sesto della legge n. 412/1991.

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Cass. civ. n. 3116/2004

Agli interessi sui ratei arretrati dei crediti previdenziali e assistenziali maturati, prima della liquidazione, sia anteriormente che posteriormente all’entrata in vigore della legge n. 412 del 1991 si applica il termine di prescrizione decennale, dovendosi però cumulare per i ratei anteriori la rivalutazione monetaria, mentre per quelli maturati successivamente al 31 dicembre 1991 (per i quali opera l’alternatività degli accessori previsti dalla normativa suddetta) l’importo degli interessi deve essere portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti al beneficiario della prestazione per il maggior danno dalla diminuzione del valore del credito.

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Cass. civ. n. 12999/2003

Nel caso in cui i requisiti condizionanti l’attribuzione del diritto alla prestazione assistenziale, quale in specie l’assegno di invalidità, previsto dall’art. 13 della legge n. 118 del 1971, vengano ad esistenza nel corso del giudizio, nell’ambito dell’accertamento consentito ai sensi dell’art. 149 disp. att. c.p.c., è dovuto al creditore della prestazione anche il maggior importo tra interessi legali e la rivalutazione monetaria sui ratei scaduti.

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Cass. civ. n. 12023/2003

La rivalutazione monetaria, come gli interessi legali, costituisce una componente essenziale del credito assistenziale, nel senso che esso, maggiorato di tali elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato; pertanto, dovendo pure tale credito mantenere il suo contenuto economico fino al momento del pagamento, è legittimo, con riferimento a credito anteriore all’introduzione della disciplina di cui all’art. 16 legge n. 412 del 1991 e all’art. 22, comma trentaseiesimo della legge n. 724 del 1994, il cumulo tra interessi e rivalutazione.

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Cass. civ. n. 9209/2003

In tema di integrazione al minimo di trattamento pensionistico, la verifica del rispetto del termine di decadenza sostanziale previsto dall’art. 47 D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 — come autenticamente interpretato dall’art. 6 D.L. 29 marzo 1991, n. 103, convertito con modificazioni dalla legge 1 giugno 1991, n. 166 — deve essere compiuta con riferimento alla data di presentazione della domanda amministrativa di integrazione al minimo della pensione, non potendo essere considerato equivalente, agli effetti della disposizione sopra indicata, il provvedimento di liquidazione della pensione non integrata, che non investe di per sé l’autonomo diritto all’integrazione al minimo, ma solo la spettanza del trattamento pensionistico. Pertanto gli interessi e la rivalutazione monetaria dovuti (a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1991 ed ai sensi dell’art. 429, terzo comma, c.p.c.) su tale credito previdenziale decorrono dal centoventunesimo giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa di integrazione al minimo.

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Cass. civ. n. 8474/2003

In tema di indebito contributivo, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 417 del 1998 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 12, primo comma, della legge 613 del 1966, dell’art. 7 ultimo comma della legge n. 463 del 1959 e dell’art. 15 della legge n. 9 del 1963 come sostituiti dall’art. 12, secondo comma della legge n. 613/66, nella parte in cui non prevedono la corresponsione di una somma a titolo di interessi dalla scadenza di un congruo termine e in mancanza di un successivo intervento legislativo, spetta al giudice ordinario individuare la disciplina da applicare alla fattispecie, atteso che nel caso di vuoto legislativo causato dalla declaratoria di incostituzionalità (peraltro nella specie insussistente, potendo farsi ricorso alla generale disciplina dell’indebito oggettivo), la nostra Costituzione non prevede che la Corte indichi la norma che diviene applicabile, dovendo soltanto comunicare la decisione alle Camere o ai Consigli regionali per quanto di loro competenza, restando escluso che la norma caducata continui a regolare la fattispecie in attesa di un intervento legislativo. È pertanto esente da censure la sentenza di merito che a tal fine abbia fatto applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., avente carattere generale, riconoscendo gli interessi legali con decorrenza non dalla domanda, ma dalla scadenza del termine di 120 giorni, introdotto dall’art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533, che si applica a tutti i casi di richieste agli istituti previdenziali e assistenziali in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, non diversamente regolati.

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Cass. civ. n. 8026/2003

Il credito vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per le somme trattenute sullo stipendio e versate all’Inps a titolo di contribuzione previdenziale, nel caso in cui sia accertata l’insussistenza del debito previdenziale, ha natura retributiva e, conseguentemente, ad esso si applica l’art. 429, c.p.c., in materia di interessi e rivalutazione monetaria, indipendentemente dall’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, essendo irrilevante che le trattenute siano state effettuate in forza di una legge successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, dovendo altresì ritenersi riservata alla discrezionalità del legislatore ordinario la successiva emanazione di norme di favore per l’Inps in ordine alle modalità del rimborso, delle quali il datore di lavoro non può giovarsi, in quanto concernenti il rapporto pubblicistico intercorrente tra questi e l’ente previdenziale. (Fattispecie relativa ad azione di ripetizione delle trattenute eseguite dal Consorzio provinciale trasporti casertani sulle retribuzioni dei dipendenti in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 1991 in materia di ampliamento dell’ambito di applicabilità degli sgravi contributivi in favore delle imprese industriali operanti nel Mezzogiorno).

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Cass. civ. n. 7141/2003

L’indennizzo ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, di cui alla L. n. 210 del 1992, ha natura non già risarcitoria, bensì assistenziale in senso lato, riconducibile agli articoli 2 e 32 Cost., ed alle prestazioni poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarietà sociale, tant’è che esso è alternativo rispetto alla pretesa risarcitoria volta ad ottenere l’integrale risarcimento dei danni sofferti in conseguenza del contagio, ove sussista una colpa delle strutture del Servizio sanitario nazionale. Pertanto, le controversie aventi ad oggetto la spettanza di tale indennità rientrano tra quelle previste dall’art. 442 c.p.c., e quindi in riferimento ad esse trova applicazione anche l’art. 444 c.p.c., come modificato dall’art. 86 del D.Lgs. n. 51 del 1998, che prevede che le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria indicate dall’art. 442 sono di competenza del tribunale — in funzione di giudice del lavoro — nella cui circoscrizione ha la residenza l’attore.

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Cass. civ. n. 17126/2002

La rivalutazione monetaria e gli interessi legali costituiscono una componente essenziale dei ratei delle prestazioni assistenziali spettanti agli invalidi civili e a loro corrisposte in ritardo; pertanto, il relativo credito è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, non a quella quinquennale, la quale presuppone la liquidità del credito – da intendersi non secondo la nozione comune ricavabile dall’art. 1282, c.c., bensì quale effetto del completamento del procedimento amministrativo della spesa (procedimento di contabilità, diverso da quello di liquidazione della spesa) con messa a disposizione dell’avente diritto delle relative somme – che non sussiste nel caso di adempimento parziale dell’obbligazione da parte del competente Ministero, avente ad oggetto il pagamento dei ratei arretrati nella sola misura della somma capitale, in quanto la prestazione ulteriore solo contabilmente è riferibile al titolo degli interessi e della rivalutazione, essendo invece, causalmente imputabile allo stesso titolo della prestazione principale, quale parte integrante della medesima.

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Cass. civ. n. 16532/2002

L’importo dovuto per interessi sulle somme dovute a titolo di assegno mensile di assistenza per gli invalidi civili deve essere portato in detrazione dalle somme eventualmente liquidate a titolo di maggior danno subito dal titolare della prestazione.

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Cass. civ. n. 15719/2002

Le controversie promosse dai dipendenti ferroviari collocati a riposo dopo l’entrata in vigore della legge n. 210 del 1985 al fine di ottenere una nuova determinazione del trattamento di quiescenza sulla base del diritto del ricorrente a percepire la pensione privilegiata riguardano la materia pensionistica in quanto, ai fini della relativa decisione, l’accertamento della dipendenza da causa di servizio della diminuzione dell’integrità psico-fisica del lavoratore si esplica solamente al fine di valutarne gli effetti per la riliquidazione della pensione. Esse, pertanto, in base all’art. 386 c.p.c. — secondo il quale la giurisdizione va determinata sulla base dell’oggetto della domanda, verificato alla stregua del petitum sostanziale — sono devolute alla giurisdizione della Corte dei conti la quale non ha subito, in materia, alcuna modificazione né per effetto della trasformazione dell’Azienda autonoma in Ente delle ferrovie dello Stato (disposta dalla citata legge n. 210 del 1985) con conseguente privatizzazione del rapporto di lavoro dei ferrovieri né in conseguenza della successiva trasformazione dell’Ente in società per azioni. Infatti, anche dopo le suddette innovazioni normative, il trattamento pensionistico dei menzionati lavoratori è posto a carico di un apposito Fondo che continua ad essere alimentato parzialmente dallo Stato il quale, ai sensi dell’art. 210, ultimo comma, D.P.R. n. 1092 del 1973, partecipa alla copertura del fabbisogno con contributo da stabilire, per ogni esercizio finanziario, in misura pari alla differenza fra le spese e le entrate del Fondo stesso.

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Cass. civ. n. 12869/2002

In tema di crediti soggetti alla disciplina dettata, quanto a interessi legali e rivalutazione monetaria, dall’art. 429 c.p.c., nei quali rientrano i crediti previdenziali e assistenziali, poiché la rivalutazione monetaria, non corrisposta al momento del pagamento del capitale, costituisce essa pure un credito residuo, la somma dovuta a tale titolo è a sua volta suscettibile di rivalutazione. (Fattispecie nella quale la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, ha ritenuto applicabili, ratione temporis le norme che hanno introdotto il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione).

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Cass. civ. n. 10955/2002

Il credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali, dovuti sui ratei delle prestazioni assistenziali spettanti agli invalidi civili e loro corrisposti in ritardo, si prescrive in dieci anni a decorrere, per le somme calcolate sul primo rateo, dal centoventunesimo giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa di prestazione e, per le somme calcolate con riferimento ai ratei successivi, dalla scadenza di ciascuno di essi, senza che possa attribuirsi al mero pagamento dei ratei arretrati l’effetto interruttivo di cui all’art. 2944 c.c., salvo che il solvens non abbia considerato parziale il pagamento stesso, con riserva di provvedere successivamente al versamento di somme ulteriori; e senza che possa il pagamento della sola somma capitale ritenersi sufficiente a costituire liquidazione della prestazione, tale da determinare l’applicabilità della prescrizione quinquennale.

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Cass. civ. n. 10615/2002

I trattamenti di pensione corrisposti dallo stesso datore di lavoro, e non da un centro autonomo di imputazione di un distinto rapporto previdenziale, hanno natura di retribuzione differita, anche se della prestazione sia beneficiario iure proprio il coniuge superstite, in quanto la ragione dell’obbligazione del datore di lavoro risiede pur sempre nel pregresso rapporto di lavoro. Pertanto, la prestazione di cui il coniuge superstite è creditore, partecipa della natura lavoristica del credito retributivo del lavoratore, e alla stessa sono applicabili interessi e rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 429 c.p.c., terzo comma. (Fattispecie relativa al credito del coniuge superstite di un dipendente della Società San Paolo Imi Spa, relativo ad Assegno Integrativo di Quiescenza).

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Cass. civ. n. 9583/2002

Il ritardato pagamento di un debito previdenziale o assistenziale determina l’obbligo dell’Istituto debitore di corrispondere gli accessori a prescindere dall’imputabilità soggettiva del ritardo nell’adempimento, atteso che, stante la tutela attribuita ai crediti previdenziali dall’art. 38 della Costituzione, il credito derivante dalla disposizione di cui all’art. 429, terzo comma, c.p.c. costituisce una componente indefettibile del credito principale e quindi sussiste per il solo fatto oggettivo del ritardo, a prescindere dalla colpa del creditore.

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Cass. civ. n. 9232/2002

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia, vertente tra un ente pubblico non economico (nella specie, una USL) ed un ente previdenziale, avente ad oggetto la sussistenza dell’obbligo contributivo, anche nel caso in cui sia contestata la configurabilità del rapporto di pubblico impiego in capo al lavoratore assicurato, attesa la necessaria distinzione tra rapporto previdenziale, che trova la propria fonte esclusiva nella legge, e rapporto di lavoro che trae origine da un atto negoziale o da un provvedimento amministrativo, e considerata altresì la natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo.

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Cass. civ. n. 6882/2002

Poiché anche i crediti assistenziali, oltre che previdenziali, sono soggetti alla regola dell’automatica riconoscibilità degli interessi e della rivalutazione monetaria (cumulabili, peraltro, solo fino all’entrata in vigore dell’art. 16, comma sesto, della legge n. 412 del 1991), trattandosi di elementi che costituiscono parte essenziale del credito principale e che concorrono ad esprimerne l’esatta entità al momento della liquidazione, secondo il combinato disposto degli artt. 429 c.p.c. e 150 att. c.p.c., per il conseguimento degli stessi non occorre alcuna messa in mora nei confronti degli enti erogatori della prestazione né l’accertamento di una loro responsabilità, essendo sufficiente, ai fini della decorrenza, il rispetto dello spatium deliberandi di centoventi giorni, ex art. 7 della legge n. 533 del 1973, stabilito in generale per i crediti verso gli enti pubblici.

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Cass. civ. n. 13025/2001

Ai fini del divieto del cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria previsto dall’art. 16, sesto comma, legge n. 412 del 1991, deve darsi rilevanza alla natura e all’oggetto della prestazione, posto che la citata disposizione fu emanata per contenere gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (che aveva equiparato i crediti previdenziali a quelli retributivi ai fini delle conseguenze del ritardo nell’adempimento) e che, pertanto, considerata tale ratio legis, il riferimento alle «prestazioni dovute» deve essere limitato alle sole prestazioni di carattere previdenziale cui è tenuto l’ente debitore, senza che possa darsi rilievo alla qualità di quest’ultimo di «ente gestore di forme di previdenza obbligatoria»; conseguentemente, con riferimento all’indennità di buonuscita corrisposta ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato, che ha natura retributiva e non previdenziale, deve escludersi l’applicabilità del suddetto divieto anche per i dipendenti che abbiano ricevuto tale indennità dalla soppressa OPAFS (Opera di previdenza a favore del personale delle Ferrovie dello Stato), rispetto ai quali, oltretutto, susciterebbe seri dubbi di costituzionalità una diversità di trattamento rispetto ai creditori per cui la medesima indennità venga posta a carico delle Ferrovie dello Stato, dopo l’estinzione dell’OPAFS, a decorrere dal giugno 1994 (art. 1, comma quarantatreesimo, legge n. 537 del 1993).

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Cass. civ. n. 8175/2001

In tema di obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie, il datore di lavoro — che, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 218 del 1952 — è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dei lavoratori che egli trattiene sulla retribuzione corrisposta ai medesimi — è direttamente obbligato verso l’ente previdenziale anche per la parte a carico dei lavoratori dei quali non è rappresentante ex lege. Ne consegue che, in ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l’unico legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alla quota predetta, mentre il lavoratore che abbia subito l’indebita trattenuta può agire nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa. In merito a tale ultima eventualità, il credito azionato dal lavoratore ha natura retributiva sicché, da un lato, ad esso si applicano la prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4 c.c. e l’art. 429 c.p.c. in materia di interessi e rivalutazione e, dall’altro, esso può essere fatto valere indipendentemente dall’avvenuto rimborso in favore del datore di lavoro dei contributi indebitamente versati. (Fattispecie relativa ad azione di ripetizione delle trattenute eseguite dall’ATM sulle retribuzioni dei dipendenti in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 1991 in materia di ampliamento dell’ambito di applicabilità degli sgravi contributivi in favore delle imprese industriali operanti nel Mezzogiorno).

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Cass. civ. n. 4672/2001

Fermo restando che il credito inerente a prestazioni assistenziali dovute agli invalidi civili, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 106 del 1993, in applicazione di una regola analoga a quella dettata dall’art. 429, terzo comma, c.p.c., è produttivo di interessi legali e di rivalutazione monetaria, qualora, peraltro, l’esistenza dei presupposti della prestazione venga accertata in epoca successiva alla morte dell’interessato o, comunque, la prestazione stessa venga liquidata non al diretto beneficiario, ma agli eredi, a questi ultimi, in relazione al periodo successivo al decesso del dante causa, venendo ormai in rilievo non già una situazione di assistenza sociale obbligatoria, bensì una tipica situazione successoria, non spetta la rivalutazione monetaria in base al predetto art. 429 c.p.c., con la conseguenza che gli eredi che intendano ottenere, per detto periodo, il risarcimento del danno ulteriore ex art. 1224, secondo comma, c.c., hanno l’onere di dedurre e provare il pregiudizio subito.

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Cass. civ. n. 13430/2000

La regola dell’automatica riconoscibilità degli interessi e della rivalutazione monetaria (cumulabili, peraltro, solo fino all’entrata dell’art. 16, sesto comma, della L. n. 412 del 1991) sui crediti previdenziali e assistenziali, derivante dalle sentenze della Corte costituzionale n. 156 del 1991 e n. 196 del 1993, implica che gli interessi e la rivalutazione afferenti al periodo successivo alla sentenza di primo grado devono essere liquidati d’ufficio dal giudice di appello, trattandosi di elementi che costituiscono parte essenziale del credito principale e che concorrono ad esprimerne l’esatta entità al momento della liquidazione e non di accessori soggetti al disposto del primo comma dell’art. 345 c.p.c. Ne consegue che la mancanza di un’apposita istanza dell’interessato non esclude il potere-dovere del giudice cui la causa sia stata rinviata a seguito della cassazione della sentenza di appello di provvedere a determinare l’esatta consistenza del credito riconosciuto all’interessato nel momento suddetto, secondo il combinato disposto degli artt. 429 c.p.c. e 150 att. c.p.c.

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Cass. civ. n. 13386/2000

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, la responsabilità degli enti previdenziali per il ritardato pagamento delle prestazioni agli assicurati, analogamente a quella prevista per i crediti di lavoro ex art. 429 c.p.c., prescinde dalla imputabilità del ritardo a colpa del debitore, con l’unica differenza costituita dalla concessione all’ente previdenziale di un termine di 120 giorni dalla domanda per provvedere alla liquidazione del credito previdenziale. (Nella specie, il termine decorreva dalla presentazione della domanda all’ente previdenziale jugoslavo, ai sensi della Convenzione italo-jugoslava del 1957 e dell’Accordo amministrativo del 1958, essendo inapplicabile ratione temporis la nuova disciplina di cui all’art. 17 legge n. 335 del 1995, che ha stabilito la decorrenza del termine dalla data di ricevimento in Italia della domanda di pensione).

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Cass. civ. n. 12386/2000

Con riguardo a fattispecie non soggette, ratione temporis alla disposizione dell’art. 16, sesto comma, della L. n. 412 del 1991 e tenendo conto degli effetti delle sentenze costituzionali n. 156 del 1991 e n. 196 del 1993, anche ai crediti previdenziali e assistenziali va applicato lo stesso regime giuridico che l’art. 429 c.p.c. dettava per i crediti di lavoro fino all’operatività delle disposizioni di cui all’art. 22, trentaseiesimo comma, della L. n. 724 del 1994. Ne consegue che, nell’ambito temporale considerato, anche per i suddetti crediti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali costituiscono non un accessorio dei crediti stessi, ma una componente essenziale dell’oggetto, individuato nella sua idoneità ad assicurare al titolare una sorta di indicizzazione destinata a mantenere costante il valore della prestazione fino al pagamento. Ciò comporta, come corollario, che il ritardo nell’adempimento dei crediti contraddistinti da questo regime giuridico non è regolato dai principi della responsabilità contrattuale di cui è espressione l’art. 1224 c.c. (il quale contempla, invece, obbligazioni accessorie ma tuttavia autonome, di natura risarcitoria, e che, in quanto tali, trovano il loro presupposto nell’inadempimento imputabile al debitore ai sensi dell’art. 1218 c.c.).

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Cass. civ. n. 10512/2000

Nelle controversie promosse nei confronti dell’Inail per il conseguimento di prestazioni assicurative il ricorso introduttivo deve ritenersi validamente indirizzato e notificato al direttore della sede dell’Istituto nel capoluogo della circoscrizione del tribunale ove si trovi la residenza dell’attore, purché egli sia munito di ampia e generica delega del presidente, secondo le previsioni dell’art. 2 del R.D.L. n. 1033 del 1933 (nel testo sostituito dall’art. 1 del D.L.C.P.S. n. 438 del 1947), idonea a conferirgli il potere di rappresentare l’Istituto medesimo. Ugualmente valido deve ritenersi il ricorso notificato all’Inail, sede provinciale, in persona del suo legale rappresentante «pro-tempore», atteso che con quest’ultima espressione deve intendersi la persona fisica del presidente dell’Istituto (nel caso di mancato rilascio della delega di cui sopra) ovvero il direttore della sede periferica (nella diversa ipotesi di rilascio della stessa), costituendo fatto interno dell’Istituto, al quale l’assicurato rimane del tutto estraneo, l’esercizio diretto della rappresentanza processuale da parte del presidente ovvero la delega di tale rappresentanza ai direttori di sede.

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Cass. civ. n. 1496/2000

Nella situazione anteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, con la quale è stata pronunziata l’illegittimità dell’art. 442 c.p.c. nella parte in cui non prevedeva l’applicabilità della rivalutazione monetaria anche ai crediti previdenziali ed assistenziali, è configurabile solo una mera difficoltà all’esercizio del diritto, priva di efficacia impeditiva, che ben può essere rimossa con la proposizione della domanda e l’eventuale giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Ne consegue, anche in tale situazione, che la pronuncia, con la quale il giudice, sia pure implicitamente (liquidando i soli interessi), neghi la rivalutazione, presuppone un accertamento negativo circa la sussistenza del maggior danno e passa in giudicato in mancanza di impugnazione sul punto, restando precluso l’esame della questione della rivalutazione monetaria nelle successive fasi processuali e in separato giudizio. (Fattispecie relativa a ritardato pagamento dell’indennità premio servizio).

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Cass. civ. n. 13228/1999

In tema di depenalizzazione ed applicazione di sanzioni amministrative ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale), il principio generale dell’art. 23, ultimo comma, della citata legge, che stabilisce l’inappellabilità e la ricorribilità per cassazione delle sentenze del pretore rese sull’opposizione all’ordinanza-ingiunzione, non trova applicazione con riguardo alle violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria attinenti al mancato versamento di contributi assicurativi, per le quali l’art. 35, comma quarto, della stessa legge prescrive che il giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione debba svolgersi davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro, con applicazione delle norme di cui agli artt. 442 e seguenti c.p.c.; infatti, dal rinvio operato da quest’ultima norma alle disposizioni sulle controversie individuali di lavoro — che prevedono l’appellabilità (salvo il limite di valore di lire cinquantamila) delle sentenze di primo grado — consegue che le sentenze del pretore conclusive dei giudizi di cui al citato comma quarto dell’art. 35 della legge n. 689 del 1981 sono impugnabili (oltre il limite di valore predetto) con l’appello ex art. 433 c.p.c. e non con ricorso per cassazione. (In base al suddetto principio la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da un datore di lavoro avverso la sentenza pretorile che aveva respinto l’opposizione proposta contro l’ordinanza-ingiunzione emessa dall’Inps per il pagamento di sanzioni amministrative a causa di omissioni contributive relative ad alcuni dipendenti).

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Cass. civ. n. 12591/1999

In materia di indicizzazione dei crediti previdenziali e assistenziali, nel regime precedente a quello introdotto dall’art. 16, comma sesto, della legge n. 412 del 1991 (tuttora applicabile per le prestazioni o i ratei di prestazione maturati nel relativo periodo di applicazione), la rivalutazione monetaria e gli interessi si configurano non come oggetto di un unico credito risarcitorio ma di diritti concettualmente distinti. Ciò consente di ritenere che tali diritti siano separatamente esercitabili e che, per l’effetto, l’eventuale giudicato formatosi sulla spettanza e sulla misura degli interessi legali richiesti in relazione al ritardato pagamento della somma capitale relativa a una determinata prestazione, in quanto fondato su una diversa e autonoma causa petendi, non sia idoneo ad interferire sulla domanda di rivalutazione della stessa somma capitale, precludendone la successiva proponibilità. (Fattispecie in materia di indennità di accompagnamento).

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Cass. civ. n. 762/1999

La domanda, proposta nei confronti dell’INPS da un suo ex dipendente, di risarcimento del danno (corrispondente alla svalutazione monetaria) conseguente al ritardato pagamento delle quote effettive dovute della pensione erogatagli a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, dà luogo ad una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui l’omissione dei pagamenti si riferisca alla quota aggiuntiva prevista a fini perequativi dall’art. 10 della legge n. 160 del 1975 e si colleghi ad una presunta (ed erronea, alla stregua della norma interpretativa contenuta nella legge n. 45 del 1986, di conversione con modificazioni del D.L. n. 787 del 1985) applicazione dell’art. 19 della legge n. 843 del 1978, in connessione con l’erogazione all’ex dipendente, da parte dell’ente stesso, di un trattamento pensionistico integrativo.

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Cass. civ. n. 4448/1999

Con riferimento alle somme dovute a seguito della riliquidazione d’ufficio, ai sensi dell’art. 1, comma decimo, legge 2 agosto 1990, n. 233, delle pensioni degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, con decorrenza fra il primo gennaio 1982 e il 30 giugno 1990, il ritardato pagamento del debito previdenziale rispetto alla data fissata dalla legge per la decorrenza dei propri effetti (primo luglio 1990) determina l’obbligo dell’istituto debitore di corrispondere (per il periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 16 legge 30 dicembre 1991, n. 412) gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla scadenza del centoventesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge.

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Cass. civ. n. 12540/1998

In tema di divorzio, l’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, sostituendo l’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come riformulato dall’art. 2 della legge 1 agosto 1978, n 436), ha introdotto un regime radicalmente diverso, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, rispetto alla disciplina previgente sul trattamento economico del divorziato a seguito del decesso dell’ex coniuge avente diritto a pensione che non abbia lasciato un coniuge superstite avente titolo a pensione di reversibilità. Mentre, infatti, alla stregua del predetto art. 2 della legge n. 436 del 1978, il trattamento attribuibile al coniuge divorziato in tale ipotesi consisteva in una prestazione patrimoniale di natura non ontologicamente previdenziale, rimessa alla discrezionalità del giudice in relazione sia all’an che al quantum, e determinabile dal Tribunale ordinario, secondo il rito della camera di consiglio, secondo le più recenti disposizioni, il diritto del divorziato non dipende da una pronuncia giudiziale, ed il quantum dell’attribuzione varia automaticamente secondo la dinamica incrementativa prevista per quella pensione, mentre le eventuali controversie sono attribuite alla competenza degli organi giurisdizionali cui è istituzionalmente affidata la cognizione delle controversie in materia di trattamenti previdenziali (in via generale, giudice del lavoro; Corte dei conti, se la pensione sia a carico dello Stato. (Omissis).

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Cass. civ. n. 12283/1998

A tutte le ipotesi di pensione è applicabile il principio secondo cui il provvedimento di concessione della pensione emesso dall’Inps non è atto costitutivo del diritto dell’assicurato a percepire la pensione — in quanto tale diritto, collegato ad elementi determinati dalla legge, preesiste all’atto di attribuzione della prestazione previdenziale, il quale serve solo a rendere liquida ed esigibile la prestazione stessa — ma è un atto di certazione riconducibile ad un’attività ricognitiva di verifica di fatti e situazioni che acquistano rilevanza all’esito dell’accertamento amministrativo. Ne consegue che sia nell’ipotesi in cui l’Istituto abbia negato la pensione sia nell’ipotesi in cui abbia annullato o revocato un precedente provvedimento di concessione della prestazione, l’azione proposta davanti al giudice per ottenere la pensione non coinvolge la verifica della legittimità o meno dell’atto amministrativo, ma ha per oggetto la fondatezza, in tutti i suoi elementi, della pretesa dell’assicurato. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che in un caso di revoca da parte dell’Inps del provvedimento con il quale era stata concessa alla coniuge dell’assicurato la pensione di reversibilità, motivata con riferimento all’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato, aveva ritenuto necessario risolvere preventivamente, sia pure incidenter tantum, la questione concernente il rapporto di lavoro — essendo il rapporto di lavoro subordinato requisito indispensabile del rapporto di assicurazione obbligatoria — facendo gravare sull’Inps l’onere di provarne l’insussistenza).

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Cass. civ. n. 7529/1998

L’adeguamento monetario di una prestazione di natura previdenziale o assistenziale (nella specie: indennità di accompagnamento) costituisce parte integrante della stessa e non può quindi configurarsi come un diritto autonomo, concettualmente distinto dalla prestazione base, tenuto anche conto del fatto che la pregressa accettazione di un importo inferiore non implica transazione o rinunzia all’importo maggiore, stante la possibilità di accettazione di un adempimento parziale. Consegue che la prescrizione di tale diritto non decorre dal giorno della liquidazione della prestazione base in favore dell’assistito, ma dal momento in cui si è realizzato il ritardo nell’erogazione di ciascun rateo della prestazione rispetto al tempo in cui detta prestazione era dovuta; quindi la rivalutazione comincia a maturare con l’inizio della mora debendi dell’ente erogatore della prestazione riferita al momento in cui ciascuna prestazione periodica diventa dovuta.

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Cass. civ. n. 6392/1998

La tardiva (perché posteriore alla scadenza dei 120 giorni successivi alla proposizione della domanda amministrativa) erogazione dell’indennità di accompagnamento determina insorgenza del diritto ad interessi e rivalutazione, da computarsi sui singoli ratei arretrati, a decorrere dalla suddetta data di scadenza, per quelli anteriormente maturati, e dalla data di esigibilità di ciascuno di essi, per quelli posteriori. Tale diritto soggiace a prescrizione decennale, avente, essa stessa, rispetto ai vari ratei, le esposte decorrenze. Del relativo corso, peraltro, si configura come atto interruttivo (non già il tardivo pagamento della somma capitale, bensì,) la domanda giudiziale avente ad oggetto i suddetti accessori, sicché alla data di proposizione della medesima – ove difettino atti interruttivi intermedi – deve ritenersi verificato l’effetto estintivo rispetto a tutti i crediti insorti prima del decennio anteriore alla proposizione stessa.

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Cass. civ. n. 6192/1998

La rivalutazione e gli interessi ex art. 429 e 442 (così come inciso da Corte Cost. n. 156 del 1991) c.p.c. sono dovute anche nel caso in cui il diritto alla prestazione previdenziale derivi da legge di interpretazione autentica entrata in vigore in data successiva a quella in cui il diritto deve intendersi maturato, dato che la responsabilità per il ritardato pagamento di prestazioni previdenziali è indipendente dall’imputabilità del ritardo a colpa del debitore; tali accessori, inoltre, maturano dalla data di scadenza delle singole rate, non avendo ragione di operare il termine di 120 giorni di cui all’art. 7 legge n. 533 del 1973 se manca un provvedimento di reiezione di domanda dell’interessato a norma dell’art. 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 e non sia necessaria la proposizione di una domanda a seguito della norma di interpretazione autentica. (Principio affermato con riferimento a crediti maturati da dipendenti dell’Inps in quiescenza, prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina degli effetti del ritardo delle prestazioni previdenziali dettata dall’art. 16, comma sesto, legge n. 412 del 1991, in forza dell’art. 9 bis D.L. 30 dicembre 1985, n. 787, convertito con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1986, n. 45, che ha escluso la riferibilità a determinati trattamenti pensionistici integrativi — quelli di cui sia prevista la riduzione automatica a seguito dell’attribuzione, sulla pensione dell’assicuratore generale obbligatoria, delle quote fisse di cui al comma 3 dell’art. 10 legge n. 160 del 1975 — della disposizione dell’art. 19, comma primo, legge n. 843 del 1978, diretta ad escludere la corresponsione più di una volta, a favore di titolari di più pensioni, dei trattamenti collegati con le variazioni del costo della vita).

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Cass. civ. n. 5971/1998

L’art. 442 c.p.c. sottopone al rito del lavoro ed alla relativa competenza per materia le controversie derivanti dall’applicazione delle norme relative alle assicurazioni e ad ogni altra forma di previdenza e assistenza obbligatoria ed inoltre tutte quelle controversie che hanno per oggetto quelle forme di previdenza e di assistenza che trovano origine dai contratti e accordi collettivi. Esulano invece dall’ambito di applicazione di suddetto articolo e sono assoggettate alle regole ordinarie del processo le controversie relative a forme di assicurazione privata liberamente assunte a favore di determinate categorie di lavoratori in relazione alle quali non opera il principio dell’automatismo delle prestazioni, essendo queste subordinate al regolare versamento dei contributi da parte degli obbligati. Deriva da quanto precede che deve essere sottoposta alla cognizione del giudice naturale, secondo le normali regole della competenza per valore, la controversia tra il Fondo sociale di mutua assistenza e previdenza dei piloti dei porti italiani e l’iscritto a detto Fondo, non avendo tale controversia natura previdenziale.

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Cass. civ. n. 3206/1998

La controversia promossa da lavoratore nei confronti dell’Inps quale gestore del fondo di garanzia di cui alla legge 29 maggio 1982, n. 297, e all’art. 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 (di attuazione della direttiva CEE 80/1987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro) per l’attribuzione dei benefici di cui al comma primo dell’art. 2 del cit. D.Lgs. n. 80, stante la natura previdenziale della prestazione ivi prevista (differenziantesi per questo aspetto da quella di cui al settimo comma di detto articolo, che ha invece natura risarcitoria) rientra, a norma del primo comma dell’art. 444 c.p.c. nella competenza territoriale del Pretore-giudice del lavoro, avente sede nel capoluogo della circoscrizione del tribunale nella quale risiede l’attore.

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Cass. civ. n. 1267/1998

La non cumulabilità di interessi e rivalutazione relativamente alle prestazioni previdenziali, a norma dell’art. 16 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione, qualora in primo grado e in appello sia stato contestato il diritto alla rivalutazione, poiché la contestazione in radice della sussistenza del diritto controverso rende non necessaria la ulteriore deduzione di ogni diverso profilo di contestazione attinente al medesimo diritto e, quindi, se il giudice accoglie la domanda disattendendo la formulata contestazione, l’interessato può con l’atto di impugnazione far valere una o tutte le altre contestazioni, esclusa la configurabilità di questioni nuove che debbano essere dichiarate inammissibili per effetto del giudicato; d’altra parte, con riferimento al giudizio di legittimità, deve rilevarsi che la questione della cumulabilità di interessi e rivalutazione è di mero diritto e non richiede accertamenti di fatto.

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Cass. civ. n. 12913/1997

La disciplina degli interessi e della rivalutazione di cui all’art. 429 c.p.c., estesa ai crediti previdenziali per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, e così pure la norma dell’art. 152 att. c.p.c. in materia di spese del giudizio, sono applicabili solo alle prestazioni dovute all’assicurato che abbiano una ontologica caratterizzazione previdenziale, in quanto dirette a rimuovere una situazione di difficoltà del lavoratore, mentre si applica la disciplina ordinaria delle conseguenze della mora nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, e quella generale sulle spese giudiziali, in riferimento a crediti di altra natura, benché rivendicati dall’assicurato nell’ambito di una controversia previdenziale. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva applicato i riportati principi — non riconoscendo il cumulo di interessi e rivalutazione e compensando le spese del giudizio — nel giudizio promosso da ex dipendente dell’Inam trasferito ad una Unità sanitaria locale, contro il Ministero del tesoro e l’Inadel per la restituzione, a norma dell’art. 76 del D.P.R. n. 761 del 1979, dei contributi previdenziali relativi al trattamento di fine rapporto risultanti eccedenti).

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Cass. civ. n. 11484/1997

Il credito avente ad oggetto l’integrazione salariale erogata dalla cassa integrazione guadagni ha natura previdenziale trattandosi di prestazione la cui funzione è di surrogare o integrare un reddito da lavoro, cessato o ridotto per un evento riconducibile alla previsione dell’art. 38, secondo comma, Cost. A tale credito si applica pertanto, a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 442 c.p.c., la regola della automatica rivalutazione, senza alcun onere per l’interessato di dimostrare il pregiudizio subito, e, qualora si tratti di credito sorto anteriormente alla data dell’entrata in vigore della regola limitativa del cumulo fra rivalutazione ed interessi, contenuta nell’art. 16 sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, per essere il provvedimento di autorizzazione all’integrazione salariale anteriore a detta data, gli interessi legali e la rivalutazione devono essere liquidati con riferimento alla data di detto provvedimento.

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Cass. civ. n. 10355/1997

Ai fini della non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria prevista dall’art. 16, sesto comma, della legge n. 412 del 1991, non rileva — come si evince dalla lettera della disposizione — la natura previdenziale (e non retributiva) delle prestazioni, ma la circostanza che l’erogazione delle stesse sia posta a carico di «enti gestori di forme di previdenza obbligatoria». Pertanto la relativa norma trova applicazione anche con riferimento all’indennità di buonuscita corrisposta ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato O.P.A.F.S. (Opera di previdenza a favore del personale delle Ferrovie dello Stato), che apparteneva a tale categoria di enti, avuto riguardo alle sue finalità e alle sue modalità di finanziamento. D’altra parte l’art. 21 della legge n. 210 del 1985 istitutiva dell’Ente Ferrovie dello Stato ha mantenuto fermo il trattamento previdenziale e pensionistico dei dipendenti in atto al momento della sua entrata in vigore e quindi anche la gestione O.P.A.F.S., quanto meno fino alla soppressione dell’ente in esecuzione della deliberazione del C.I.P.E. 12 agosto 1992 di trasformazione dell’Ente in società per azioni.

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Cass. civ. n. 6127/1997

Gli interessi legali e la rivalutazione monetaria spettanti sui crediti pecuniari relativi a prestazioni previdenziali vanno dal giudice determinati — come gli interessi e la rivalutazione sui crediti di lavoro ai sensi dell’art. 429, terzo comma, c.p.c. — sugli importi lordi, comprensivi delle ritenute fiscali e contributive, tenuto conto che la sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 442 c.p.c.) ha sostanzialmente parificato il trattamento dei crediti per prestazioni previdenziali a quello dei crediti di lavoro estendendo ai primi, tranne che per quanto concerne la decorrenza (e salvo il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione introdotto per i crediti previdenziali dall’art. 16, sesto comma, legge n. 412 del 1991) il meccanismo di rivalutazione automatica di cui all’art. 429, terzo comma, sopra citato.
Nei crediti per prestazioni previdenziali, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, la rivalutazione monetaria costituisce una componente essenziale del credito e quindi, nel caso in cui venga corrisposto in ritardo il solo capitale, sull’importo per la rivalutazione, calcolato con riferimento all’epoca di tale pagamento, maturano dalla stessa data rivalutazione e di interessi così come previsto per i crediti previdenziali. Invece gli interessi non formano parte del capitale e quindi l’importo a tale titolo maturato all’epoca del pagamento del capitale non è suscettibile di rivalutazione e non produce nuovi interessi se non alle condizioni di cui all’art. 1283 c.c.

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Cass. civ. n. 1551/1997

La rivalutazione monetaria e gli interessi legali, relativi ai crediti aventi ad oggetto la quota aggiuntiva prevista dall’art. 21, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67 e concernente le pensioni liquidate anteriormente al primo gennaio 1988, decorrono dal centoventesimo giorno successivo alla data sopra indicata.

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Cass. civ. n. 1322/1997

Il diritto, previsto dall’art. 429 c.p.c. — norma che si pone in rapporto di specialità con l’art. 1224 c.c., di guisa che l’applicabilità del primo esclude il ricorso al secondo — agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria, esteso ai crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale dalla sentenza n. 156 del 1991 della Corte costituzionale — che estende la sua efficacia anche relativamente ai giudizi pendenti e inerenti a rapporti sorti in precedenza, anche se già esauriti — decorre dal giorno in cui si sono verificate le condizioni di responsabilità dell’istituto debitore per il ritardo nell’adempimento, e, quindi, dopo centoventi giorni dalla presentazione della domanda senza che l’istituto si sia pronunciato. Per l’applicazione ai suddetti crediti della norma sopra citata non è necessaria una espressa domanda, con la conseguenza che, ove siffatta domanda sia formulata in grado di appello, essa non costituisce domanda nuova, essendo il giudice tenuto a pronunciare sull’intero credito del pensionato e, quindi, a provvedere alla rivalutazione anche d’ufficio, sempre che non si sia formato sul punto il giudicato.

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Cass. civ. n. 190/1997

Spettano in via esclusiva alla competenza giurisdizionale della Corte dei conti, a norma degli artt. 13 e 62 R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, tutte le controversie concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, comprese quelle nelle quali si alleghi, a fondamento della pretesa, l’inadempimento o l’inesatto adempimento della prestazione pensionistica da parte dell’ente obbligato, ancorché non sia in contestazione il diritto al trattamento di quiescenza nelle sue varie componenti e la legittimità dei provvedimenti che tale diritto attribuiscono e ne determinano l’importo, come pure le controversie volte ad ottenere, anche in via autonoma, il pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sui ratei del trattamento pensionistico tardivamente corrisposti. (Nella specie la Suprema Corte ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti con riferimento all’indennità una tantum erogata a pubblici dipendenti quale trattamento sostitutivo della pensione non spettante per il mancato raggiungimento del limite minimo di durata del rapporto).

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Cass. civ. n. 11116/1996

In base al principio secondo cui i motivi del ricorso per cassazione non possono investire questioni che non siano state proposte innanzi al giudice di merito e la cui soluzione implicherebbe nuovi accertamenti di fatto, è inammissibile l’impugnazione davanti al giudice di legittimità diretta a contestare il riconoscimento da parte del giudice di merito della rivalutazione in cumulo con gli interessi in caso di ritardato pagamento di prestazioni assistenziali, per violazione dell’art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (il quale determina un nuovo contenuto del credito per prestazioni previdenziali nell’ipotesi di ritardo nell’adempimento), se nei gradi di merito — pur successivamente all’entrata in vigore di detta norma — il riconoscimento della rivalutazione sia stato contrastato sulla base della tesi della applicabilità dell’art. 442 c.p.c. ai soli crediti di natura previdenziale, ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, e non anche ai crediti di natura assistenziale, come invece riconosciuto da Corte cost. n. 196 del 1993 (nella specie posta a base della sentenza di appello).

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Cass. civ. n. 9085/1996

La rivalutazione ex artt. 429 e 442 (così come inciso da Corte cost. n. 156 del 1991) c.p.c. è dovuta anche nel caso in cui il diritto alla prestazione previdenziale derivi da legge di interpretazione autentica entrata in vigore in data successiva a quella in cui il diritto deve intendersi maturato, dato che la responsabilità per il ritardato pagamento di prestazioni previdenziali è indipendente dall’imputabilità del ritardo a colpa del debitore. (Principio affermato, con riferimento a crediti maturati da dipendenti dell’Inps in quiescenza, prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina degli effetti del ritardo delle prestazioni previdenziali dettata dall’art. 16, sesto comma, della legge n. 412 del 1991, in forza dell’art. 9 bis del D.L. 30 dicembre 1985, n. 787, convertito con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1986, n. 45, che ha escluso la riferibilità a determinati trattamenti pensionistici integrativi — quelli di cui sia prevista la riduzione automatica a seguito dell’attribuzione, sulla pensione dell’assicurazione generale obbligatoria, delle quote fisse di cui al terzo comma dell’art. 10 della legge n. 160 del 1975 — della disposizione dell’art. 19, primo comma, della legge n. 843 del 1978, diretta ad escludere la corresponsione più di una volta, a favore di titolari di più pensioni, dei trattamenti collegati con le variazioni del costo della vita).

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Cass. civ. n. 5895/1996

Dal rapporto assistenziale e da quello previdenziale non scaturisce una singola e complessiva obbligazione avente ad oggetto una prestazione unitaria da assolvere ratealmente, ma deriva una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l’intera prestazione dovuta in quel determinato periodo; ne consegue che l’inadempimento di ciascun rateo della prestazione determina il diritto al relativo risarcimento da mora sulla base della legislazione vigente al momento della sua maturazione, per cui, nel caso in cui l’inadempimento si verifichi con riguardo ai ratei maturati dopo il 1° gennaio 1992, deve applicarsi la norma di cui all’art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 in base alla quale l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti al titolare della prestazione a titolo di risarcimento del maggior danno cagionatogli dalla diminuzione di valore del suo credito; con l’ulteriore conseguenza che la nuova disciplina — la quale, eliminando l’indicizzazione dei crediti in questione, ha modificato un carattere peculiare dei medesimi, quale risultava dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 156 del 1991 e 196 del 1993 — non si applica ai ratei maturati prima del suddetto termine la cui mora si protragga oltre il 31 dicembre 1991.

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Cass. civ. n. 4465/1996

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, a norma dell’art. 3, secondo comma, del D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito in legge 26 luglio 1988, n. 291, la controversia concernente la revoca dell’indennità di accompagnamento, di cui alla legge 11 febbraio 1980, n. 18, disposta dal Ministro del tesoro ai sensi del comma decimo del citato art. 3, atteso che la revoca dipende dalla verifica della permanenza dei requisiti per la concessione dell’indennità in questione e che pertanto anche la relativa controversia attiene alla sussistenza del diritto alla prestazione suddetta, e considerato altresì che non rileva in contrario la circostanza che il provvedimento di revoca viene comunicato alla Corte dei conti per le eventuali azioni di responsabilità, atteso che il giudizio di responsabilità, eventualmente promosso dal procuratore generale presso la Corte dei conti, ha natura e finalità del tutto diverse rispetto alla controversia suddetta che rientra nelle previsioni di cui all’art. 442 c.p.c.

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Cass. civ. n. 4398/1996

La domanda proposta, nei confronti del datore di lavoro, da un dipendente del Banco di Sicilia, in precedenza in servizio presso un’amministrazione statale, ed avente ad oggetto l’ammontare del trattamento di quiescenza, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, ed in particolare nella competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro a norma degli artt. 409 e 442 c.p.c., a seguito della sentenza della Corte costituzionale 3 febbraio 1986, n. 26, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 dell’allegato T all’art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486 nella parte in cui prevedeva la giurisdizione della Corte dei conti, atteso che, ai sensi dell’art. 114 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (di approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), il criterio dell’ultimo servizio prestato deve essere utilizzato anche ai fini della determinazione della giurisdizione.

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Cass. civ. n. 1006/1996

Nel caso in cui il lavoratore infortunato domandi l’accertamento dell’obbligo del datore di lavoro di stipulare la polizza assicurativa prevista dal contratto collettivo e, subordinatamente al riscontro del puntuale adempimento dell’obbligo anzidetto, la condanna della società assicuratrice al pagamento dell’indennizzo, è configurabile una controversia di natura previdenziale ai sensi dell’art. 442, secondo comma, c.p.c. — con conseguente sua devoluzione alla competenza per materia del pretore in funzione del giudice del lavoro territorialmente competente ai sensi dell’art. 444, primo comma, dello stesso codice — non essendo detta natura esclusa dalla contestuale evocazione in giudizio del datore di lavoro e della società assicuratrice.

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Cass. civ. n. 11729/1995

A seguito della sentenza della Corte costituzionale 12 aprile 1991, n. 156 che ha esteso ai crediti previdenziali la disciplina della rivalutazione automatica del credito di cui all’art. 429, terzo comma, c.p.c. (sia pure con decorrenza dal momento del verificarsi delle condizioni legali di responsabilità dell’ente debitore, vale a dire dalla data di rigetto della domanda di pensione ovvero dal centoventesimo giorno successivo alla sua presentazione) la rivalutazione monetaria afferente ai crediti previdenziali, così come quella relativa ai crediti di lavoro, costituisce una componente fluttuante del complessivo credito cui attiene, partecipando alla natura dello stesso; n e consegue che il credito per rivalutazione monetaria soggiace al medesimo regime del credito previdenziale al quale accede anche per quanto attiene la disciplina del termine prescrizionale, il quale ha durata quinquennale, ai sensi dell’art. 129 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito nella L. 6 aprile 1936, n. 1155, per quanto concerne i ratei già liquidati e posti in pagamento dall’Istituto erogante, ma non riscossi dall’assicurato, mentre ha durata decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., nel caso di ratei di pensione scaduti ma non ancora liquidati né posti in pagamento, atteso che con sentenza della Corte costituzionale 25 maggio 1989, n. 283 è stato dichiarato illegittimo l’art. 11 della L. 11 marzo 1988, n. 67 a norma del quale la prescrizione quinquennale di cui al citato art. 129 doveva applicarsi anche alle rate di pensione comunque non poste in pagamento.

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Cass. civ. n. 11534/1995

Per i crediti previdenziali, nonché per quelli inerenti (come nella specie) a prestazioni di assistenza sociale obbligatoria, equiparati ai primi ai fini in esame per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 1993, gli effetti del ritardato adempimento non sono disciplinati dall’art. 16, sesto comma, della L. 30 dicembre 1991, n. 412 (applicabile, nonostante il suo tenore letterale, anche alle obbligazioni assistenziali: confronta, Corte cost. n. 196 del 1993, n. 2555 del 1994 e n. 680 del 1995), ma dalla normativa previgente (art. 442 c.p.c., così come inciso dalle sentenze della Corte costituzionale n. 156 del 1991 e 196 del 1993), se l’esigibilità si è verificata prima dell’entrata in vigore della disposizione citata (in genere per l’emanazione del provvedimento dell’ente di liquidazione o per la scadenza del termine per provvedervi). Infatti le due diverse discipline incidono sulla stessa natura dei crediti previdenziali: in particolare, secondo il regime di cui agli artt. 429 e 442 c.p.c., rivalutazione ed interessi costituiscono componenti essenziali della prestazione, mentre la legge n. 412/1991 riconduce, sia pure in termini di specialità, la disciplina del ritardo nell’alveo della responsabilità contrattuale per inadempimento di obbligazioni pecuniarie. Considerato, però, che in ipotesi di obbligazione periodica la fattispecie di ritardo nell’adempimento è suscettibile di verificarsi per ogni singolo rateo e gli effetti dell’inadempimento sono regolati dalla vecchia o dalla nuova disciplina ratione temporis, in ogni caso i ratei scaduti nella vigenza della nuova normativa (cioè successivamente al 31 dicembre 1991) sono assoggettati alla medesima.

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Cass. civ. n. 11442/1995

Quando prima della domanda giudiziale è già intervenuto il provvedimento di liquidazione di un credito previdenziale, dalla sua data decorre immediatamente la rivalutazione, senza necessità di ulteriori domande, sino all’effettivo pagamento del credito, in quanto si verificano dal momento di detta liquidazione «le condizioni legali di responsabilità dell’istituto o ente debitore per il ritardo dell’adempimento», cui fa riferimento il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (nella specie i ritardi si erano integralmente consumati prima della entrata in vigore dell’art. 16 della L. n. 412 del 1991).

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Cass. civ. n. 10720/1995

L’inesatta liquidazione da parte dell’Inps del trattamento pensionistico per mancata inclusione nella base retributiva di emolumenti pensionabili non corrisposti al dipendente e non comunicati all’Inps dal datore di lavoro al tempo della liquidazione della pensione, ma successivamente dichiarati dovuti in sede di accertamento giudiziale, non esonera l’ente (in fattispecie sottratta ratione temporis alla disciplina dell’art. 16 della L. 30 dicembre 1991, n. 412) dall’obbligo di pagamento della rivalutazione e degli interessi sulle quote integrative dei ratei di pensione maturati dalla data del collocamento a riposo, con decorrenza del centoventesimo giorno dalla maturazione del diritto anziché dalla data del provvedimento di riliquidazione, in applicazione analogica del principio secondo cui gli interessi su prestazioni per crediti previdenziali derivanti da pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale decorrono dalla data della mora ex re, ancorché essa preceda la pubblicazione della pronunzia, giacché una volta esclusa la rilevanza della colpa dell’ente obbligato, non è possibile distinguere tra l’ipotesi di ignoranza di una norma sopravvenuta con effetto retroattivo e l’ignoranza di una situazione di fatto oltreché di diritto, quale la mancata erogazione di determinati emolumenti computabili ai fini pensionistici o la loro spettanza, fermo restando tuttavia che l’irrilevanza della colpa dell’ente, traducendosi in una oggettiva responsabilità del medesimo per il danno causato dal ritardo, ancorché incolpevole, nell’adempiere, consente allo stesso ente, ove il ritardo sia imputabile ad un terzo o al creditore, rispettivamente di rivalersi nei confronti del primo e di escludere o diminuire il risarcimento dovuto al secondo.

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Cass. civ. n. 8545/1995

Nell’ipotesi della domanda formulata, nei confronti dell’Inail, da un dipendente dello stesso Istituto — gestore dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro — avente per oggetto il riconoscimento di una rendita per inabilità permanente cagionata da un infortunio dallo stesso subito in occasione dello svolgimento del proprio lavoro, la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, attesa la sua natura previdenziale (derivante dal fatto di avere per oggetto una pretesa ricollegata ad un diritto inerente al rapporto assicurativo, autonomo e distinto rispetto a quello di pubblico impiego), con conseguente competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 444 c.p.c., essendo irrilevante altresì che il rapporto sia gestito direttamente dallo stesso ente datore di lavoro.

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Cass. civ. n. 8332/1995

Nel caso di invalidità sopravvenuta nel corso del giudizio, gli interessi e la rivalutazione monetaria sui ratei pregressi dell’assegno d’invalidità debbono dal giudice essere attribuiti con la stessa decorrenza della prestazione previdenziale, ossia dal primo giorno del mese successivo a quello del raggiungimento della soglia invalidante, e non già dal centoventesimo giorno successivo a tale data, non essendo giustificata, in relazione alla detta prestazione, attribuibile solo dal giudice, la moratoria prevista (art. 7 della L. n. 533 del 1973) per l’adozione del provvedimento da parte degli enti previdenziali.

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Cass. civ. n. 5525/1995

In caso di ritardato pagamento di un credito previdenziale, qualora l’ente debitore non abbia corrisposto anche la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, il debito risarcitorio maturato per tali titoli resta soggetto, dalla data di detto pagamento, alla disciplina dei debiti di valore, e quindi all’ulteriore rivalutazione per il successivo ritardo nell’adempimento; con la conseguenza che il danno subito dal creditore per il ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria non può essere automaticamente commisurato agli interessi legali, ma può essere liquidato, se non determinabile nel suo preciso ammontare, in via equitativa e, in particolare, ove gli interessi astrattamente applicabili sull’importo non rivalutato dell’obbligazione eccedano l’ammontare della rivalutazione, in misura pari a tale eccedenza. Peraltro, con riferimento all’eventuale quota di interessi eccedenti la rivalutazione, è necessario, per la parte maturata nel periodo intercorrente tra la sentenza di primo grado e quella d’appello, che ne sia formulata domanda ai sensi dell’art. 345 c.p.c.

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Cass. civ. n. 4943/1995

In base alla disciplina dell’art. 442 c.p.c. nel testo risultante dalla parziale declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, la rivalutabilità dei crediti previdenziali, analogamente a quella dei crediti di lavoro, costituisce una proprietà intrinseca dei crediti stessi, alla quale è riconducibile il principio secondo cui la rivalutazione, non avendo autonomia rispetto al relativo credito, deve essere operata di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, senza necessità di una specifica domanda. Parallelamente la pronuncia con cui il giudice, sia pure implicitamente (per esempio liquidando i soli interessi), neghi la rivalutazione, presuppone un accertamento negativo circa la sussistenza del maggior danno. Ne deriva che, in difetto di un’impugnazione sul punto, al riguardo si forma il giudicato e che, quindi, l’esame della questione resta preclusa nelle successive fasi processuali. (Nella specie – rispetto alla quale non si è posto esplicitamente un problema di rilevanza dell’art. 16, sesto comma della legge n. 412 del 1991 – la S.C. ha confermato sentenza d’appello che non aveva applicato la rivalutazione, già disconosciuta in primo grado, nel rideterminare, su gravame dell’istituto previdenziale, la misura della pensione dovuta all’assicurato, e ha rilevato anche che un giudicato sul punto nel caso in esame avrebbe dovuto ritenersi anche ipotizzando l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 1224 c.c.).

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Cass. civ. n. 1844/1995

Il trattamento d’invalidità, nel caso in cui la soglia invalidante risulti superata nel corso del giudizio, nell’ambito dell’accertamento consentito ai sensi dell’art. 149 att. c.p.c., decorre, secondo la regola stabilita dall’art. 18 del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, dal primo giorno del mese successivo a quello dell’insorgenza dell’invalidità e tale decorrenza concerne anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, non giustificandosi la concessione dello spatium deliberandi (di centoventi giorni) considerato dalla sentenza costituzionale n. 156 del 1991.

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Cass. civ. n. 1267/1995

La rivalutazione monetaria costituisce, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 – la quale, con l’effetto retroattivo proprio di tali decisioni, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 442 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per prestazioni previdenziali, deve determinare, oltre gli interessi nella misura di legge, il maggior danno per la diminuzione di valore del credito di cui trattasi – una componente essenziale del credito previdenziale, ovvero un tutt’uno con questo, nel senso che il credito previdenziale rivalutato rappresenta, nel tempo, l’originario credito dell’assicurato nel suo reale valore man mano aggiornato; ne consegue che la disciplina legale applicabile è sempre ed unicamente quella dettata per lo specifico credito previdenziale dedotto in giudizio e che il pagamento di quest’ultimo nel suo valore originario costituisce l’adempimento parziale di un’obbligazione che ha per oggetto sempre e soltanto il medesimo credito previdenziale (quantificato in relazione al trascorrere del tempo), che rimane tale fino a quando non sia stato interamente pagato nel suo importo totale, comprensivo della rivalutazione monetaria, per cui, quanto resta dopo il pagamento parziale, è pur sempre parte del credito previdenziale.

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Cass. civ. n. 11048/1994

Con riguardo ai crediti soggetti al regime derivante, quanto a interessi legali e rivalutazione monetaria, dall’art. 429, comma 3, c.p.c. – nei quali rientrano, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991, anche i crediti previdenziali – in caso di ritardato pagamento del solo importo capitale della somma dovuta, deve ravvisarsi l’estinzione parziale dell’obbligazione, atteso che il credito complessivo deve necessariamente tener conto della rivalutazione di tale importo per il periodo compreso fra la data in cui si sono verificate le condizioni di responsabilità del debitore e quella in cui è avvenuto il ritardato pagamento del capitale, nonché degli interessi legali sull’importo e per il periodo prima precisato; in tali ipotesi, la somma dovuta a titolo di rivalutazione relativamente al suddetto periodo deve essere ulteriormente rivalutata con riferimento al momento della decisione, ma tale rivalutazione non può riguardare anche l’importo degli interessi maturati fino alla data del pagamento, atteso che essi non fanno parte del capitale; né su tali interessi sono dovuti, stante il divieto posto dall’art. 1283 c.c., gli ulteriori interessi maturati nel periodo successivo.

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Cass. civ. n. 8826/1994

L’art. 16, comma 6 della L. 30 dicembre 1991, n. 412, stabilendo, in tema di maggiorazione per interessi e rivalutazione delle prestazioni previdenziali erogate in ritardo, che l’importo dei primi deve essere portato in detrazione da quello eventualmente liquidato per la seconda, sebbene detti una disposizione di contenuto innovativo — rispetto alla previgente disciplina della materia (risultante dall’art. 442 c.p.c. nel testo emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991) che consentiva il cumulo di interessi e rivalutazione, secondo il modello previsto dall’art. 429, comma 3, c.p.c. per i crediti di lavoro — trova applicazione, con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore, a tutti i casi di mora in atto alla medesima data, ancorché iniziati nel vigore della suddetta disciplina anteriore, senza che a ciò sia di ostacolo il principio di irretroattività della legge, in quanto la sopravvenuta innovazione investe unicamente la regolamentazione degli effetti della mora dell’ente assicuratore nell’adempimento della propria obbligazione, senza incidere su quella delle condizioni per l’insorgenza di questa, intesa come fatto generatore del rapporto.

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Cass. civ. n. 7263/1994

Nelle controversie relative al pagamento di contributi previdenziali, promosse dall’Inps nei confronti di enti pubblici non economici, l’esistenza del rapporto di lavoro (subordinato), costituente il presupposto del rapporto previdenziale, può essere accertata incidenter tantum (siccome questione pregiudiziale) dal giudice ordinario, il quale deve invece sospendere la propria pronuncia sul credito previdenziale, in attesa della decisione del giudice amministrativo sulla sussistenza (o no) del rapporto di pubblico impiego (c.d. causa pregiudiziale), nel caso in cui l’ente pubblico convenuto, non limitandosi a contestare tale rapporto, abbia manifestato, esplicitamente o implicitamente, la volontà di ottenere l’accertamento circa l’esistenza o non del rapporto predetto con efficacia di giudicato.

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Cass. civ. n. 3734/1994

La controversia promossa da un dipendente dell’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni, per conseguire dall’Amministrazione medesima, nella sua qualità di gestrice dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (art. 127 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), la corresponsione di una rendita per invalidità derivante da infortunio sul lavoro, si ricollega a posizioni di diritto soggettivo inerenti ad un rapporto previdenziale, autonomo e distinto da quello di pubblico impiego (nonostante il cumulo, da parte dell’Amministrazione, della qualità di datore di lavoro e di assicuratore), e pertanto, spetta alla cognizione del giudice ordinario, essendo in contrario irrilevante, nel caso di infortunio in itinere, l’atto amministrativo con il quale il dipendente sia stato autorizzato a risiedere fuori dalla sede di lavoro con esonero dell’Amministrazione da qualsiasi responsabilità per eventuali incidenti. (Principio enunciato in relazione a fattispecie anteriore alla trasformazione dell’Amministrazione P.T. in ente pubblico economico ai sensi del D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito con L. 29 gennaio 1994, n. 71).

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Cass. civ. n. 3310/1994

Le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, cui fa riferimento l’art. 442, primo comma, c.p.c., sono quelle relative alle prestazioni che debbono essere erogate dagli enti previdenziali ed ai rapporti obbligatori fra gli enti predetti ed i soggetti obbligati al versamento dei contributi. Pertanto, da tali controversie — come da quelle previste dal secondo comma dello stesso articolo (che si riferisce a forme di previdenza o assistenza previste, anziché da norme, da contratti o accordi collettivi) — esula (con conseguente inapplicabilità del rito del lavoro) la controversia inerente ad un rapporto sorto ad una convenzione privata, stipulata tra un ente pubblico ed un’associazione privata per l’assistenza ai mutilati ed agli invalidi, ed avente per oggetto il pagamento delle rette da parte del committente.

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Cass. civ. n. 2801/1994

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 442 c.p.c.), la quale (con riguardo a fattispecie sottratte ratione temporis all’applicabilità dell’art. 16, sesto comma, L. 30 dicembre 1991, n. 412) ha comportato l’assimilazione dei crediti previdenziali a quelli di lavoro, sugli uni e sugli altri vanno riconosciuti — anche di ufficio — interessi e rivalutazione monetaria (i primi da calcolare sulle somme rivalutate), residuando diversità solo sul punto relativo alla decorrenza di entrambe tali voci, in quanto per i crediti previdenziali deve farsi riferimento non alla data di maturazione del diritto (come per i crediti di lavoro) ma alla data di verificazione delle condizioni di legale responsabilità dell’ente previdenziale (e cioè alla data del provvedimento di reiezione della domanda o alla scadenza del centoventesimo giorno dalla presentazione della medesima senza che l’istituto si sia pronunciato oppure, ove la domanda non sia richiesta, alla scadenza del centoventesimo giorno dalla maturazione del diritto).

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Cass. civ. n. 2555/1994

Il trattamento spettante all’invalido civile ai sensi della L. 30 marzo 1971, n. 118 costituisce oggetto di un credito produttivo, prima dell’entrata in vigore dell’art. 16, sesto comma, L. 30 dicembre 1991, n. 412, di interessi e rivalutazione dalla data di provvedimento di reiezione della domanda oppure dopo centoventi giorni dalla presentazione della medesima senza che l’istituto si sia pronunciato, in base al disposto dell’art. 429, terzo comma, c.p.c., che trova applicazione — a seguito delle sentenze nn. 156 del 1991 e 196 del 1993 della Corte costituzionale — anche per i crediti relativi a prestazioni assistenziali.

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Cass. civ. n. 10133/1993

A seguito della sentenza costituzionale n. 156 del 1991 (dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 442 c.p.c.) i crediti previdenziali — rispetto ai quali le condizioni di responsabilità dell’ente debitore per il ritardo nell’adempimento, come richiamate dalla sentenza predetta, si siano verificate anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 16, sesto comma, della L. 30 dicembre 1991, n. 412 (privo di efficacia retroattiva) — soggiacciono al regime previsto dall’art. 429, terzo comma, c.p.c., sicché anche per detti crediti devono liquidarsi (come per quelli di lavoro) sia la rivalutazione (automatica) sia gli interessi legali sulla somma rivalutata.

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Cass. civ. n. 9387/1993

L’azione del coniuge divorziato volta ad ottenere dall’Inadel la corresponsione in forma indiretta — ai sensi dell’art. 3 della L. 8 marzo 1968, n. 152, in relazione all’art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, sostituito dall’art. 2 della L. 1 agosto 1978, n. 436 e quindi dall’art. 13 della L. 6 marzo 1987, n. 74 — dell’indennità premio di servizio che sarebbe spettata al proprio ex coniuge, deceduto in mancanza di coniuge superstite, introduce una controversia che, in quanto limitata (per la non contestata esistenza dei requisiti soggettivi previsti dal citato art. 9) alla riconducibilità dell’indennità alla nozione di «altri assegni» di cui allo stesso art. 9, nonché alla computabilità in detta indennità di determinati compensi, ed in quanto intercorrente esclusivamente fra il coniuge divorziato e l’Inadel, ha natura previdenziale ed è perciò devoluta, ai sensi dell’art. 442 c.p.c., alla competenza per materia del pretore con il rito delle controversie di lavoro.

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Cass. civ. n. 8828/1993

La domanda, proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro, volta a conseguire il risarcimento del danno (differenziale rispetto a quanto erogato dall’Inail) sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall’art. 2087 c.c., dà luogo ad una controversia non previdenziale ma di lavoro, con la conseguenza che la relativa competenza territoriale va determinata ai sensi non dell’art. 444 ma dell’art. 413 c.p.c., atteso che detta domanda non attiene al rapporto assicurativo ed è diretta a far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro; né, per assegnare carattere previdenziale alla controversia, è sufficiente il rilievo che tale responsabilità sia delimitata dall’art. 10 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, mentre l’applicazione dell’art. 444, primo comma, c.p.c. — la cui ratio risiede nell’interesse (pubblicistico) dell’ente previdenziale allo svolgimento della controversia in fase giudiziale nel luogo di trattazione in via amministrativa — sarebbe del tutto ingiustificata con riguardo a controversia nella quale legittimato passivo è il datore di lavoro e non l’ente predetto.

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Cass. civ. n. 6700/1993

I dipendenti del disciolto E.N.A.L. passati alle dipendenze di enti locali hanno diritto alla liquidazione di un unico trattamento di fine servizio relativo all’intera durata del rapporto (compreso il servizio prestato in favore dell’ente disciolto) ed avente carattere globalmente previdenziale, con conseguente devoluzione della relativa controversia, alla giurisdizione ordinaria, assumendo l’indennità di anzianità relativa al periodo presso l’ente soppresso la stessa natura previdenziale dell’indennità premio di servizio erogata dall’Inadel e fungendo il rapporto di pubblico impiego, unitariamente considerato, come mero presupposto esterno del rapporto previdenziale.

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Cass. civ. n. 6699/1993

In ipotesi di ritardata corresponsione del trattamento pensionistico a dipendenti di enti locali, avente natura di retribuzione differita ed indicizzata, la richiesta finalizzata — attraverso il richiamo all’art. 429, terzo comma, c.p.c. o all’art. 1224, secondo comma, c.c. e senza la deduzione di comportamenti colposi della P.A. diversi dal mero ritardo — alla salvaguardia dell’originario potere di acquisto della prestazione previdenziale, non costituisce una pretesa connessa o accessoria a quella principale, ma si concreta in una domanda di esatto adempimento, da parte della C.P.D.E.L., dell’obbligo di erogazione della pensione stessa e ricade quindi nell’ambito della giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti ai sensi degli artt. 13 del R.D. n. 1214 del 1934 e 60 del R.D.L. n. 680 del 1938.

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Cass. civ. n. 5842/1993

La domanda relativa al trattamento di fine rapporto corrisposto da un ente pubblico non economico attraverso un fondo di previdenza disciplinato da apposito regolamento introduce una controversia non inquadrabile fra quelle assicurativo-previdenziali (art. 442 c.p.c.) e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, concernendo obbligazioni sostanzialmente retributive del datore di lavoro traenti titolo dal pregresso rapporto di pubblico impiego.

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Cass. civ. n. 3937/1993

Nell’ipotesi di indebita percezione di aumenti della pensione sociale di cui all’art. 2 della L. 15 aprile 1985, n. 140, la comminazione, da parte dell’Inps, della pena pecuniaria (pari a cinque volte l’importo delle somme indebitamente percepite dall’interessato) prevista dal nono comma dello stesso articolo soggiace — per l’espresso richiamo dell’art. 26 della L. 30 aprile 1969, n. 153 operato dal primo comma del citato art. 2 della L. n. 140 del 1984 — alle disposizioni che disciplinano il contenzioso in materia di pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti (ricorsi amministrativi e conseguenti controversie in sede giurisdizionale, a norma degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 e della L. 11 agosto 1973, n. 533) e non già alle regole stabilite per l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione della L. 24 novembre 1981, n. 689.

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Cass. civ. n. 2423/1993

Le controversie aventi ad oggetto domande proposte da dipendenti della soppressa O.N.M.I., trasferiti ad enti locali, per conseguire l’indennità di anzianità, in relazione all’attività lavorativa svolta alle dipendenze dell’ente soppresso, sono devolute — al pari delle controversie concernenti l’indennità di buonuscita (in relazione alla stessa attività lavorativa predetta) e l’indennità premio di servizio (in relazione alla successiva attività presso gli enti locali) — alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la continuità del rapporto d’impiego, nonostante l’intervenuto mutamento del datore di lavoro, comporta che la detta indennità di anzianità, confluente nell’unico trattamento di fine servizio liquidato dall’Inadel, assume anch’essa natura previdenziale (al pari dell’indennità di buonuscita e dell’indennità premio di servizio sopra menzionate), configurandosi il rapporto di pubblico impiego, unitariamente considerato nelle congiunte sue fasi, come un mero presupposto esterno del rapporto previdenziale, da cui trae titolo il complessivo trattamento di fine servizio del quale l’indennità di anzianità è elemento costitutivo.

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Cass. civ. n. 699/1993

L’azione surrogatoria esperita dall’Inail, ai sensi dell’art. 1916 c.c., contro il terzo responsabile dell’infortunio del lavoratore ha natura risarcitoria secondo le comuni regole della responsabilità per danni e, quindi, è di competenza del giudice ordinario secondo i normali criteri di valore, diversamente dall’azione di regresso ex artt. 10 e 11, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che, esercitata dallo stesso istituto nei confronti del datore di lavoro, ricade, attenendo al rapporto di assicurazione obbligatoria, nella competenza funzionale del giudice del lavoro.

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Cass. civ. n. 7/1993

La giurisdizione del giudice ordinario (con la competenza del giudice del lavoro) in ordine alla controversia relativa all’indennità premio di servizio corrisposta dall’Inadel ai dipendenti degli enti locali, che ha carattere previdenziale, non trova deroga (in favore di quella del giudice amministrativo) per la circostanza che l’ente previdenziale abbia contestato la sussistenza del rapporto di pubblico impiego fra il lavoratore e l’ente pubblico beneficiario delle prestazioni lavorative, dovendo l’accertamento della sussistenza o no di detto rapporto (costituente un presupposto estrinseco al rapporto assicurativo-previdenziale) essere svolto – fuori delle situazioni di cui all’art. 34 c.p.c. e comunque nelle controversie solo fra l’Inadel ed i lavoratori – in via esclusivamente incidentale dal giudice della causa previdenziale.

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Cass. civ. n. 4967/1992

Le controversie promosse contro l’Inadel ed il Ministero del tesoro (ufficio liquidazione enti soppressi) da dipendenti di disciolti enti mutualistici transitati alle unità sanitarie locali ed iscritti all’Inadel, per conseguire rivalutazione monetaria ed interessi, in relazione alla ritardata corresponsione della stessa, sulla eccedenza, loro spettante ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, fra l’indennità di anzianità versata all’Inadel dal Ministero del tesoro e l’importo, determinato in via teorica da tale istituto, dell’indennità premio di servizio riferita alla data di detta iscrizione, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, configurandosi detta eccedenza non come parte dell’indennità di anzianità ma come oggetto di un indebito contributivo, la cui natura si estende al credito accessorio per rivalutazione ed interessi.

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Cass. civ. n. 4592/1992

Le controversie concernenti l’indennità premio di servizio dovuta dall’Inadel per il lavoro prestato presso gli enti locali sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che detta indennità costituisce una prestazione che sorge dal rapporto previdenziale, il quale è autonomo e distinto dal collaterale rapporto di pubblico impiego, e tenuto altresì conto che l’art. 6 della L. 20 marzo 1980, n. 75 (affermativo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alle controversie in materia d’indennità di buonuscita e d’indennità di cessazione del rapporto d’impiego relative al personale dello Stato e delle aziende autonome) introduce un’eccezione al principio generale della giurisdizione del giudice ordinario in materia di diritti soggettivi ed è quindi insuscettibile di applicazione analogica con riguardo ad enti pubblici non identificabili con lo Stato o con le aziende autonome.

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Cass. civ. n. 167/1991

In materia di prestazioni accessorie erogate da enti pubblici non economici a favore dei dipendenti che cessano dal servizio, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, cui, a norma dell’art. 7, comma secondo, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, sono devolute le controversie di pubblico impiego, trova deroga in favore di quella del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 442 e 443 c.p.c., solo ove si tratti di prestazioni aventi univoca natura previdenziale (il che va accertato con riguardo all’erogazione in sé, indipendentemente dalla circostanza che essa sia o no a carico di un soggetto diverso o dello stesso datore di lavoro), atteso che le prestazioni aventi carattere integrativo della retribuzione, sia pure con modalità attuative richiamanti le erogazioni previdenziali, sono caratterizzate da una stretta inerenza al rapporto di pubblico impiego, nel quale trovano titolo immediato e diretto. Pertanto, la controversia avente ad oggetto la pensione integrativa in favore dell’ex dipendente della soppressa Associazione nazionale per il controllo della combustione, in mancanza di elementi che ne facciano ritenere la detta natura previdenziale e stante per contro la non configurabilità, rispetto al relativo fondo di previdenza, di una struttura patrimoniale e finanziaria distinta dall’amministrazione datrice di lavoro, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

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Cass. civ. n. 1391/1990

La controversia promossa dall’Inail nei confronti del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, per il recupero di quanto erogato al lavoratore assicurato in conseguenza di infortunio, attiene a diritti inerenti al rapporto assicurativo, e spetta quindi alla giurisdizione del giudice ordinario (nonché alla competenza del pretore, a norma dell’art. 444 c.p.c.), senza che possa al riguardo influire la circostanza che il datore di lavoro operi quale concessionario della P.A. (nella specie, svolgendo attività estrattiva), perché quella domanda non coinvolge l’autonomo rapporto concessorio con l’amministrazione medesima, rispetto al quale l’art. 5 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 contempla la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

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Cass. civ. n. 278/1986

La controversia promossa dal dipendente di un’unità sanitaria locale, collocato a riposo, per ottenere una riliquidazione della pensione e della «indennità premio di servizio», spetta alla giurisdizione della Corte dei conti, per quanto riguarda la prima delle indicate richieste, che investe un trattamento pensionistico gestito dalla cassa di previdenza per i dipendenti degli enti locali e rientrante nell’ambito della predetta giurisdizione a norma degli artt. 60 del R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680 e 62 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, mentre è devoluta alla cognizione del giudice ordinario. Con riguardo alla seconda, tenuto conto che l’indennità premio di servizio, prevista dall’art. 18 della L. 2 giugno 1930, n. 733 e successive modificazioni, configura una prestazione previdenziale, la quale trova fonte in un rapporto con l’Istituto nazionale per l’assistenza ai dipendenti degli enti locali (Inadel), autonomo e distinto dal rapporto di pubblico impiego.

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Cass. civ. n. 4040/1985

La controversia promossa nei confronti dell’Inps, per denunciare l’illegittimità del provvedimento di revoca della pensione di invalidità, e per sentir condannare l’istituto medesimo al ripristino del trattamento assicurativo, rientra nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario (e della competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro), in quanto si ricollega ad un diritto di credito direttamente attribuito dalla legge, nel concorso di situazioni da essa specificamente determinate, e sottratto ad interventi autoritativi o discrezionali della amministrazione.

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