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Art. 81 — Concorso formale. Reato continuato

Art. 81 — Concorso formale. Reato continuato

È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.

Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.

Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 48352/2017

In presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, non opera l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, configurando anche il reato continuato una ipotesi di comportamento abituale ostativa al riconoscimento del beneficio. (Nella specie, la Corte ha affermato il principio anche se per il reato di danneggiamento, contestato in concorrenza con quello di violenza privata, era intervenuta remissione di querela).

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Cass. pen. n. 28659/2017

Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.

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Cass. pen. n. 26450/2017

Ai fini del trattamento sanzionatorio del reato continuato occorre applicare una sola pena, dello stesso genere e della stessa specie di quella del reato più grave, anche quando l’aumento apportato ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. abbia ad oggetto reati satellite appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo l’aumento a titolo di continuazione con la pena della reclusione per un reato satellite di competenza del giudice di pace).

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Cass. pen. n. 17832/2017

Il giudice della cognizione può riconoscere d’ufficio la continuazione tra il reato rimesso alla sua cognizione e altro per cui l’imputato ha riportato in precedenza condanna divenuta definitiva, in quanto nel giudizio di cognizione non vige il principio della domanda in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, sicché il giudice ha il potere di commisurare discrezionalmente la pena irroganda e, proprio a tal fine, se del caso, accertare (ovvero escludere) la continuazione con i reati per i quali l’imputato abbia già riportato condanne irrevocabili.

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Cass. pen. n. 6296/2017

Il giudice dell’esecuzione, nel procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto dell’applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna.

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Cass. pen. n. 3337/2017

In tema di continuazione, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i reati associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose. (Fattispecie relativa all’esclusione del vincolo della continuazione tra il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e quello di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata alla consumazione sia di reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti che di reati diversi, in cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva negato il riconoscimento del vincolo tra i due reati, rilevando che, nonostante la contiguità geografica e cronologica delle condotte e la loro tendenziale omogeneità, le modalità concrete di consumazione dei vari delitti erano sintomatiche di scelte di vita ispirate alla sistematica consumazione di illeciti, e non all’attuazione di un progetto criminoso unitario).

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Cass. pen. n. 1086/2017

Nell’ipotesi in cui il sottoposto con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno guida un veicolo senza patente o con patente revocata si configura il concorso formale tra il reato previsto dall’art. 73 del D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 e il delitto previsto dall’art. 75, comma secondo, del medesimo D.Lgs., in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra loro.

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Cass. pen. n. 44103/2016

Non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria da operazioni dolose, di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2 L. fall., che deve considerarsi assorbito nel primo quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta.

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Cass. pen. n. 31669/2016

In tema di reato continuato, il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti.

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Cass. pen. n. 25434/2016

In tema di violenza sessuale, il riconoscimento della circostanza attenuante della minore gravità del fatto non è impedito dalla commissione di una pluralità di episodi illeciti in danno di diverse persone offese, la cui libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave. (In applicazione del principio, la S.C. ha censurato la decisione di merito che aveva automaticamente escluso la diminuente in una fattispecie di “palpeggiamenti”di più alunne minorenni, osservando che il naturale aggravamento della intensità della lesione al bene protetto, connesso alla reiterazione di una singola condotta di modesta gravità, non si verifica quando i soggetti passivi della condotta siano sempre fra loro diversi e ciascuno indipendente dall’altro, dovendosi in tal caso valutare la gravità di ogni singolo episodio).

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Cass. pen. n. 897/2012

L’accertamento del vincolo della continuazione tra il reato giudicato ed altro precedente per il quale è intervenuta condanna con sentenza irrevocabile richiede al giudice la sola applicazione dell’aumento dovuto per la continuazione, mentre non possono essere applicate le circostanze attenuanti generiche, il cui riconoscimento richiede l’esame dell’intera condotta antigiuridica del reo, ivi inclusa quella già considerata dal precedente giudicato, ostandovi la “res iudicata”.

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Cass. pen. n. 38486/2011

Il principio secondo cui l’identità del disegno criminoso del reato continuato viene meno per fatti imprevedibili come la detenzione o la condanna non si può automaticamente applicare a contesti delinquenziali, come quelli determinati dalle associazioni mafiose, nei quali detenzioni e condanne definitive sono accettate come prevedibili eventualità, sicché, in tali casi, il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato permanente, ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo – costituito da fasi di detenzione o da condanne – trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio.

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Cass. pen. n. 13611/2011

L’accertamento circa l’esistenza di un medesimo disegno criminoso tra più reati, tra i quali si asserisca il vincolo di continuazione, deve essere riferito al momento dell’ideazione e deliberazione del primo dei reati in senso cronologico, a nulla rilevando che questo abbia avuto una reiterazione in più episodi nel corso di un ampio arco di tempo.

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Cass. pen. n. 5761/2011

Non vi è compatibilità tra recidiva e continuazione, con la conseguenza che non può tenersi conto della recidiva una volta ritenuta la continuazione tra il reato per cui sia pronunciata sentenza passata in giudicato, valutato come più grave e, pertanto, considerato reato base, e quello successivo, oggetto di ulteriore giudizio, in quanto i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un’unica condotta illecita, caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di un medesimo disegno criminoso, con la conseguenza che non è possibile ritenere la recidiva per gli episodi successivi al primo. Tra i due istituti esiste, pertanto, assoluta antitesi, valorizzando la recidiva la speciale proclività a delinquere, espressa dalla reiterazione di reati consumati in piena autonomia rispetto a vicende pregresse ed elidendo la continuazione proprio la predetta autonomia, collegando ed unificando i diversi episodi criminosi.

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Cass. pen. n. 14080/2001

Attesa la possibilità di riconoscimento della continuazione fra reato da giudicare e reato già giudicato, anche quando il primo sia più grave del secondo (dovendosi in tal caso determinare la pena complessiva sulla base di quella da infliggere per il reato più grave, aumentata nella misura ritenuta equa in riferimento al reato meno grave già giudicato), deve escludersi la violazione del divieto di reformatio in pejus qualora, avendo il giudice di primo grado stabilito, per una pluralità di reati, soltanto la pena complessiva, il giudice d’appello individui fra detti reati quello più grave e determini autonomamente la relativa pena base, sulla quale operi, quindi, l’aumento anche per il reato meno grave già giudicato.

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Cass. pen. n. 6843/2001

Il giudice d’appello cui sia espressamente richiesta l’applicazione della continuazione con altri fatti già coperti da giudicato, non può rimettere la decisione al giudice dell’esecuzione, né può sottrarsi alla decisione affermando che la precedente sentenza, in quanto emessa a seguito di patteggiamento, sarebbe inidonea a consentire l’accertamento del nesso di continuazione fra i diversi fatti, ma deve provvedere sulla richiesta, atteso che il giudice dell’esecuzione non potrebbe disporre, in concreto, di elementi diversi o più perspicui di quelli già noti al giudice della cognizione.

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Cass. pen. n. 2934/2000

In tema di riconoscimento della continuazione, l’onere di provare i fatti dai quali dipende l’applicazione dell’istituto è da ritenersi soddisfatto non solo con la produzione della copia della sentenza rilevante ai fini del richiesto riconoscimento ma anche con la semplice indicazione degli estremi di essa, ben potendo in tale ipotesi l’acquisizione del documento essere disposta dal giudice, come si ricava tra l’altro dalla esplicita previsione dell’art. 186 disp. att. c.p.p., che, pur riguardando l’applicazione della continuazione in sede di esecuzione, esprime un principio che ha valore generale.

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Cass. pen. n. 2107/1998

In tema di reato continuato la valutazione del giudice circa la identità del disegno criminoso costituisce il solo criterio per la unificazione fittizia quoad poenam della pluralità degli illeciti commessi dall’agente con una molteplicità di azioni, restandone escluso ogni fattore di carattere temporale. Pertanto, al giudice del merito non è inibita l’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81, primo e secondo comma, c.p. quando sia stata già pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna nei confronti dell’imputato per fatto anche meno grave di quello sottoposto al suo giudizio. In siffatta ipotesi la pena complessiva va determinata sulla base di quella da infliggersi per il reato più grave sottoposto al giudizio in corso e va apportato l’aumento ritenuto equo in riferimento al reato meno grave già giudicato.

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Cass. pen. n. 7089/1997

Nel caso in cui in un giudizio in corso sia stata riconosciuta la continuazione tra i reati sub iudice e reati già giudicati con sentenza irrevocabile ed il giudice abbia ritenuto meno gravi i primi, alla pena inflitta con la sentenza irrevocabile si aggiunge la frazione di pena in aumento per la continuazione per i reati accertati nel giudizio in corso. In tal caso il giudice non può applicare alla condanna già passata in giudicato la diminuzione della pena per un rito di un procedimento diverso né può riconsiderare e rideterminare ex art. 133 c.p. l’entità di quella pena definitiva, per il principio della intangibilità della stessa.

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Cass. pen. n. 6496/1997

In tema di reato continuato la valutazione del giudice circa l’identità del disegno criminoso costituisce il solo criterio da adottare, nonché l’istituto della continuazione può essere applicato anche quando sia stata già pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna per fatto anche meno grave di quello sottoposto al suo giudizio.

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Cass. pen. n. 523/1997

In tema di fungibilità della pena con riferimento al reato continuato, il favor libertatis ne impone la scissione qualora la sua considerazione come reato unico comporti effetti sfavorevoli per l’imputato o il condannato, con la conseguenza che, se alcune delle violazioni siano state commesse prima dell’espiazione di pena senza titolo, la fungibilità ha luogo sull’aliquota di sanzione del relativo frammento di continuazione. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che, qualora la parte di pena inflitta a titolo di aumento per la continuazione per taluno dei reati satelliti non sia desumibile dalla sentenza irrevocabile, è compito del giudice dell’esecuzione determinarla, interpretando la decisione e rendendone espliciti i contenuti e i limiti, ovvero ricavando dagli atti gli elementi necessari non esplicitamente espressi in sentenza, ivi compreso il tempus commissi delicti e, in ogni caso, attenendosi al principio in dubio pro reo).

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Cass. pen. n. 9148/1996

Non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione. (Alla stregua di tale principio la Corte ha ritenuto la legittimità della sentenza che aveva riconosciuto l’esistenza della continuazione fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato).

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Cass. pen. n. 7316/1996

La continuazione può essere applicata per la prima volta in sede di legittimità, qualora venga richiesta allegando, una sentenza passata in giudicato dopo la pronuncia della decisione impugnata, in quanto non si è modificato il quadro normativo al riguardo nel vigore del nuovo codice di rito, giacché la disciplina contemplata dall’art. 671 c.p.p. in sede esecutiva ha carattere sussidiario ed incontra alcune limitazioni (artt. 187 e 188 att. c.p.p. e 671 c.p.p.) insussistenti in sede cognitiva. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha osservato che «tuttavia l’omesso passaggio in giudicato della sentenza prodotta e l’assenza di ogni allegazione tale da consentire l’accertamento dell’unicità del disegno criminoso inducono a ritenere infondato detto motivo, fatta salva la possibilità di più idonea dimostrazione in sede esecutiva).

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Cass. pen. n. 9955/1995

L’istanza di applicazione del vincolo della continuazione fra reati che formano oggetto del procedimento in corso e reati ad esso esterni, già accertati con sentenze divenute irrevocabili, può essere presentata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione solo quando il giudicato per i reati esterni sia intervenuto dopo che nel procedimento in corso sia stata pronunciata la sentenza da parte del giudice di appello.

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Cass. pen. n. 2280/1993

È possibile riconoscere il nesso della continuazione fra reati già giudicati ed altri da giudicare, a condizione che: 1) quest’ultimo sia stato commesso prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna alla quale si intende collegarlo; 2) il reato oggetto di pronuncia definitiva sia più grave rispetto a quello in esame, perché solo in tal caso è possibile mantenere ferma la pena già irrogata come pena base.

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Cass. pen. n. 7811/1992

Il nesso della continuazione, essendo legato ad una intenzione del reo, che opera sul piano fenomenico, non può considerarsi necessariamente interrotto da un elemento del tutto formale, quale è quello rappresentato dalla sentenza di condanna o dall’arresto intervenuto nella successione dei diversi episodi, perché la controspinta psicologica costituita dalla condanna e/o dall’arresto non è necessariamente inconciliabile con la persistenza dell’unicità del disegno criminoso.

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